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domenica 19 Gennaio 2025
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IVA sul gas domestico: Come incide sulla bolletta e suggerimenti per risparmiare

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IVA sul gas domestico: Come incide sulla bolletta e suggerimenti per risparmiare

Introduzione

Nel contesto economico attuale, la gestione delle spese domestiche rappresenta una sfida quotidiana per milioni di famiglie. Una delle voci di spesa più significative è senza dubbio quella relativa ai consumi energetici, in particolare il gas domestico. L’IVA applicata sul gas può incidere notevolmente sulla bolletta finale, rendendo ancora più pressante la necessità di adottare strategie efficaci per ottimizzare i consumi e ridurre i costi. In questo articolo, esploreremo come l’IVA incide sulla bolletta del gas e forniremo suggerimenti pratici per alleggerire questo onere, attraverso la comprensione delle dinamiche fiscali e l’adozione di comportamenti mirati al risparmio.

L’Impatto dell’IVA sulla Bolletta del Gas

L’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) applicata al gas domestico è una componente fissa delle bollette energetiche in Italia, influenzando direttamente l’ammontare della spesa sostenuta dalle famiglie. Il tasso di IVA sul gas, definito dalla normativa fiscale vigente, può variare in base a specifici criteri, come il tipo di uso (domestico o aziendale) e, in alcuni casi, il livello di consumo. Dal 1° gennaio 2024 l’IVA applicata alle fatture per le forniture di gas naturale è tornata all’aliquota “ordinaria”, ovvero: 10% per gli usi civili entro i 480 Smc/anno; 22% per tutti i casi restanti.

Suggerimenti per Risparmiare sulla Bolletta del Gas

Per fronteggiare l’incidenza dell’IVA e i relativi costi sulla bolletta del gas, esistono diverse strategie che le famiglie possono adottare per ridurre i consumi e ottimizzare le spese. Ecco alcuni suggerimenti pratici:

  1. Rivisitazione dei Consumi: Analizzare i propri pattern di consumo e identificare eventuali sprechi è il primo passo verso il risparmio. L’utilizzo consapevole del gas, evitando sprechi e ottimizzando l’uso degli apparecchi gasdotto, può fare la differenza.
  2. Manutenzione degli Impianti: Una corretta e regolare manutenzione degli impianti di riscaldamento e degli elettrodomestici a gas contribuisce a mantenere l’efficienza energetica, riducendo i consumi.
  3. Isolamento dell’Abitazione: Migliorare l’isolamento termico della propria abitazione può significare richiedere meno energia per il riscaldamento, con un conseguente risparmio sulla bolletta del gas.
  4. Tariffe e Offerte: Confrontare le tariffe del gas offerte dai diversi fornitori può portare alla scelta di un’offerta più vantaggiosa e adatta alle proprie esigenze di consumo, con tariffe fisse o variabili che possono incidere sul costo finale.
  5. Bonus e Agevolazioni Fiscali: Informarsi su eventuali bonus gas e agevolazioni fiscali disponibili può offrire ulteriori opportunità di risparmio. Il governo e le autorità locali spesso introducono misure di sostegno per le famiglie a basso reddito o per incentivare l’efficienza energetica.

Adottando queste strategie, è possibile non solo ridurre l’importo della bolletta del gas ma anche contribuire alla sostenibilità ambientale attraverso la riduzione dei consumi energetici. La chiave sta nel combinare un approccio consapevole al consumo con la ricerca attiva delle migliori soluzioni di risparmio disponibili sul mercato.

Conclusioni

La gestione oculata delle spese legate al consumo di gas domestico rappresenta un elemento cruciale nel bilancio familiare, specialmente in un periodo caratterizzato da fluttuazioni dei prezzi energetici e da una crescente attenzione verso le tematiche di sostenibilità ambientale. Comprendere l’impatto dell’IVA sulla bolletta del gas e mettere in atto strategie efficaci per ottimizzare i consumi può tradursi in un risparmio tangibile, contribuendo allo stesso tempo alla riduzione dell’impronta ecologica domestica.

L’adozione di un approccio consapevole e informato, insieme all’utilizzo di tecnologie più efficienti e alla scelta di tariffe energetiche vantaggiose, sono passi fondamentali verso un consumo di gas più sostenibile e economico. Inoltre, l’accesso a bonus e incentivi fiscali rappresenta un’ulteriore opportunità per alleggerire il peso delle bollette energetiche sulle famiglie italiane.

In conclusione, affrontare la questione del risparmio energetico richiede un impegno congiunto da parte dei consumatori, dei fornitori di energia e delle istituzioni, mirato a promuovere pratiche di consumo responsabile e a incentivare l’adozione di soluzioni volte alla riduzione dei consumi e al rispetto dell’ambiente. Solo attraverso un approccio collettivo e coordinato sarà possibile affrontare efficacemente le sfide poste dall’incidenza dell’IVA sul gas domestico e dalle esigenze di sostenibilità energetica.

Deducibilità dei pranzi di lavoro: Come fatturare correttamente

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Deducibilità dei pranzi di lavoro: Come fatturare correttamente

Introduzione

Nel dinamico mondo delle imprese e dei liberi professionisti, la gestione ottimale delle spese aziendali è una leva cruciale per massimizzare la redditività e la sostenibilità finanziaria. Tra le varie voci di spesa, i pranzi di lavoro rappresentano un’area particolarmente delicata, situata al confine tra necessità professionale e beneficio personale. In questo contesto, la deducibilità dei pranzi di lavoro emerge come un tema caldo, spesso fonte di dubbi e incertezze. L’obiettivo di questo articolo è fornire una guida chiara e aggiornata su come fatturare correttamente i pranzi di lavoro, assicurandosi di rispettare la normativa fiscale vigente per ottimizzare i vantaggi fiscali senza incappare in sanzioni.

Migliori pratiche per la Fatturazione dei Pranzi di Lavoro

Per navigare con sicurezza nel complesso panorama fiscale e assicurarsi che i pranzi di lavoro siano fatturati correttamente, è essenziale seguire alcune migliori pratiche:

Chiarezza nella Documentazione: Assicurati che ogni fattura o ricevuta relativa ai pranzi di lavoro sia dettagliata e includa tutte le informazioni necessarie per dimostrare la loro inerenza all’attività professionale. Questo include data e ora, luogo, elenco dei partecipanti, e soprattutto la descrizione dell’evento o della trattativa commerciale discussa.

Conservazione dei Documenti: È vitale mantenere un archivio organizzato di tutte le fatture e le ricevute relative ai pranzi di lavoro. La conservazione di questi documenti deve avvenire per un periodo di tempo conforme ai requisiti fiscali, solitamente non inferiore a 5 anni, per poter rispondere a eventuali richieste di verifica da parte delle autorità fiscali.

Utilizzo di Strumenti Digitali: L’adozione di software di gestione contabile e di app dedicate alla registrazione delle spese può semplificare significativamente il processo di documentazione e deduzione dei pranzi di lavoro. Questi strumenti permettono di digitalizzare ricevute e fatture, categorizzare le spese in modo accurato e mantenere un registro dettagliato e facilmente accessibile per eventuali controlli.

Consulenza Professionale: Considera la possibilità di avvalerti del supporto di un commercialista o di un consulente fiscale. Questi professionisti possono offrire una guida preziosa nella gestione delle spese deducibili, aiutandoti a navigare tra le complessità della normativa fiscale e massimizzare i vantaggi fiscali nel rispetto della legge.

Implementando queste migliori pratiche, imprese e liberi professionisti possono gestire efficacemente la deducibilità dei pranzi di lavoro, ottimizzando il loro impatto fiscale e finanziario, pur mantenendo la conformità con le normative vigenti.

 

Casi Particolari e Consigli Pratici

Mentre la normativa fiscale fornisce linee guida generali sulla deducibilità dei pranzi di lavoro, esistono situazioni specifiche che richiedono un’attenzione particolare. Di seguito, alcune considerazioni e consigli pratici per gestire questi casi:

Pranzi con Dipendenti: I pranzi di lavoro che coinvolgono i dipendenti dell’azienda possono essere dedotti se direttamente connessi a incontri di lavoro, formazione o team building. È importante che questi eventi siano documentati adeguatamente, con l’obiettivo di miglioramento professionale o di coesione aziendale ben evidenziato.

Eventi e Conferenze: Le spese per pranzi all’interno di eventi professionali, come conferenze o seminari, sono generalmente deducibili. Tuttavia, è essenziale che la partecipazione all’evento sia inerente all’attività professionale e che i costi siano in linea con i limiti di spesa consentiti.

Pranzi con Clienti e Fornitori: Quando si tratta di pranzi con clienti o fornitori, la deducibilità dipende dalla capacità di dimostrare l’inerenza di questi incontri allo sviluppo e alla cura delle relazioni commerciali. Mantenere un resoconto dettagliato degli argomenti trattati e degli obiettivi dell’incontro può facilitare la deducibilità di queste spese.

Consigli Pratici: Per assicurarsi che i pranzi di lavoro siano deducibili, considera l’adozione di una politica aziendale chiara riguardante le spese per rappresentanza. Questa dovrebbe includere linee guida su come, quando e con chi possono essere effettuati pranzi di lavoro deducibili, oltre ai limiti di spesa consentiti. Educare i dipendenti e i collaboratori su queste politiche è fondamentale per garantire la conformità e ottimizzare i vantaggi fiscali.

Queste indicazioni mirano a fornire una bussola per navigare tra le sfide e le opportunità legate alla deducibilità dei pranzi di lavoro, permettendo alle aziende di sfruttare al meglio questa voce di spesa nel rispetto della normativa fiscale.

Holding e successioni: come ottimizzare il passaggio generazionale del patrimonio immobiliare

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L’ottimizzazione del passaggio generazionale del patrimonio immobiliare rappresenta una delle sfide più complesse e delicate per imprenditori e famiglie.

In un contesto caratterizzato da una tassazione in continua evoluzione e da normative sempre più intricate, le holding immobiliari emergono come strumenti strategici per la pianificazione successoria, offrendo soluzioni efficaci per la tutela e la trasmissione del valore agli eredi.

Questo articolo si propone di esplorare le dinamiche e le opportunità legate all’uso delle holding in ambito successorio, evidenziando come, attraverso una corretta strutturazione e gestione, sia possibile non solo salvaguardare il patrimonio immobiliare da possibili rischi, ma anche ottimizzare il carico fiscale associato al suo trasferimento.

Analizzeremo le ultime tendenze legislative, le sentenze di riferimento e le strategie più efficaci per navigare nel complesso universo delle tasse, del fisco e del risparmio fiscale legati alle successioni immobiliari, fornendo al lettore tutti gli strumenti necessari per prendere decisioni informate e strategiche.

 

L’importanza della pianificazione successoria

La pianificazione successoria rappresenta un elemento chiave nella gestione del patrimonio immobiliare, soprattutto in un’era dove la normativa fiscale e le leggi sulle successioni si complicano costantemente.

Una corretta pianificazione attraverso l’utilizzo di holding immobiliari non solo facilita il passaggio generazionale del patrimonio, ma offre anche notevoli vantaggi fiscali, consentendo una significativa riduzione delle imposte dovute in caso di successione o donazione.

Le holding immobiliari, strutturate adeguatamente, permettono di centralizzare la gestione degli immobili, ottimizzare i flussi finanziari e proteggere il patrimonio da eventuali rischi legali o commerciali.

Inoltre, la possibilità di detenere e gestire i beni immobiliari attraverso una società consente di applicare strategie di ammortamento e di deduzione fiscale non direttamente accessibili alle persone fisiche, oltre a facilitare la divisione del patrimonio tra gli eredi, evitando le complessità e i conflitti che spesso emergono nelle successioni tradizionali.

Gli aspetti legali e fiscali delle holding immobiliari

Per comprendere appieno i benefici delle holding immobiliari in ambito di successioni, è fondamentale analizzare gli aspetti legali e fiscali che regolano queste entità.

Le holding immobiliari operano in un quadro normativo specifico, che varia a seconda della giurisdizione di riferimento, ma che generalmente prevede agevolazioni fiscali per la trasmissione di beni immobili all’interno del gruppo societario.

In Italia, ad esempio, l’imposta di successione sui beni immobiliari trasferiti attraverso holding è notevolmente ridotta rispetto al trasferimento diretto agli eredi.

Questo avviene perché la valutazione dei beni avviene sulla base del valore delle quote della società e non del valore immobiliare di mercato, spesso molto più elevato.

Ulteriori benefici si riscontrano nella possibilità di sfruttare le convenzioni contro le doppie imposizioni firmate dall’Italia, che possono ridurre o eliminare le imposte sui redditi prodotti all’estero dagli immobili detenuti dalla holding.

È inoltre importante sottolineare l’effetto delle recenti riforme fiscali e delle sentenze della Corte di Cassazione, che hanno introdotto significative novità nel trattamento delle holding immobiliari, soprattutto in termini di deducibilità delle spese e di trasparenza fiscale.

 

Strategie di ottimizzazione fiscale per le holding immobiliari

Una volta compresi i vantaggi legali e fiscali offerti dalle holding immobiliari, è essenziale sviluppare strategie di ottimizzazione fiscale che massimizzino tali benefici.

La pianificazione fiscale deve essere intrapresa con un approccio olistico, considerando non solo le leggi attuali ma anche le potenziali modifiche legislative future. Ecco alcune strategie efficaci:

  • Ristrutturazione dei beni immobiliari: prima del passaggio generazionale, può essere vantaggioso ristrutturare il patrimonio immobiliare all’interno della holding, consolidando o dividendo gli asset in modo da ottimizzare la gestione e la valutazione fiscale.
  • Utilizzo di accordi di famiglia: attraverso specifici accordi di famiglia, è possibile stabilire in anticipo la ripartizione dei beni, minimizzando i rischi di contese ereditarie e sfruttando al meglio le agevolazioni fiscali previste per le donazioni.
  • Pianificazione internazionale: per i patrimoni che comprendono beni immobiliari in più paesi, l’uso di holding situate in giurisdizioni favorevoli può ridurre significativamente l’esposizione fiscale globale, grazie all’applicazione di trattati contro la doppia imposizione e regimi fiscali speciali.
  • Monitoraggio e adeguamento continuo: data la variabilità delle normative fiscali, è cruciale un monitoraggio costante delle leggi e delle prassi fiscali, adeguando le strategie di ottimizzazione in maniera proattiva per garantire che la holding rimanga efficiente sotto il profilo fiscale.

Implementando queste strategie, le famiglie e gli imprenditori possono notevolmente ridurre il carico fiscale associato al passaggio generazionale del patrimonio immobiliare, garantendo al contempo una gestione fluida e armoniosa del passaggio di testimone.

Abbatti le imposte e prendi i soldi con il marchio

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marchio

Se possiedi un’azienda o stai pensando di avviare un’attività commerciale, probabilmente hai sentito parlare dell’enorme valore di un marchio.

 

Ma cosa significa esattamente “sfruttare il marchio” e come può aiutarti a ridurre le imposte e aumentare i profitti?

Innanzitutto, cos’è un marchio? Un marchio non è solo un logo o un nome.

È l’identità distintiva di un’azienda, il suo volto verso il mondo. Un marchio forte crea fiducia e fedeltà nei clienti, consentendo all’azienda di differenziarsi dalla concorrenza e di caricare prezzi più elevati per i suoi prodotti o servizi.

 

Ma c’è di più. Un marchio forte può anche offrire significativi vantaggi fiscali. Come? Ecco alcune strategie da considerare:

  1. Ammortamento del Marchio: In molte giurisdizioni, è possibile ammortizzare il costo di sviluppo e promozione del marchio nel corso del tempo. Ciò significa che puoi dedurre una parte del costo del tuo marchio dalle tue tasse ogni anno, riducendo così il tuo reddito imponibile.
  2. Protezione della Proprietà Intellettuale: Registrare il tuo marchio ti conferisce diritti legali esclusivi su di esso. Questo può essere un vantaggio significativo quando si tratta di proteggere la tua attività da concorrenti sleali e imitatori. Inoltre, le spese sostenute per proteggere la tua proprietà intellettuale sono generalmente deducibili dalle tasse.
  3. Brand Licensing e Royalties: Se il tuo marchio è abbastanza forte, potresti considerare di concedere in licenza l’uso del marchio ad altre aziende in cambio di royalty. Questo non solo ti offre un flusso di entrate aggiuntive, ma può anche consentirti di sfruttare le agevolazioni fiscali associate al reddito da royalties.
  4. Internazionalizzazione: Se il tuo marchio ha successo a livello internazionale, potresti beneficiare di strutture fiscali più vantaggiose in altri paesi. Questo potrebbe includere aliquote fiscali più basse o agevolazioni per le imprese che investono in proprietà intellettuale.

 

In sintesi, sfruttare il potere del marchio non significa solo costruire un’immagine di marca attraente per i clienti, ma può anche comportare vantaggi fiscali significativi per la tua azienda.

 

Se vuoi abbattere le imposte e moltiplicare i profitti, non trascurare l’importanza di investire nel tuo marchio.

Potrebbe essere la mossa più intelligente che hai mai fatto per il tuo business.

Evasione ed elusione fiscale: di che cosa parliamo? Quali rischi e quali strumenti difensivi?

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Evasione ed elusione fiscale: di che cosa parliamo? Quali rischi e quali strumenti difensivi?
Business people and bankers with money illustration

Premessa

Qual è la differenza tra evasione fiscale ed elusione? Sui due termini si fa spesso confusione, ma le differenze sono notevoli. Sia l’elusione che l’evasione rappresentano due atteggiamenti fraudolenti messi in atto per pagare meno tasse e “aggirare” le norme fiscali. La differenza però è sostanziale soprattutto per quanto riguarda limiti e conseguenze in ambito penale e amministrativo.

Per quanto riguarda l’elusione fiscale, nel testo faremo riferimento alle novità introdotte con la legge 212 del 2000, con la quale il termine e l’illecito previsto dal D.p.r. 600/1973 è stato sostituito dal cosiddetto “abuso del diritto”.

Le differenze tra elusione ed evasione fiscale

Seppur in ambedue i casi si tratti di comportamenti orientati a contrastare e ridurre il prelievo tributario, l’evasione fiscale e l’elusione sono termini ben diversi, soprattutto sul piano penale e sanzionatorio.

Mentre l’evasione fiscale può essere definita come un comportamento che mira ad occultare e a contrastare il prelievo fiscale, l’elusione fiscale rappresenta un vero e proprio abuso del diritto, ovvero la messa in pratica di comportamenti e azioni che hanno come obiettivo ultimo quello di raggirare le leggi a proprio vantaggio, mettendo in pratica comportamenti che indirettamente portano alla diminuzione del prelievo fiscale.

In entrambe i casi si tratta di comportamenti sanzionabili sul piano amministrativo; soltanto l’evasione fiscale, invece, porta a conseguenze di natura penale.

Vediamo nello specifico cosa si intende per evasione fiscale, cos’è invece l’elusione fiscale identificando qual è la differenza sostanziale tra i due comportamenti.

Evasione fiscale, definizione e limiti

L’evasione fiscale può essere definita come tutti quei comportamenti e metodi che hanno come obiettivo quello di ridurre o eliminare il prelievo fiscale da parte dello Stato sul contribuente, attraverso pratiche che violano le leggi e le norme fiscali.

Comportamenti tipici di evasione fiscale sono la mancata emissione di fatture e scontrini in operazioni di vendita di beni o prestazioni di servizi, o la presentazione di dichiarazioni dei redditi incomplete, di modo da ridurre il prelievo fiscale sui propri redditi.

Riportando quanto contenuto su una scheda informativa pubblicata dall’Agenzia delle Entrate, l’evasione fiscale “provoca un danno a tutta la società, provoca il deficit pubblico, toglie ai poveri e agli onesti per dare ai ricchi”.

L’evasione fiscale può essere sanzionata sia sul piano amministrativo che penale, in funzione, di norma, della misura dell’importo di imposte e tasse non versate allo Stato a seguito del mancato rispetto delle norme tributarie.

Elusione fiscale e abuso del diritto, la legge n. 212/2000

Quando si parla di elusione fiscale si fa riferimento ad un comportamento molto differente sul piano normativo che sanzionatorio rispetto all’evasione.

In linea di principio, seppur in entrambe le situazioni l’obiettivo ultimo sia non adempiere ai propri obblighi fiscali e tributari secondo la propria disponibilità economica, l’elusione fiscale consiste in operazioni prive di sostanza economica che, seppur rispettando la legge, realizzano degli indiretti vantaggi fiscali al contribuente.

Con la legge n. 212/2000, lo Statuto del contribuente, il concetto di elusione fiscale è stato accorpato all’abuso del diritto; la definizione è apportata dalla normativa di riferimento, al comma 1 dell’articolo 10 bis, ovvero:

“configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio, l’elusione fiscale è irrilevante dal punto di vista penale ma prevede l’applicazione di sanzioni amministrative commisurate alla misura dell’importo eluso al Fisco.

Al contrario, non sono sanzionate e non si configurano come abuso di diritto ed elusione fiscale “le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche dettate da esigenze di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente” (art. 10, comma 3, legge n. 212/2000).

Elusione fiscale, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta: differenze

Per comprendere cosa sia l’elusione fiscale può essere utile evidenziarne le differenze rispetto agli altri fenomeni che si pongono ai suoi margini opposti: da un lato l’evasione fiscale, dall’altro il lecito risparmio d’imposta.

Mentre nel fenomeno elusivo si assiste all’aggiramento del precetto tributario, attraverso comportamenti che, pur non violando direttamente alcuna norma, in realtà ne tradiscono comunque la ratio e la funzione, nell’evasione fiscale si realizza una vera e propria violazione degli obblighi tributari gravanti sul contribuente: quest’ultimo infatti si sottrae fraudolentemente al pagamento di quanto dovuto, occultando il fatto che darebbe luogo ad imposizione (ad esempio omettendo di dichiarare un reddito imponibile oppure deducendo costi in realtà mai sostenuti) o attribuendogli una qualificazione giuridica non corrispondente alla realtà (ad esempio perché da tale qualificazione deriva l’applicazione di una aliquota inferiore, con conseguente risparmio d’imposta).

L’accertamento dell’evasione comporta, oltre al recupero delle imposte non versate e all’irrogazione di sanzioni amministrative (provvedimenti comuni pure ai casi di accertata elusione), anche la possibile esposizione a conseguenze di natura penale, qualora vengano superate le soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000.

Dalle ipotesi di elusione vanno poi tenuti distinti tutti i casi in cui è la legge stessa a consentire al contribuente di scegliere tra diverse soluzioni messe a sua disposizione dall’ordinamento tributario (ad esempio optare per costituire una società secondo una determinata forma, in quanto agevolata, sul piano fiscale, rispetto ad altre forme diverse): ciò che si realizza è un lecito risparmio d’imposta, derivante dalla scelta del meno oneroso fra strumenti e modelli fiscali alternativi appositamente proposti dal legislatore all’interno di un sistema che riconosce i principi di autonomia contrattuale e di libera iniziativa economica.

Normativa di riferimento

Costituzione italiana

Si è già osservato come le condotte fiscalmente elusive, pur non ponendosi in diretta e palese violazione di alcuna norma di legge, contrastino tuttavia con i principi ispiratori del sistema tributario: vengono in rilievo, in proposito, sia l’art. 53 Cost., secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, nell’ambito di un sistema ispirato al criterio di progressività dell’imposizione, sia – a parere dello scrivente – il più generale principio di solidarietà sociale recato dall’art. 2 Cost. .

Su tali basi – oltre che sulla scorta di alcune importanti sentenze della giurisprudenza comunitaria (il riferimento va, in particolare, alla sentenza “Halifax” resa dalla Corte di Giustizia UE, nella causa C-255/02 del 21.02.2006) – è stato possibile sostenere l’esistenza di un generale principio antielusivo alla luce del quale “il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” (così si è espressa Cass. Civ., SS.UU., n. 30055/2008).

La pronuncia appena richiamata ha peraltro opportunamente osservato che “il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”, non determinandosi perciò alcun contrasto con la previsione di cui all’art. 23 Cost. .

Statuto dei diritti del contribuente (L. 212-2000)

A livello di legislazione ordinaria, il fenomeno dell’elusione fiscale è oggi contemplato dall’art. 10-bis della L. 212-2000 (Statuto dei diritti del contribuente), norma di carattere generale introdotta ad ottobre 2015 con il D.Lgs. 128/2015, a seguito delle indicazioni formulate dalla Commissione Europea nell’ottica di contrastare aggressive strategie di pianificazione fiscale in grado di alterare il corretto funzionamento dei sistemi tributari degli Stati membri (raccomandazione n. 2012/772/Ue del 06.12.2012).

È interessante osservare come, secondo tale nuova disposizione, il fenomeno elusivo venga espressamente ricondotto al concetto di abuso del diritto: nozione di carattere ampio, a più riprese indagata da dottrina e giurisprudenza, con cui viene indicato l’anomalo esercizio di un diritto che, senza realizzare alcun valido e concreto interesse per il suo titolare, provoca un danno o un pericolo di danno nei confronti di altri soggetti, ponendosi quindi in radicale contrasto con lo scopo in vista del quale quel diritto era stato attribuito dall’ordinamento.

Prima dell’introduzione del menzionato art. 10-bis, il fenomeno dell’elusione fiscale era contemplato dall’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, nell’ambito delle disposizioni in tema di accertamento delle imposte sui redditi. Per effetto della novella del 2015, tale disposizione è stata abrogata ed ogni riferimento ad essa deve oggi intendersi rimandare al vigente art. 10-bis L. 212-2000.

Secondo il comma 1 del nuovo art. 10-bis, “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

Conseguenza del riconosciuto carattere abusivo di un’operazione è la sua inopponibilità all’amministrazione finanziaria, legittimata quindi a disconoscerne i vantaggi e perciò a determinare i tributi dovuti “sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.

La definizione fornita, piuttosto generica nei suoi contorni, viene meglio specificata dal successivo comma 2, secondo cui si considerano:

a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;

b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.

Un’ulteriore precisazione – questa volta in negativo – viene fornita nell’ambito del terzo comma della disposizione, laddove si puntualizza che “in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”.

Importante – al fine di delimitare quell’area grigia al cui interno si collocano le condotte elusive, distinguendo da esse le ipotesi di lecito risparmio d’imposta già esaminate – è poi l’espressa previsione recata al comma 4, per cui “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.

Sul versante opposto – quello che guarda cioè a potenziali fattispecie di evasione vera e propria – il comma 12 della disposizione in commento stabilisce che “in sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie”.

Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 917/1986)

Accanto alla generale norma antiabuso rappresentata dall’art. 10-bis L. 212-2000, diverse altre sono le norme tributarie evidentemente finalizzate al contrasto dell’elusione fiscale, specie con riguardo alla dimensione internazionale del fenomeno. Lo svolgimento di attività economiche in molteplici Stati, anche extra-europei, spesso caratterizzati da regimi fiscali più favorevoli di quello italiano, può infatti dar luogo ad operazioni finalizzate all’indebita sottrazione al Fisco di redditi tassabili in Italia.

Nell’ambito del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (c.d. T.U.I.R.,) contenuto nel D.P.R. 917/1986, è possibile individuare le seguenti norme anti-elusive:

  • ­il comma 2-bis dell’art. 2, recante una presunzione di residenza in Italia delle persone fisiche trasferite in Stati a fiscalità privilegiata (presunzione relativa, dunque superabile dall’interessato offrendo adeguata prova contraria);
  • ­il comma 5-bis dell’art. 73, finalizzato a contrastare il fenomeno della c.d. “esterovestizione” mediante una presunzione (anche in questo caso relativa) di esistenza in Italia della sede di società ed enti apparentemente esteri che però presentino alcuni peculiari elementi di collegamento con il territorio nazionale (in particolare, oltre al fatto di controllare società o enti commerciali operanti in Italia, la circostanza di essere a loro volta controllati da soggetti residenti in Italia o di essere amministrati da organi composti in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato);
  • ­il comma 4 dell’art. 47, nonché il comma 3 dell’art. 89, in tema di tassazione integrale degli utili da partecipazione e dei dividendi provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato;
  • ­il comma 7 dell’art. 110, recante una serie di norme in tema di c.d. “transfer pricing”, volte a stabilire il valore da attribuire ai componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato;
  • ­l’art. 166, in tema di imposizione applicabile ai soggetti esercenti imprese commerciali nel momento in cui trasferiscono all’estero la propria residenza o elementi attivi del proprio patrimonio;
  • ­l’art. 167, che fonda la disciplina in materia di imprese estere controllate (c.d. disciplina “CFC”), in base alla quale – in sintesi – il reddito conseguito dal soggetto estero operante in un paese a fiscalità privilegiata è imputato al soggetto controllante residente in Italia in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili della controllata.

Cessione di immobili con agevolazione c.d. Superbonus

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La Legge di Bilancio 2024 (Legge n. 213 del 30/12/2023) ha apportato modificazioni agli articoli 67 e 68 del TUIR. Nello specifico ha introdotto, nei redditi diversi, ai sensi del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), una nuova tipologia di plusvalenza: trattasi di quella realizzata mediante cessione a titolo oneroso di immobili sui quali sono stati realizzati interventi agevolati del c.d. Superbonus.

Tale variazione è avvenuta con l’aggiunta della lettera b-bis) al comma 1 dell’articolo 67 del TUIR, come disposto dal comma 64 dell’articolo 1 della Legge n. 213/2023, la quale include appunto tra i redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili, in relazione ai quali il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito gli interventi agevolati di cui all’articolo 119 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020, che si siano conclusi da non più di dieci anni all’atto della cessione.

Sono esclusi gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o, qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo.

In parallelo, il comma 1 dell’articolo 68 del TUIR è stato implementato disponendo che per gli immobili di cui alla lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 67, ai fini della determinazione dei costi inerenti al bene:

  • nel caso in cui gli interventi agevolati ai sensi dell’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, si siano conclusi da non più di cinque anni all’atto della cessione, non si tiene conto delle spese relative a tali interventi, qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni di cui all’articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto-legge n. 34 del 2020;
  • nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi da più di cinque anni all’atto della cessione, nella determinazione dei costi inerenti al bene si tiene conto del 50 per cento di tali spese, qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni di cui al periodo precedente.

Per i medesimi immobili di cui alla lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 67, acquisiti o costruiti, alla data della cessione, da oltre cinque anni, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, determinato ai sensi dei periodi precedenti, è rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

Come disposto dal comma 65, dell’art. 1 della Legge n. 213/2023, anche alle plusvalenze introdotte dal comma 64, si può applicare l’imposta sostitutiva sul reddito di cui all’articolo 1, comma 496, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con le modalità ivi previste.

Infine, come viene specificato dal comma 66, dell’art. 1 della Legge n. 213/2023, le disposizioni sopra descritte si applicano alle cessioni realizzate a decorrere dal 1° gennaio 2024.

Imprenditore in crisi: la svolta verso la Composizione Negoziata per la Soluzione delle Crisi d’Impresa

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Imprenditore in crisi: la svolta verso la Composizione Negoziata per la Soluzione delle Crisi d'Impresa

Premessa

Con il D.L. 118/2021 (convertito nella Legge 21/10/2021, n.147) è stato introdotto il nuovo istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. L’istituto modificato ed integrato con nuove disposizioni normative è stato poi introdotto all’interno del Codice delle Crisi entrato definitivamente in vigore il 15 luglio 2022 (D.Lgs 12/01/2019, n. 14 così come modificato dal D.Lgs 17/06/2022, n. 83).

 

Che cos’è la Composizione Negoziata

L’imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, può chiedere al Segretario Generale della Camera di Commercio del territorio dove si trova la sede legale dell’impresa, la nomina di un Esperto, che lo affiancherà nelle trattative con i creditori, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.

Questo nuovo istituto rappresenta un significativo segnale di modernità rispetto alle tradizionali soluzioni di gestioni delle crisi basate sulla realizzazione delle garanzie patrimoniali. Con la composizione negoziata si è spostato il baricentro del trattamento satisfattivo sull’impresa consentendo di comprendere una crisi come una complessa operazione economica che può avere soluzione in sede contrattuale con una ampia autonomia negoziale a vantaggio della preservazione del valore di impresa.

 

Quando è plausibile il ricorso alla Composizione Negoziata

L’impresa può ricorrere alla Composizione Negoziata quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento aziendale. Il ricorso alla Composizione Negoziata è esclusivamente volontario, quindi attivabile solo dalle imprese che decidono di farvi ricorso, riservato, di natura stragiudiziale e non concorsuale. Quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa con l’avvio della Composizione negoziata, si procede alla nomina di un Esperto chiamato ad agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori e eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio. L’operatività procedurale consente alle aziende percorsi più accessibili, più rapidi e meno costosi utilizzabili per la ristrutturazione o il risanamento aziendale.

 

Chi può accedere al servizio

Tutte le imprese iscritte nel Registro delle Imprese.

 

Modalità di presentazione dell’Istanza di Composizione Negoziata

L’istanza di accesso alla Composizione Negoziata per la nomina di un Esperto indipendente è presentata al Segretario Generale della Camera di Commercio del territorio dove si trova la sede legale dell’impresa tramite una piattaforma telematica nazionale www.composizionenegoziata.camcom.it che contiene tutte le informazioni utili sulla composizione negoziata, sulle modalità di attivazione del percorso e sui documenti da produrre.

La piattaforma contiene anche un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento e una check list (lista di controllo) particolareggiata, che contiene le indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento. All’istanza deve essere allegata tutta la documentazione prevista dalla norma (art. 17, comma 3, D.Lgs 14/2019) elencata anche nel modulo online per la presentazione dell’istanza sulla piattaforma telematica. Per presentare l’istanza l’imprenditore deve essere dotato di un dispositivo di firma digitale.

 

Nomina dell’Esperto nella Composizione Negoziata

L’Esperto è nominato da una Commissione, che dura in carica due anni, è costituita presso le Camere di Commercio dei capoluoghi di Regione, ed è formata da tre componenti: un Magistrato designato dal presidente della sezione in materia di impresa del Tribunale del capoluogo di Regione; un membro designato dal Presidente della CCIAA sede della commissione; un membro designato dal Prefetto del capoluogo di Regione. La Commissione è coordinata dal membro più anziano e decide a maggioranza.

Per Impresa Minore si intende l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti:

  1. un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di composizione negoziata o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
  2. ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di composizione negoziata o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
  3. un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.

 

Ruolo e Funzioni dell’Esperto nella Composizione Negoziata

Le funzioni dell’Esperto sono descritte nel secondo comma dell’art. 12 del D.Lgs 14/2019. I compiti principali sono quelli di agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati al fine di individuare una soluzione per il superamento della situazione di crisi o di insolvenza in cui versa l’impresa.

L’Esperto deve essere un soggetto terzo e indipendente, che non assiste l’imprenditore né si sostituisce alle parti nell’esercizio dell’autonomia privata ma ha il compito di facilitare le trattative e stimolare gli accordi. Compito principale è quello di agevolare le trattative con i soggetti rilevanti per il risanamento dell’impresa, primi tra tutti i creditori aziendali. L’Esperto deve, quindi, coadiuvare le parti nella comunicazione, nella comprensione dei problemi e degli interessi di ciascuna di esse. Dopo avere inquadrato con sufficiente chiarezza il proprio ruolo e aver tracciato con altrettanta precisione i confini tra le sue funzioni e quelle degli eventuali consulenti dell’impresa può esercitare la propria opera agevolando attraverso una sapiente opera di mediazione, le trattative tra l’imprenditore (e i suoi advisors) e i creditori e altre controparti rilevanti per superare la situazione di crisi in cui versa l’azienda.

 

Vantaggi e Agevolazioni della Composizione Negoziata

Misure Protettive

L’imprenditore dal momento della presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto, nelle modalità e termini stabiliti dagli articoli 18 e 19 del D.Lgs 14/2019, può chiedere l’applicazione delle misure protettive del suo patrimonio. I creditori in questo modo non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa né tantomeno sono inibiti i pagamenti. L’imprenditore può chiedere altresì al Tribunale competente per territorio l’adozione di provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative.

Misure Premiali

La composizione negoziata prevede le seguenti agevolazioni:

  • riduzione alla misura legale degli interessi sui debiti tributari;
  • riduzione alla misura minima delle sanzioni tributarie;
  • riduzione del 50% delle sanzioni e degli interessi su debiti tributari sorti prima del deposito dell’istanza;
  • concessione da parte dell’Agenzia Entrate di un piano di ammortamento fino a massimo di n. 72 rate mensili delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, IVA, IRAP non ancora iscritte a ruolo e relativi accessori;
  • estensione al contratto o all’accordo conclusi in esito al buon fine delle soluzioni della Composizione Negoziata, art. 23, comma 1, lettere a) e c), delle agevolazioni fiscali previste dal TUIR all’art. 88 comma 4-ter (non “tassazione” delle sopravvenienze attive risultanti dalla riduzione dei debiti raggiunta con la Composizione Negoziata) e dall’art. 101, comma 5 (deducibilità delle perdite su crediti in esito alla Composizione Negoziata) a condizione che il contratto e l’accordo siano pubblicati nel Registro delle Imprese.

 

Esito della Composizione Negoziata

La procedura si conclude con il deposito nella Piattaforma Telematica della relazione finale con la quale l’Esperto dà atto dell’attività compiuta e delle possibili soluzioni emerse all’esito delle trattative per il superamento delle condizioni di squilibrio in cui si trova l’impresa. La soluzioni positive previste dalla Composizione Negoziata sono le seguenti (art. 23 comma 1):

  1. a)  conclusione di un contratto con uno o più creditori che produce gli effetti delle misure premiali di cui alla riduzione degli interessi alla misura legale, se, secondo quanto esposto dall’Esperto nella relazione finale, sia idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni;
  2. b) concludere una Convenzione di moratoria di cui all’art. 62 del D.Lgs 114/2019;
  3. c) concludere un Accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’Esperto i cui effetti precludono l’assoggettabilità ad azioni revocatorie a condizione che, con la sottoscrizione dell’accordo, l’Esperto dia atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza.

 

Per le Imprese Minori o sotto soglia:

  1. a) conclusione di un contratto privo di effetti nei confronti dei terzi con continuità aziendale;
  2. b) concludere una Convenzione di moratoria di cui all’art. 62 del D.Lgs 114/2019;
  3. c) concludere un Accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’Esperto, la cui pubblicazione del Registro delle Imprese consente la concessione delle agevolazioni fiscali previste dalle misure premiali di cui agli articoli 88, comma 4ter e 101, comma 5 del TUIR a condizione che, con la sottoscrizione dell’accordo, l’Esperto dia atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza.

 

Diritti di Segreteria per l’avvio della procedura di Composizione Negoziata

Per la presentazione dell’istanza di nomina dell’Esperto è dovuto un diritto di segreteria pari a € 252,00. L’istanza è altresì soggetta all’applicazione dell’imposta di bollo telematica, nella misura di € 16,00. Durante la fase di compilazione da parte del rappresentante legale dell’impresa, la piattaforma telematica di composizione negoziata consentirà l’accesso diretto al Servizio online pagamenti PagoPA. Utilizzando lo strumento di pagamento online, dovranno essere compilati i campi come segue: Servizio: composizione negoziata – Causale: Istanza Ineg_0000000xxx (riportare il numero dell’istanza) – importo: € 268,00. Il rappresentante legale dell’impresa deve prestare inoltre attenzione alla compilazione dei campi “dati anagrafici del pagante”, che dovranno riportare il codice fiscale dell’impresa che ha presentato l’istanza e una casella e-mail in corso di validità per ricevere la conferma di pagamento, da allegare all’istanza.

 

Compenso per l’Esperto

L’Esperto ha diritto ad un compenso così come determinato dall’art. 25ter del decreto, tenuto conto dell’opera prestata, della sua complessità, del contributo dato nella negoziazione e della sollecitudine con cui sono state condotte le trattative, in misura percentuale secondo fasce a scaglioni calcolate sull’ammontare dell’attivo dell’impresa debitrice e possono variare anche in base al numero dei creditori e delle parti interessati che partecipano alle trattative. Gli importi dei compensi non potranno comunque scendere sotto i 4.000,00 Euro o superare i 400.000,00 mila Euro.

I compensi possono anche raddoppiare in caso di esito positivo della composizione negoziata e conclusione di un contratto con i creditori che assicuri la continuità aziendale per almeno due anni, di una convenzione di moratoria o di un accordo sottoscritto da imprenditore, creditori e esperto. Un aumento del 100% scatta anche quando non si arriva a una soluzione e si chiede l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

In caso di mancato accordo tra l’Esperto e il debitore o altre parti interessate, il compenso è liquidato dalla Commissione Regionale o dal Segretario Generale della Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno nel caso di istanze presentate da imprese minori o sotto soglia.

Il reato di “bancarotta fraudolenta”: di che cosa si tratta? Cosa rischia l’imprenditore e come difendersi

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Nell’ambito della tutela dell’imprenditore e della di lui famiglia, Roberto Pusceddu & Partners Law Firm Sta si propone di offrire strumenti di tutela all’imprenditore anche sul versante penale.

 

Definizione

 

La bancarotta fraudolenta è un reato che può essere commesso dall’imprenditore sottoposto a liquidazione giudiziale in danno dei suoi creditori. La disciplina è oggi contenuta nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza.

La bancarotta fraudolenta, dopo la trasposizione dalla legge fallimentare al Codice della crisi e dell’insolvenza, è un reato che non richiede più quale presupposto la dichiarazione di fallimento, come vedremo, ma la sottoposizione dell’imprenditore alla procedura di liquidazione giudiziale.

Il reato si può configurare a causa di condotte che l’imprenditore individuale commette prima o durante la procedura di liquidazione, attraverso le quali provoca una diminuzione del proprio patrimonio in danno dei creditori. Tale offesa può essere reale se le condotte dell’imprenditore producono una diminuzione concreta del suo patrimonio, fittizia se la diminuzione è simulata da azioni attraverso le quali il patrimonio viene occultato.

Bancarotta fraudolenta e Codice della crisi

Prima di analizzare nel dettaglio il reato di bancarotta fraudolenta è necessario chiarire meglio che i reati di bancarotta, contemplati in origine nella legge fallimentare Regio decreto n. 267/1942, sono stati rimodellati e trasfusi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al D.lgs. n. 14/2019. Questa modifica ha determinato lo spostamento della disciplina della bancarotta e degli altri reati fallimentari all’interno del titolo IX del Codice ella crisi, che contiene le disposizioni penali dall’art. 322 all’art. 347. La novità più importante che ha toccato l’intero Codice e anche le disposizioni penali è la scomparsa di ogni riferimento ai termini “fallito” e “fallimento”.

Presupposto del reato di bancarotta fraudolenta

Rispetto al passato quindi, i reati di bancarotta presuppongono non la dichiarazione di fallimento ma la dichiarazione di liquidazione giudiziale.

Ci si soffermi, quindi, alla luce di queste precisazioni, su cosa prevede la formulazione del testo normativo a proposito del reato dedicato alla bancarotta fraudolenta contenuto nel Codice della crisi e dell’insolvenza, dopo aver analizzato il reato di bancarotta semplice, anche al fine di coglierne le differenze.

Bancarotta semplice

La bancarotta semplice, disciplinata dall’art. 323 del Codice della crisi, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni l’imprenditore sottoposto a liquidazione giudiziale che tiene le seguenti condotte:

  • sostiene spese personali o per la famiglia che sono eccessive rispetto alla sua condizione economica;
  • consuma una buona parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
  • compie operazioni gravemente imprudenti per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale;
  • aggrava il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere l’apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa;
  • non soddisfa le obbligazioni assunte con un precedente concordato preventivoo liquidatorio giudiziale.

Alla stessa pena soggiace però anche chi, nei tre anni (o meno, se l’impresa è giovane) che hanno preceduto l’apertura della liquidazione, non ha tenuto o ha tenuto in modo incompleto o irregolare le scritture previste dalla legge.

La nuova bancarotta fraudolenta

Dal 1° settembre 2021 quindi, come anticipato, la bancarotta fraudolenta non è più regolata dall’articolo 216 della legge fallimentare, ma dall’articolo 322 del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Tale norma riproduce sostanzialmente il contenuto della previsione precedente, tranne alcuni ritocchi di forma. In particolare, essa così dispone:

“1. È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore che:

  1. a) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
  2. b) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
  3. La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, che, durante la procedura, commette alcuno dei fatti preveduti dalla lettera a) del comma 1, ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
  4. È punito con la reclusione da uno a cinque anni l’imprenditorein liquidazione giudiziale che, prima o durante la procedura, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
  5. Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa l’inabilitazioneall’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”.

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Nel dettaglio, la bancarotta fraudolenta patrimoniale è il reato posto in essere dall’imprenditore sottoposto a dichiarazione di liquidazione giudiziale che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni oppure, con il fine di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto delle passività che in realtà non esistevano. Trattasi di un reato contro il patrimonio.

Bancarotta fraudolenta per distrazione

Proprio in ragione delle caratteristiche che la connotano, la bancarotta fraudolenta patrimoniale è spesso definita anche bancarotta fraudolenta per distrazione. Tra l’una e l’altra espressione, utilizzate come sinonimi, non vi è alcuna differenza.

Bancarotta fraudolenta documentale

La bancarotta fraudolenta documentale, invece, si configura quando l’imprenditore sottoposto a liquidazione giudiziale ha sottratto, distrutto o falsificato, anche solo in parte, i libri o le altre scritture contabili con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, o li ha tenuti in maniera tale da non permettere la ricostruzione del proprio patrimonio o del movimento degli affari. Trattasi di un reato che compromette la conoscenza del patrimonio del soggetto debitore da parte dei suoi creditori.

Bancarotta fraudolenta preferenziale

La bancarotta fraudolenta preferenziale è quella che, come prevede il terzo comma dell’art. 322, si configura quando l’imprenditore sottoposto alla procedura di liquidazione giudiziale prima o anche durante la procedura, allo scopo di favorire solo qualche creditore, in danno degli altri, esegue pagamenti o simula dei titoli di prelazione.

Le condotte del reato di bancarotta fraudolenta

Vediamo ora quali sono le condotte in grado di integrare il reato di bancarotta fraudolenta partendo da quelle tipiche della bancarotta patrimoniale o per distrazione:

  • distrazione:si verifica quando si conferisce a un bene una destinazione diversa da quella che prevede la legge, al fine di privare gli organi della liquidazione giudiziale dei beni necessari da destinare al soddisfacimento dei creditori;
  • occultamento:consiste nel nascondere beni per renderne impossibile il reperimento da parte degli organi della liquidazione giudiziale;
  • dissimulazione:si vuole rendere impossibile l’apprensione di un bene senza però sottrarre i beni materialmente, ma facendo credere ai creditori che gli stessi, in realtà, appartengono ad altri;
  • distruzione:i beni vengono sottratti agli organi della procedura e quindi ai creditori perchè distrutti, al fine di eliminarne il valore economico;
  • dissipazione: consiste nella venditao nella donazionedei beni per distruggere la ricchezza dal punto di vista giuridico, tramite lo sperpero.

Ora invece analizziamo le condotte tipiche della bancarotta fraudolenta documentale:

  • sottrazione: per privare l’organo deputato alla liquidazione giudiziale della possibilità di acquisire i i libri e le scritture contabili a cui è tenuto l’imprenditore;
  • distruzione: che si realizza proprio con la distruzione fisica delle scritture e dei libri;
  • falsificazione: si creano falsi documenti o si sostituiscono quelli originali con altri del tutto artefatti, attraverso una falsificazione che può essere materiale o ideologica.

 

L’impresa sarda tutela il suo marchio contro Redbull: una vicenda di rilievo per la tutela delle imprese sarde. Avv. PhD Roberto Pusceddu

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tutela marchio
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Premessa.

Nell’ambito della tutela delle imprese sarde e del marchio, preme al sottoscritto segnalare una vicenda che ha visto protagonista un’azienda agricola sarda contro il colosso dell’energy drink Red Bull.

Red Bull perde la battaglia con la “Muggittu Boeli”, azienda agricola sarda produttrice di vini, colpevole di aver inserito nel suo marchio due buoi stilizzati – niente a che vedere col disegno della multinazionale austriaca che, però, considerava essere stata danneggiata e ha diffidato i produttori dal registrare il marchio.
Ora la decisione del Ministero delle imprese e del Made in Italy che ha respinto la richiesta del colosso dell’energy drink.

La vicenda sottoposta ad esame.

Quando ha fondato la sua azienda vitivinicola nel 2020, Mattia Muggittu aveva 20 anni e un grande sogno: trasformare in lavoro una grande passione di famiglia per vini e vitigni, tramandata anche dalla tradizione del suo paese, Mamoiada, nel Nuorese, dove il cannonau è l’oro rosso dell’economia locale.

Nel 2021 è arrivata la prima bottiglia con l’orgoglio per quell’etichetta “Muggitu Boeli” che raffigura due buoi simbolo della tradizione vitivinicola del paese della Barbagia. Ma il 6 dicembre dello stesso anno, la multinazionale austriaca Red Bull, che produce l’omonima bevanda energetica, lo ha diffidato dal registrare l’etichetta per “violazione del marchio e concorrenza sleale”, facendo così vacillare il suo progetto di vita.

Secondo la Red Bull, infatti, la cantina aveva copiato il famoso logo con i due tori, inserendolo sulle etichette dei vini e generando quindi confusione tra i due marchi.
A Mattia è crollato il mondo addosso davanti a una battaglia legale impari, che però si è conclusa per lui con una vittoria.
La direzione generale per la tutela della proposta industriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha infatti respinto l’opposizione del colosso dell’energy drink alla registrazione del marchio e ora il giovane Mattia Muggittu – seguito nella vicenda legale dall’avvocato Mauro Intagliato – potrà continuare a utilizzarlo per la sua cantina.

“Davide ha battuto Golia – commenta il giovane imprenditore del vino che oggi ha 23 anni – Sono felicissimo di questa decisione che ci ha dato ragione. La lezione che arriva dalla vicenda che mi ha riguardato è che non sempre vincono i più forti e grossi, ma ogni tanto la possono spuntare anche i più piccoli, se credono abbastanza in quello che fanno”, spiega. L’etichetta dei vini “Muggittu Boeli” nasce dalla creatività della grafica Sara Muggittu, sulla base dell’idea di Mattia che ripercorre la storia della vigna di famiglia. Raffigura due buoi, uno vicino all’altro, con sotto il segno rosso dell’aratro e sopra la rappresentazione dei cerchi della stele di Boeli, un menhir che risale al Neolitico e che si trova nell’omonima località dove sorge la cantina della famiglia Muggittu.

RED BULL VS MUGGITTU BOELI

“I buoi sono il simbolo della viticoltura di Mamoiada e operano ancora oggi nelle nostre vigne ultracentenarie dove non entrano i mezzi meccanici – sottolinea il giovane imprenditore – I cerchi concentrici sono scolpiti sulla stele di Boeli. Con questo marchio ho voluto raccontare la mia storia e quella del paese, ma anche omaggiare questo monumento dal grande valore storico”.
Da ragazzo nel futuro di Mattia sembrava esserci altro rispetto ai vitigni: “Fare il ragioniere non era la mia strada e così, aiutato dai miei, ho portato avanti il mio progetto – ricorda – La diffida della Red Bull però mi ha fatto paura e mi sono fermato, poi il mio avvocato mi ha spiegato che fino a decisione del giudice potevo continuare”.

Così nell’ultimo anno sono state prodotte 3.500 bottiglie tra rosso e rosato. “Ho lavorato tanto, ma mi sentivo sempre in bilico – confessa – Mi ha aiutato la solidarietà arrivata da tutto il mondo ma in larga parte dall’Austria (dove ha sede legale la Red bull e dove il caso ha avuto molto risalto mediatico, ndr). Dopo questa vittoria inizio a vedere più chiaro il mio futuro”.

Come si tutela il marchio?

La vicenda in esame, così come sopra esposta, impone di soffermarsi su: come si tuteli un marchio?

Il primo passo per tutelare efficacemente il marchio è la registrazione presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. L’ufficio effettua un controllo formale e, una volta completato, il richiedente riceve il titolo di registrazione.
Se viene registrato un marchio che assomiglia ad uno esistente, si può agire in diverse sedi. Si può opporre la registrazione del marchio presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi o agire in via giudiziale.
In via giudiziale, esistono due modalità di azione: la prima per ottenere la cessazione della violazione del marchio attraverso un ricorso d’urgenza al Tribunale delle Imprese. In questo caso, il giudice effettua un accertamento sommario della violazione e inibisce la violazione con un ordine che deve essere rispettato.
Cosa fare in caso di violazione del marchio
Una volta ottenuta la tutela urgente, si pone il problema del risarcimento del danno causato dalla violazione del marchio. La violazione del marchio normalmente si accompagna anche ad altre attività lesive, come la concorrenza sleale e lo sviamento di clientela, che causano ulteriore danno al titolare del diritto.
Il danno può essere richiesto al giudice civile nell’ambito di una causa di merito, che ha la sua durata e i suoi costi. Il giudice potrà emettere una sentenza che potrà stabilire la quantità di danni che devono essere risarciti al titolare del marchio. Inoltre, nel caso in cui la violazione del marchio sia stata commessa in modo continuativo e intenzionale, il giudice potrà anche ordinare la cessazione dell’utilizzo del marchio non autorizzato e la pubblicazione della sentenza a spese del responsabile.
In definitiva, la tutela del marchio e del logo è una questione importante che riguarda la protezione della identità aziendale e della sua immagine. Per questo, è consigliabile registrare il proprio marchio presso l’ufficio italiano brevetti e marchi e attuare tutte le misure necessarie per proteggere il proprio marchio, sia attraverso azioni amministrative che giudiziali.

La distinzione tra marchio “forte” e “debole”.

Poiché l’intensità della tutela assicurata dalla Legge al marchio varia anche in funzione della sua capacità distintiva, occorre distinguere tra marchio “debole” e marchio “forte”.
• E’ marchio “debole” il marchio che è espressivo o descrittivo del prodotto o servizio contraddistinto, o delle sue qualità e funzioni;
• E’ marchio “forte” quello privo di qualsiasi nesso significativo con i prodotti o servizi contraddistinti: esso ha acquistato la sua forza distintiva mediante l’uso prolungato e continuato, l’ampia diffusione tra il pubblico e l’intensa pubblicizzazione.
Secondo il Tribunale di Roma
“Il marchio forte è tutelato nel suo nucleo ideologico, e, pertanto, sono illegittime tutte quelle variazioni, anche rilevanti ed originali, che lascino comunque sussistere l’identità sostanziale del segno. Conseguentemente, in tal caso, per evitare la confondibilità tra i segni non è sufficiente una minima modifica della parte denominativa o figurativa“
Tanto premesso, tuttavia, il Tribunale ha ritenuto, nel caso di specie di dovere operare un bilanciamento tra il diritto alla protezione del marchio forte, da un lato, ed il diritto a rivendicare il proprio passato artistico, dall’altro.

“Occorre verificare la confondibilità”

Nel compiere tale bilanciamento, il Tribunale ha effettuato un giudizio sulla confondibilità, ritenendo che sussista “in capo agli ex componenti di un gruppo musicale un vero e proprio diritto di evocare le radici della propria attività artistica attuale“, ed escludendo “che le formule ‘ex’ o ‘già’ siano idonee a generare confusione… Il riferimento alla trascorsa esperienza appare come un richiamo ad una ‘qualità’ personale del X, ad una circostanza oggettiva relativa alla sua carriera professionale, piuttosto che un escamotage idoneo ad ingenerare nel pubblico l’erroneo convincimento che la prestazione artistica pubblicizzata sarebbe stata eseguita dal gruppo musicale Y“.

Tutela del marchio rinomato e registrato

Il Tribunale di Torino si è pronunciato in relazione ad una interessante fattispecie di concorrenza sleale e violazione del marchio registrato, avente ad oggetto un conflitto tra marchi (il noto marchio “Eataly”, che contraddistingue prodotti e servizi in campo alimentare, ed il marchio “Meataly”, apposto essenzialmente su carni).
Il Tribunale richiama, in primo luogo, l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante”, mentre “per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte“.

Cosa succede in caso di violazione di un marchio non registrato?

Il Tribunale di Palermo, Sezione V civile, specializzata in materia di impresa, ha analizzato un caso di impiego illecito di una denominazione attribuita ad una manifestazione popolare, e dunque di violazione del marchio non registrato, verificando se, e a quali condizioni, è possibile assicurare la tutela del marchio di fatto. Ha poi censito la possibilità di applicazione della tutela autorale, rilevando che al marchio di fatto non si applica il diritto d’autore.

Le operazioni di Merger and Acquisitions (M&A) Avv. PhD Roberto Pusceddu

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Mergers and acquisitions
mergers and acquisitions

Premessa.

Nell’ambito dei servizi resi dalla neonata Roberto Pusceddu & Partners Law Firm, si individuano le operazioni straordinarie che interessano le società ed, in particolare, quelle operazioni definite e qualificate con l’espressione Mergers and Acquisitions (M&A).

 

Le operazioni (M&A) Mergers and Acquisitions.

Nel diritto commerciale e finanziario anglosassone, con Mergers and Acquisitions (M&A), in italiano fusioni e acquisizioni si intendono quelle operazioni di trasferimento del controllo di un’attività mediante un passaggio di proprietà (acquisition), mentre la fusione (merger) può essere considerata come lo strumento che sancisce a livello formale la completa integrazione tra due società: in sostanza l’acquisizione anticipa la fusione.

Con il termine “Mergers and Acquisitions” (M&A) si intendono tutte quelle operazioni societarie e di finanza straordinaria che portano alla fusione di due o più società o all’acquisizione di una società target da parte di un’altra società.

Merger & Acquisition vanno spesso insieme tanto da  finire sotto l’acronimo M&A ma sono in realtà due operazioni diverse sul piano giuridico.

La fusione (in inglese “merger”) si verifica quando due società si uniscono per dare vita a una nuova entità societaria, più grande e potenzialmente più forte sul mercato. È il caso, per fare un esempio, della fusione tra Peugeot e FCA che ha dato vita al colosso Stellantis.

L’acquisizione (in inglese “acquisition”) è, come lascia intendere il termine stesso, il passaggio della proprietà di un’azienda (o di un ramo di essa) sotto il controllo di un’altra. Differisce dalla fusione perché non si crea alcun nuovo soggetto ma semplicemente un’azienda ne assorbe un’altra. È il caso della Microsoft che ha comprato LinkedIn, ad esempio.

La pratica, spesso giovandosi dell’effetto leva, porta a perseguire un monopolio o oligopolio aggirando battaglie concorrenziali

Fusioni (mergers)[

Le Merger societarie possono però anche essere distinte in :

  • Congeneric merger, denominate anche product extension merger, sono quelle operazioni di unione tra due o più società che si sovrappongono nello stesso settore commerciale in cui operano, e più precisamente nei segmenti di tecnologia, marketing, processi di lavorazione e ricerca e sviluppo;
  • Conglomerate mergermerger in senso proprio, ovvero quelle operazioni in cui le società partecipanti non hanno alcuna attività in comune e possono anche essere stabilite in aree geografiche diverse: dall’unione perdono le loro identità giuridico-economiche e si ricompongono in un’unica entità iniziando un business completamente differente. Le conglomerate mergers a loro volta vengono suddivise in pure conglomerate mergers (quando avviene la fusione tra due o più compagnie che non hanno nulla in comune tra loro) o mixed conglomerate mergers (quando due compagnie che non hanno nessuna attività in comune si uniscono per allargare il proprio giro d’affari; è in pratica la stessa operazione che origina il market extension). Gli azionisti delle società coinvolte nell’operazione ricevono quote di partecipazione nella nuova creazione finanziaria, previo l’annullamento del rapporto di cambio esistente tra i soggetti prima dell’unione;
  • Market extension, ossia quando si uniscono due o più compagnie operanti nello stesso settore ma in una fascia diversa di business, solitamente per incrementare le loro quote di mercato attraverso l’aumento delle proprie clientele;
  • Horizontal mergers, le forme di unioni tra aziende che operano nello stesso mercato e condividono lo stesso market share: sono quel tipo di fusioni tendenti ad ingrandire il business delle aziende attraverso la costituzione di una nuova entità dove vengono conferiti i capitali e le capacità delle società quando erano attive singolarmente;
  • Vertical merger, i casi in cui compagnie operanti nello stesso settore (ad esempio quello mediatico) ma in segmenti diversi si uniscono per incrementare le loro potenzialità ed allargare la propria attività commerciale (uno di casi più rappresentativi di vertical mergerfu quello di AOL- Time Warner nel 2000); una società viene incorporata da un’altra attiva in un business completamente diverso dal proprio e solo quella perde l’identità finanziario-giuridica; in genere è l’unione tra due compagnie che hanno attività completamente distinte e cercano di allargare il proprio giro d’affari.

Acquisizioni (acquisitions)

Nel sistema di diritto anglosassone, il termine acquisition si può riferire a più operazioni di mercato, anche se i principi finanziari basilari sono simili e riconducono sempre al passaggio di proprietà e gestione di una società, in genere una public company. Le forme di acquisizione possono essere distinte in:

  • Takeover, ovvero l’acquisizione totale di un’impresa o società da parte di un’altra compagnia, in genere con stabilità economica maggiore di quella acquisita, mediante l’acquisizione sul mercato delle azioni del capitale possedute da azionisti terzi (nel sistema di diritto finanziario del Regno Unitoqueste operazioni, in genere ostili, sono consentite solo verso società quotate in borsa, appunto public company, e non verso le private company (Limited) (le cosiddette incorporated del sistema di diritto degli Stati Uniti) del sistema britannico dove per rilevare una società a capitale privato usualmente si ricorre a delle Limited Liability Company, dove la responsabilità giuridica dei soci è limitata al semplice valore della percentuale delle quote investite per rilevare la società stessa; il venditore può essere indistintamente sia una public che una private limited company. Questi casi vengono generalmente definiti private acquisitions, ovvero un semplice acquisto di beni e capitali a titolo personale.

Il takeover può a sua volta essere classificato in: friendly (amichevole), ossia quando la proprietà o il management della compagnia oggetto dell’acquisizione danno il loro assenso all’operazione d’acquisizione, modello usualmente adoperato nelle acquisizioni delle compagnie a capitale privato nel mercato statunitense e non consentito nel mercato inglese dove solo le compagnie a capitale azionario diffuso (appunto le public company) possono essere soggette ad operazioni di takeover; hostile (ostile), ovvero quando la compagine societaria della compagnia oggetto della proposta d’acquisto rifiuta la proposta d’acquisizione da parte del soggetto terzo; reverse (inverso), ovvero quando una compagnia a capitale privato rileva una public company; backflip (al contrario), cioè quei casi in cui il soggetto acquirente rileva una compagnia finanziariamente maggiore e si fonde in essa diventandone una sua divisione.[8]

  • Consolidation, quando due o più società si uniscono tra loro per formare insieme una nuova compagnia, e nessuna delle precedenti rimane in attività ma continua il proprio business nel nuovo soggetto.

Ecco alcuni esempi

Le operazioni di M&A (mergers and acquisitions) sono transazioni in cui un’azienda acquista o si fonde con un’altra azienda per raggiungere determinati obiettivi strategici e di business e possono essere di diversi tipi, a seconda degli obiettivi strategici dell’operazione e delle caratteristiche delle aziende coinvolte.

1- Fusione tra aziende: in questo tipo di operazione, due o più società decidono di unirsi per creare una nuova società. In genere, le società coinvolte nella fusione sono di dimensioni simili e cercano di combinare le rispettive forze per creare sinergie e raggiungere obiettivi comuni. Un esempio di fusioni tra aziende è stata quella tra i colossi Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e Groupe PSA (Peugeot S.A.), che ha portato alla creazione di Stellantis, quarto produttore di auto al mondo per volumi di vendita.
2-Acquisizione di una società: un’azienda acquista un’altra società per accedere a nuovi mercati, tecnologie, competenze o risorse. L’acquisto può essere effettuato in contanti, con l’emissione di azioni o con altre forme di pagamento.
3- Acquisizione di una quota di minoranza: si verifica quando un’azienda acquista una quota minoritaria di un’altra società senza acquisirne il controllo. Questo tipo di operazione è spesso utilizzato per stabilire partnership strategiche con altre aziende o per accedere a nuovi mercati.
4- Acquisto di un’unità aziendale: in questo tipo di operazione, un’azienda acquista una parte specifica di un’altra azienda, come una divisione o un reparto, senza acquisirne l’intera attività. L’ Acquisto di un’unità aziendale può essere utile per le aziende che cercano di focalizzarsi su specifiche attività o di disinvestire da settori meno redditizi.
5- Joint venture: è il caso in cui due o più società decidono di unire le proprie risorse e competenze per creare una nuova entità. La joint venture è di solito utilizzata per accedere a nuovi mercati o per sviluppare progetti comuni. Un esempio recente di joint venture è stato l’annuncio della partnership tra la compagnia aerea Delta Air Lines e la società specializzata in viaggi spaziali Virgin Galactic. Le due aziende hanno deciso di collaborare per sviluppare programmi di viaggi spaziali ad alta quota per i propri clienti.

Le diverse fasi di un’operazione di M&A

Le operazioni di M&A possono essere suddivise in diverse fasi, che possono variare leggermente a seconda delle specifiche circostanze dell’operazione.
Qui di seguito abbiamo sintetizzato le diverse fasi generali del processo di M&A:

1- Valutazione delle opportunità: in questa fase, le aziende identificano le opportunità di M&A in base ai loro obiettivi strategici e alla compatibilità con l’industria e la posizione sul mercato.
2- Analisi dei candidati: le aziende valutano le società candidabili alla transazione di M&A, verificando i loro bilanci, le attività, le risorse, la posizione sul mercato e la potenziale sinergia.
3- Offerta iniziale e negoziazione: in questa fase, l’acquirente presenta un’offerta preliminare all’azienda target e avvia il processo di negoziazione con la controparte per definire i termini dell’accordo di M&A.
4- Due diligence: una fase molto delicata, in cui l’acquirente analizza in modo approfondito la società target, verificando la validità delle informazioni presentate in fase di valutazione iniziale, identificando eventuali rischi e problemi potenziali, e valutando l’impatto dell’operazione sulle attività e i dipendenti.
5- Strutturazione dell’accordo: l’acquirente e la società target concordano i dettagli dell’accordo di M&A, tra cui il prezzo, la forma di pagamento, la struttura dell’operazione, le condizioni e le garanzie, e i piani di integrazione.
6- Approvazione regolatoria: l’operazione deve essere approvata da diverse autorità regolatorie, tra cui le autorità antitrust, i regolatori del settore e le autorità di vigilanza.
7- Chiusura e integrazione: è la fase finale in cui le aziende completano l’operazione di M&A, trasferendo le proprietà e le risorse, integrando le attività, i dipendenti e le operazioni, e implementando i piani di integrazione concordati.
Queste fasi possono richiedere mesi o addirittura anni per essere completate e richiedono una gestione attenta da parte delle aziende coinvolte per minimizzare i rischi e massimizzare i benefici dell’operazione di M&A.

I rischi della M&A: come tutelarsi

La conseguenza negativa più rilevante in operazioni di Merger & Acquisition è certamente la possibilità che il reale valore di una delle aziende (nel caso di acquisizione si parla del valore di quella acquisita) sia in realtà inferiore a quanto atteso e questo potrebbe portare un danno alla società acquirente o comunque più grande.

La società acquisita potrebbe avere una situazione patrimoniale occulta o dei debiti e utilizzare l’operazione come un’ancora di salvezza.

Le aziende che intendono procedere a un’operazione di questo genere e, in particolare a un’acquisizione, possono cautelarsi facendo precedere l’accordo da approfondite indagini patrimoniali.
Queste investigazioni consentono infatti di stimare a quanto ammonti e come sia composto l’effettivo e complessivo patrimonio aziendale. Permettono quindi di evidenziare eventuali perdite occulte, debiti, operazioni poco trasparenti e scoprire da quali beni (mobili, immobili e immateriali) è composto il patrimonio aziendale.

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