Nel complesso scenario concorrenziale attuale, il marchio collettivo, sta assumendo sempre più un ruolo di primo piano, per il forte impatto prodotto sulle strategie e sulle politiche di sviluppo di molte imprese, consentendo di polarizzare “qualitativamente” la domanda dei consumatori. Ecco come e perché!
Sommario
Rispetto al marchio d’impresa, esso rappresenta un quid pluris quale titolo giuridico-economico che si traduce in termini di fatturato nel consolidamento di posizione di vantaggio competitivo di prestigio, spiccando come super indicatore di valore economico.
Nella logica del marchio collettivo, risulta ancora più accentuato il passaggio dall’originale funzione del brand quale solo indicatore di proprietà ed origine, alla sua efficacia quale indicatore di valore, sia culturale sia economico.
Questo strumento risulta particolarmente appetibile per una pluralità di imprenditori autonomi tra loro che, accomunati dai medesimi “product process” o dalla stessa collocazione territoriale, producono beni aventi le stesse caratteristiche.
Il marchio collettivo è utilizzato sempre più frequentemente in Italia, in particolare dai consorzi di tutela dei nostri prodotti agro-alimentari tipici e si inserisce in un sistema di controllo particolarmente strutturato e organizzato.
Esempi di marchi collettivi sono il marchio pura Lana Vergine e marchio Melinda utilizzato dai 5200 membri delle 16 cooperative che coltivano mele in Val di Non e nella Valle del Sole (Italia) e che hanno fondato il consorzio Melinda nel 1989.
Cos’è il marchio di certificazione?
E’ una particolare tipologia di marchio, disciplinata dal combinato disposto degli articoli 2570 del codice civile, dall’articolo 11 CPI* e dal regolamento U. E. 2424/2015, che si differenzia in modo sostanziale rispetto al classico marchio aziendale. Quest’ultimo si limita a contraddistinguere i prodotti del singolo imprenditore, invece il marchio collettivo ha una funzione più ampia e di maggiore risonanza sul mercato, incentrata sulla garanzia qualitativa, assicurando che il prodotto o il servizio abbia determinate caratteristiche in relazione alla:
- origine cioè la provenienza geografica rilevante sotto il profilo della qualità del prodotto (differenza rispetto ai marchi di fabbrica che non possono contenere tale indicazione);
- natura, cioè qualità del prodotto con riferimento alle materie prime utilizzate e alla sottoposizione a specifici trattamenti;
- qualità, espressa nel regolamento d’uso che deve prevedere determinati controlli per garantire la qualità di prodotti provenienti da produttori diversi.
Il marchio collettivo rappresenta pertanto uno strumento di garanzia e certificazione della qualità e dell’origine del prodotto inspessendo la tutela del consumatore in un’ottica di customer satisfaction e di riduzione delle asimmetrie informative.
Come funziona il marchio?
Da un punto di vista strutturale, il rapporto giuridico tipico del marchio collettivo che lo distingue dalla disciplina applicativa del marchio di impresa, è caratterizzato da una dissociazione permanente fra titolarità del segno che spetta al concedente (ad esempio un consorzio che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi) e l’ uso del medesimo da parte del concessionario-utilizzatore (serie aperta di imprese legittimate a condizione che conformino lo sfruttamento dell’asset immateriale al regolamento d’uso emanato dal concedente e depositato in sede di registrazione, contenente indicazioni riguardanti la funzione di garanzia effettiva del titolare, le modalità di utilizzo, controlli e sanzioni).
Sotto un profilo giuridico l’articolo 2570 codice civile e l’articolo 11 del CPI (Codice di Proprietà Industriale) lo identificano come marchio la cui registrazione viene richiesta “da soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”. Questi ultimi “possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per concederne l’uso, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, a produttori e commercianti”.
Chi può registrarlo?
La titolarità del marchio collettivo, a differenza del passato, non risulta più circoscritta agli enti e associazioni riconosciute ma si estende ai soggetti sia privati che pubblici i quali esercitino una funzione di garanzia da intendersi in senso effettivo. Con la riforma del citato articolo inoltre, l’utilizzabilità del marchio collettivo non richiede che il/i concessionario/i sia/no affiliati all’associazione titolare.
Ciò significa che la redditività di tale asset strumentale intangibile non risulta più subordinata al presupposto di un rapporto di appartenenza o dipendenza delle imprese associate.
Riconoscere il marchio di certificazione
Per avvalersi della tutela tipica del marchio collettivo, oltre a prestare attenzione alla identificazione delle classi di prodotto e servizi di riferimento, occorre conoscere la macro classificazione di questa particolare specie di marchio in marchi “unisettoriali” o di prodotto e marchi “ombrello”:
a) nel primo caso il marchio interesserà prodotti di un unico genere appartenenti ad un solo comparto (es macelleria tipica x);
b) nel secondo caso si tratterà di marchi che coinvolgono prodotti di genere diverso (Mercati di x).
Esistono altre tipologie di marchi collettivi: Marchio Collettivo Geografico, Marchio Collettivo di qualità, la Denominazione Comunale di Origine.
VANTAGGI del marchio: un brand super accattivante: Perché il marchio collettivo registrato ha una marcia in più
I marchi collettivi presentano diversi vantaggi rispetto al classico marchio aziendale:
a) rappresentano uno strumento efficace e strategico per la commercializzazione congiunta di prodotti provenienti da un gruppo di imprese che, a livello individuale, riscontrerebbero difficoltà nel far riconoscere i propri marchi dai consumatori, e/o farli accettare dai grandi distributori;
b) premesso che il marchio in genere ha acquistato un valore superiore rispetto al prodotto su cui è apposto, il marchio collettivo è in grado di incanalare esponenzialmente rispetto ad un classico marchio aziendale le scelte del consumatore;
c) sono preziosi strumenti di marketing e la base su cui costruire l’immagine e la reputazione dell’impresa, consentendo di acquisire quote di mercato sempre maggiori e moltiplicarle per n volte rispetto al tradizionale marchio d’impresa, rilevando come elemento centrale nel processo d’acquisto del prodotto il riconoscimento di determinati standard qualitativi e/o di processo da parte del consumatore;
d) attraverso il licensing ad essi strutturale, determinano l’introito di una fonte di reddito addizionale (royalties);
e) inoltre sono una componente fondamentale dei contratti di franchising;
f) stimolano le imprese ad investire nel mantenimento o nel miglioramento della qualità dei prodotti;
g) consentono di ottenere grossissimi sgravi fiscali con i bonus del Patent Box previo esercizio della relativa opzione agevolativa; (per approfondimenti leggete la divulgazione dedicata alla combinazione vincente tra marchio collettivo e Patent Box).
h) rappresentano una valida etichetta per ottenere finanziamenti dagli istituti bancari che sono sempre più consapevoli del ruolo dei marchi nel determinare il successo di un’impresa.
Dunque, i vantaggi economicamente valutabili del marchio collettivo si diramano essenzialmente in tre direzioni:
1) possibilità di incremento delle quote di mercato e consolidamento della posizione e immagine dell’impresa potenziandola attraverso idonee strategie pubblicitarie e di marketing;
2) conseguimento di una fonte addizionale di reddito all’impresa, attraverso la stipula di accordi di licensing sulla base del marchio;
3) vantaggiosissimi sgravi fiscali sui redditi derivanti dallo sfruttamento del marchio collettivo grazie al Patent Box.
VALUTAZIONE E VALORIZZAZIONE
Il marchio collettivo rappresenta certamente la chiave del successo in un mercato globale e competitivo, ponendosi come brand accattivante dotato di forza e originalità il quale sintetizza l’interfaccia dell’impresa in termini di reputazione, valori, qualità, emozioni suscitate nel consumatore.
La valutazione del marchio è un’attività volta a quantificare il contributo che un marchio conferisce al valore aziendale ed è essenziale in alcuni momenti salienti dell’attività di un’impresa, in particolare quelli legati alle vicende della sua circolazione (anche congiuntamente al trasferimento dell’impresa o di un ramo d’impresa).
A grandi linee, la valutazione del marchio può essere ricondotta a due finalità principali e cioè la monetizzazione e la valorizzazione rispettivamente legate ad aspetti prevalentemente quantitativi e prevalentemente qualitativi:
a) monetizzazione si intende l’utilizzo del marchio come strumento per ottenere nuove risorse e finanziare la crescita aziendale. Conoscere il valore del proprio marchio consente di presentare in modo efficace il valore del proprio patrimonio immateriale aprendo la strada ad operazioni finanziarie anche straordinarie (operazioni M&A etc);
b) valorizzazione si intende la formulazione ed il perseguimento di strategie di crescita incentrate sul marchio, con riferimento sia al suo valore reale che al suo valore potenziale (secondary meaning e licensing);
La valutazione costante del marchio collettivo può essere utile anche per monitorare nel tempo il valore brand, favorendo così una migliore allocazione delle risorse e una più informata assunzione di rischi imprenditoriali.