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domenica 19 Gennaio 2025
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Avv. Roberto Pusceddu: la filosofia dei segnali stradali

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Roberto Pusceddu, laureato in Filosofia del diritto, ha spazzato via la concorrenza con la sua tesi rivoluzionaria, “Filosofia dei segnali stradali”.

Quest’opera d’arte intellettuale è stata discussa con entusiasmo presso la prestigiosa Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche dell’Università di Cagliari, sotto la guida illuminata del professor Giuseppe Lorini.

Ma c’è di più: la tesi di Pusceddu non ha solo ottenuto un encomio accademico, ma è stata insignita del primo Premio della Fondazione ANIA per la Sicurezza Stradale, un riconoscimento di valore inestimabile dedicato alla memoria di Sandro Salvati, un vero eroe della sicurezza stradale.

Il merito di questa tesi sta nell’approccio rivoluzionario con cui Pusceddu ha affrontato il trasferimento delle regole sulla strada. Utilizzando la semiotica dei segnali stradali come suo strumento principale, l’autore ha gettato nuova luce sulla complessa interazione tra segnali e norme, aprendo prospettive di studio incredibilmente interessanti.

La Fondazione ANIA per la Sicurezza Stradale, un’organizzazione non-profit fondata dalle compagnie di assicurazione nel 2004, si è messa in prima linea nella battaglia contro gli incidenti stradali.

Attraverso progetti innovativi e iniziative coraggiose, la Fondazione lotta instancabilmente per ridurre il numero di incidenti e, ancor più importante, per salvare vite umane.

La sicurezza stradale è una delle massime priorità per i cittadini, ed è facile capire il motivo. Nel solo anno 2014, in Italia, si sono verificati più di 9 decessi al giorno a causa di incidenti stradali, con un totale impressionante di 3.381 vite perdute.

Ancora più scioccante è il fatto che ben 742 di queste vittime avevano meno di 30 anni, sottolineando l’urgenza e l’importanza di sforzi come quelli compiuti dalla Fondazione ANIA e sottolineati dalla tesi di Pusceddu.

SRL/SPA come aumentare il capitale sociale senza tirare fuori un soldo

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Conferimento di una ditta individuale dentro una società (SRL o SPA)

Il soggetto interessato ci può affidare un incarico per fare scouting, ovvero, per cercare delle ditte individuali da analizzare e acquisire attraverso il conferimento; oppure prendere delle ditte individuali all’interno della famiglia e costituirle in SRL.

Se invece la SRL non è esistente, la si può costituire con un capitale sociale di 10K euro (ad esempio) e successivamente fare il conferimento della ditta individuale, analizzando e valutando l’azienda della ditta individuale e facendo il conferimento di beni in natura. 

Questo significa, che durante il conferimento, stai attuando un aumento del capitale sociale in natura:

Esempio:

se abbiamo un’azienda che vale 80 mila euro, andando a conferire un’azienda di tale valore dentro una società il cui capitale sociale è di 10 mila euro, la si porta a un capitale sociale di 90 mila euro.

Questo significa che i soldi tirati fuori dall’azienda sono pari a zero.

Questo è il vantaggio: in un mondo in cui non ci sono più le banche di un tempo, con un rapporto umano valido e con dei direttori di banca che avevano potere di delibera, oggi i bilanci di queste società vengono autonomamente scanzonati e inseriti dentro a un programma, e ottengono un conteggio da una società di nome Cerved.

A fronte di questo, se si vuole preparare il terreno in precedenza, per farlo, bisogna avere:

  • Bilancio in tempo reale
  • Pianificazione fiscale
  • Abbattimento dell’F24

Ma bisogna anche avere degli asset patrimoniali e dei dati buoni.

Un altro elemento è quello della Società Benefit, che aumenta il rating di legalità.

 

Queste, sono tutte azioni di consulenza poste in essere dal nostro Team di commercialisti e avvocati, volte ad aumentare il rating bancario, e a consentire alle società di avere maggiori probabilità di ottenere dei finanziamenti leasing dal sistema bancario.

 

Chiedici una consulenza per:

  • Analizzare i dati del tuo bilancio
  • Riclassificare il bilancio e renderlo più leggibile
  • Valutare un’operazione straordinaria
  • Conferirci incarico nello scouting e cercare aziende da acquisire attraverso acquisti di quote, conferimenti, scissioni e fusioni.

Il diritto di recesso del socio: fondamento, disciplina ed effetti

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Premessa normativa

Il recesso è il mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali apportati alle pattuizioni originarie dell’atto costitutivo.
L’articolo 2473 c.c. recita: “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma.”
Le cause di recesso
La nuova disciplina del recesso distingue tra due diversi ordini di cause di recesso:
• cause di recesso legali;
• cause di recesso statutarie.
Le cause di recesso legali possono essere classificate in due tipi:
• derogabili;
• inderogabili

Cause di recesso legali inderogabili

Le cause di recesso legali inderogabili, cioè non eliminabili per clausola statutaria, stante la sanzione di nullità dei patti diretti ad escluderle o renderne più gravoso l’esercizio ai soci, sono tassativamente previste (art. 2437, commi 1 e 5, c.c.).
Modifica della clausola dell’oggetto sociale se consente cambiamento significativo attività sociale
Il cambiamento dell’oggetto sociale costituisce il primo dei casi di recesso legale inderogabile. Si tratta di una causa di recesso già prevista dal regime ante riforma, ora meglio qualificata dall’utilizzo dell’aggettivo “significativo” (art. 2437, comma 1, lett. a, c.c.). Vale a dire che, per essere rilevante agli effetti del recesso, l’oggetto sociale originario deve essere sostituito da uno nuovo del tutto diverso, tale da modificare radicalmente le condizioni di rischio in presenza delle quali l’azionista aveva aderito alla società, ad esempio cessione di azienda o di un ramo d’azienda.
In ogni caso il diritto di recesso sorge a seguito di una formale delibera di modifica dell’oggetto sociale, ancorché la modifica sia deliberata e non attuata; mentre non è sufficiente il cambiamento di fatto cui potrà porsi rimedio con le ordinarie azioni di responsabilità contro gli amministratori.
Le modificazioni secondarie, come ampliamento o restrizione degli originali settori di intervento sono ininfluenti, salvo siano tanto rilevanti da preludere ad un mutamento dell’oggetto.

Società a tempo indeterminato
Se la società è a tempo indeterminato (e non è quotata) il socio può recedere in qualsiasi momento (ad nutum) dando un preavviso di 180 giorni che può essere prolungato sino ad un anno dall’atto costitutivo. In pratica la previsione, per legge inderogabile, del diritto di recesso (non collegato ad alcuna specifica delibera e senza alcuna apprezzabile ragione) elimina la possibilità di costituire una società a tempo indeterminato, che darebbe luogo ad uscite indiscriminate e ad una continua minaccia per l’integrità del patrimonio aziendale (art. 2437, comma 3, c.c.).

Trasformazione della società
La trasformazione comprende, oltre a tutti i tipi di società lucrative, anche il passaggio da società di capitali in società cooperative, ecc. In passato il passaggio da società lucrativa in società cooperativa, comportando la diversità della causa del contratto sociale, pareva ammesso solo con il consenso unanime di tutti i soci, mentre oggi è possibile la trasformazione deliberata con una maggioranza qualificata, oltre il consenso dei soci che assumono una responsabilità illimitata (art. 2500, comma 2-septies, c.c.)
Trasferimento della sede sociale all’estero
La fattispecie giustifica il recesso in considerazione dell’assoggettamento ad un diverso regime giuridico (art. 2437, comma 1, lett. c, c.c.).
Revoca dello stato di liquidazione
È una causa di recesso giustificata dalla decisione di eliminare la causa di scioglimento riportando la società nella situazione anteriore (art. 2437, comma 1, lett. d, c.c.).
Introduzione o soppressione nello statuto di clausole compromissorie
Limitatamente alle società chiuse, cioè alle società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, l’atto costitutivo può comprendere clausole compromissorie, cioè clausole dirette a devolvere ad arbitri la decisione di controversie (art. 34, D.Lgs. n. 5/2003). In tal ipotesi la loro introduzione o soppressione attribuisce ai soci il diritto di recesso.

Esclusione dalla quotazione

Nelle società quotate la delibera che comporta esclusione dalla quotazione, attribuisce ai soci che non hanno concorso alla deliberazione il diritto di recesso (art. 2437-quinquies c.c.)
Delibere relative all’eliminazione di clausole di proroga e su vincoli alla circolazione delle azioni e di clausole previste dallo statuto
Hanno diritto di recesso i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti l’eliminazione, anche di una sola, delle seguenti cause che a loro volta legittimano il recesso (art. 2437, comma 1, lett. e, c.c.). Si tratta di cause di recesso legali (ma derogabili) o convenzionali:
• clausole di proroga dei termini di durata della società;
• clausole che introducono o rimuovono vincoli alla circolazione delle azioni (ad esempio clausole di gradimento, clausole di prelazione, diritti di riscatto);
• altre clausole di recesso convenzionali, cioè previste dall’autonomia statutaria e non dalla legge

Modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso

Si tratta di mutamenti dei criteri della liquidazione della partecipazione in caso di recesso che comportano un’alterazione (sia in aumento che in diminuzione) del “costo” della partecipazione del socio recedente a carico della società (art. 2437, comma 1, lett. f, c.c.).
In buona sostanza la legge consente di modificare diritti acquisiti dai soci (alla liquidazione della partecipazione secondo certi criteri), senza il consenso di tutti gli interessati, ma con una maggioranza qualificata e concedendo, a chi non è d’accordo, di uscire dalla società usufruendo delle condizioni di recesso originariamente previste.
Modifica delle clausole relative al diritto di voto o di partecipazione
Lo statuto può disporre che certe categorie di azioni siano prive del diritto di voto ovvero siano a voto limitato (art. 2351 c.c.). Ogni introduzione ex novo o modifica di simili clausole attribuisce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso alle relative delibere (art. 2437, comma 1, lett. g, c.c.).
Egualmente dà diritto al recesso l’introduzione di clausole che influenzano i diritti di partecipazione e, quindi, innanzitutto la partecipazione agli utili.

Revisione di stima
Se risulta che il valore dei conferimenti diversi dal denaro è inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, il socio conferente ha facoltà di recedere dalla società (art. 2343, comma 4, c.c.)

Recesso nei gruppi di società

Ogni socio ha diritto di recedere quando siano modificate le condizioni, originariamente previste, della società cui partecipa in conseguenza di decisioni della società controllante o dal comportamento dei suoi amministratori (art. 2497-quater c.c.)
Clausole di limitazione alla circolazione delle azioni
Ai sensi dell’art. 2355-bis, commi 2 e 3, c.c., le clausole statutarie che condizionano il trasferimento inter vivos delle azioni nominative al mero gradimento (cioè immotivato ed insindacabile) di organi sociali o altri soci devono prevedere, a pena di inefficacia, il diritto di recesso dell’alienante (ovvero, in alternativa, un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci con l’avvertenza che opera sempre il limite all’acquisto di azioni proprie da parte della società ex art. 2357 c.c.).
Le stesse esigenze che giustificano un controllo sulla circolazione delle azioni per atto tra vivi, sussistono anche rispetto alla successione mortis causa.
Clausole di recesso statutarie
La norma concede all’autonomia statutaria di influenzare notevolmente il diritto di recesso, sia escludendone l’operatività che prevedendo ulteriori cause di recesso per le società c.d. chiuse (cioè le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), nelle quali è meno agevole (rispetto alle società quotate) cedere la partecipazione ed uscire dalla società (art. 2347, comma 4, c.c.). Tuttavia, le delibere che sopprimono cause di recesso convenzionali, attribuiscono un diritto di recesso inderogabile ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni (art. 2437, comma 1, lett. e, c.c.).

Esercizio del diritto di recesso

La legge riconosce il diritto di recesso a tutti i soci che non hanno concorso alle delibere di cui all’art. 2347 c.c., vale a dire ai soci, comunque non consenzienti (direttamente o indirettamente) e cioè: contrari, assenti, astenuti. Vale a dire che, agli effetti della legittimazione ad esercitare il recesso, conta non tanto la manifestazione contraria alla deliberazione, quanto piuttosto la circostanza negativa della mancata adesione alle deliberazioni stesse.

Recesso parziale

La legge ammette espressamente la possibilità di un recesso parziale, relativo cioè solo ad alcune delle azioni possedute dal socio.
l recesso parziale dipende ed è connesso all’ammissibilità introdotta dalla riforma societaria del 2003 del voto divergente, vale a dire del voto espresso, per la stessa delibera, con alcune azioni a favore e con altre contro.
Trasferimento delle azioni
Il diritto di recesso non spetta al nuovo socio che acquista le azioni successivamente alla data della delibera (art. 2437-bis, comma 2, c.c.).
La legge dispone espressamente che le azioni per le quali è esercitato il recesso siano incedibili e debbano essere depositate presso la sede sociale. Ne consegue che il diritto di recesso può spettare esclusivamente al titolare delle azioni alla data della delibera.
Qualora, a seguito della comunicazione di recesso, il socio alienasse le azioni ed omettesse il deposito delle stesse presso la sede sociale, tale comportamento potrebbe essere considerato come una revoca tacita della dichiarazione di recesso.

Termini e modalità del recesso

La legge detta una analitica regolamentazione delle modalità e dei termini per l’esercizio del recesso (art. 2347-bis c.c.).
Si tratta di norme inderogabili, salvo per le società non quotate a tempo indeterminato per le quali lo statuto può prevedere un termine di preavviso maggiore a quello legale di 180 giorni, ma comunque non superiore ad un anno (art. 2347, comma 3, c.c.).
Il recesso deve essere esercitato mediante lettera raccomandata che va spedita entro 15 giorni dall’iscrizione della delibera che lo legittima nel registro delle imprese con l’indicazione:
• delle generalità del socio recedente,
• del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento,
• del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato (giacché è ammesso il recesso parziale).
Le azioni per le quali è esercitato il recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale.
Per le cause di recesso convenzionali e collegate a fatti diversi da una delibera, il recesso deve essere esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio (art. 2437-bis, comma 1, c.c.). In tal caso è assai incerto il termine a quo di decorrenza per l’esercizio del diritto di recesso, ed è facile prevedere che la questione sarà causa di un numeroso contenzioso tra soci e società. È, quindi, opportuno che lo statuto precisi quale sia il momento di decorrenza per l’esercizio del recesso.
In tutti i casi la dichiarazione di recesso non comporta, di per sé, la cessazione del rapporto sociale, anzi per impedire l’uscita del socio la riforma prevede che il recesso sia inefficace se la delibera che lo ha legittimato è revocata ovvero se è deliberato lo scioglimento della società

Cessazione dello stato di socio

La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali (partecipazione alle assemblee, voto, impugnativa, ecc.), ma in contropartita attribuisce al recedente il conseguente diritto di credito al rimborso della partecipazione.
La legge, anche a protezione del patrimonio sociale, prevede espressamente che se la causa di recesso è collegata ad una delibera, il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato è inefficace se entro 90 giorni la società revoca la delibera che vi ha dato luogo (ovvero delibera lo scioglimento). Vale a dire che la dichiarazione di recesso non comporta immediatamente la cessazione del rapporto sociale, ma il recedente resta socio dando alla società la possibilità di paralizzare l’intento del socio revocando la delibera.
Invalidità della delibera che ha causato il recesso
La legge non detta una specifica disciplina per l’ipotesi di invalidità (nullità o annullamento) della delibera che ha generato la dichiarazione di recesso.
Orbene nel caso di nullità può ritenersi che, in ragione dell’inefficacia originaria (ex tunc) della delibera, la sentenza che ne accerta la nullità comporta l’ inefficacia della dichiarazione di recesso.
Tanto dovrebbe valere anche nel caso di sentenza di annullamento della delibera stante la sua efficacia retroattiva che ha effetto per tutti i soci.

Recesso ad nutum e recesso collegato a fatti diversi da una delibera

A differenza dell’ipotesi ordinaria del recesso legittimato da una delibera, il recesso senza causa (ad nutum) e quello collegato a fatti diversi da una delibera, non consente certo alla società di impedirlo ricorrendo al rimedio della revoca della delibera, ma può essere paralizzato solo ricorrendo allo scioglimento (art. 2437-bis, commi 1 e 3, c.c.).
In questi casi la protezione del patrimonio sociale resta affidata solo all’acquisto da parte di altri soci o di terzi delle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, commi 1, 2, 3 e 4, c.c.).
Purtuttavia anche in queste ipotesi pare certo che dalla dichiarazione di recesso non derivi l’immediata cessazione dello stato di socio, ma una situazione di aspettativa decorsa la quale nasce il diritto all’estromissione dalla società ed il conseguente diritto di credito al rimborso delle azioni.

Revocabilità del recesso

Dibattuta è la questione se il socio possa revocare (o solo modificare, ad esempio riducendo il numero delle azioni per le quali esercita il recesso) la dichiarazione di recesso.
L’orientamento espresso dai primi commentatori della riforma societaria del 2003 era nel senso di ammettere la revoca sino a quando la società non avesse liquidato le azioni; per altri la revoca del recesso è possibile sino al termine fissato per la spedizione della dichiarazione (15 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese).
Pare, tuttavia, preferibile la tesi che, pur riconoscendo l’efficacia differita e non immediata del recesso, in ragione della sua natura di negozio unilaterale recettizio, ne esclude la revocabilità dal momento in cui la società partecipata ne sia venuta a conoscenza.
Liquidazione della partecipazione a seguito del recesso
Di regola il recesso comporta il rimborso al socio delle azioni, con la conseguenza che la società, per evitare il depauperamento del patrimonio sociale, evita, di fatto, di adeguare lo statuto alle mutate esigenze dell’impresa. Orbene, proprio a protezione dell’integrità del patrimonio sociale, la legge prevede determinati rimedi sia per paralizzare il recesso, sia per impedire l’impoverimento del patrimonio sociale e precisamente:
• inefficacia del recesso qualora la società revochi la delibera che ha dato causa al recesso (art. 2437-bis, comma 3, c.c.);
• offerta in opzione delle azioni del recedente ad altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute ovvero, in concorso con i soci, ai possessori di obbligazioni convertibili in base al rap- porto di cambio, con prelazione per l’acquisto delle azioni non optate (art. 2437-quater, commi 1, 2 e 3, c.c.). L’offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione. Per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell’offerta. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni che siano rimaste non optate;
• collocamento presso terzi ad opera degli amministratori delle azioni non optate e non acquistate dai soci (art. 2437-quater, comma 4, c.c.);
Se risultano inefficaci tutti suddetti rimedi, entro 180 giorni dalla comunicazione del recesso la società dovrà necessariamente fare ricorso al patrimonio sociale e rimborsare il socio recedente con utili e riserve disponibili. In mancanza dovrà essere convocata l’assemblea straordinaria e deliberata la riduzione del capitale sociale per liberare risorse da destinare al rimborso delle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, comma 5, modificato ex art. 5, D.Lgs. 06/02/2004, n. 37). Extrema ratio, se non è possibile ridurre il capitale sociale dovrà essere deliberato lo scioglimento della società (art. 2437-quater, commi 6 e 7, c.c.).
Criteri di liquidazione
Ai sensi dell’art. 2437-ter c.c., competenti a determinare il valore delle azioni sono gli amministratori, sentito il parere dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti.
Gli amministratori devono tener conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni.
In alternativa ai criteri dettati dalla legge lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, tuttavia indicando espressamente gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione (art. 2437-ter, comma 4, c.c.). Per le società quotate il valore di liquidazione è determinato facendo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso.
Per le ipotesi in cui il recesso sia causato non da una delibera ma da un evento (ad esempio cessazione dalla carica degli amministratori, art. 2347-bis, comma 1, c.c.) il semestre decorre dall’avvenimento che ha provocato il recesso.
Ogni socio ha diritto di conoscere la determinazione del valore delle azioni nei quindici giorni precedenti la data fissata per l’assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese.
In caso di contestazione, da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso, il valore della liquidazione è determinato entro novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; per le modalità di svolgimento dell’incarico si applica l’art. 1349, comma 1, c.c.

L’opposizione alla registrazione del marchio: come tutelarsi?

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Man holding metallic registered trademark symbol. Concept image for illustration of intellectual property or protection of products or services.

L’opposizione alla registrazione del marchio:
come tutelarsi?

Introduzione

Nel presente contributo ci si soffermerà sul tema dell’opposizione alla registrazione del marchio ai sensi dell’art. 12.1 lett. d) ed e) Codice della Proprietà Industriale quando la stessa è ingiusta, illegittima, pretestuosa, temeraria e merita di essere rigettata.
Innanzitutto, le ragioni in fatto ed in diritto che possono essere addotte sono così riassumibili.
Il preuso, la anteriorità e la continuità soggettiva.
In primo luogo, è bene evidenziare se per un marchio di “fatto”, dopo essere stato usato continuativamente sin da una certa data, è stata presentata domanda di registrazione, laddove l’opponente di aver provveduto alla registrazione soltanto in una data successiva. Vi è indubbiamente continuità soggettiva tra le due società.
Il periodo di preuso è risultante dai fatti così come realmente succedutisi nel tempo e si pone in coerenza ed in linea con l’orientamento giurisprudenziale che impone la continuità soggettiva tra le società. Per la giurisprudenza (C ass. n. 9889/2016), infatti, una prova concreta potrebbe essere un conferimento di azienda oppure la presenza degli stessi soci che hanno gestito le due aziende. Questo dimostrerebbe che il preuso è riferibile al medesimo soggetto.
Nel caso in esame sottoposto ad analisi, la ditta era individuale ed è intimamente e soggettivamente connessa all’attività esercitata dall’esponente.

Assenza di rischio di confondibilita’ e mancanza di similitudine grafica

Vi è da dire, inoltre, che per la copiosa giurisprudenza in materia di marchio notorio, la notorietà del marchio rende rigorosissima la valutazione del giudice circa la verosimiglianza tra logotipi; per tale ragione, non vi è, nel caso a noi sottoposto, neanche astrattamente e potenzialmente, il rischio di confusione perché mancano la verosimiglianza e l’elevata similitudine per tipologia e classi.
Non vi è, peraltro – circostanza non di secondo ordine – alcuna similitudine grafica che lasci presagire un rischio anche soltanto potenziale di confondibilità.

Criteri di apprezzamento del giudizio di confondibilità fra marchi d’impresa

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti – apprezzamento che costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici – non deve essere compiuto in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro; il predetto giudizio deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore – (Cassazione civile sez. I, 13/12/2021, n.39764).
La valutazione sul rischio confusorio tra marchi simili deve essere compiuta in via globale e sintetica analitica, non in via analitica.

L’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro – Cassazione civile sez. I, 29/11/2021, n.37355 -.

Tutela rafforzata accordata dal Codice della Proprietà Industriale al marchio rinomato

La tutela rafforzata accordata dal Codice della proprietà industriale al marchio rinomato comporta, oltre alla sua applicazione in caso di prodotti merceologici non affini, anche che si debba prescindere dall’accertamento di un rischio di confusione tra i segni, essendo sufficiente che il pubblico interessato in concreto possa cogliere l’esistenza di un nesso, ossia di un grado di similarità, tra il marchio notorio e quello successivo. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva respinto la domanda avanzata da una rinomata griffe di alta moda, di nullità di un marchio successivo similare, soltanto perché non era ravvisabile il rischio di indurre in errore il consumatore medio dei prodotti di quella casa -Cassazione civile sez. I, 07/10/2021, n. 27217 -.

Operazioni straordinarie: definizione, presupposti e modalità operative. Trasformazione, fusione e scissione

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Le operazioni societarie straordinarie: che cosa si intende?

Con il presente contributo si intende offrire uno strumento d’azione alle imprese.

Detto strumento d’azione è rappresentato dalle cc.dd. operazioni straordinarie.

Commercialista.it e la partner neonata Roberto Pusceddu & Partners Law Firm Sta offrono alle proprie assistite dei meccanismi finalizzati a soddisfare le esigenze specifiche manifestate dalle aziende che hanno sottoposto all’attenzione dello scrivente problematiche che attengono le fasi dinamiche di vita delle imprese

Le operazioni straordinarie, in particolare, quelle consistenti nella trasformazione, fusione e scissione, costituiscono dei momenti fondamentali della vita di una società: infatti, nel corso della sua esistenza, ogni impresa può avvertire il bisogno di modificarsi e adeguarsi al variare della situazione economica, mutando di fatto il suo assetto giuridico o patrimoniale.

Quanti tipi di trasformazione societaria sono previsti dal codice civile?

Si ha trasformazione di una società qualora la stessa, durante la sua vita, assuma un tipo di organizzazione sociale diverso da quello originario di cui all’atto di costituzione. Il codice civile contempla due tipi di trasformazione: — trasformazione omogenea, in relazione a quelle vicende modificative che vedono la trasformazione di società commerciali di persone (società in nome collettivo o in accomandita semplice) in società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata) o, viceversa, la trasformazione di una società di capitali in una società di persone. Si qualifica come trasformazione omogenea anche quella da un tipo di società di persone ad un altro appartenente alla stessa categoria o da un tipo di società di capitali ad un altro; — trasformazione eterogenea, quando c’è una variazione di una società di capitali in enti di tipo diverso (come società cooperative, società consortili, consorzi, comunioni d’azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni) o, viceversa, la trasformazione di tali enti, ad eccezione delle sole associazioni non riconosciute, in società di capitali.

Che cosa accade con la trasformazione? Principio di continuità dei rapporti giuridici

L’articolo 2498 c.c. sancisce che con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione.

Ciò significa che la trasformazione non comporta l’estinzione della società preesistente e la nascita di una nuova società, bensì la continuazione della vecchia società in una rinnovata veste giuridica: la società trasformata, anche se diversamente organizzata, non perde la sua identità e conserva i diritti e obblighi anteriori alla trasformazione.

La delibera di trasformazione, in quanto comporta la continuità dei rapporti giuridici, ha natura modificativa e non novativo-successoria.

La fusione: in che cosa consiste e in quali modi può essere realizzata?

A norma dell’articolo 2501 c.c. la fusione di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre.

Nel primo caso si parla di fusione propria, che si realizza con la nascita di un nuovo ente che sostituisce tutte le società che si fondono; in concreto, le società preesistenti si estinguono, vengono meno come entità autonome, anche se ciò non comporta la definizione dei loro rapporti giuridici, anche processuali, che proseguono in capo alla società risultante dalla fusione.

Nel secondo caso si parla di fusione per incorporazione in cui una delle società partecipanti (incorporante) sopravvive ed ingloba tutte le altre, che si estinguono (incorporate). I soci di queste ultime ricevono, in sostituzione della partecipazione detenuta, secondo il rapporto di cambio, le azioni o quote della società incorporante: ciò non avviene quando la società incorporante possiede la totalità delle partecipazioni dell’incorporata (cd. fusione impropria).

La fusione può aver luogo sia tra società dello stesso tipo (fusione omogenea), sia atra società di tipo diverso (fusione eterogenea), sia fra società ed enti non societari nei limiti della disciplina della trasformazione omogenea.

La fusione per incorporazione si realizza attraverso un procedimento complesso e articolato che, per semplificazione espositiva, possiamo schematizzare in tre fasi:

  1. redazione del progetto di fusione;
  2. approvazione del progetto di fusione;
  3. stipula dell’atto di fusione per incorporazione.

Il procedimento, inoltre, è arricchito da una serie di adempimenti pubblicitari, aventi lo scopo di tutelare i diritti dei terzi. In alcuni casi il legislatore consente di fare ricorso ad una procedura semplificata rispetto a quella ordinaria.

La fusione è uno strumento di unione tra imprese societarie che consente di fortificarne l’immagine sul mercato incrementandone la presa sul pubblico dei risparmiatori.

Essa di solito interviene:

— tra società di grandi dimensioni, allo scopo di escludere la concorrenza e dare vita ad una sola impresa a carattere monopolistico, ovvero al fine di riorganizzare e sistemare le strutture interne del gruppo;

— tra società di piccole e medie dimensioni, per far fronte alla concorrenza delle grandi imprese.

La fusione è un istituto che dà luogo ad una concentrazione giuridica e non solo economica.

Con essa, infatti, ad una pluralità di società se ne sostituisce una sola: la società incorporante o la nuova società che risulta dalla fusione. La fusione, quindi, determina la riduzione ad unità dei patrimoni delle singole società la confluenza dei rispettivi soci in un’unica struttura organizzativa che continua l’attività di tutte le società preesistenti, mentre queste ultime si estinguono senza che ciò comporti alcuna definizione dei rapporti con i terzi e tra i soci.

Scissione: nozione e forme

L’operazione di scissione si caratterizza per la scomposizione del patrimonio di una società, che viene attribuito, in tutto o in parte, ad altre società, preesistenti o nuove (società beneficiarie), e per l’attribuzione ai soci della società originaria di azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale.

Sono specificamente disciplinate le possibili forme dell’operazione:

  1. la scissione può innanzitutto essere totalein tale ipotesi la società originaria (che si estingue) assegna tutto il suo patrimonio ad almeno due altre società, sicché i soci della società originaria cessano di essere tali per divenire soci delle società assegnatarie;
  2. nella scissione parziale, invece, la società originaria (che perdura) assegna parte del suo patrimonio ad una o più altre società, sicché i soci della società originaria rimangono tali pur divenendo anche soci di una o più delle società beneficiarie.

Sia nella scissione totale che in quella parziale le società beneficiarie possono essere preesistenti alla scissione, ed in tal caso si parlerà di «scissione per incorporazione», oppure possono essere di nuova costituzione, ed in tal caso si parlerà di «scissione in senso stretto».

Quanto all’ambito di applicazione dell’istituto della scissione, come in caso di fusione, non possono sicuramente partecipare ad operazioni di scissione le società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo (art. 2506, comma 4, c.c.). Inoltre, l’art. 2506 c.c., che disciplina le forme di scissione, prevede la possibilità di un conguaglio in danaro, purché non superiore il 10% del valore nominale delle azioni o quote attribuite.

Infine, la società scissa può, con la scissione, attuare il proprio scioglimento senza liquidazione, oppure continuare la propria attività.

Procedimento di scissione 

Il procedimento di scissione è simile a quello dettato per la fusione.

Gli amministratori delle società partecipanti alla scissione devono redigere un progetto di scissione, da sottoporre all’approvazione delle assemblee delle società medesime (art. 2506bis c.c.).

Il progetto di scissione deve essere iscritto nel registro delle imprese dei luoghi ove hanno sede le società partecipanti oppure pubblicato sul sito internet della società.

Gli amministratori di ciascuna società partecipante devono, altresì, predisporre un’apposita situazione patrimoniale, redatta secondo le regole dettate per il bilancio di esercizio e riferita ad una data non anteriore ai centoventi giorni rispetto a quella del deposito nella sede sociale del progetto di scissione.

Tale situazione patrimoniale, peraltro, potrà anche essere sostituita dall’ultimo bilancio di esercizio, se questo è stato chiuso non oltre sei mesi prima.

Decorrenza degli effetti 

Gli effetti della scissione decorrono dall’ultima delle iscrizioni dell’atto di scissione nell’ufficio del registro delle imprese territorialmente competente in relazione alle società beneficiarie.

A partire dal momento in cui la scissione sortisce effetto (verso i terzi) ciascuna delle società beneficiarie assume i diritti e risponde degli obblighi della società scissa in conformità all’atto di scissione.

Dopo tutte le iscrizioni dell’atto di scissione nel registro delle imprese delle sedi delle società partecipanti, non può più essere pronunciata l’invalidità di esso: nessun vizio dell’atto medesimo, né delle deliberazioni assembleari che l’hanno preceduto, potrà più essere eccepito e resterà solo aperta la possibilità di agire per il risarcimento dei danni ove ne ricorrano gli estremi (art. 2504quater c.c., richiamato dall’art. 2506ter c.c.).

Come sono tutelati i creditori sociali nelle operazioni di scissione?

La scissione è potenzialmente più rischiosa della fusione per i creditori delle società partecipanti, perché, in conseguenza dello smembramento della società loro debitrice, essi si vedono ridotta la garanzia patrimoniale su cui originariamente potevano fare affidamento. È per questo che l’art. 2506quater c.c. prevede che ogni società nata dalla scissione sia solidalmente responsabile per i debiti relativi alla società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa trasferito o rimasto.

In pratica, il creditore deve rivolgersi alla società beneficiaria cui il credito/debito sia stato trasferito e, se questa risulti inadempiente, può rivolgersi alle altre beneficiarie (ed anche alla società scissa, nella scissione parziale) nel limite del valore effettivo del patrimonio netto trasferito (o rimasto in capo alla società scissa).

Conclusioni

È d’obbligo rilevare che non vi è alcuna intenzione di dare un contributo risolutivo e tecnicamente spendibile nelle sedi giudiziarie. Si tratta, infatti, di un mero accenno a questioni, come quella poc’anzi trattata, che si reputano, fra diverse e molteplici indagabili, ‘giuridicamente’ rilevanti.

Per tali ragioni, ci si rivolga alle imprese per valutare la propria posizione e prospettare eventuali azioni o comportamenti da porre in essere a tutela della propria persona e della propria sfera giuridico-patrimoniale che potrebbe già essere gravemente compromessa da vicende societarie in cui le stesse potrebbero essere coinvolte.

Alla prossima!

Quartu Sant’Elena, 19 ottobre 2023

Nasce l’associazione a tutela della sardità

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tutela sarda

Abbiamo costituito un’associazione a tutela della sardità, che ha come obbiettivo quello di combattere la contraffazione dei prodotti sardi, tutelare la nostra terra e donare ai coltivatori e produttori sardi una famiglia che tuteli ogni giorno il loro lavoro autentico.

Abbiamo avuto tante esperienze di prodotti raffiguranti il marchio della Sardegna, ma poi abbiamo visto essere prodotti in altri paesi, anche extraeuropei, come ad esempio i tovaglioli acquistati al Poetto di Quartu Sant’ Elena.

Quando ci sono in commercio dei prodotti che si avvalgono del marchio della Sardegna, ma tuttavia non sono fatti con materiali sardi, la Sardegna subisce un danno, e questo perché se qualcuno vuole utilizzare il marchio sardo, anche se stilizzato, deve averne la concessione d’uso.

I consumatori di prodotti sardi, vengono potenzialmente ingannati ogni giorno, così come il popolo sardo, deve poter trarre dei benefit dalla concessione del logo dei quattro mori.

Cosa prevede l’adesione?

Aderire come azienda o persona fisica all’associazione, significa aiutarci a tutelare e supportare la giusta produzione dei prodotti sardi, che rispettino le procedure e gli usi e costumi della Sardegna.

Ma l’adesione prevede anche alcuni requisiti, tra cui: è necessario che ci sia la produzione delle materie prime e dei prodotti all’interno della ragione Sardegna con una filiera tracciabile, rispettare il codice etico e lo statuto, rispettare un versamento annuale e partecipare ad aventi e degustazioni organizzate dall’associazione.

 

Aiutaci a combattere la contraffazione dei prodotti sardi e la concorrenza sleale, tutela la sardità!

Petizione per la tutela dei soggetti in condizioni di inesigibilità rispetto al debito esattoriale

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Tutte le normative che abbiamo vissuto in questi anni, sull’indebitamento, la tutela delle piccole imprese individuali e molte altre, erano tutte interessanti e con un alto potenziale aggiunto, ma non le vedevamo poi finanziate in modo adeguato dallo stato.

Questo perché per poter avere accesso a quel percorso, dovevi avere una copertura finanziaria dalla cassa deposito e prestiti, ma non c’era copertura finanziaria, perciò era un bluff.

Tanté che lo stesso direttore nazionale dell’Agenzia delle Entrate, Rufini, che è molto ingamba, più volte ha riconosciuto che il miliardo e due/tre di crediti vantati dall’AE attraverso l’esattoria, non sono esigibili per almeno sei o settecento milioni di euro.

Questo è il quadro.

A latere di questo, la legge di bilancio per il 2023, contiene una scintilla di diritto importantissima, perché il legislatore, per andare a disciplinare un rapporto critico tra ente di accertamento che vanta il credito (AE) ed ente di riscossione (l’esattoria, ex Equitalia e attualmente Agenzia delle Entrate e riscossione) ha normato, e poi è accaduto che nel disciplinare del rapporto tra questi due soggetti, sintetizzando: conferendo incarico alla ex Equitalia Agenzia delle Entrate – Riscossione, di verificare all’interno del parco crediti, quei crediti che fossero totalmente inesigibili e di proporli all’ente di accertamento (AE), per la cancellazione, indicando anche dei criteri di massima. Il credito di massima è che lì dove il debito fosse inferiore al cinque percento del patrimonio dell’indebitato, potesse verificare su sua discrezione alla cancellazione.

Poiché noi siamo però nel paese Italia, e c’è un Diritto sovrano a tutela del cittadino, a me non interessa nulla che si sono gestiti i loro comodi tra Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate e Riscossione, puoi riconoscere che ho il diritto alla cancellazione del debito? Se si, allora, tu, Agenzia delle Entrate e Riscossione, fai il tuo lavoro e lo cancelli.

Ma non solo, all’interno di questo, devi verificare anche l’elemento della indisponibilità, perché siamo nel paese Italia, perché ci sono una moltitudine di famiglie che hanno dei debiti nei confronti di questo sistema, e non possono pagarli, perché per pagarli: il patrimonio è composto dagli immobili, ma io per comprare quell’immobile ho stipulato un contratto di mutuo; l’abitudine delle banche è quella di iscrivere ipoteca, e quindi se chiedi centomila euro, la banca di ipoteca ti chiede il doppio o il triplo. Se ho settantamila euro di debiti con l’esattoria, come faccio a vendere un immobile e pagarli? Non posso venderlo l’immobile, oggettivamente non sono nelle condizioni per poterlo fare! Perché chi compra un immobile con centomila euro di ipoteca?

Ma questa è anche una situazione non compromessa; mettetevi nei panni dei soggetti padri di famiglia, ex imprenditori, ecc, che sono falliti perché magari non hanno operato bene, o magari perché hanno subito a loro volta un mancato incasso dai loro clienti. Ma come fa la sinistra a parlare di elusori ed evasori? Ma io non posso avere il diritto di sbagliare? Non posso avere diritto di essere truffato? Oggi è un attimo sbagliare, è un attimo andare lunghi con l’INPS o con l’Agenzia delle Entrate, è un attimo verificare che non posso vendere l’immobile, non puoi riempirmi di cartelle esattoriali, le devi invece cancellare.

Perché posso avere il diritto che il debito che tu mi chiedi, dove: se vado lungo con la denuncia dei redditi ricevo più quindici percento di esenzione più gli interessi legali, se vado lungo con l’avviso bonario, più cartella esattoriale, più trenta percento su quindici percento di esenzione, più interessi. Totalone: se passano cinque, sei, sette anni dalla denuncia dei redditi e io non ho pagato, l’esenzione degli interessi sovrastano la quota capitale. 

A fronte di questo, noi che cosa facciamo? Chiediamo che quella scintilla di diritto nella legge di bilancio per il 2023, venga consolidata e ampliata all’interno della legge di bilancio per il 2024, perché il legislatore, a tutela di quei padri di famiglia, deve andare a disciplinare il concetto di patrimonio indisponibile, perché quando ho un’ipoteca che è pari a due o tre volte il valore dell’immobile e del mutuo concesso, e quando ho criticità per cui ti dimostro che non posso disporre quel patrimonio, sei tenuto, entro novanta giorni, a cancellare il debito.

Caso reale

Un padre di famiglia in Sardegna, si è tolto la vita perché non poteva pagare i debiti con questo sistema.

Questa normativa, deve tutelare padri e madri di famiglia, non deve tutelare l’Agenzia delle Entrate.

Firma anche tu la petizione per la tutela dei soggetti in condizioni di inesigibilità rispetto al debito esattoriale

Creatività Verde: Il Garden Designer, l’Architetto del Mondo Naturale

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Nel cuore di un mondo in costante evoluzione tecnologica, emergono figure professionali straordinarie, e tra queste spicca il Garden Designer, l’artefice dei nostri spazi verdi più belli e sorprendenti. Ma, attenzione, non si tratta di un giardiniere, bensì di un creativo genio del verde, una mente che danza tra la botanica, l’architettura e l’ingegneria, dando vita a autentiche opere d’arte naturali.

Il Garden Designer non è solamente un custode della natura, ma un architetto del verde che ha affinato le proprie abilità in una vasta gamma di discipline. La sua formazione è un connubio tra la maestria botanica, la scienza agraria e le conoscenze topografiche. Ma la sua vera magia si compie attraverso il disegno tecnico, l’utilizzo di sofisticati software di progettazione come AutoCAD, l’arte digitale di Photoshop e l’abilità di dar vita a concetti con Illustrator.

Immagina un professionista capace di trasformare ogni spazio esterno in un’opera d’arte vivente. Un alchimista dei colori, un coreografo della natura, un musicista delle piante. Il Garden Designer porta l’armonia tra uomo e natura a un nuovo livello, trasformando giardini, parchi e cortili in luoghi di ispirazione e bellezza senza tempo.

Così, la professione del Garden Designer si erge come una vera e propria sinfonia di competenze, un’esperienza multisensoriale che ci riavvicina alle meraviglie della natura, un’arte che ridefinisce il nostro rapporto con il verde, regalandoci spazi dove la bellezza e la funzionalità si fondono in un abbraccio perfetto.

La legge sui c.d. “imbullonati” (legge n. 208/2015): un’azienda in provincia di Roma se ne sta giovando da 2 anni. Aggiornamento su udienza del 20.9.2023

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Che cosa può essere escluso e incluso dalla stima della rendita catastale? 

(a fine articolo aggiornamento su udienza del 20.9.2023)

Ad Ariccia, un’azienda, che opera nel settore dell’editoria, ha visto prima rigettare la proposta di rendita che teneva conto della nuova disposizione, per poi ottenere il riconoscimento delle proprie ragioni dal giudice tributario (sentenza n. 12070/21 Commissione Tributaria provinciale di Roma, sezione 30). 

“A fine 2018 il cliente aveva depositato, con proprio tecnico, una proposta di variazione della rendita catastale ai sensi dell’art. 1, comma 21 della legge 208/2015 (legge di stabilità 2016)”. A parlarcene è l’avv. Stefano Rossi, legale dell’azienda ricorrente, che aggiunge: “la legge citata stabilisce che gli elementi stabilmente ancorati a terra, quali i macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti funzionali allo specifico processo produttivo, all’interno di immobili a categoria speciale (catastalmente D ed E), devono essere scorporati dalla stima dei calcoli della rendita. Tale scorporo delle componenti impiantistiche dalla superficie utile per il calcolo della rendita catastale comporta una sensibile riduzione della rendita catastale stessa”. Ed è infatti quanto riportato anche in sentenza.

Le variazioni in ambito catastale avvengono con deposito DOCFA, tramite tecnici iscritti agli albi professionali.  “Lo stesso tecnico che curò il deposito a fine 2018 ci ha fornito tutti gli elementi tecnici utili per portare avanti questo contenzioso nei confronti dell’Agenzia del territorio” dichiara sempre l’Avv. Stefano Rossi. 

Ripercorrendo i fatti dal 2018 ad oggi, l’azienda, insieme all’affittuario dell’Immobile, a fine 2019 si vedevano rigettare il DOCFA con la proposta di variazione del 2018. Immediatamente il tecnico depositò un ricorso in autotutela, anch’esso rigettato: l’Agenzia delle entrate non prendeva in considerazione la norma sugli imbullonati del 2015 nell’esame del DOCFA, e quindi ometteva di considerare la consistenza di tutte le componenti ancorate a terra necessarie al ciclo produttivo, da scomputare dalla rendita catastale come previsto dalla legge del 2015.

Rendita su cui – è bene ricordare – vengono calcolate proporzionalmente alcune imposte statali. A quel punto l’azienda si è trovata costretta a ricorrere presso il Giudice tributario ottenendo una significativa vittoria a fine 2021, alla quale però ora l’Agenzia delle Entrate si è opposta in appello: il prossimo 20 settembre, data dell’udienza, se ne saprà di più.

AGGIORNAMENTO: con sentenza 5450/23 del 3.10.2023 è stato rigettato il ricorso in appello dell’Agenza delle Entrate. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del LAZIO Sezione 17, ha sostanzialmente sancito che la  legge 208/2015 è stata correttamente applicata dal tecnico: “Invero la Corte ritiene condivisibile l’iter logico argomentativo del primo Giudice laddove evidenzia che non è stato oggetto di contestazione specifica in primo grado l’effettiva superficie del capannone adibito ad attività tipografica in Ariccia, ma l’applicabilità al caso di specie della legittimità dello scorporo degli impianti ai fini produttivi presenti, e ciò ai fini dell’applicazione dell’art. 1 comma 21 L. n.208/2015. Nè è ammissibile in questa sede estendere il thema decidendum, come vorrebbe l’Agenzia, introducendo un tema nuovo quale un calcolo diverso della superficie, riducendo il valore catastale mai oggetto di contestazione in prime cure.” 

 

 

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