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Cartelle esattoriali prescritte

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Cartelle esattoriali prescritte

la rilevanza del sollecito di pagamento.

Premessa.

Preliminarmente, occorre osservare che per interrompere la prescrizione è necessario un atto con cui il creditore indichi precisamente il credito a cui fa riferimento, l’importo e la relativa causale (ossia, la fonte da cui proviene detto credito). Ciò al fine di consentire al debitore di individuare immediatamente l’origine del proprio obbligo e verificare la fondatezza della pretesa.

Che valore ha il sollecito di pagamento per una cartella

Che cosa accade quando a inviare la diffida è il fisco? Di recente la Suprema Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 25226/2023, ha risposto a una interessante domanda: che valore ha il sollecito di pagamento per una cartella in prescrizione? Può cioè interrompere tale termine di prescrizione e farlo decorrere nuovamente da capo?

La questione deve essere prudentemente analizzata tenendo preliminarmente conto di alcune questioni fondamentali: quando si prescrive una cartella esattoriale? Come opera la prescrizione e come farla valere? Dopodiché: come deve essere il sollecito di pagamento per interrompere la prescrizione di una cartella di pagamento?

Quando si prescrive una cartella esattoriale?

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, bisogna far riferimento ai termini previsti per le singole imposte o sanzioni. In particolare:

  • si prescrivono in 10 anni: le cartelle esattoriali per le imposte dovute allo Stato come Irpef, Iva, Ires, imposta di bollo, imposta di registro, canone Rai, contributi dovuti alle Camere di Commercio, imposta sulle donazioni o sulle successioni;
  • si prescrivono in 5 anni: le cartelle esattoriali per imposte dovute alle Regioni, Province e Comuni come l’Imu, la Tari, la Tosap; le multe stradali e tutte le sanzioni amministrative; i contributi previdenziali dovuti all’Inps e i contributi assistenziali dovuti all’Inail;
  • si prescrivono in 3 anni: i bolli auto arretrati.

Da quando decorre la prescrizione?

Il termine di prescrizione di una cartella esattoriale inizia a decorrere dal giorno successivo al suo ricevimento, ossia da quando il portalettere consegna il plico al contribuente. Se questi non è a casa, il termine decorre dal ritiro alle poste. Ma se l’atto non viene ritirato, il termine decorre dopo 10 giorni dall’invio della seconda raccomandata informativa. La prescrizione si forma in automatico, per il semplice decorso dei termini che abbiamo indicato sopra. Non è quindi necessario avviare alcuna attività ulteriore.

Come liberarsi di una cartella prescritta?

Una volta intervenuta la prescrizione, la cartella non deve essere più pagata. Tuttavia, il contribuente non può far “cancellare” la cartella precedentemente notificatagli in quanto i termini per far ricorso sono ormai decorsi. Egli quindi deve impugnare l’eventuale successivo atto che l’Esattore gli invierà deducendo, in quella sede, l’intervenuta prescrizione.

Sicché, se l’Agente per la riscossione dovesse notificare un sollecito di pagamento o un preavviso di ipoteca o di fermo, oppure dovesse avviare un pignoramento, il contribuente può proporre ricorso e ottenerne l’annullamento per intervenuta prescrizione. Così si libererà da ogni pretesa di pagamento nei suoi confronti.

Che cosa interrompe la prescrizione di una cartella esattoriale?

In generale, il sollecito di pagamento inviato tramite PEC o raccomandata a.r. può interrompere la prescrizione se contiene (come abbiamo detto ad inizio articolo) tutti gli estremi del credito fatto valere. Se però il creditore è l’Agente per la Riscossione Esattoriale (come Agenzia Entrate Riscossione), il sollecito di pagamento si chiama intimazione di pagamento. In sostanza, l’intimazione di pagamento è un atto che ripropone fedelmente il contenuto della cartella esattoriale e che rinnova l’invito a pagare avvertendo la parte che il pagamento di quanto dovuto entro 5 giorni consente di evitare conseguenze peggiori come il pignoramento.

Quando il sollecito non interrompe la prescrizione?

Secondo la Cassazione, non può un semplice sollecito di pagamento interrompere la prescrizione di una cartella esattoriale. È necessario che tale sollecito rivesta la forma della “intimazione di pagamento”. Questo perché solo gli atti tipici del procedimento per l’accertamento della violazione hanno la funzione di far valere il diritto dell’amministrazione alla riscossione. Invece, le lettere raccomandate contenenti semplici solleciti di pagamento non interrompono la prescrizione.

La Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente avverso la cartella esattoriale di pagamento con la quale l’amministrazione intimava il pagamento di oltre 26 mila euro a titolo di sanzione, per avere indebitamente percepito aiuti comunitari, notificata dopo oltre cinque anni dalla violazione.

Il principio di diritto.

In tema di sanzioni amministrative, ogni atto tipico del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell’amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria ed è quindi idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’articolo 2943 c.c. e ad interrompere la prescrizione ma ciò sempre se e dal momento in cui l’atto sia stato notificato o, comunque, portato a conoscenza del soggetto sanzionato a mezzo ruolo, tale non potendo avere tale effetto le lettere raccomandate contenenti meri solleciti di pagamento.

La responsabilità del professionista

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La responsabilità del professionista.

Quando il professionista è responsabile?

Quando il professionista è responsabile?

Spesso l’utente comune, ai fini della risoluzione di particolari problemi che implicano determinate e specifiche competenze tecniche, necessita di rivolgersi ad un soggetto specificamente abilitato a risolvere determinate problematiche e che definiamo comunemente ‘professionista’.

Ma la domanda che ci si pone nel presente elaborato è la seguente: quando il professionista può dirsi responsabile? In quali specifiche ipotesi? Che cosa comporta questa responsabilità.

La responsabilità contrattuale del professionista.

Calandosi più nello specifico nel tema degli obblighi derivanti al professionista dall’esecuzione del contratto, la vastità della materia impone una trattazione per brevi cenni generali. 

Nel nostro ordinamento la responsabilità del professionista intellettuale è considerata come tipicamente a carattere  contrattuale: il professionista è tenuto nei confronti del proprio cliente all’esatto adempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta, così come specificato dall’art. 2230 del Codice Civile.

Il professionista, più precisamente, è tenuto nei confronti del cliente all’esatto adempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta, secondo i principi di diligenza e correttezza di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. secondo cui nelle obbligazioni “inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Che cosa si intende con l’espressione ‘diligenza qualificata’.

Con riferimento alla peculiarità dell’attività svolta dal professionista, l’art. 1176 c.c., dettato in tema di diligenza del debitore nell’adempimento delle obbligazioni, prevede al comma 2, una deroga al principio generale della “diligenza del buon padre di famiglia” di cui al comma 1, richiedendo al professionista una diligenza cosiddetta qualificata, in quanto da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata.

La giurisprudenza, peraltro, ammette che l’obbligo di diligenza venga valutato diversamente a seconda delle varie professioni e, in ciascun ambito, in relazione alla complessità del caso concreto prospettato. Per determinare il contenuto dell’obbligazione assunta dal professionista, la giurisprudenza ha fatto riferimento tradizionalmente alla distinzione tra obbligazioni di mezzi (nelle quali il debitore mette a disposizione del creditore le proprie prestazioni senza essere vincolato al raggiungimento di un determinato risultato) e quelle di risultato(laddove, per contro, il debitore si obbliga al raggiungimento di un risultato, il cui mancato conseguimento determinerà l’inadempimento alla obbligazione assunta).

Le obbligazioni del ‘professionista’.

Secondo tale classificazione, le obbligazioni del professionista rientrerebbero nella categoria delle obbligazioni di mezzi, in quanto il debitore sarebbe tenuto a porre in essere la propria attività in vista di un obiettivo ma non a garantire che da ciò derivi il conseguimento dell’esito auspicato, seppur prefigurato come possibile al momento dell’assunzione dell’incarico.

La discriminante per la responsabilità è il mancato rispetto delle regole tecniche

Si è giunti ad attribuire importanza, ai fini della configurabilità di una responsabilità in capo al professionista, all’osservanza da parte dello stesso delle regole tecniche in uso nello svolgimento dell’attività commissionatagli dal cliente.

Fermo restando, quindi, il principio per cui il professionista non è obbligato al conseguimento del risultato, lo stesso sarà tenuto in ogni caso, nell’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti del cliente, ad osservare tutte le regole tecniche che mirano al conseguimento dello stesso. Il mancato o inesatto risultato non potrà quindi determinare di per sé la responsabilità contrattuale del professionista, ma rileverà quale indicatore di una possibile condotta “negligente” (per omissione di comportamenti cui il professionista è tenuto in riferimento alla capacità media della categoria di appartenenza), o “imperita” (per violazione di regole tecniche che generalmente vengono seguite in un certo settore), o “imprudente” (per difetto di misure di cautela idonee a prevenire l’evento dannoso e temerarietà sperimentale del professionista), ovvero di un comportamento colposo dello professionista.

In caso di prestazione complessa, responsabilità limitata ai casi di colpa grave o dolo.

In tale contesto assume rilevanza l’art. 2236 c.c., in base al quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. Tale disposizione normativa – che è certamente norma di favore, assottigliando il campo di operatività della responsabilità professionale – assume una funzione residuale. In tema di responsabilità del professionista la regola generale resta quella della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. – commisurata alla natura dell’attività prestata -, la cui inosservanza determina la responsabilità del professionista anche per colpa lieve, e tuttavia in presenza di una prestazione di particolare difficoltà tecnica la responsabilità si attenua ai soli casi di dolo o colpa grave.

Conclusioni

È d’obbligo rilevare che non vi è alcuna intenzione di dare un contributo risolutivo e tecnicamente spendibile nelle sedi giudiziarie. Si tratta, infatti, di un mero accenno a questioni, come quella poc’anzi trattata, che si reputano, fra diverse e molteplici indagabili, ‘giuridicamente’ rilevanti.

Per tali ragioni, ci si rivolga al professionista per valutare la propria posizione debitoria e prospettare eventuali azioni o comportamenti da porre in essere a tutela della propria persona e della propria sfera giuridico-patrimoniale che potrebbe già essere gravemente compromessa.

Alla prossima!

Cagliari, 27 agosto 2023

Petizione per la tutela dei soggetti in condizioni di inesigibilità rispetto al debito esattoriale

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Premesso

– che in tempi realisticamente difficili di crisi economica, le famiglie dei soggetti che versano in condizioni di inesigibilità rispetto al debito esattoriale stanno vivendo seri momenti di disagio ed incertezza per il futuro;

– che il comma 253 della Legge di bilancio 2023 ha modificato i termini ed i casi (art. 1, comma 684 – bis, della Legge n. 190/2014) nei quali l’Agente della riscossione può comunicare all’Ente creditore l’inesigibilità del debito esattoriale affinché lo stesso proceda al suo annullamento;

– che l’Agente della Riscossione può comunicare, in qualsiasi momento, l’inesigibilità, dopo aver verificato che il debitore si trovi in almeno una delle seguenti ipotesi:

a) “assenza di beni del debitore, risultante alla data dell’accesso al sistema informativo del Ministero dell’economia e delle finanze in qualunque momento effettuato dall’agente della riscossione” (art. 1, comma 253, lettera b);

b) “rapporto percentuale tra il valore dei beni del debitore risultanti alla data dell’accesso di cui alla lettera b) e l’importo complessivo del credito per cui si procede inferiore al 5 per cento” (art. 1, comma 253, lettera f);

– che Il discarico, ex art. 1 comma 253 della Legge di bilancio 2023, è, dunque, un diritto imprescindibile la cui ratio legis ed il cui fondamento presidiano, senz’altro, anche il diritto alla vita del contribuente, quale diritto fondamentale costituzionalmente garantito e tutelato.

– che la situazione in esame è gravemente compromessa in quanto il debito esattoriale è insostenibile per i contribuenti in quanto rientra nelle ipotesi di legge appena descritte;

– che i contribuenti versano in situazione di oggettiva difficoltà economica e sono impossibilitati a definire la propria posizione debitoria esattoriale;

– che i sottoscrittori versano in una situazione di oggettiva insolvibilità come emerge dalle insufficienti risorse patrimoniali e reddituali di cui gli stessi dispongono;

Tutto ciò premesso in fatto ed in diritto, sulla base dei recenti interventi normativi dettati nella materia che forma oggetto della presente petizione:

Chiediamo

che la S.V. Ecc.ma VOGLIA far sì che proceda alla presentazione di una proposta di disegno di legge ex art. 1 comma 253 l. 197/2022, che imponga ope legis all’Agente della Riscossione di comunicare l’inesigibilità delle somme all’Ente creditore di competenza al fine di ottenere, senza alcuna discrezionalità e di diritto, il definitivo discarico per inesigibilità di ciascun debito esattoriale.

Ai sensi della legge 675/96 (cosiddetta “legge sulla privacy”) e del Regolamento Europeo GDPR n. 2016/679 i sottoscritti danno il loro consenso al trattamento dei dati sotto riportati.

Resta inteso che in qualsiasi momento potranno richiedere la variazione, l’integrazione ed anche l’eventuale cancellazione contattando il P.D.C. all’indirizzo petizioneonline@commercialista.it

Per firmare la petizione clicca qui

Informativa ai sensi dell’art. 13 del Decreto Legislativo 196/2003 Il trattamento dei Suoi dati personali è finalizzato unicamente all’esame della presente petizione.

Le Società c.d. benefit: l’evoluzione delle forme societarie ed un nuovo impatto sulla realtà

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Di che cosa si tratta?

È bene soffermarsi preliminarmente sugli aspetti definitori del fenomeno in questa sede indagato.

Le Società Benefit (SB), oggetto di studio del presente contributo, rappresentano un’evoluzione del concetto stesso di azienda: integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera.

Il dettato normativo in materia di società benefit.

La disciplina delle società benefit in Italia è contenuta nella Legge di Stabilità 2016 (Legge n. 208/2015). In dettaglio è il comma 376, dell’art. 1 della Legge n. 208/2015 a stabilire che: “Le disposizioni previste dai commi dal presente al comma 382 hanno lo scopo di promuovere la costituzione e favorire la diffusione di società, di seguito denominate «società benefit», che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse” (art. 1 co. 376 legge n. 208/15).

Che cosa differenzia le società Benefit dalle società ‘tradizionali?

Le società tradizionali perseguono l’unico scopo di distribuire dividendi agli azionisti, mentre le società c.d. benefit sono espressione di un paradigma più evoluto, innovativo e peculiare nel panorama societario: esse integrano nel proprio oggetto sociale, oltre al fine di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera.

La principale peculiarità delle società benefit consiste nell’obbligo di bilanciamento degli interessi degli azionisti (al raggiungimento del profitto), con un interesse pubblico e sociale.

Le società benefit, perseguono, nell’esercizio dell’attività d’impresa, oltre allo scopo di lucro anche una o più finalità di beneficio comune, che possono avere un impatto responsabile, sostenibile e trasparente sulle persone, sull’ambiente, sulla società.

Questo tipo di società, nasce negli Stati Uniti, ma ormai da qualche anno questa normativa è stata recepita anche dal nostro legislatore nazionale, ed è in vigore dal 2016. Ad oggi questa disciplina riguarda per lo più imprese di grandi dimensioni che vogliono affacciarsi anche al sociale, destinando parte dell’attività al soddisfacimento degli interessi della comunità che le ospita, attraverso il finanziamento di attività di interesse pubblico.

Quali sono gli obiettivi che persegue una società Benefit?

Una Società Benefit è uno strumento che il nostro ordinamento pone a disposizione al fine di creare una consistente presupposto per l’allineamento della missione nel lungo termine e la creazione di valore condiviso.

Essa consente di creare una maggiore flessibilità nel valutare i potenziali di vendita e mantenere la missione anche in caso di passaggi generazionali o quotazione in borsa. Non si tratta di Imprese Sociali o di una evoluzione del non profit, ma di una trasformazione positiva dei modelli dominanti di impresa a scopo di lucro, per renderli più adeguati e adatti alle sfide e alle opportunità nella continua evoluzione dei mercati del XXI secolo.

Il perseguimento del ‘fine comune’.

Le Società Benefit si propongono di perseguire, nell’esercizio dell’attività d’impresa, oltre allo scopo di lucro anche una o più finalità di beneficio comune. Per ‘beneficio comune’ si intende il perseguimento di uno o più effetti positivi (perseguibili anche riducendo gli effetti negativi) su persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi. Le Società Benefit perseguono tali finalità di beneficio comune in modo responsabile, sostenibile e trasparente e la loro gestione richiede ai manager il bilanciamento tra l’interesse dei soci e l’indefettibile interesse della collettività che mira a salvaguardare prioritariamente.

Conclusioni

È d’obbligo rilevare che non vi è alcuna intenzione di dare un contributo risolutivo e tecnicamente spendibile nelle sedi giudiziarie. Si tratta, infatti, di un mero accenno a questioni, come quella poc’anzi trattata, che si reputano, fra diverse e molteplici indagabili, ‘giuridicamente’ rilevanti.

Per tali ragioni, ci si rivolga al professionista per valutare la propria posizione debitoria e prospettare eventuali azioni o comportamenti da porre in essere a tutela della propria persona e della propria sfera giuridico-patrimoniale che potrebbe già essere gravemente compromessa.

Alla prossima!

Avv. PhD Roberto Pusceddu

Cagliari, 18 agosto 2023

La c.d. cancellazione del debito: presupposti e profili pratico-operativi

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Premessa

Il presente elaborato si propone umilmente di avvicinare la figura del ‘giurista’ alla comunità nel cercare di affrontare questioni di fatto e di diritto che interessano l’intera pluralità di individui nella quotidianità della vita.

Spesso, infatti, si delinea una marcata separazione tra lo specialista tecnico del diritto e coloro la cui vita è totalmente – o quasi – dominata dalla regola giuridica che comunemente e tecnicamente chiamiamo ‘norma’.
Si ritiene indispensabile colmare questo gap conoscitivo inevitabile e cercare di inserire la figura del ‘tecnico avvocato’ o, più in generale, ‘giurista’ nel quotidiano vivere anche e soprattutto cercando un confronto ed una dialettica costruttiva con chi non possiede un background giuridico ma necessità inevitabilmente di un supporto quotidiano nel gestire i rapporti intersoggettivi tra privati e con enti pubblici.

L’ordine delle questioni giuridiche trattate è volutamente e consapevolmente casuale senza
l’ambizione di una trattazione sistematica, soffermandoci su questioni giuridiche tra loro totalmente differenti e appartenenti ad una varietà di ambiti: dal diritto civile al diritto penale, passando attraverso il diritto costituzionale, il diritto amministrativo ed il diritto ambientale.

L’elaborato assume, quindi, una prospettiva trasversale, indagando e soffermandosi su questioni che attengono e sarebbero classificabili negli ambiti del diritto più distanti e distinti tra loro ma che trovano un minimo comune denominatore nel fatto che il giurista si trova e si troverà spesso ad affrontare casi e situazioni differenti e tra loro distanti nell’ambito ma non nell’approccio che sarà sempre e comunque improntato su due direzioni: una direzione squisitamente ‘teorica’ ed una direzione ‘indispensabilmente’ pratico-operativa.
La realtà di tutti i giorni è governata dalla norma ma è il ‘giurista’, genericamente inteso, che deve svolgere una specifica e vera e propria missione: portare la norma a conoscenza della pluralità di individui che fanno parte della comunità e far conoscere gli strumenti di tutela dei diritti di cui ciascun individuo è – talvolta inconsapevolmente – titolare e dei doveri che sullo stesso incombono.

Se è, infatti, vero che la condotta di ciascun individuo deve conformarsi alla ‘norma’ e alla regola che il nostro ordinamento giuridico impone, occorre che tale norma sia recepibile, comprensibile e, quindi, applicabile in concreto con una evidente necessità che abbia tre caratteri fondamentali ed essenziali: sia una norma valida, giusta ma, soprattutto, efficace.
Quando il diritto del singolo o della collettività viene leso – momento che definiamo patologico e che si contrappone al momento fisiologico, trattandosi di una sua talvolta inevitabile degenerazione – vi è la necessità che l’individuo conosca quali strumenti di tutela debbano essere azionati per ottenere un ristoro ovvero un risarcimento ovvero, più genericamente, una tutela dell’integrità della propria sfera giuridico-patrimoniale che è stata – o si assume essere stata – violata.

È, quindi, necessario utilizzare un linguaggio più accessibile alla pluralità di individui che, pur mantenendo il suo indispensabile tecnicismo, si faccia e si renda alla portata di chiunque. Questo è l’auspicio: il diritto viva nella realtà, viva tra gli uomini e da questi sia conosciuto perché la conoscenza della norma è presupposto indispensabile per poter agevolmente affrontare quotidianamente la vita nella sua problematicità e nelle questioni che di volta in volta ciascuno è chiamato inevitabilmente ad affrontare.

La c.d. cancellazione del debito

Nel merito, ci si soffermerà nel presente contributo su un tema che potenzialmente potrebbe riguardare una pluralità di soggetti che versino in situazioni di c.d. inesigibilità del complessivo debito esattoriale risultante dall’estratto di ruolo, ai sensi dell’art. 1 comma 253 della Legge di bilancio 2023 (L. 197/2022).
In particolare, il comma 253 della Legge di bilancio 2023 ha modificato i termini ed i casi (art. 1, comma 684 – bis, della Legge n. 190/2014) nei quali l’Agente della riscossione può comunicare all’Ente creditore l’inesigibilità del debito esattoriale affinché lo stesso proceda al suo annullamento.

L’inesigibilità del debito esattoriale

L’Agente della Riscossione può comunicare, in qualsiasi momento, l’inesigibilità, dopo aver
verificato che il debitore si trovi in almeno una delle seguenti ipotesi. Di che cosa si tratta quando si parla di ‘inesigibilità?

– assenza di beni del debitore, risultante alla data dell'accesso al
sistema informativo del Ministero dell’ economia e delle finanze in
qualunque momento effettuato dall’ agente della riscossione; (art.
1, comma 253, lettera b);

– rapporto percentuale tra il valore dei beni del debitore risultanti
alla data dell’ accesso di cui alla lettera b) e l’ importo complessivo
del credito per cui si procede inferiore al 5 per cento (art. 1, comma 253, lettera f).

Il discarico, ex art. 1 comma 253 della Legge di bilancio 2023, è, dunque, un diritto imprescindibile
la cui ratio legis ed il cui fondamento presidiano, senz’altro, anche il diritto alla vita del
contribuente, quale diritto fondamentale costituzionalmente garantito e tutelato.

Intervento pratico-operativo

Valutati opportunamente i presupposti di diritto, occorrerà prendere in esame case by case la concreta situazione in esame al fine di analizzare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla fattispecie poc’anzi esaminata.
Ci si domanderà se la situazione in esame sia o meno gravemente compromessa, in quanto il debito esattoriale è insostenibile per l’istante che rientra nelle ipotesi di legge appena descritte;
Si accerterà se il soggetto versi o meno in una oggettiva difficoltà economica caratterizzata dal fatto che i beni del contribuente sono gravati da ipoteche e da problematiche catastali che li rendono indisponibili a qualsiasi transazione, riducendone ulteriormente il valore economico.

Pertanto, si valuterà se la situazione patrimoniale in esame sia o meno equiparabile all’assenza di beni aggredibili;
Pertanto, il consulente tecnico chiamato a studiare la questione specifica sottopostagli, valuterà la situazione patrimoniale e reddituale e se la stessa consenta o meno una forma di pagamento all’Agente della riscossione e se fosse o meno sostenibile un’eventuale adesione alla rottamazione quater (Legge n. 197/2022).

Conclusioni

 

È d’obbligo rilevare che non vi è alcuna intenzione di dare un contributo risolutivo e tecnicamente spendibile nelle sedi giudiziarie. Si tratta, infatti, di un mero accenno a questioni, come quella poc’anzi trattata, che si reputano, fra diverse e molteplici indagabili, ‘giuridicamente’ rilevanti.

Per tali ragioni, ci si rivolga al professionista per valutare la propria posizione debitoria e
prospettare eventuali azioni o comportamenti da porre in essere a tutela della propria persona e della propria sfera giuridico-patrimoniale che potrebbe già essere gravemente compromessa.

Alla prossima!
Cagliari, 9 agosto 2023

Parco agrisolare fotovoltaico: il bando che prevede aiuti per 1 miliardo di euro

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Il decreto del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) del 21 aprile 2023 ha aperto la strada alla pubblicazione del Bando sulla misura PNRR a favore degli interventi per l’autosufficienza energetica del settore agricolo e agroalimentare. La misura sarà attuata dal Gestore Servizi Energetici (GSE).

Gli interventi agevolativi sono attuati con provvedimenti successivi che, oltre a quanto previsto nel presente decreto, individuano:

  1. le spese ammissibili;
  2. la forma e l’intensità delle agevolazioni;
  3. le modalità concrete per assicurare il rispetto del principio “non arrecare danno significativo”;
  4. i termini e le modalità per la presentazione delle domande;
  5. i criteri di valutazione;
  6. le modalità per la concessione e l’erogazione degli aiuti.

Soggetti beneficiari

I soggetti che possono beneficiare dell’aiuto sono:

  1. imprenditori agricoli (in forma individuale o societaria);
  2. imprese agroindustriali che siano in possesso di codice ATECO di cui all’Avviso da emanarsi;
  3. le cooperative agricole che svolgono attività di cui all’art. 2135 c.c. e le cooperative o loro consorzi di cui all’art. 1 comma 2 del d. lgs. 228/2001;
  4. i soggetti di cui alle lettere precedenti costituiti in forma aggregata, come nel caso di associazioni temporanee di imprese (A.T.I.), raggruppamenti temporanei di impresa (R.T.I), reti d’impresa, comunità energetiche rinnovabili (CER), ecc.

Sono esclusi i soggetti esonerati dalla tenuta della contabilità IVA con un volume di affari annuo inferiore ad euro 7.000,00.

Requisiti dei soggetti beneficiari

Alla data di presentazione della domanda di agevolazione, i beneficiari devono:

  1. essere regolarmente costituiti ed iscritti come attivi nel registro delle imprese;
  2. essere nel pieno e libero esercizio dei propri diritti e possedere capacità di contrarre con la pubblica amministrazione;
  3. non essere soggetti a sanzione interdittiva di cui all’art. 9, comma 2, lettere c) e d) del decreto legislativo 231/2001 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi ex art. 14 d. lgs. 81/2008;
  4. non avere amministratori o rappresentanti che si siano resi colpevoli, anche solo per negligenza, di false dichiarazioni suscettibili di influenzare le scelte delle Pubbliche amministrazioni in ordine all’erogazione di contributi o sovvenzioni pubbliche;
  5. essere in condizioni di regolarità contributiva, attestata dal Documento unico di regolarità contributiva (DURC);
  6. non essere sottoposti a procedura concorsuale e non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione coattiva o volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo (ad eccezione del concordato preventivo con continuità aziendale) o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente;
  7. non essere destinatari di un ordine di recupero pendente per effetto di una precedente decisione della Commissione europea che dichiara un aiuto illegale e incompatibile con il mercato interno ed essere in regola con la restituzione di somme dovute in relazione a provvedimenti di revoca di agevolazioni concesse dal Ministero;
  8. non essere stati destinatari, nei tre anni precedenti alla domanda, di provvedimenti di revoca totale di agevolazioni concesse dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, ad eccezione di quelli derivanti da rinunce;
  9. non trovarsi in condizioni tali da risultare impresa in difficoltà, così come definita all’art. 2, punto 18 del Regolamento GBER e al paragrafo 33, punto 63, degli orientamenti.

Interventi ammessi al beneficio e caratteristiche degli impianti

Tali fondi sono destinati all’acquisto e posa in opera di pannelli fotovoltaici sulle coperture di fabbricati strumentali all’attività agricola, zootecnica e agroindustriale, compresi quelli destinati alla ricezione ed ospitalità nell’ambito dell’attività agrituristica.
Gli impianti fotovoltaici dovranno avere potenza di picco non inferiore a 6 kWp e non superiore a 1000 kWp (1MW); inoltre, per gruppi di imprese è possibile realizzare pannelli fotovoltaici per investimenti di autoconsumo condiviso.

Inoltre, al fine di migliorare l’efficienza energetica delle strutture, è possibile eseguire i seguenti interventi di riqualificazione:

  1. rimozione e smaltimento dell’amianto (e, se del caso, l’eternit) dai tetti da parte di ditte specializzate, iscritte nell’apposito registro;
  2. realizzazione dell’isolamento termico dei tetti. In questo caso è necessaria la relazione tecnica di un professionista abilitato, che dovrà descrivere e giustificare la scelta del grado di coibentazione previsto, in ragione delle specifiche destinazioni produttive del fabbricato;
  3. realizzazione di un sistema di aerazione connesso alla sostituzione del tetto (intercapedine d’aria), mediante tetto ventilato e camini di evacuazione dell’aria. In questo caso la relazione del professionista dovrà dare conto delle modalità di aereazione previste, in ragione della destinazione produttiva del fabbricato.

Gli interventi eseguiti non potranno comportare un peggioramento delle condizioni ambientali e delle risorse naturali e dovranno essere conformi alle norme nazionali e unionali in materia di tutela ambientale, nonché al principio “non arrecare un danno significativo”, di cui all’art. 17 del regolamento (UE) 2020/852.

I soggetti beneficiari dovranno realizzare, collaudare e rendicontare gli interventi entro 18 mesi dalla data della pubblicazione dell’elenco degli ammessi al contributo, salvo richiesta di proroga, sostenuta da motivi oggettivi e soggetta all’approvazione a cura del soggetto attuatore, d’intesa con il Ministero. Deve essere garantita comunque la realizzazione, collaudo e rendicontazione degli interventi entro il 30 giugno 2026.

Eventuali variazioni progettuali potranno essere apportate, a condizione che le stesse non comportino un peggioramento della prestazione energetica complessiva indicata nel progetto approvato in sede di concessione del contributo e in ogni caso non superino l’importo del contributo concesso, nel rispetto delle tempistiche predefinite dal Piano.

Nel caso di interventi che non rispettino le suddette condizioni, il contributo assegnato verrà revocato integralmente e la parte già erogata dovrà essere restituita.

Requisito dell’autoconsumo

Per le singole aziende agricole, il decreto afferma che gli impianti sono ammissibili agli aiuti unicamente se l’obiettivo è quello di soddisfare il fabbisogno energetico dell’azienda e se la loro capacità produttiva annua non supera il consumo medio annuo combinato di energia termica ed elettrica dell’azienda agricola, compreso quello familiare. Per quanto riguarda l’elettricità, la vendita di energia elettrica è consentita nella rete purché sia rispettato il limite di autoconsumo medio annuale

In caso di gruppi di imprese costituite in forma aggregata, il decreto afferma invece che gli impianti sono ammissibili agli aiuti unicamente se l’obiettivo è quello di soddisfare al più il fabbisogno energetico di tutti i soggetti beneficiari; inoltre, le aziende agricole che costituiscono l’aggregato devono ricadere tutte nella medesima Tabella di cui all’allegato A del decreto.

Interventi non ammessi

Non sono in ogni caso ammissibili alle agevolazioni interventi che prevedano attività su strutture e manufatti connessi:

  • ai combustibili fossili, compreso l’uso a valle;
  • alle attività nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS) che generano emissioni di gas a effetto serra previste non inferiori ai pertinenti parametri di riferimento;
  • alle attività connesse alle discariche di rifiuti, agli inceneritori e agli impianti di trattamento meccanico biologico;
  • alle attività nel cui ambito lo smaltimento a lungo termine dei rifiuti potrebbe causare un danno all’ambiente.

Questo in virtù del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente e delle finalità dell’investimento, che persegue l’obiettivo climatico-ambientale di contribuire all’adattamento ai cambiamenti climatici e alla loro mitigazione tramite la promozione dell’energia sostenibile e dell’efficienza energetica.

Costi non ammessi

Non sono ammissibili i seguenti costi:

  1. servizi di consulenza continuativi o periodici o connessi alla consulenza fiscale, alla consulenza legale o alla pubblicità;
  2. acquisto di beni usati;
  3. acquisto di beni in leasing;
  4. acquisto di beni e prestazioni non direttamente identificabili come connessi all’intervento di efficienza energetica o all’installazione dell’impianto per la produzione da fonti rinnovabili;
  5. acquisto di dispositivi per l’accumulo dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici già esistenti;
  6. lavori in economia;
  7. pagamenti a favore di soggetti privi di partita IVA;
  8. prestazioni gestionali;
  9. acquisto e modifica di mezzi di trasporto;
  10. spese effettuate o fatturate al soggetto beneficiario da società con rapporti di controllo o di collegamento (ex art. 2359 c.c.) o che abbiano in comune soci, amministratori o procuratori con poteri di rappresentanza; tali spese potranno essere ammissibili solo se l’impresa destinataria documenti, al momento della presentazione della domanda di partecipazione, che tale società è l’unico fornitore di tale impianto o strumentazione;
  11. pagamenti effettuati cumulativamente, in contanti e in compensazione.

Procedura di richiesta del contributo e allegati da trasmettere

Il soggetto beneficiario potrà richiedere il contributo personalmente oppure tramite centri di assistenza agricola o professionisti abilitati; in ogni caso, la richiesta può essere effettuata esclusivamente attraverso la piattaforma informatica, pena l’irricevibilità della domanda.

Alla domanda di agevolazione dovrà essere allegata la seguente documentazione:

  1. modulo informatizzato con anagrafica del soggetto beneficiario, descrizione catastale dei manufatti oggetto di intervento, descrizione di massima dell’intervento, richiesta di contributo e dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. 445/2000;
  2. relazione tecnica asseverata da parte del professionista abilitato, contenente:
    1. descrizione del sito e dei lavori oggetto dell’istanza di contributo;
    2. stima preliminare dei costi e dei lavori, distinti per tipologie di intervento;
  • cronoprogramma delle attività tecnico-amministrative necessarie alla realizzazione di ciascuno degli interventi per cui si chiede l’agevolazione, dal momento della concessione del contributo sino alla conclusione dei lavori nel rispetto delle tempistiche previste dal PNRR;
  1. descrizione dei lavori, che deve contenere le specifiche tecniche dei materiali utilizzati per ciascuno degli interventi per cui si chiede l’agevolazione;
  2. visura del catasto fabbricati;
  3. documentazione atta all’identificazione del fabbricato;
  • dossier fotografico ante operam per documentare lo stato dei luoghi e eventuali coperture in amianto alla data di presentazione della domanda;
  • ogni altra richiesta presente nella modulistica del soggetto attuatore.

Il provvedimento di concessione del contributo è emanato entro 30 giorni naturali e consecutivi dall’approvazione della domanda.

L’erogazione del contributo avverrà a mezzo bonifico bancario, alle coordinate IBAN indicate al momento di presentazione della domanda. L’ammontare massimo del contributo è erogato in un’unica soluzione a conclusione dell’intervento, fatta salva la facoltà di concedere, a domanda del soggetto beneficiario e nei limiti della disponibilità delle risorse, un’anticipazione fino al 30%, a fronte della presentazione di idonea garanzia fideiussoria. L’erogazione del contributo, in unica soluzione a saldo, previo espletamento delle verifiche previste, avverrà entro il termine di novanta giorni dall’acquisizione della documentazione completa.

Obbligo di nomina di revisore e collegio dei sindaci nelle società di capitali

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In seguito all’introduzione dell’istituto dell’allerta con il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, la funzione di gestione e controllo delle imprese è divenuta ancora più complessa, pertanto sono aumentate le funzioni e le responsabilità degli organi di amministrazione e controllo, implicando l’assunzione di rischi di natura sia civile che penale nella governance.

Il nostro ordinamento prevede l’obbligo per le società di capitali (S.p.a., S.r.l, S.a.p.a) di nomina di un Organo di controllo, il cui operato affianca quello degli amministratori delle società.

Collegio sindacale

Struttura e responsabilità

L’art. 2397 comma 1 c.c. prevede che il Collegio sindacale delle società per azioni sa composto da 3 o 5 membri effettivi (soci o non soci) e due sindaci supplenti.

Il Collegio sindacale o sindaco unico assume principalmente ruolo di garante del buon funzionamento della gestione aziendale, assicurandosi che la società venga amministrata nel rispetto della legge e dell’atto costitutivo, al fine di tutelare non solo il capitale investito dai soci ma anche le ragioni dei creditori sociali che indirettamente finanziano l’impresa e contribuiscono al suo consolidamento. Nelle società di piccole dimensioni (S.r.l.) è possibile che il Consiglio di amministrazione, mediante delibera, incarichi il Collegio sindacale di svolgere anche il controllo contabile (revisione dei conti).

In caso di società con contabilità esternalizzata, deve verificare i presidi organizzativi approntati dalla società per poter garantire e monitorare i flussi informativi. Inoltre, il Collegio sindacale nell’ambito dei propri poteri, ha la facoltà di impugnare le delibere dell’Assemblea, del Consiglio di amministrazione e del Comitato esecutivo.

I doveri dei sindaci sono disciplinati sia dall’art. 2403 c.c. che dall’art. 149 del Testo Unico della Finanza (TUF).
Il codice civile prevede che, in generale, possono essere:

  1. verifica dell’osservanza della legge e dello Statuto;
  2. verifica del rispetto dei principi di corretta amministrazione;
  3. verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e del suo concreto funzionamento.

Il TUF approfondisce invece tali doveri, specificando che l’organo vigila:

  1. sulla osservanza della legge e dell’atto costitutivo;
  2. sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;
  3. sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, limitatamente agli aspetti di competenza del sistema di controllo interno e di quello amministrativo contabile
  4. sull’affidabilità del sistema amministrativo contrabile nel rappresentare correttamente i fatti di gestione;
  5. sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi;
  6. sull’adeguatezza delle disposizioni impartite dalla società alle società controllate (art. 114, comma 2).

Nomina e requisiti

I primi sindaci vengono nominati nell’atto costitutivo, quindi in sede di costituzione della società, mentre i successivi dall’Assemblea dei soci. I membri del Collegio sindacale devono possedere i requisiti di idoneità, indipendenza e di onorabilità; inoltre, restano in carica per tre anni e possono essere revocati solo per giusta causa. In caso di morte, rinuncia o decadenza di un sindaco subentrano i supplenti (in ordine di età), i quali rimangono in carica fin quando l’Assemblea non provvede a nominare i nuovi sindaci.
Nel caso in cui il Collegio sindacale non espleti la revisione legale dei conti, almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere iscritti nel Registro dei revisori legali. Se i restanti membri non sono iscritti al Registro, allora dovranno essere scelti:

  1. fra gli iscritti:
    1. nella sezione A dell’Albo dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili;
    2. nell’Albo degli Avvocati;
    3. nell’Albo dei Consulenti del Lavoro;
  2. fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche;
  3. fra gli iscritti nel Registro dei Revisori legali.

Un caso particolare: nomina del Sindaco unico

Le funzioni del Collegio sindacale sono esercitate da un sindaco unico qualora la società rispetti i parametri per la redazione del bilancio abbreviato ex art. 2435-bis e lo statuto non disponga diversamente. Il sindaco unico viene scelto tra i revisori legali iscritti nell’apposito registro. La possibilità di nomina del sindaco unico sussiste anche per le società a responsabilità limitata ed è prevista dalla L. 220/2010.

Revisore legale o società di revisione

L’art 2409 bis. c.c. disciplina due possibilità per quanto concerne la revisione legale dei conti, che può essere affidata a un esperto o a una società di revisione legale che sia iscritta nel registro di quelle autorizzate.

Responsabilità

Il revisore legale si occupa del controllo di tutta la documentazione relativa a entrate e uscite aziendali. Le sue responsabilità sono:

  1. esprimere il proprio giudizio sul bilancio, redigendo l’apposita relazione, la quale contiene il suo giudizio imparziale e la descrizione dell’attività di revisione da lui effettuata;
  2. nel corso dell’esercizio, verificare periodicamente che la contabilità sociale sia tenuta regolarmente;
  3. verificare il bilancio di esercizio, assicurandosi che i fatti di gestione nelle scritture contabili siano correttamente rilevati e che le stesse rispettino la normativa vigente.

Le società di ridotte dimensioni esternalizzano spesso la tenuta della contabilità e i connessi adempimenti, affidandosi a uno studio professionale. In tal caso il Revisore Legale deve avvalersi dei servizi del professionista nelle proprie attività operative, al fine di comprendere in che modo l’impresa esternalizzi l’attività e quindi:

  1. la natura e la rilevanza per l’impresa dei servizi prestati dallo studio del professionista;
  2. il livello di interazione tra le attività dello studio e quelle dell’impresa utilizzatrice;
  3. la natura del rapporto tra impresa e studio, inclusi i termini contrattuali.

Quando sussiste l’obbligo di nomina dell’organo di controllo?

La nomina è obbligatoria qualora si sia superato, per due esercizi consecutivi, almeno uno dei seguenti limiti:

  1. attivo patrimoniale: euro 4.000.000;
  2. ricavi: euro 4.000.000;
  3. dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità.

Inoltre, la nomina è sempre obbligatoria se la società:

  1. è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
  2. controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti.

L’obbligo di nomina cessa quando, per tre esercizi consecutivi, non sia stato superato alcuno dei citati requisiti.

Il registro del titolare effettivo e i suoi effetti sulla riservatezza

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Cos’è?

In seguito alle modifiche previste dal d. lgs. 125/2019, l’art. 21 comma 1 del Decreto antiriciclaggio (d. lgs. 231/2007) ha istituito il registro del titolare effettivo, che sarà attivo entro fine anno e al quale dovranno essere comunicate in via telematica le informazioni relative ai titolari effettivi, da inserirsi in una apposita sezione del Registro delle Imprese.

Chi sono i titolari effettivi?

Il titolare effettivo è sempre una persona fisica. L’art. 20 del d. lgs. 231/2007 stabilisce che il titolare effettivo di clienti diversi dalle persone fisiche coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui è attribuibile la proprietà diretta o indiretta dell’ente ovvero il relativo controllo, secondo i criteri di cui al medesimo articolo.

Chi deve presentare e firmare la comunicazione?

L’obbligo di presentare la comunicazione della titolarità effettiva per la sua iscrizione al registro è attribuito a:

  • imprese dotate di personalità giuridica, cioè le società di capitali (S.R.L., S.P.A., S.A.P.A., Soc. coop.);
  • persone giuridiche private iscritte nel registro regionale delle persone giuridiche private, nel RUNTS o nei registri prefettizi;
  • trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e gli istituti giuridici affini (mandati fiduciari).

La comunicazione dovrà essere firmata digitalmente da:

  • gli amministratori per le società di capitali;
  • il fondatore i soggetti cui è attribuita la legale rappresentanza e l’amministrazione per le persone giuridiche private;
  • i fiduciari e gli altri soggetti indicati dall’art. 21 comma 3 del d. lgs. 231/2007 per i trust e gli istituti giuridici affini.

Come procedere alla comunicazione

La comunicazione del titolare effettivo è resa mediante autodichiarazione e non è consentito il conferimento dell’incarico ad altri, neanche professionisti, i quali possono procedere esclusivamente alla trasmissione telematica delle pratiche. Pertanto, i soggetti obbligati dovranno munirsi di firma digitale.
Le pratiche devono essere inviate attraverso la Comunicazione Unica, tramite l’ambiente di compilazione DIRE (o software di terze parti) e esclusivamente con nuovo modello base TE, il quale può essere utilizzato solo per la comunicazione del titolare effettivo e non può contenere altri adempimenti contestuali al RI o essere destinato ad altri enti (AdE, Inail, Inps, Suap).
Nella pratica vanno indicate le informazioni su eventuali controinteressati alla consultazione e/o all’accesso.

Dati da comunicare
Le imprese con personalità giuridica dovranno comunicare:

  • entità della partecipazione al capitale;
  • modalità di esercizio del controllo;
  • poteri di rappresentanza legale, amministrazione e direzione.

Le persone giuridiche private dovranno comunicare:

  • dati anagrafici;
  • codice fiscale;
  • denominazione dell’ente;
  • sede legale o amministrativa;
  • indirizzo PEC.

I Trust e gli istituti giuridici affini dovranno comunicare:

  • codice fiscale;
  • denominazione del trust o dell’istituto giuridico affine;
  • data, luogo e dati sull’atto di costituzione del trust o istituto giuridico.

Termini, adempimenti e sanzioni

Dalla data di pubblicazione del decreto di avvio dell’operatività del sistema in Gazzetta Ufficiale, i soggetti già costituiti avranno 60 gg di tempo per inviare la relativa comunicazione, pena sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1.032,00 (art. 2630 c.c.).
Per le società (srl, spa, saa e cooperative) e le P.G.P. costituite dopo la pubblicazione del decreto di avvio dell’operatività del sistema, il termine di presentazione è 30 giorni dall’iscrizione nel registro (RI, Registro P.G.P. Regione Lombardia, RUNTS, Prefettura), a prescindere dal termine che verrà stabilito come primo popolamento. Invece, per i Trust e gli istituti giuridici affini, il termine di presentazione è di 30 giorni dalla costituzione, sempre a prescindere dal termine che verrà stabilito per il primo popolamento. In caso di deposito oltre i 30 giorni il soggetto verrà sanzionato.

A regime, ogni volta che il titolare effettivo viene modificato deve essere presentata la pratica di modifica entro 30 giorni dall’atto che dà luogo alla variazione. In caso di deposito oltre i 30 giorni il soggetto verrà sanzionato.

Ogni anno, gli stessi soggetti devono comunicare la conferma dei dati e delle informazioni, entro dodici mesi dalla data della prima comunicazione o dall’ultima comunicazione di variazione. Le imprese dotate di personalità giuridica possono effettuare il deposito in occasione del deposito del bilancio annuale.

In caso di falsa comunicazione dei dati è prevista una sanzione di natura penale che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni, nonché una multa da euro 10.000,00 a euro 30.000.

Chi può consultarlo?

Il registro del titolare effettivo è consultabile da:

  • le Autorità di cui all’art. 21 commi 2 lettere a), b), c) e d) e 4 lettere a), b) , c) del decreto antiriciclaggio, le quali accedono ai dati e alle informazioni presenti nella sezione autonoma e speciale;
  • i soggetti obbligati all’adeguata verifica della clientela di cui all’art. 3 del decreto antiriciclaggio, previo accreditamento, per poi trasmettere tempestivamente alla Camera di commercio le segnalazioni di eventuali difformità tra i dati iscritti nel registro e quelli acquisiti in sede di adeguata verifica. Tali segnalazioni sono consultabili dalle autorità ed è garantito l’anonimato dei soggetti segnalanti;
  • altri soggetti (pubblico e soggetti legittimati), senza limitazioni purché non vi sia la presenza di controinteressati. In tal caso l’accesso può essere consentito solo a seguito di richiesta motivata alla Camera di Commercio, la quale trasmette tramite PEC la richiesta di accesso al controinteressato che, entro dieci giorni dalla ricezione, può trasmettere a mezzo PEC una motivata opposizione. Il diniego motivato dell’accesso è comunicato al richiedente tramite PEC, entro venti giorni dalla richiesta di accesso. In mancanza di comunicazione entro il predetto termine, l’accesso si intende respinto.
    Per l’accesso dei dati e delle informazioni di trust e istituti giuridici affini occorre in ogni caso formulare apposita richiesta motivata alla Camera di Commercio.

Dati consultabili

Autorità e soggetti obbligati godono del diritto di consultazione completa; pertanto, hanno accesso a:

  • codice fiscale, nome e cognome;
  • giorno, mese e anno di nascita;
  • luogo di nascita, residenza e cittadinanza;
  • condizione da cui deriva lo status di titolare effettivo (partecipazione diretta, indiretta, controllo maggioranza voti, influenza dominante, ecc.);
  • le autorità hanno accesso anche a eventuali difformità segnalate dai soggetti obbligati.

Al pubblico spetta invece una consultazione ridotta; infatti, nel caso di consultazione di imprese e persone giuridiche private e solo se non sono presenti controinteressati per ogni titolare effettivo, sono consultabili:

  • nome e cognome;
  • mese e anno di nascita;
  • paese di residenza e cittadinanza;
  • condizione da cui deriva lo status di titolare effettivo (partecipazione diretta, indiretta, controllo maggioranza voti, influenza dominante, ecc.).

Impatto sulla riservatezza e sulla tutela del patrimonio

Questo registro costituisce una garanzia di informazioni per individuare i titolari effettivi delle società, con l’obiettivo di contrastare il riciclaggio di denaro; tuttavia, esso ha ricadute sulla riservatezza di tali dati e, pertanto, anche su eventuali strategie aziendali che implichino tale riservatezza.
Indubbiamente questa novità avrà un forte impatto sull’attività delle società fiduciarie e sui vantaggi che il soggetto ne trae. Infatti, fino ad oggi, avvalendosi di una società fiduciaria era possibile ottenere la totale riservatezza del titolare effettivo della quota di partecipazione sociale, il quale, non risultando nella visura camerale della società, poteva avviare il proprio progetto imprenditoriale mantenendo anonima la sua identità per un periodo di tempo determinato o indeterminato.
In seguito all’istituzione del registro, questa possibilità di anonimato sarà indubbiamente intaccata, sia nel caso di società fiduciarie che schermano quote sociali che in caso di società fiduciarie che gestiscono patrimoni immobiliari. In caso di società fiduciaria con quote superiori al 20%, la società di capitali è infatti tenuta alla comunicazione del titolare effettivo in Camera di Commercio, con conseguente pubblicazione nel pubblico registro.
Si potrebbe pensare che la via ideale possa essere quella di costituire quattro società fiduciarie, in modo che ognuna di esse possa gestire il 20% del patrimonio; tuttavia, ciò comporterebbe una spesa quadruplicata.
Ci si chiede dunque che senso abbia costituire una società fiduciaria e se avranno ancora ragione di esistere, dato che l’istituzione di tale registro consentirebbe anche ai creditori di venire a conoscenza della titolarità effettiva da parte del debitore, che potrebbe vedersi perseguito in seguito alla conoscenza di tali informazioni.

Affitti a breve: cosa fare e come versare la ritenuta – guida fiscale

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Cosa sono?

Il contratto di affitto breve è disciplinato dall’art. 4 del D.L. 50/2017 e consente al locatore di affittare i propri immobili ad uso esclusivamente abitativo, compresi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, per un periodo massimo di 30 giorni. Se i servizi eccedono il limite della fornitura di biancheria e pulizia si rischia di uscire fuori dal perimetro e di svolgere un’attività alberghiera abusiva.

Chi può stipularli?

I contratti devono essere stipulati in forma scritta da persone fisiche, quindi al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa.
Pertanto, la locazione può essere solo tra “privati”: i contratti di affitto brevi possono infatti essere stipulati direttamente dal proprietario dell’immobile o indirettamente da soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare (agenzie immobiliari), anche attraverso la gestione di portali telematici (Airbnb, Booking, ecc).

Durata

Ciascun contratto di locazione breve non può avere durata superiore a 30 giorni. Ciò implica che, qualora le parti abbiano intenzione di stipulare più contratti di affitto brevi nel medesimo anno, sarà necessario considerare ogni singolo contratto per calcolare la durata della locazione.

Nel caso in cui questi contratti abbiano una durata complessivamente superiore a 30 giorni, saranno qualificati come contratti di affitto transitorio, i quali hanno durata compresa tra i 30 giorni e i 18 mesi.

Vantaggi

Si tratta di una forma di contratto di locazione estremamente vantaggiosa sia per il locatore che per il conduttore.
Il locatore è infatti libero dai vincoli di una locazione tradizionale, pertanto può disporre dell’immobile ogni qualvolta lo desideri, evitando il rischio di morosità e mantenendo la possibilità di godere di entrate superiori su base mensile. Inoltre, l’affitto breve si presta come un’ottima soluzione per chi ha intenzione di vendere l’immobile, in quanto le tempistiche di vendita possono prolungarsi per diversi mesi, comportando una situazione in cui lo stesso rimane sfitto fino al momento del rogito; l’affitto breve consentirebbe invece un guadagno durante questo periodo.
Il conduttore invece, potendo usufruire di un alloggio per un periodo di tempo limitato, può contenere le spese.

Tassazione

Il 95% del reddito derivante da un contratto di affitto a breve è assoggettato a tassazione IRPEF, secondo i relativi scaglioni. Se il locatore opera tramite un intermediario, allora nella tassazione IRPEF si applica una ritenuta d’acconto del 21%.
Il restante 5% del reddito è invece a titolo di deduzione forfettaria.

Un’alternativa alla tassazione IRPEF: la cedolare secca

Per coloro che in un anno destinano a tale finalità un numero massimo di quattro appartamenti, è possibile, in alternativa alla tassazione IRPEF, optare per la cedolare secca, che consiste in un’imposta del 21% da applicare sul canone lordo di locazione. La cedolare secca prevede dunque un’aliquota inferiore rispetto a quella IRPEF (in cui per il primo scaglione è pari al 23%); tuttavia, diversamente dalla tassazione IRPEF, essa si applica sul 100% del reddito. Resta comunque ferma, come nel caso della tassazione IRPEF, la presenza di una ritenuta del 21% che, essendo a titolo d’imposta, non va versata dai contribuenti ma dal sostituto d’imposta (il portale o l’intermediario di cui il locatore si serve per la riscossione dei canoni).

Qualora si decida di optare per questo tipo di tassazione, le parti dovranno comunicare in sede di dichiarazione dei redditi l’opzione scelta.

Adempimenti e sanzioni

Per i contratti di affitto brevi non è previsto l’obbligo di registrazione dell’atto presso l’Agenzia delle Entrate.
Tuttavia, al fine di prevenire contestazioni o possibili controversie, è opportuno che le parti contraenti redigano un contratto che disciplini almeno le regole di permanenza dell’inquilino. Inoltre, il D.L. 113/2018 prevede che il locatore o i soggetti intermediari comunichino i dati degli ospiti alle questure territorialmente competenti, mediante l’accesso al canale Entratel/Fisconline e la compilazione del file mediante i software gratuiti dell’Agenzia delle Entrate. Qualora tale comunicazione sia incompleta, infedele o del tutto omessa, è prevista una sanzione da 250 a 2.000 euro. Inoltre, gli intermediari inadempienti che non hanno provveduto a tramettere i dati di contratti di locazione breve saranno sottoposti a sanzione pari al 20% dell’ammontare non trattenuto a titolo di ritenuta.

Contratto di affitto breve turistico per casa vacanze

Il contratto di affitto breve turistico per casa vacanze rientra nella tipologia dei contratti di locazione brevi.
In questo caso, il proprietario può anche chiedere una cauzione e dotarsi di una copertura assicurativa per tutelarsi da eventuali danneggiamenti; inoltre, è obbligato a richiedere la tassa di soggiorno agli ospiti.
Di conseguenza, nel contratto devono essere presenti non solo le generalità delle parti coinvolte ma anche le modalità di pagamento e di restituzione della cauzione.
Qualora il locatore voglia ottimizzare i tempi di occupazione dell’immobile e aumentare la redditività affidandosi ad un soggetto intermediario e decidesse di optare per la tassazione IRPEF, i compensi percepiti dovranno essere registrati al netto di tutte le spese inerenti all’affitto; in caso di cedolare secca invece queste spese non saranno considerate.

Differenza tra locazione turistica e locazione breve

La differenza tra locazione turistica e locazione breve è inerente la tipologia di servizi offerti, nonché gli obblighi specifici a cui sono soggetti i proprietari o i gestori dell’immobile in locazione.
La locazione turistica è una tipologia di accordo che coinvolge strutture turistiche ricettive extra-alberghiere (case vacanza, ecc.).
Inoltre, in caso di locazione breve turistica per una casa vacanza non è obbligatorio stipulare un contratto d’affitto, contrariamente a quanto previsto per la fattispecie della locazione.

Affitti brevi con finalità turistiche

In caso di contratto d’affitto turistico inferiore a 30 giorni, non vige l’obbligo di registrazione dell’atto presso l’Agenzia delle Entrate; oltre tale limite la registrazione è invece obbligatoria.
In ogni caso, secondo la legge n. 431/1998, le strutture ricettive con finalità turistiche devono disporre di un codice alfanumerico (CIR, cioè Codice Identificativo di Riferimento), al fine di agevolare non solo la commercializzazione dell’offerta delle strutture ma anche i controlli da parte delle autorità competenti.

Istruzioni operative per gli intermediari di contratti brevi

I gestori di portali e delle agenzie di intermediazione dovranno:

  1. comunicare all’Agenzia delle Entrate i contratti di affitto breve conclusi attraverso i servizi offerti dagli stessi;
  2. in qualità di sostituti di imposta, trattenere la ritenuta del 21% dai proventi della locazione corrisposti e versarla mediante modello F24, come disciplinato dall’articolo 17 del D. lgs. 241/97, utilizzando il codice tributo 1919.
    Nell’ipotesi in cui il proprietario avesse optato per la cedolare, la ritenuta sarà fatta a titolo d’imposta e lo stesso dovrà poi versare ulteriori importi; in caso di conservazione del regime ordinario, invece, tale ritenuta rileverà come versamento a titolo d’acconto e il proprietario dovrà considerarlo all’interno della dichiarazione dell’IRPEF dovuta per quell’anno;
  3. rilasciare annualmente a chi affitta, cioè al proprietario dell’immobile, la Certificazione Unica (CU) con gli importi percepiti e le ritenute effettuate a titolo d’imposta o di acconto, seguendo le modalità indicate dall’art. 4 del D. lgs. 322/98 e specificando gli importi pagati al Fisco.

Marchio di impresa: marchio registrato e marchio di fatto. Come tutelarli?

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An office worker moves a stack of papers fastened with Binder Clips

 

Il marchio di impresa

Tra i più rilevanti segni distintivi tipici dell’imprenditore (ditta, insegna e marchio) il marchio è una qualsiasi combinazione di figure, forme, parole, nomi di persone, colori, suoni che distingue i prodotti e/o i servizi dell’impresa da quelli di altri competitors (art. 7 del Codice delle proprietà industriale – CPI).

Oltre che supportare efficacemente la tua strategia di marketing, creando un legame tra i consumatori e la tua azienda, il marchio è uno strumento strategico di pianificazione fiscale.

Ti invitiamo a leggere la nostra guida (https://www.commercialista.it/news/il-marchio-di-impresa-guida-ai-vantaggi-fiscali/) se sei interessato a capire come ridurre il carico fiscale attraverso il tuo marchio di impresa.

Il marchio di impresa registrato

Perché registrare il marchio di impresa?  La registrazione del marchio ti attribuisce un elevato grado di protezione cioè le tutele espressamente riconosciute dalla legge per i marchi registrati. Pertanto, in caso di condotte di terzi che, ad esempio, utilizzino abusivamente il tuo marchio (“contraffazione”) oppure presentino domanda di registrazione di un marchio simile, hai la certezza di una norma giuridica che ti attribuisce il diritto di tutelarti e di agire in un dato modo (trattasi del Codice della proprietà intellettuale e, per le condotte penalmente rilevanti, il codice penale).

Come registrare il marchio di impresa?

Se vuoi registrare il tuo marchio in Italia, il procedimento di registrazione è interamente gestito dall’UIBM (Ufficio italiano brevetti e marchi). La registrazione nazionale ti garantisce la tutela solo in Italia.

Con la registrazione presso EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) il marchio sarà tutelabile in tutti i paesi della UE, l’Italia inclusa. Con il marchio internazionale registrabile presso WIPO (World Intellectual Property Organization) si potranno scegliere a livello mondiale i paesi in cui tutelarlo. Chi opta per la registrazione internazionale, dovrà prima presentare una domanda nazionale o nell’Unione Europea.

Per ogni tipo di registrazione, cambiano gli enti che lo gestiscono, la procedura e le tasse di concessione da pagare.

Il marchio registrato ed il diritto di esclusiva

Il titolare di un marchio registrato ha il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso nel paese o nei paesi in cui è stato registrato, per i prodotti o servizi (“classi”) indicati nella domanda di registrazione (l’art. 20 CPI).

Il diritto di esclusiva è esercitabile per una durata di 10 anni rinnovabili illimitatamente, ogni volta per una pari durata decennale.

Tale diritto è anche noto come diritto di privativa perché ti autorizza ad impedire a soggetti terzi (da te non autorizzati) l’uso del marchio simile o identico a quello da te registrato.

Come tutelare il marchio registrato

Hai a disposizione strumenti stragiudiziali (se il marchio contestato è ancora in fase di registrazione) e giudiziali.

La procedura (stragiudiziale) di opposizione davanti l’UIBM è un iter amministrativo per richiedere all’UIBM di non accogliere la domanda di registrazione del marchio simile. Durante l’opposizione puoi conciliare con la controparte e, così, estinguere l’opposizione. Se, in luogo di dell’accordo, mandi avanti l’opposizione, lascerai che a decidere sia l’UIBM che potrebbe anche non darti ragione, magari accogliendo le contestazioni della tua controparte. In tal caso, dovrai prima impugnare la decisione UIBM dinanzi ad un ulteriore organo interno, ed in ultima istanza, se ritieni di aver ragione, dovrai proseguire davanti alla Corte di Cassazione. Così facendo, lo strumento stragiudiziale dell’opposizione evolve in giudiziale.

Gli strumenti di tutela giudiziali del marchio già registrato. Potrebbe capitare che il terzo abbia già registrato un marchio simile, o identico al tuo. In tal caso dovrai rivolgerti al giudice ordinario per chiedere la nullità del marchio già registrato.

La novità 2022. Dal 29 dicembre 2022, potrai chiedere la nullità del marchio contestato direttamente all’UIBM, in alternativa al più lungo e costoso giudizio ordinario!

Devi sapere che l’UIBM, quando riceve una domanda di registrazione di un marchio, non verifica se esiste un marchio anteriore simile.

Come sapere se esistono marchi precedenti potenzialmente in conflitto col tuo?
Se sei ancora in fase di registrazione, dovrai affidarti ad un consulente abilitato perché faccia una ricerca di anteriorità. Se hai già registrato, è consigliabile attivare un sistema di vigilanza, per verificare, ogni qualvolta vi sia un nuovo marchio, eventuali identità o similarità con il tuo marchio protetto.

Il marchio di fatto

La registrazione del marchio non è obbligatoria. Quindi, potrebbe capitare che la tua azienda usi, da tempo, un marchio, senza averlo registrato.  Si tratta del “marchio di fatto”.

Un esempio pratico. Ad esempio, sei il titolare di un esercizio commerciale a Firenze e da sempre hai usato un marchio non registrato.

Un terzo registra un marchio simile o identico al tuo.

Come tutelare il marchio di fatto?

Manca una norma espressa che stabilisca i requisiti per rendere i marchi non registrati meritevoli di tutela.

Questi si ricavano indirettamente:

da due norme giuridiche che introducono il requisito del “pre-uso” (art. 2571 c.c. e art. 12 del Codice della proprietà industriale);

e dalle sentenze mirate della giurisprudenza che hanno invalidato un marchio registrato e favorito il marchio di fatto. Purtroppo, le sentenze non hanno, sempre, un orientamento concorde.

Quindi, se la tutela possibile è quella appena descritta, capisci quanto siano importanti le prove documentali che riuscirai a produrre.

I requisiti del marchio di fatto secondo la legge

Il pre-uso. Il codice civile prevede che puoi continuare ad usare il tuo marchio di fatto “nei limiti del pre-uso” (art. 2475).

Cosa significa? Per continuare ad usare il tuo marchio di fatto dovrai:

  1. provare di aver usato il marchio di fatto prima di colui che ha registrato il marchio simile;
  2. fornita tale prova, potrai continuare ad usarlo nei limiti territoriali iniziali. Pertanto, nell’esempio di prima, se hai sempre usato il marchio per vendere i tuoi prodotti a Firenze, non potrai espanderti in altre città.

Ti serviranno, pertanto, documenti che provino l’uso fattuale anteriore (ad es. fatture nelle quali hai indicato il nome del marchio).

Se non hai queste prove (es. non hai conservato le fatture oppure non hai indicato, al loro interno, il nome del marchio) tutelarti sarà difficile.

Anche l’articolo 12 del Codice della proprietà industriale, conferma che:

– in caso di pre-uso locale, dando prova dello stesso, potrai continuare a usare il tuo marchio di fatto ma nei limiti dell’ambito locale;

– e stabilisce, indirettamente, che se il tuo marchio di fatto ha diffusione nazionale, puoi agire contro chi ha registrato per primo un marchio simile proponendo un’azione di nullità.

I requisiti del marchio di fatto secondo la giurisprudenza

L’uso effettivo e costante del marchio di fatto. La giurisprudenza specifica che il marchio di fatto può ricevere tutela a patto che di esso sia dia prova del suo uso effettivo e continuato nel tempo, con la conseguenza che non è tutelabile il marchio di un’attività d’impresa mai (o da lungo tempo non) esercitata dal preteso titolare (Cass. n.9889/2016).

Cosa può complicare la prova del pre-uso continuo. Alcuni casi particolari. 

Potrebbe rendere complicata la prova del pre-uso del marchio di fatto, la circostanza ad esempio che la tua azienda sia cessata e poi abbia proseguito sotto altra forma e/o denominazione. In tal caso per la giurisprudenza dovrai provare la continuità soggettiva delle due aziende, cioè che trattasi del medesimo soggetto che ha pre-usato il marchio. Ad esempio, dimostrando che in entrambe sei socio che gestisce l’attività. Una prova più convincente e sicura sarebbe un conferimento d’azienda. Pertanto, gli anni di pre-uso imputabile alla prima azienda, si possono “cumulare” con la successiva azienda. Anche in tal caso, dovrai avere in mano tutte le prove documentali per vincere la causa in Tribunale.

Fondamentale: per la recente giurisprudenza, se hai pre-usato il segno come denominazione sociale senza aver fatto uso dello stesso come marchio per contraddistinguere le tue merci/prodotti, l’uso di fatto di un segno in funzione di ditta/denominazione sociale non ne comporta l’automatica estensione in funzione di marchio e viceversa.

Marchio di fatto: conviene registrarlo?

Un consulente può aiutarti a tutelare un marchio di fatto alla stregua di un marchio registrato, individuando la giusta combinazione tra sentenze di giurisprudenza ed elementi di prova che, però, dovrai possedere e produrre, per vederti riconosciuto il diritto all’uso del marchio  di fatto.

Allora se puoi tutelare anche il marchio di fatto, perché spendere per la registrazione?

Perché la tutela del marchio registrato è una tutela certa; mentre per la tutela del marchio di fatto, in assenza di norme giuridiche ad hoc, bisogna arrivare ad un contenzioso per farla valere.

E la tutela del marchio di fatto resta in incognita, perché l’UIBM e/o il giudice eventualmente adito, stabilirà se il tuo marchio non registrato è meritevole di tutela, sulla base degli orientamenti (spesso mutevoli e contrastanti) della giurisprudenza.

Contattaci per avere assistenza alla registrazione del tuo marchio di impresa e supporto nella valutazione della tutelabilità del tuo marchio di fatto.

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