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lunedì 20 Gennaio 2025
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Legge di bilancio 2023. La Zona Franca Urbana Sisma Centro Italia: agevolazioni e novità 2023

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Cos’è

Istituite a partire dal 2006, le “zone franche urbane” (ZFU), sono territori dove si concentrano programmi di defiscalizzazione e decontribuzione rivolti alle imprese locali.

Le ZFU sono state create con l’obiettivo di supportare lo sviluppo e la ripresa economica, ed anche per favorire la ripresa di territori colpiti da calamità naturali.

Infatti, ai sensi dell’art.46 del dlgs.50/2017 è stata istituita una zona ad hoc, la Zona Franca Urbana Sisma Centro Italia, che comprende i comuni delle Regioni del Lazio, dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo, colpiti, dal 24 agosto 2016, da eventi sismici.

L’allegato al Decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, precisa l’elenco dei comuni che godono delle agevolazioni della ZFU Sisma Centro Italia.   

 

Quali agevolazioni

L’art. 46, comma 2, del dlgs.50/2017 riconosce alle imprese e ai professionisti le seguenti agevolazioni:

  • esenzione dalla imposta sui redditi derivante dallo svolgimento dell’attività svolta dall’impresa nella zona franca fino a concorrenza, per ciascun periodo di imposta, dell’importo di 100.000 euro riferito al reddito derivante dallo svolgimento dell’attività svolta dall’impresa nella zona franca;
  • esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive del valore della produzione netta derivante dallo svolgimento dell’attività svolta dall’impresa nella zona franca, nel limite di euro 300.000 per ciascun periodo di imposta, riferito al valore della produzione netta;
  • esenzione dalle imposte municipali proprie per gli immobili siti nella zona franca, posseduti e utilizzati per l’esercizio dell’attività economica;
  • esonero del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni da lavoro dipendente (nelle ZFU che prevedono tale tipologia di agevolazione). L’esonero spetta anche ai titolari di reddito di lavoro autonomo che svolgono l’attività all’interno della zona franca urbana.

Per chi

La Zona Franca Urbana Sisma Centro Italia prevede un pacchetto di agevolazioni, fra le quali l’esonero del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, riconosciuto alle imprese, e ai professionisti:

  • aventi sede principale o l’unita’ locale nella zona franca;
  • e che hanno subito, a causa degli eventi sismici, la riduzione del fatturato almeno pari al 25 per cento nel periodo dal 1º settembre 2016 al 31 dicembre 2016, rispetto al corrispondente periodo dell’anno 2015.

 

 Quando

Le agevolazioni vengono riconosciute per predeterminati periodi di imposta. I periodi di imposta per i quali era stata concessa originariamente l’esenzione in trattazione, erano circoscritti agli anni 2017 e 2018 (comma 4 articolo 46, comma 2, lettera d), del D.L. n. 50). Sono poi stati prolungati ai periodi di imposta 2019, 2020, 2021 e 2022.

 

Cosa cambia con la legge di bilancio 2023?

L’articolo 1, comma 746, della Legge di bilancio 2023, ha esteso i periodi di imposta, per i quali è concessa l’esenzione, al 2023.

Alla luce di tali modifiche, le esenzioni di cui all’articolo 46, finora riconosciute e non fruite per i periodi di imposta 2019, 2020, 2021 e 2022, sono estese anche per il 2023.

 

L’esonero contributivo e previdenziale

L’esonero dal versamento dei contributi assistenziali e previdenziali (art. 46, comma 2, lett. d) non include i premi per l’assicurazione obbligatoria infortunistica, che restano dovuti dai datori di lavoro, sulle retribuzioni da lavoro dipendente.

 

Il messaggio Inps 2023

In tema di esonero contributivo, a seguito di quest’ultima proroga, è intervenuta l’INPS con il Messaggio n° 389 del 25-01-2023 per riepilogarne l’ambito di applicazione.

L’INPS ha precisato che i datori di lavoro interessati possono ottenere l’esonero dal versamento dei contributi anche nel 2023, ma con delle limitazioni, ovvero:

  • il Ministero delle Imprese e del made in Italy può prevedere clausole di esclusione per le imprese che hanno già ottenuto le relative esenzioni e, alla data di pubblicazione dei bandi, non hanno fruito in tutto o in parte dell’importo dell’agevolazione;
  • i destinatari dei provvedimenti ministeriali possono utilizzare il credito verso l’Erario per i versamenti dei contributi obbligatori dovuti all’Istituto con le indicazioni operative fornite nella Circolare INPS n. 48 del 2019.

 

Indicazioni operative

La fruizione delle agevolazioni avviene mediante compensazione dei versamenti, tramite il modello di pagamento F24, da presentare esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (Entratel e Fisconline), pena lo scarto dell’operazione di versamento.

Ai fini dell’utilizzo in compensazione, a mezzo modello “F24”, delle agevolazioni previste dall’articolo 46, l’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione 55/E, ha istituito, a oggi, i codici tributo “Z148”, “Z149”, “Z150”, “Z162”, “Z164” e “Z165”.

Tali codici devono essere esposti nella sezione “Erario” del modello “F24”, in corrispondenza delle somme indicate alternativamente:

  • nella colonna “importi a credito compensati”;
  • nella colonna “importi a debito versati”, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione.

Legge di bilancio 2023 e i crediti per il Mezzogiorno

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Bonus investimenti Sud: la proroga per il 2023.

Cos’è

Il Bonus investimenti Sud è un credito d’imposta introdotto dalla Legge di Stabilità 2016 (art.1 comma 98 e seguenti) per l’imprenditore che acquista beni strumentali nuovi per la propria struttura produttiva ubicata in una delle regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Molise, Abruzzo, Sardegna).

La Legge di Bilancio 2023 (art.1 comma 265-266) ha prorogato il bonus Mezzogiorno sino al 31 dicembre 2023, confermando tutti gli altri requisiti per poterne fruire. Vediamoli insieme.

Le imprese destinatarie

Per accedere all’agevolazione fiscale è necessario verificare:

  • il requisito della dimensione dell’impresa. Il credito di imposta è riconosciuto alle piccole, medie e grandi imprese;
  • la tipologia di beni oggetto di investimento. L’impresa acquista beni materiali strumentali nuovi (classificati nelle voci B.II.2 e II.3 dell’attivo di Stato patrimoniale) che sono destinati alla creazione/ampliamento della struttura produttiva;
  • l’ubicazione della struttura produttiva, sita nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo (oltre che nella zona Sisma e nelle ZES).

La Raccomandazione dell’Unione Europa n. 2003/361/CE, indica i criteri per distinguere la piccola, medio e grande impresa:

  • le piccole imprese  hanno meno di 50 dipendenti e fatturato, annuo o totale, di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro;
  • le medie imprese hanno meno di 250 dipendenti e fatturato annuo non superiore ad euro 50 milioni, ovvero totale di bilancio annuo non superiore ad euro 43 milioni;
  • le grandi imprese hanno più di 250 dipendenti e fatturato annuo superiore ad euro 50 milioni o totale di bilancio annuo superiore ad euro 43 milioni.

Le imprese escluse

L’agevolazione non si applica ai soggetti che operano nei seguenti settori:

  • industria siderurgica e carbonifera;
  • costruzione navale;
  • fibre sintetiche;
  • trasporti e delle relative infrastrutture;
  • produzione e della distribuzione di energia;
  • infrastrutture energetiche;
  • creditizio, finanziario e assicurativo.

L’agevolazione, inoltre, non si applica alle imprese in difficoltà.

A quanto ammonta il bonus Mezzogiorno.

Il credito d’imposta per gli investimenti Sud 2023 spetta in misure massime differenti a seconda del tipo di impresa che presenta richiesta. Più precisamente gli aiuti si calcolano in riferimento alla Carta degli aiuti di finalità regionale 2022 2027, elaborata dalla Commissione europea e che individua le zone per le quali sarà possibile fruire del credito d’imposta in misura maggiorata.

Per le Regioni Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna il bonus è pari al:

  • 45% per le piccole imprese;
  • 35% per le medie imprese;
  • 25% per le grandi imprese.

Invece in Molise:

  • per i beni acquisiti fino al 31 dicembre 2021 le percentuali del credito d’imposta sono pari al 30% per le piccole imprese, 20% per le medie imprese e 10% per le grandi imprese;
  • nel caso di i beni acquisiti nel 2022 e nel 2023le percentuali del credito d’imposta sono pari al 45% per le piccole imprese, 35% per le medie imprese e 25% per le grandi imprese.

Infine, in Abruzzo scendono al 30% per le piccole imprese, 20% e 10% rispettivamente per medie e grandi imprese.

In generale, l’ammontare dell’incentivo si determina su valori massimi rispettivi per i limiti dimensionali delle imprese di 3 milioni, di 10 milioni e di 15 milioni di euro.

Come si usa il Bonus investimenti Sud.

Il credito d’imposta è utilizzabile in compensazione nel modello F24 tramite il codice tributo “6869” a partire dal quinto giorno successivo alla data di rilascio della ricevuta attestante la fruibilità del credito d’imposta. A tal fine è necessario inviare telematicamente all’Agenzia delle Entrate l’apposita comunicazione (modello CIM17).

Gli altri crediti per il Mezzogiorno.

La legge di bilancio 2023 (art. 1, commi 267-270, L. n. 197/2022) proroga al 2023 anche i seguenti altri crediti per il Mezzogiorno:

  • il credito d’imposta per le ZES ex art. 5 comma 2 del DL 91/2017;
  • il credito d’imposta “maggiorato” per le attività di ricerca e sviluppo nel Mezzogiorno ex art. 1 comma 185 della L. 178/2020;
  • il credito d’imposta per l’installazione degli impianti di compostaggio ex art. 1 comma 831 della L. 234/2021.

Cartelle esattoriali 2023: come alleggerire il carico esattoriale sull’impresa e la famiglia.

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Ti proponiamo un quadro di sintesi su alcune misure di pace fiscale che riguardano le tue cartelle esattoriali.

Cartelle esattoriali ultimissime

Se vuoi capire come sbarazzarti delle tue cartelle esattoriali alla luce della nuova Legge di bilancio 2023, il primo step è leggere la data di iscrizione a ruolo riportata in cartella. Cos’è l’iscrizione a ruolo?

In breve, quando non paghi un importo dovuto ad un ente (Agenzia delle Entrate, pubbliche amministrazioni ed enti previdenziali), l’ente creditore iscrive il tuo debito (“carico”) nel ruolo. Si tratta di un elenco dei debitori che l’Ente, solo dopo averlo firmato, può trasmettere all’agente della riscossione. La firma rende il ruolo “esecutivo”, cioè legittima l’Agenzia della riscossione a recuperare le somme, a mezzo invio della cartella esattoriale!

La data che dovrai controllare nella tua cartella è quella accanto a “ruolo esecutivo in data”, dicitura che per te ora non è più un mistero.

La legge di bilancio 2023, in base alla data di iscrizione a ruolo del tuo debito esattoriale, ti mette a disposizione due strumenti:

  1. l’annullamento automatico della cartella (“stralcio”);
  2. la definizione agevolata della cartella (“rottamazione”).

Annullamento automatico dei debiti fino a 1.000 euro (stralcio)

Lo stralcio 2023 delle cartelle esattoriali è normato dall’articolo 1, commi 222-230, della Legge n. 197/2022.

Non dovrai presentare alcuna richiesta! La tua cartella sarà annullata in automatico entro la data del 31/03/2023 dall’Agente della Riscossione e sarai avvisato entro il 30/06/2023. Nel frattempo, sino all’effettivo annullamento della cartella, la riscossione è sospesa.

Ecco un’apposita tabella dei requisiti delle cartelle annullabili.

REQUISITI PER LO STRALCIO AUTOMATICO DELLE CARTELLE 2023
DATA DI ISCRIZIONE A RUOLO IMPORTO DEL DEBITO ENTE CREDITORE
ruolo esecutivo tra il 01/01/2000 e il 31/12/2015 non superiore alle €1.000 alla data del 29/12/2022 amministrazioni statali, agenzie fiscali, enti pubblici previdenziali enti creditori diversi dalle amministrazioni statali, dalle agenzie fiscali e dagli enti pubblici previdenziali sanzioni per violazioni del Codice della strada e altre sanzioni amministrative
Debito annullato Debito dovuto Debito annullato Debito dovuto Debito annullato Debito dovuto
capitale, interessi, sanzioni stralcio totale sanzioni, interessi (inclusi interessi di mora) capitale, spese per le procedure esecutive, spese di notifica interessi sanzioni e le somme maturate a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento.

 

La Legge prevede, inoltre, che gli enti creditori diversi dalle amministrazioni statali, dalle agenzie fiscali e dagli enti pubblici previdenziali, possano stabilire di non applicare lo “Stralcio” (cd. annullamento parziale) e, quindi, di evitare l’annullamento automatico previsto, adottando uno specifico provvedimento e comunicandolo all’Agente della riscossione entro il 31 gennaio 2023.

Si precisa, infine, che la misura relativa allo “Stralcio” fino a mille euro non trova applicazione per le seguenti tipologie di carichi affidati all’Agente della riscossione:

  • recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione Europea;
  • crediti derivanti da condanne pronunciate dalla Corte dei conti;
  • multe, ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;
  • debiti relativi alle “risorse proprie tradizionali” dell’Unione Europea e all’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione.

La definizione agevolata delle cartelle esattoriali

L’articolo 1, commi 231-252, della Legge n. 197/2022 introduce la nuova definizione agevolata (Rottamazione quater). Si tratta di un pagamento di “favore” degli importi presenti in cartella, con possibilità di ottenere l’estinzione di alcune componenti del debito.

Quali sono i debiti definibili? Dovrai per primo verificare la data di presa in carico del debito. La data che rende il debito definibile è compresa tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022.

Appurata la data, potranno entrare in rottamazione anche i debiti:

  • ricompresi in precedenti rottamazioni, anche se decadute;
  • contenuti anche in cartelle non ancora notificate;
  • interessati da provvedimenti di rateizzazioni o sospensione;
  • sono rottamabili anche le cartelle oggetto di contenzioso. In tal caso, nella domanda di adesione, dovrai espressamente rinunciare al giudizio.

Tieni presente che i debiti con le Casse/Enti previdenziali di diritto privato possono rientrare nella definizione agevolata solo dopo apposita delibera di tali enti creditori, pubblicata entro il 31 gennaio 2023, sul proprio sito internet e comunicata, entro la stessa data, ad Agenzia delle entrate-Riscossione mediante posta elettronica certificata.

L’agente della riscossione rende disponibili, nell’area riservata del proprio sito internet istituzionale, i dati necessari a individuare i carichi definibili.

Quali sono gli importi dovuti? Potrai estinguere i debiti, iscritti a ruolo, con le seguenti modalità:

  • potrai versare solo somme a titolo di capitale e le spese per le procedure esecutive e i diritti di notifica;
  • si estinguono gli interessi, sanzioni, interessi di mora nonché il cd. aggio.

Questa regola sconta eccezioni. Infatti, se hai una sanzione amministrativa e/o multe stradali, devi sapere che si estinguono solo gli interessi e alle somme maturate a titolo di aggio.

Dalle sanzioni definibili, sono escluse le sanzioni tributarie e le sanzioni per la violazione degli obblighi contributivi.

Quando e come aderire? Potrai aderire alla definizione agevolata, entro il 30 aprile 2023, presentando la dichiarazione di adesione esclusivamente in via telematica, disponibile nel sito internet dell’Agente della riscossione.

Come puoi pagare i debiti rottamati? Gli importi dovuti possono essere pagati:

  • in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2023;
  • oppure, con pagamento rateizzato in un numero massimo di 18 rate (5 anni). Le prime due con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre 2023. Le restanti 16 rate, ripartite nei successivi 4 anni, andranno saldate il 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2024. La prima e la seconda rata saranno pari al 10% delle somme complessivamente dovute, le restanti rate invece di pari importo. Il pagamento rateizzato prevede l’applicazione degli interessi al tasso del 2 per cento annuo, a decorrere dal 1° agosto 2023. In caso di omesso ovvero insufficiente o tardivo versamento, superiore a cinque giorni, anche di una sola rata, decadi dalla definizione agevolata e quanto avrai versato sarà considerato solo un acconto sulle somme dovute.

I debiti esclusi dalla rottamazione 2023. Si tratta dei carichi riferiti a:

  • recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione Europea;
  • crediti derivanti da condanne pronunciate dalla Corte dei conti;
  • multe, ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;
  • debiti relativi alle “risorse proprie tradizionali” dell’Unione Europea e all’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione.

Cosa succede se aderisco alla rottamazione quater? L’Agenzia delle Entrate Riscossione ti comunicherà, entro il 30.06.2023, l’accoglimento oppure l’eventuale diniego, specificandoti le somme dovute, che dovrai pagare nelle modalità indicate nella domanda di definizione (soluzione unica o a rate).

Che effetti ha la rottamazione? Una volta presentata la domanda di adesione, purchè si tratti di debiti definibili, non saranno attivabili contro di te nuove procedure esecutive (es. pignoramenti) e/o cautelari (es. fermi amministrativi, ipoteche) per il recupero coatto del debito. Che fine fanno le procedure già avviate? Se si tratta di procedure esecutive, queste non proseguiranno (salvo abbia avuto già iniziato la vendita all’incanto dei beni pignorati); invece, i fermi amministrativi e le ipoteche anteriori alla domanda, resteranno in essere.

Inoltre, il contribuente, sempre per i debiti “definibili”, non sarà considerato inadempiente ai sensi degli articoli 28-ter e 48-bis del DPR n. 602/1973 e per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC).

Per effetto della presentazione della domanda di definizione agevolata, sono sospesi:

  • i termini di prescrizione e decadenza dei carichi inseriti nella domanda;
  • fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute a titolo di Definizione agevolata, gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti rateizzazioni.

Contattaci per una consulenza personalizzata della tua posizione debitoria!

Legge di bilancio 2023. Come chiudere le tue liti con il fisco?

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La legge di bilancio 2023 e la tregua fiscale

La legge di Bilancio 2023 è entrata in vigore dal 01/01/2023. Ecco, in sintesi, gli strumenti previsti per alleggerire il carico processuale e regolarizzare le violazioni fiscali di varia natura (“tregua fiscale”).

Tregua fiscale. Cos’è

Il termine “tregua fiscale” si riferisce alle disposizioni della legge di Bilancio 2023 che ti danno la possibilità di:

regolarizzare le violazioni fiscali di varia natura;

chiudere le liti fiscali pendenti;

– ottenere la rottamazione/stralcio di cartelle di pagamento emesse dalla Agenzia della Riscossione.

Definizione delle liti pendenti con l’Agenzia delle Entrate

Caratteri della lite pendente.   

Potrai chiudere, con la definizione agevolata (art.1 comma 186), le liti così strutturate:

  • l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Dogane sono la tua controparte. Sono escluse le liti nelle quali è parte unicamente l’agente della riscossione;
  • la lite pende in “ogni stato e grado di giudizio” alla data del 01/01/2023  cioè risulta aperta sia in primo grado che dinanzi alla Corte di Cassazione, perché il giudice non si è ancora pronunciato. Per le controversie in primo grado, il ricorso è stato notificato entro il 01/01/2023.

Come si chiude la lite pendente? Si deve presentare domanda con il pagamento integrale degli importi dovuti. In mancanza di importi da versare, la lite si chiude con la sola presentazione della domanda.

Posso definire le liti fiscali con il Comune?   Gli enti territoriali possono decidere, entro il 31 marzo 2023, di applicare le disposizioni sulla definizione agevolata alle controversie tributarie di cui sono parte. Occorrerà monitorare l’approvazione degli appositi regolamenti comunali.

Come e quando presentare domanda? La domanda di definizione (esente da bollo) deve essere presentata, entro il 30 giugno 2023, mediante il modulo predisposto dall’Agenzia delle Entrate, ad oggi non ancora disponibile sul sito web. Va presentata una domanda per ciascuna controversia autonoma (una per ogni atto impugnato), pagando gli importi dovuti o la prima rata (se opti per il pagamento rateale).

Quali importi sono dovuti? La lite potrà essere definita pagando l’importo indicato dalla legge. Il parametro di riferimento per il calcolo è il valore della lite, pari all’imposta accertata, al netto di sanzioni e interessi (ex art. 12 comma 2, dlgs. 546/92), in misura variabile a seconda dello stato ed esito della controversia. Ecco una veloce tabella per gli importi dovuti per chiudere la lite pendente.

DEFINIZIONE AGEVOLATA DELLE LITI PENDENTI 2023
PRESUPPOSTI IMPORTI DA PAGARE PER DEFINIRE LA LITE
Ricorso pendente in 1° grado 90% del valore della lite
Soccombenza dell’Agenzia in 1° grado 40% del valore della lite
Soccombenza dell’Agenzia in 2° grado 15% del valore della lite
Controversie pendenti in Corte di Cassazione e Agenzia soccombente in 1° e 2° grado 5% del valore della lite
Accoglimento parziale del ricorso (soccombenza ripartita tra contribuente ed Agenzia) importo del tributo al netto degli interessi e delle sanzioni, sulla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale; e in misura ridotta (40% o 15%), per la parte di atto annullata.
Controversia riguardante le sole sanzioni 15% del valore della lite in caso di soccombenza dell’Agenzia delle Entrate, nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale; il 40% negli altri casi.

 

Come pagare gli importi dovuti? Per gli importi superiori alle 1.000 euro è ammesso il pagamento in massimo 20 rate trimestrali (5 anni), con applicazione del 5% degli interessi calcolati sulle rate successive, a partire dalla data di versamento dell’ultima rata.

Verrà scomputato dall’importo dovuto quanto versato in pendenza di giudizio. Se hai versato in eccedenza, non hai diritto alla restituzione delle maggiori somme corrisposte.

Non puoi compensare quanto dovuto con eventuali crediti a disposizione.

La sospensione ed estinzione della lite. Le controversie pendenti non sono sospese in automatico.  Dovrai presentare apposita richiesta al giudice, dichiarando di volerti avvalere della definizione agevolata. La controversia viene così sospesa fino al 10 luglio 2023.

Entro il 10 luglio 2023, dovrai depositare, presso l’organo giurisdizionale, copia della domanda di definizione e del versamento di quanto dovuto. Tale deposito comporta l’estinzione del processo.

Il diniego alla definizione agevolata. L’Agenzia delle Entrate può esprimere il proprio diniego alla definizione agevolata, entro il 31/07/2024.  Sul punto sarà di supporto la consulenza di un esperto per valutare l’opportunità di impugnare il diniego dinanzi al giudice presso il quale pende la controversia.

La conciliazione agevolata delle controversie tributarie

L’accordo conciliativo e le liti con l’Agenzia delle Entrate. Le controversie pendenti alla data del 01/01/2023 davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, possono essere chiuse entro il 30 giugno 2023 con l’accordo conciliativo di cui all’art. 48 del dlgs. 546/1992 (art. 1 comma 206). Si tratta delle controversie con controparte l’Agenzia delle Entrate. Con l‘accordo otterrai la riduzione delle sanzioni dovute ad un 1/18 del minimo previsto dalla legge, oltre agli interessi ed eventuali accessori.

Le liti pendenti con il Comune. Dal tenore letterale della norma, sembrerebbe che tu non possa conciliare le controversie comunali. Infatti, la facoltà di trovare con un accordo conciliativo fuori udienza, è concessa sulle somme dovute sulla base di “atti impositivi in cui è parte l’Agenzia delle Entrate” (comma 206).

Da osservare che il comma 206 definisce l’accordo fuori udienza alternativo alla definizione agevolata delle liti pendenti “di cui ai commi da 186 a 205”. Il rinvio operato anche al comma 205 (che si riferisce alla liti comunali!) lascia un margine di speranza per la conciliazione fuori udienza anche delle liti comunali (già assoggettabili alla definizione agevolata, ai sensi del comma  206).

Come pagare. L’importo concordato potrà essere versato in un’unica soluzione oppure rateizzato in 20 rate trimestrali (5 anni), entro 20 giorni dall’accordo conciliativo. Non puoi compensare quanto dovuto con eventuali crediti a disposizione. Dovrai pagare con puntualità, altrimenti decadi dal beneficio della conciliazione e l’Agenzia delle Entrate provvederà a far iscrivere a ruolo le residue somme dovute a titolo di imposta, sanzioni e interessi, insieme alla sanzione  per omesso/ritardato versamento, di cui all’art. 13 del d.lgs. 471/1997, aumentata della metà (quindi pari al 45% in luogo del 30% di legge) sul residuo importo dovuto a titolo di imposta (comma 209).

Esclusioni

Sono escluse dalla definizione agevolata e dalla conciliazione agevolata delle controversie, le controversie concernenti:

  • i dazi;
  • l’Iva riscossa all’importazione;
  • le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.

Se sei motivato a chiudere una lite pendente con il fisco, contattaci per avere una consulenza personalizzata!

Trattamenti di medicina estetica e il regime Iva

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L’esenzione Iva per le prestazioni sanitarie: L’art. 10, n. 18), del D.P.R. n. 633 del 1972, individua le prestazioni mediche e paramediche esenti: “Sono esenti dall’imposta: (…) 18) le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze (..).”

La norma sancisce due presupposti per il diritto all’esenzione Iva:

– il presupposto oggettivo, consistente nella natura di ‘prestazioni sanitarie di diagnosi cura e riabilitazione rese alla persona’. È la finalità terapeutica che determina se una prestazione medica e paramedica debba essere esentata dall’Iva;

– il presupposto soggettivo, ravvisabile nella prestazione resa nell’esercizio delle professioni e delle arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi del Testo unico delle leggi sanitarie.

Ai fini dell’esenzione da Iva, anche le prestazioni estetiche rientrano nell’accezione di “prestazioni sanitarie”, ex articolo 10, Dpr n. 633/1972?

I trattamenti sanitari di medicina estetica

Chiariamo perché spesso sorgono i contenziosi con il fisco sulla natura esente delle prestazioni di medicina estetica.

La medicina estetica non ha esclusivo scopo curativo. Si discute sull’interpretazione di fine terapeutico.

La medicina estetica si divide in:

– prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica a contenuto meramente cosmetico;

– ed altre finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute.

 

La circolare dell’Agenzia delle Entrate

Il fisco chiarisce, con circolare, quando l’esenzione da imposta è applicabile ai trattamenti medico estetici, fornendo la sua interpretazione di scopo curativo.

Ai sensi della circolare del 28 gennaio 2005, n. 4/E: “Le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona. Si tratta di interventi tesi a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi pregressi di vario genere (es: malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, ecc.), comunque suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone”.

Sono curativi i trattamenti che, sulla base di criteri di valutazione non puramente soggettivi ma sostenuti dal giudizio professionale di personale addetto qualificato, sono finalizzati a diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute.

 

La giurisprudenza recente

La giurisprudenza nazionale si muove in sintonia con la giurisprudenza fiscale europea, riconoscendo il diritto all’esenzione, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, n. 18, alle “operazioni di chirurgia estetica” ed i “trattamenti di carattere estetico”, nei limiti in cui abbiano fine terapeutico cioè di trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma oppure di un handicap fisico congenito, hanno bisogno di un intervento di natura estetica.

Per contro, se il trattamento praticato risponde a scopi puramente cosmetici, anche se reso da personale infermieristico soggetto a vigilanza ai sensi del testo unico delle leggi sanitarie, va escluso il diritto all’esenzione (Cass., Sez. 5, 2 novembre 2005, n. 21272; Cass., Sez. 6-5, 21 giugno 2013, n. 15740; Cass., Sez. 5, 17 luglio 2019, n. 19178).

L’onere di provare la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi richiesti per godere dell’esenzione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, n. 18, (relativo a prestazioni mediche e paramediche) grava sul contribuente, con la conseguenza che, se non viene fornita tale prova, i corrispettivi accertati devono ritenersi relativi ad operazioni imponibili (Cass., Sez. 5, 10 dicembre 2008, n. 28946; Cass., Sez. 5, 19 gennaio 2011, n. Cass., Sez. 5, 6 agosto 2014, n. 17656; Cass., Sez. 6-5, 24 giugno 2015, n. 13138; Cass., Sez. 5, 12 ottobre 2018, n. 25440).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea e il concetto di scopo terapeutico del trattamento estetico

La Corte UE ha precisato che le prestazioni di servizi consistenti in operazioni di chirurgia estetica e in trattamenti di carattere estetico, sono esenti quando:

– rientrano nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche (alla persona)” con lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone;

– le circostanze che tali prestazioni siano fornite o effettuate da un appartenente al corpo medico abilitato, oppure che lo scopo di tali prestazioni sia determinato da un professionista siffatto, sono idonee a influire sulla questione se rientrino nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche (alla persona)”;

– le semplici convinzioni soggettive che sorgono nella mente della persona, che si sottopone a un intervento di carattere estetico, non sono determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia scopo terapeutico.

Pertanto, l’onere di provare la destinazione dei trattamenti di chirurgia estetica alla diagnosi, alla cura o alla guarigione di malattie o problemi di salute, ai fini dell’esenzione da IVA, grava a carico del sanitario che esegue le relative prestazioni.

Conclusioni

Il quadro interpretativo è oramai pacifico, sia per la giurisprudenza europea che nazionale (da ultimo Cassazione n.26906/2022 e CT Rimini 195/2/2022).

Così come è pacifico che sia onere del contribuente/professionista sanitario provare che i trattamenti di chirurgia estetica siano destinati alla diagnosi, alla cura o alla guarigione di malattie o problemi di salute dei pazienti, presupposto necessario per l’esenzione Iva.

Tutte le esenzioni, di regola, devono essere interpretate restrittivamente, dato che costituiscono una deroga al principio generale secondo il quale l’Iva è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata, a titolo oneroso, da un soggetto passivo.

Come fare per avere l’esenzione Iva senza problemi

Il sanitario, in qualità di contribuente, deve produrre e conservare tutta la documentazione (fatture, schede cliniche, eccetera) che consenta di stabilire la finalità terapeutica dei trattamenti rispetto alle patologie diagnosticate (meglio evitare le diagnosi generiche).

Una documentazione incongruente e contraddittoria, dalla quale, a fronte del medesimo trattamento, risulta applicata ora l’esenzione, ora l’Iva, è alla base della maggior parte dei contenziosi con l’Agenzia delle entrate.

La documentazione idonea a dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’esenzione deve, invece, dimostrare le ragioni per le quali il trattamento si possa considerare terapeutico, perché è questo il punto nodale decisivo nell’assolvimento dell’onere probatorio.

Se non viene fornita tale prova, i corrispettivi accertati devono ritenersi relativi a operazioni imponibili (Cassazione 25440/2018).

La tassazione del reddito di impresa nell’attività di pesca costiera

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La pesca professionale in Italia: negli ultimi dieci anni le imprese della pesca hanno subito un forte calo di redditività ed un aumento dei costi produzione dovuto al rincaro dei beni energetici (caro gasolio). Il tutto complicato dalla scarsa attenzione delle autorità competenti e la normativa spesso confusa.

Eppure, il legislatore tributario ha negli anni cercato di alleggerire il carico fiscale, con agevolazioni non sempre note alle imprese del settore.

I tipi di pesca professionale

La pesca professionale (o di mestiere) legata all’attività economica a scopo di lucro, è effettuata dalle imprese di pesca legalmente autorizzate e si contrappone alla pesca sportiva (o amatoriale) svolta con fine ricreativo o come attività agonistica.

La pesca professionale è suddivisa, a seconda dell’ ambiente acquatico in cui è svolta, in:

– pesca costiera,

– pesca mediterranea (o “d’altura”),

– pesca oceanica (o “oltre gli stretti”).

In modo più specifico la pesca costiera è divisibile in: pesca locale e pesca ravvicinata.

La pesca locale è esercitata nella acque marine fino ad una distanza di 6 miglia dalla costa con possibilità di estensione fino a 12 miglia nautiche.

La pesca ravvicinata è invece effettuata fino ad una distanza massima di 40 miglia dalla costa.

Una volta collocata l’impresa di pesca nel giusto riquadro si valutano le corrette agevolazioni fiscali.

L’agevolazione fiscale per la pesca costiera (L.203/2008).

L’art. 2, comma 2, della L.203/2008, prevede una agevolazione per le imprese che esercitano la pesca costiera e/o la pesca nelle acque interne e lagunari, e così dispone “Per la salvaguardia dell’occupazione della gente di mare, i benefici di cui agli articoli 4 e 6 del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, e successive modificazioni, sono estesi, a decorrere dall’anno 2009 e nel limite dell’80 per cento, alle imprese che esercitano la pesca costiera, nonché alle imprese che esercitano la pesca nelle acque interne e lagunari ”.

La norma estende l’agevolazione fiscale di cui all’art. 4 del dl. 457/1997 alle imprese esercenti attività di pesca costiera. Infatti, l’agevolazione era in precedenza riservata alle navi adibite alla navigazione internazionale (art. 4 del dlgs.457/97), poi è stata estesa dalla L.388/2000 e, da ultimo, mediante la L. 203/2008, alle imprese esercenti la pesca costiera oppure la pesca nelle acque interne e lagunari.

La detassazione del reddito e la sua vigenza

La sopracitata norma consente alle imprese di calcolare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi, nella misura del 36%, con sgravio del 64% del reddito.

Il vantaggio fiscale è ancora in vigore, come si ricava dalle istruzioni dei modelli dei redditi:

– modello dei redditi SP 2022 (pag. 46);

– modello dei redditi SP 2017 – AI 2016 (pg.39).

Come fare per ottenere il beneficio

L’impresa idonea ad ottenere l’applicazione della agevolazione fiscale è quella in grado di dimostrare di svolgere attività di pesca costiera.

La pesca costiera, a norma del Regolamento per l’esecuzione della legge 14 luglio 1965, n. 963, concernente la disciplina della pesca marittima, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639, è classificabile in:

– pesca costiera locale (esercitata entro 6 miglia dalla costa, con navi di quarta categoria

– pesca costiera ravvicinata (esercitata entro 40 miglia dalla costa, con navi di terza categoria).

Il capo del compartimento marittimo, verificata l’idoneità del mezzo allo svolgimento del tipo di attività di pesca costiera svolta (in base alla dotazione sicurezza e delle attrezzature per la pesca e agli apparati per la congelazione o la trasformazione dei prodotti di cui la nave deve essere provvista), assegna e certifica la categoria, all’atto dell’iscrizione nella relativa matricola.

L’impresa avente diritto al beneficio deve essere in possesso:

– della certificazione rilasciata dalla Capitaneria di Porto, comprovante che l’impresa esercita attività di pesca costiera ravvicinata, in quanto dotata di mezzo a ciò idoneo e, dunque, omologato e iscritto come mezzo di terza categoria;

– della apposita licenza di pesca rilasciata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che prova l’effettivo utilizzo dell’imbarcazione/i nell’attività di navigazione finalizzata all’esercizio della pesca costiera ravvicinata.

Conclusioni

Le problematiche delle attività di pesca sono numerose e derivano da vari fattori economici, sociali, ambientali e normativi non risolvibili nel breve periodo.

Il supporto di un consulente è di primaria importanza per mettere a fuoco all’interno della copiosa normativa di settore, gli incentivi e le agevolazioni di rilancio per l’attività di impresa.

Se anche la tua impresa vuole innovare la sua strategia di pianificazione fiscale, contattaci!

Lite tra privati? Guida all’arbitrato

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L’arbitro

La decisione, nella procedura di arbitrato, è demandata al “giudice arbitrale”. L’arbitro è un privato che non appartiene alla magistratura ordinaria, ma possiede requisiti di comprovata esperienza e conoscenza in materie giuridiche, economiche e tecniche, e ha svolto un corso di formazione sull’arbitrato e le sue tecniche procedurali.

Quando ricorrere all’arbitrato?

Nelle controversie civili, si può prevedere il ricorso all’arbitrato:

– in via preventiva, inserendo nel contratto un’apposita clausola scritta, detta clausola compromissoria (caso più frequente);

– post controversia, con la stipula di un accordo scritto, detto atto di compromesso arbitrale che dirime la lite (ipotesi rara, perché a controversia insorta è difficile che le parti raggiungano da sole un accordo senza l’aiuto di un terzo).

Nella clausola compromissoria le parti possono individuare l’istituzione specifica locale (“Camera Arbitrale”) che amministrerà la procedura di arbitrato, stabilendo regolamento e tariffario (arbitrato “amministrato).

E’ sempre preferibile prevedere un arbitrato amministrato, specificando la Camera Arbitrale prescelta, per evitare di ritrovarsi a dover richiedere la nomina dell’arbitro al Presidente del Tribunale locale, che incaricherà un professionista che non sarà tenuto ad attenersi al tariffario della Camera arbitrale, ma potrà applicare le tariffe professionali più elevate.

Da tenere, infine presente, che le controversie di lavoro possono essere decise da arbitri solo se ciò è previsto da leggi o contratti collettivi. Non è mai possibile ricorrere a un arbitro nelle controversie penali, né in alcuni tipi di contenzioso civile (si pensi a una causa di separazione dei coniugi).

Il lodo arbitrale

Il lodo è la decisione emessa dall’arbitro e racchiude la soluzione del caso ritenuta più appropriata.

Nell’arbitrato rituale, il lodo ha efficacia “di una sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”, sin dalla data dell’ultima sottoscrizione. Il lodo obbliga anche quelle parti che sono rimaste assenti dal procedimento, a condizione che siano state messe in condizione di parteciparvi. In mancanza di spontaneo adempimento, la parte interessata può richiedere al Tribunale che il lodo venga dichiarato esecutivo (come quando la lite attiene ad un credito in denaro non riscosso). Il Tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto.

Nell’arbitrato irrituale, invece, il lodo ha la forma, la sostanza e gli effetti di un contratto. In caso d’inadempimento, le parti devono ricorre al giudice ordinario e poi all’esecuzione.

L’arbitrato rituale, è espressamente disciplinato dal Codice di procedura civile. L’arbitrato irrituale non pare trovare un’esplicita regolamentazione legislativa.

Come capire che natura le parti hanno attribuito all’arbitrato?

Per la Corte di Cassazione è necessario risalire all’obiettivo della clausola compromissoria. Se con essa le parti enunciano il loro impegno a considerare definitivo e vincolante il lodo, in quanto espressione della loro volontà, manifestano la natura negoziale del compito deferito all’arbitro.

Una simile clausola compromissoria è indice della natura irrituale attribuita dalle parti all’arbitrato, con le derivanti conseguenze in punto di impugnativa ed esecutività del lodo.

Meglio, quindi, redigere con cura le clausole compromissorie, affidandosi alla consulenza di un legale.

Le tempistiche dell’arbitrato

Quando le parti decidono di affidare la propria controversia a un arbitro, questo potrà decidere in merito alla controversia in tempi prestabiliti (normalmente fra 60 e 120 giorni) e con costi prefissati, sempre contenuti, il più delle volte inferiori a quelli di un giudizio ordinario.

Smart working 2022

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Smart working 2022

La pandemia legata al COVID-19 ha messo in luce come, per poter lavorare, la presenza fissa in un luogo, e per un dato numero di ore, siano assunti superabili e superati.

Negli ultimi due anni ad oggi, l’esigenza di tutelare la salute pubblica e, al tempo stesso, garantire la produttività di tutti i settori, ha sancito un ampio e diffuso uso del lavoro agile.

Cosa cambia dal 1° settembre 2022? Ecco i nuovi obblighi informativi per i datori di lavoro.

La pandemia e lo smart working

Nella prima fase della pandemia lo smart working ha avuto un largo impiego, complice lo stesso Governo che, per garantire la massima tutela della salute pubblica, ne ha notevolmente agevolato l’applicazione, semplificando la procedura di accesso allo strumento e scoraggiando il lavoro in presenza se non quando strettamente necessario.

La modalità semplificata di accesso allo smart working durante la pandemia

Durante la pandemia le aziende potevano accedere in modalità semplificata, ossia inviando una semplice comunicazione di dati al Ministero del lavoro, senza necessità di redigere l’accordo tra i lavoratori e l’azienda, previsto dalla normativa sul lavoro agile (art. 19 e 21 della l. N. 81/2017).

Cosa cambia dal 1° settembre

Con il decreto del Ministero del Lavoro n. 149 dello scorso 26 agosto 2022, è stato reintrodotto l’obbligo di accordo individuale tra i lavoratori e l’azienda, da sottoscrivere a prescindere dalla presenza o meno di un accordo collettivo.

Quindi, resta la possibilità di ricorrere allo smart working. Tale modalità di lavoro potrà essere fruita ma solo a seguito della stipula dell’accordo.

L’accordo individuale dovrà essere coerente con quanto disposto dalla Legge, dai contenuti previsti dal Protocollo nazionale sul lavoro agile del 7 dicembre 2021 e, dalla contrattazione collettiva ove presente.

La nuova semplificazione

L’accordo stipulato con i lavoratori dovrà essere comunicato al Ministero del lavoro, ma non è più richiesto di allegare l’accordo.

Tale accordo dovrà comunque essere stipulato e conservato in azienda per almeno 5 anni, ed esibito in caso di controllo da parte degli enti competenti.

Come avviene la nuova comunicazione semplificata

Entro 5 giorni dall’avvio del lavoro agile, i datori inviano la comunicazione, specificando:

–  i nominativi dei lavoratori;

–  la data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile.

La comunicazione dovrà essere inviata via telematica, tramite i servizi online del Ministero del Lavoro.

Il facsimile di comunicazione è reperibile sul sito del Ministero e si potrà compilarlo dopo aver eseguito l’accesso tramite autenticazione Spid.

Il Ministero prevede la possibilità di inviare una singola comunicazione ovvero, in alternativa, una comunicazione massiva.

Il termine per inviare la comunicazione è di 5 giorni dall’avvio del lavoro agile. Via eccezionale, solo in questa prima fase della nuova modalità semplificata, la comunicazione potrà essere inviata entro il 1° novembre 2022.

Gli accordi antecedenti al 1° settembre 2022

Se l’azienda e lavoratore hanno precedentemente concordato il lavoro agile e l’azienda ha già provveduto alla comunicazione telematica ordinaria entro il 31 agosto 2022, non sarà necessario effettuare alcuna nuova comunicazione, a meno che non si tratti di un eventuale accordo sottoscritto a termine che si intende prorogare dal 1° settembre.

Le sanzioni

Se il lavoro agile è attivato con violazione delle modalità previste o non è comunicato fuori termini, la sanzione è dai 100 ai 500€.

Smart working e lavoratori fragili

Il Ministro del Lavoro Orlando ha proposto un emendamento al decreto Aiuti bis (D. L. N. 115/2022),  per la proroga fino al 31 dicembre 2022 del diritto al lavoro agile, senza obbligo di accordo individuale, per i lavoratori fragili e per i genitori di figli under 14.

L’emendamento sarà presentato in sede di conversione del Decreto Aiuti bis in Senato, la cui data di conversione è prevista entro l’8 ottobre 2022.

Il modulo di comunicazione semplificata

Con il decreto n. 149 del 22 agosto 2022, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso disponibile il modulo di comunicazione all’interno del portale dei servizi on-line.

Di seguito, mettiamo a disposizione dei lettori il fac simile di comunicazione.

Per ogni dubbio e approfondimento, non esitare a contattare i nostri consulenti!

La certificazione ambientale EMAS

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La certificazione ambientale EMAS

Il sistema di gestione ambientale EMAS riduce l’impatto ambientale delle prestazioni aziendali tramite un utilizzo più efficiente delle risorse e consente all’azienda di conseguire una serie di ulteriori vantaggi.

Che cos’è

EMAS è l’acronimo di Eco-Management and Audit Scheme.

Si tratta di un sistema di gestione ambientale introdotto dal Regolamento europeo n. 1221/2009.

Comprensivo di buone prassi e indicatori, è uno strumento pensato per aiutare le aziende, che svolgono attività aventi un impatto ambientale, a concentrarsi meglio sugli aspetti ambientali più importanti per un dato settore e a gestirne l’impatto.

L’obiettivo finale dell’UE è migliorare, globalmente, le prestazioni ambientali.

è possibile aderire a questo sistema, mediante la registrazione.

I vantaggi per l’azienda

Ecco alcuni vantaggi derivanti dalla certificazione:

1.     vantaggi nelle gare di appalto. Il soggetto che indice la gara (“stazione appaltante”) può richiedere, tra i requisiti di selezione, la certificazione Emas;

2.     ridurre al minimo i rischi ambientali e il rischio di multe per violazione della legislazione ambientale;

3.    agevolazioni economiche e finanziarie (contributi a fondo perduto, riduzioni dei costi delle fideiussioni), per investimenti in materia di sostenibilità ambientale, previsti per le PMI che hanno conseguito la registrazione;

4.     maggiore credibilità aziendale rispetto ad altri operatori economici, grazie all’utilizzazione del logo EMAS.

Chi può registrarsi?

Qualsiasi soggetto (sia aziende sia enti pubblici) che vuole valutare, migliorare e comunicare al pubblico le sue prestazioni ambientali.

I requisiti per registrarsi.

I requisiti sono indicati all’interno del Regolamento Ema e, in particolare, nei suoi allegati finali.

In sintesi, ecco i preparativi preliminari alla registrazione:

1.     analisi ambientale, da condurre secondo i parametri indicati nell’allegato 1 del Regolamento Ema;

2.     sistema di gestione ambientale (SGA), elaborato sulla base degli esiti dell’analisi ambientale, e secondo i parametri dell’allegato 2 del Regolamento. Il SGA racchiude le procedure idonee a garantire che il processo produttivo e la qualità del prodotto finale siano rispettosi dell’ambiente;

3.     audit ambientale interno. Consiste in un’analisi di dati fattuali per valutare le prestazioni ambientali. L’audit riguarda tutte le attività aziendali e si svolge a intervalli non superiori a tre/quattro anni, in base al tipo di attività e, comunque, secondo le modalità di cui all’Allegato 3 del Regolamento Emas;

4.     dichiarazione ambientale resa ad esito del periodico auditing, secondo gli indicatori di cui all’allegato 4. è finalizzata a informare il pubblico e le altre parti interessate del rispetto degli obblighi normativi applicabili in materia di ambiente e delle rispettive prestazioni ambientali.

5.     convalida della dichiarazione ambientale da parte di un Verificatore accreditato.

La domanda di registrazione

Le aziende, solo dopo aver adempiuto, ai preparativi in elenco, possono presentare domanda di registrazione.

La domanda comprende:

– la dichiarazione ambientale, convalidata da un Verificatore certificato;

– la dichiarazione di convalida del Verificatore;

– il modulo compilato, presente nell’allegato 6 del Regolamento, contenente informazioni sull’azienda, la dichiarazione ambientale e il Verificatore;

– la prova del pagamento dei diritti applicabili.

L’iter di registrazione

In Italia provvede alla registrazione il Comitato interministeriale per l’Ecolabel e l’Ecoaudit, che si avvale del supporto tecnico dell’ISPRA e delle ARPA/APPA competenti per territorio.

Prima della registrazione, è, infatti, prevista un’istruttoria tecnico-amministrativa. Come si svolge?

La domanda di registrazione viene inviata sul portale di ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e ricerca ambientale). I tecnici di ISPRA sono chiamati ad analizzare la documentazione richiesta e a trasmetterla all’ARPA/APPA territorialmente competente che verifica il rispetto della pertinente legislazione ambientale.

Una volta terminata l’istruttoria tecnica, l’ISPRA invia la relazione finale al Comitato Ecolabel Ecoaudit, formato da esperti nominati dai Ministeri coinvolti.

La registrazione è concessa dal Comitato Ecolabel Ecoaudit.

Una volta registrato, il richiedente ottiene il proprio numero di registrazione e può utilizzare il logo EMAS.

Il logo contiene sempre il numero di registrazione dell’organizzazione

Le tempistiche di registrazione

Non è possibile quantificare la tempistica per il rilascio delle certificazioni. Nel caso della prima registrazione, le ARPA/APPA competenti dispongono di 90 giorni e il Comitato Ecolabel Ecoaudit si riunisce periodicamente, in genere ogni 30-40 giorni, per esaminare le richieste e le relative istruttorie.

Per questo motivo ISPRA consiglia alle organizzazioni di “considerare i tempi tecnici sopra descritti nel pianificare la propria comunicazione verso le parti interessate, ad esempio nel caso di campagne pubblicitarie o di partecipazioni a gare che richiedono la registrazione EMAS”.

La registrazione sul portale ISPRA

La richiesta di registrazione, e l’inoltro della relativa documentazione, si effettuano esclusivamente on-line. All’indirizzo https://certificazioni.isprambiente.it/front-end-emas/login.hp è presente una schermata che, dopo la registrazione al sito, consentirà di inserire tutti i propri dati e ottenere le credenziali personali.

Di fondamentale importanza, prima di procedere con la registrazione, è il download e l’attenta lettura del manuale, realizzato per guidare passo passo gli utenti all’interno delle varie schermate, delle opzioni e degli adempimenti da rispettare per poter inoltrare correttamente la documentazione e presentare le istanze.

Per quanto tempo è valida la registrazione?

La registrazione EMAS è valida per tre anni, dopo i quali andrà rinnovata.
L’iter del rinnovo è il medesimo della prima registrazione, inclusa la redazione di una nuova Dichiarazione Ambientale.

Nel caso del rinnovo, salvo casi particolari, non è previsto il coinvolgimento delle ARPA/APPA. Quindi le tempistiche tecniche per il rinnovo sono dimezzate.

Invece, l’aggiornamento dei dati inseriti nella Dichiarazione Ambientale ha cadenza annuale.

Costo della registrazione

La quota annuale di registrazione è pari a:

– €50,00 per le piccole imprese

– €500,00 per le medie imprese

– €1. 500,00 per le grandi imprese

è possibile versare in unica soluzione la quota relativa ai tre anni di validità della Dichiarazione Ambientale.

Il pagamento delle quote annuali di registrazione EMAS deve essere eseguito tramite bollettino postale o bonifico bancario intestato alla Tesoreria Provinciale dello Stato pertinente per territorio.

Cartella esattoriale notificata via pec nulla

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Cartella esattoriale notificata via pec nulla

Quando non paghi le imposte, multe, sanzioni amministrative, contributi Inps, l’Agenzia delle entrate e riscossione, può, per legge, notificarti le cartelle esattoriali, gli avvisi e gli altri atti, anche tramite posta elettronica certificata (pec).

La pec, per gli uffici pubblici è un mezzo di notifica più tecnologico e rapido rispetto l’invio tramite ufficio postale. Ma l’Agente della riscossione deve comunque rispettare date modalità di invio, altrimenti la cartella via pec può dirsi nulla e potrai non pagarla. Come?

Se hai appena ricevuto una pec con una cartella esattoriale o altro atto, prima di concentrarti sul contenuto, presta attenzione al mittente. Questo particolare può rendere nulla la notifica della tua cartella.

Come puoi verificare l’indirizzo pec dell’Agenzia delle entrate riscossione?

Dovrai accedere al registro pubblico degli indirizzi pec.  Esistono diversi registri. Si tratta di elenchi che contengono gli indirizzi pec (“domicili digitali”) di professionisti, enti e imprese, cioè di coloro che per legge sono chiamati ad eseguire e/o ricevere notifiche.

Per gli enti pubblici il registro di riferimento è l’IPA.

Gli uffici pubblici rientrano tra coloro che possono notificare per pec (D. P. R. 60/1973).

Notifica delle cartelle esattoriali via pec. Le modalità

Questo tipo di notifica, fin dalla sua introduzione, ha sollevato subito perplessità.

Il punto è che la legge (art. 60 DPR. 600/73) ha esplicitato solo le caratteristiche che, per una valida notifica, deve avere l’indirizzo pec del destinatario, stabilendo che:

– per i soggetti obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nei pubblici registri (INIPEC) (ossia le società, imprese individuali e professionisti), l’ente dovrà inviare la pec all’indirizzo del destinatario risultante da tali registri;

– per i soggetti diversi la notificazione può essere eseguita all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui sono intestatari.

L’indirizzo pec del mittente? La legge non ha specificato se deve essere registrato nei pubblici elenchi!

Da qui l’abitudine, di ogni ufficio territoriale, di inviare la pec tramite l’indirizzo, ad esempio, per gli uffici della Regione Lazio,  “notifica. Acc. Lazio@pec. Agenziariscossione. Gov. It”, che non risulta nel registro IPA. Similmente accade nelle altre Regioni (notifica. Acc. Campania@pec. Agenziariscossione. Gov. It; notifica. Acc. Sardegna@pec. Agenziariscossione. Gov. It e cosi via)

L’indirizzo ufficiale per eseguire le notifiche, presente in IPA è protocollo@pec. Agenziariscossione.

Quindi, la notifica, eseguita dall’ufficio in tal modo, è valida?

Su tutto il territorio nazionale, i contribuenti hanno segnalato questa prassi alle competenti Commissioni Tributarie, che hanno però espresso pareri divergenti, a causa dell’incertezza della legge.

Non a caso, l’Agente della riscossione si è a lungo difeso facendo leva sul DPR n. 602/73 (articolo 26) per il quale è richiesto espressamente che la sola pec del destinatario deve risultare nei registri pubblici, senza nulla chiarire per la pec del mittente.

Perché questa abitudine dell’ufficio è contestabile? I contribuenti, ricevendo una pec, con richiesta di pagamento, da un indirizzo che non è presente nel registro internet, e come tale non è associato a quell’ufficio, sono legittimamente indotti essere a ritenere che si tratta di una mail truffa (phishing). Naturale, dunque, non aprirla e cancellarla.

Così il destinatario rischia di essere privato del diritto di contestare la cartella stessa entro i termini.

Cosa ne pensa la giurisprudenza più recente?

Le notifiche Pec dell’agente di Riscossore devono essere inviate da indirizzi di posta elettronica certificati estratti dai pubblici registri.

In caso contrario, la cartella è nulla (non ha effetti giuridici) e la notifica è inesistente.

A dirlo, non solo la suprema Corte di legittimità (Cass. N. 17346/2019 e n. 3093/2020) ma anche le Commissioni tributarie coinvolte nel merito dei ricorsi dei contribuenti. In particolare, la recente sentenza della CTR Lazio, n. 915 del 28 febbraio 2022 esclude che, allo stato attuale, il silenzio della legge, possa essere interpretato a vantaggio dell’Agenzia delle entrate riscossione.

L’interpretazione giurisprudenziale colma la lacuna normativa creata dal DPR 600/73, in modo coerente e logico, in linea con la principale normativa di riferimento delle Pubbliche Amministrazioni: il Codice dell’Amministrazione Digitale, “CAD” (D. Lgs. N. 82/2005).

Il CAD chiarisce che le Pubbliche Amministrazioni, (quindi anche l’Agenzia delle entrate riscossione), per le notifiche, devono utilizzare gli indirizzi PEC presenti nei pubblici registri.

In sintesi:

–  non è sufficiente che siano estratti, da tali registri, solo gli indirizzi del soggetto destinatario, ma devono essere estratti, sempre da tali indici, anche gli indirizzi dei soggetti mittenti la PEC.

–  l’assenza dell’indirizzo pec nei registri pubblici è contestabile e, secondo la CTP di Roma (sentenza n. 2799/2020), l’impugnazione della cartella non è una condotta che sana tale vizio.

Ecco perché è utile, prima di pagare, accertare se la PEC mittente appartiene all’elenco degli ammissibili!

Cosa fare?

Chi riceve un’e-mail con una richiesta di pagamento da parte di Agenzia Entrate o Agenzia Entrate Riscossione deve:

– collegarsi al sito istituzionale dell’Ente da cui proviene la missiva e verificare se l’indirizzo Pec è quello effettivo;

– verificare che l’indirizzo sia contenuto nei registri pubblici degli indirizzi Pec (esempio IPA).

Se l’indirizzo da cui proviene la cartella esattoriale non è nell’elenco dell’IPA, è possibile impugnare l’atto.

Come impugnare la cartella esattoriale

Per contestare la cartella esattoriale è previsto il termine di 60 giorni dal ricevimento della PEC. Lo strumento a disposizione è il ricorso da presentare al giudice competente:

– Commissione Tributaria Provinciale, per cartelle riferite a mancato pagamento di imposte (Irpef, Imu, Iva, Tari, bollo auto, ecc. );

– Giudice di Pace se la cartella è riferita a multe stradali o a sanzioni amministrative;

– Tribunale ordinario – sezione lavoro, se la cartella è riferita all’omesso versamento di contributi Inps o Inail.

Per il buon esito della procedura è consigliabile rivolgersi a un commercialista (quando la competenza è della Commissione tributaria) oppure ad un avvocato.

Ad ogni modo, la consulenza di un commercialista è necessaria per valutare ogni altra strategia alternativa da intraprendere, tenuto conto della tipologia ed entità della cartella e, soprattutto, alla luce della complessiva posizione debitoria del cliente.

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