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domenica 4 Maggio 2025
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Trasformazione digitale delle imprese 2025: incentivi e domande entro il 30 giugno

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La trasformazione digitale delle imprese italiane rappresenta oggi uno degli obiettivi strategici più importanti per aumentare la competitività del tessuto economico nazionale. In un mondo in cui l’innovazione tecnologica corre veloce, restare indietro significa perdere opportunità di crescita, clienti e, in molti casi, anche la propria posizione sul mercato. È in questo scenario che si inserisce il nuovo bando per la trasformazione digitale delle imprese, un’opportunità concreta per accedere a contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati e servizi di consulenza mirati al potenziamento tecnologico delle aziende.

Le domande per accedere agli aiuti possono essere presentate fino al 30 giugno 2025, data che segna un termine cruciale per le imprese che vogliono innovarsi in modo strutturale e ottenere un supporto economico concreto. Il bando si rivolge alle imprese operanti in specifiche regioni italiane (tra cui Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), con un focus particolare sulle PMI e sulle reti di imprese.

Nel corso di questo articolo vedremo chi può accedere ai fondi, quali interventi sono ammissibili, quali sono i vantaggi fiscali e finanziari legati a questa misura e, soprattutto, come presentare correttamente la domanda per non perdere l’occasione di sfruttare questi strumenti a supporto dell’innovazione.

Cos’è il programma PID-Next

Uno dei pilastri fondamentali del bando per la trasformazione digitale è il programma PID-Next, ovvero il Polo di Innovazione Digitale del Sistema Camerale. Questo strumento è stato concepito per offrire un supporto concreto alle imprese italiane, in particolare a quelle di dimensioni più ridotte: micro, piccole e medie imprese (MPMI). Il suo obiettivo principale è accompagnare queste realtà in un percorso strutturato di innovazione digitale, promuovendo l’adozione di tecnologie 4.0, strumenti avanzati di gestione e soluzioni digitali a supporto della produttività.

PID-Next opera attraverso un sistema di servizi pubblicamente finanziati, coprendo tra il 90% e il 100% dei costi per le imprese di minori dimensioni. Le attività previste includono servizi di first assessment, ovvero una valutazione iniziale del livello di digitalizzazione dell’azienda, e servizi di orientamento personalizzato, con l’obiettivo di identificare le aree prioritarie su cui intervenire per migliorare l’efficienza aziendale.

Il programma è attivo grazie a un avviso pubblico lanciato a dicembre 2024, e resterà disponibile fino al 30 giugno 2025. Questa scadenza rappresenta un’importante deadline per tutte le imprese interessate ad avviare un processo di innovazione sostenibile e coperto, in gran parte, da contributi pubblici.

Partecipare al PID-Next significa non solo accedere a fondi e servizi, ma anche iniziare un percorso di transizione digitale consapevole, con ricadute positive su produttività, competitività e anche sulla compliance normativa legata alla digitalizzazione.

Come funziona

Il programma PID-Next di Unioncamere si distingue per un approccio concreto e personalizzato alla trasformazione digitale. Le imprese interessate possono partecipare al progetto presentando apposita domanda entro il 30 giugno 2025. Una volta ammessa, l’azienda viene coinvolta in un percorso articolato in tre fasi principali, pensate per guidare le MPMI nel loro cammino verso l’innovazione.

1. Analisi della maturità digitale (First Assessment)

La prima fase prevede un incontro diretto presso l’azienda con un esperto del Polo di Innovazione, che condurrà una valutazione iniziale sul livello di digitalizzazione della realtà aziendale. Questo step serve a identificare non solo il punto di partenza, ma soprattutto gli obiettivi strategici dell’impresa e i fabbisogni tecnologici necessari a raggiungerli. È un momento cruciale per impostare un piano di digitalizzazione su misura, basato sulle esigenze reali dell’organizzazione.

2. Orientamento e proposta di innovazione

In seguito all’analisi iniziale, l’impresa riceve un report dettagliato contenente i risultati emersi e una proposta operativa. Il documento include l’individuazione di partner tecnologici potenziali, indicazioni su strumenti e tecnologie da adottare, nonché la segnalazione di eventuali altri bandi o misure di finanziamento compatibili con il progetto d’innovazione.

3. Opportunità di rete e trasferimento tecnologico

L’ultima fase consiste nell’accesso a un network selezionato di partner pubblici e privati che collaborano con PID-Next. Questo consente alle imprese di beneficiare di un vero e proprio ecosistema dell’innovazione, aprendo la strada al trasferimento tecnologico e alla creazione di nuove sinergie di sviluppo.

Imprese ammesse e requisiti di accesso

Il bando PID-Next è riservato alle imprese con sede operativa o legale in una delle seguenti otto regioni italiane: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Si tratta di un’area geografica strategica per le politiche di coesione e sviluppo, che punta a colmare il divario digitale tra Nord e Sud incentivando la trasformazione tecnologica del tessuto imprenditoriale meridionale.

Le imprese che possono accedere devono essere Micro, Piccole o Medie Imprese (MPMI) secondo la definizione europea, ossia con meno di 250 dipendenti, un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro e un bilancio totale inferiore a 43 milioni. È fondamentale che le imprese siano regolarmente iscritte al Registro delle Imprese e attive, con una posizione INPS e INAIL regolare e senza pendenze gravi con il fisco o altri enti previdenziali.

Il bando è particolarmente inclusivo: non pone limiti settoriali, consentendo la partecipazione a imprese manifatturiere, del terziario, dei servizi, dell’agroalimentare e altri comparti. L’importante è che l’impresa manifesti un reale interesse ad avviare un processo di digitalizzazione, supportato da una progettualità chiara e da obiettivi concreti.

Le reti di imprese e i consorzi possono a loro volta partecipare, a condizione che ciascuna impresa aderente rispetti i criteri previsti. Questa apertura consente di valorizzare anche forme di collaborazione tra PMI, incentivando processi di innovazione condivisi e sinergici.

Servizi offerti

Uno dei punti di forza del programma PID-Next è l’offerta di servizi personalizzati, qualificati e completamente gratuiti per le micro e piccole imprese, grazie alla copertura finanziaria pubblica che può arrivare fino al 100% del valore delle attività. Si tratta di un’opportunità strategica, in un momento storico in cui la digitalizzazione non è più un’opzione, ma una condizione essenziale per sopravvivere sul mercato.

Tra i principali servizi offerti troviamo:

  • Assessment della maturità digitale, con analisi tecnica e strategica personalizzata;

  • Consulenze mirate all’innovazione, fornite da esperti del sistema camerale e da enti partner qualificati;

  • Accesso a strumenti digitali e a tecnologie innovative (cloud, IoT, cybersecurity, intelligenza artificiale, ecc.);

  • Orientamento verso finanziamenti aggiuntivi, regionali, nazionali o europei;

  • Supporto nel matching con partner tecnologici, sia pubblici che privati.

Per le imprese, questi servizi si traducono in vantaggi concreti e misurabili: riduzione dei costi operativi, aumento della produttività, maggiore competitività sul mercato, miglioramento della sicurezza informatica, digitalizzazione dei processi gestionali e amministrativi.

Dal punto di vista fiscale, la partecipazione al programma può contribuire ad attivare ulteriori misure agevolative, come il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali 4.0 o per formazione digitale, se in linea con i progetti attivati.

In sintesi, PID-Next consente di avviare un processo strutturato di trasformazione digitale a costo zero, aumentando il valore dell’impresa e la sua capacità di affrontare le sfide future.

Procedura

Per accedere ai servizi offerti dal programma PID-Next, le imprese interessate devono partecipare all’Avviso pubblico attivo dal 16 dicembre 2024 al 30 giugno 2025. La procedura di candidatura è completamente digitale, pensata per essere semplice, veloce e accessibile anche alle imprese meno strutturate dal punto di vista amministrativo.

Le domande vanno presentate attraverso la piattaforma dedicata restart.infocamere.it, a partire dalle ore 10:00 del 16 dicembre 2024 e fino alle ore 16:00 del 30 giugno 2025. Per accedere è necessario autenticarsi con una delle seguenti identità digitali: SPID, CIE (Carta d’Identità Elettronica) o CNS (Carta Nazionale dei Servizi).

Possono partecipare le Micro, Piccole e Medie Imprese (PMI) con sede legale o operativa in Italia, anche se il bando mira a favorire principalmente le imprese situate nelle otto regioni del Mezzogiorno. All’interno della piattaforma, le imprese dovranno compilare un form digitale, fornendo informazioni sulla propria attività, sui fabbisogni tecnologici e sugli obiettivi di innovazione.

È importante prepararsi per tempo, raccogliendo la documentazione necessaria e chiarendo sin da subito quali ambiti di digitalizzazione si intende sviluppare. In caso di errori o omissioni nella compilazione, la domanda può essere respinta, per cui è consigliabile affidarsi a un consulente esperto per garantire la corretta presentazione.

La trasparenza del processo e l’assenza di costi di partecipazione rendono il bando particolarmente accessibile anche per le realtà imprenditoriali più piccole, che spesso non hanno risorse interne dedicate alla progettazione.

Tecnologie ammesse

Il progetto PID-Next non si limita a un generico supporto alla digitalizzazione, ma punta a introdurre nelle imprese tecnologie avanzate e abilitanti legate all’Industria 4.0. L’obiettivo è quello di accompagnare le MPMI in un percorso di trasformazione profonda, non solo nei processi, ma anche nella cultura aziendale e nella gestione strategica dell’innovazione.

Tra le tecnologie ammesse e maggiormente promosse troviamo:

  • Cloud computing e big data, per migliorare l’efficienza dei processi e l’analisi dei dati aziendali;

  • Intelligenza artificiale e machine learning, utili per l’automazione decisionale e la previsione delle dinamiche di mercato;

  • Cybersecurity e protezione dei dati, un’area cruciale per garantire la sicurezza digitale dell’impresa;

  • IoT (Internet of Things), per connettere macchinari e processi industriali in logica smart;

  • Blockchain, soprattutto per il tracciamento delle filiere e la certificazione di prodotti e processi;

  • Realtà aumentata e realtà virtuale, per la formazione, la prototipazione e il marketing;

  • Robotica collaborativa e sistemi di automazione, per aumentare la produttività e la qualità del lavoro in ambienti industriali.

Il valore aggiunto del programma è quello di personalizzare l’approccio tecnologico in base alle reali esigenze dell’impresa, evitando soluzioni standardizzate. Le tecnologie vengono proposte in modo coerente con i fabbisogni rilevati nella fase di first assessment, con il supporto di esperti qualificati.

Inoltre, l’introduzione di queste soluzioni può sbloccare l’accesso ad ulteriori agevolazioni fiscali, come i crediti d’imposta previsti dal Piano Transizione 4.0.

Benefici fiscali e finanziari complementari

Oltre ai servizi completamente gratuiti offerti da PID-Next, le imprese partecipanti possono beneficiare di importanti vantaggi fiscali e accedere a strumenti di finanza agevolata complementari, incrementando notevolmente il valore complessivo dell’intervento di digitalizzazione. Si tratta di una vera e propria strategia di ottimizzazione fiscale e finanziaria, che può essere messa in atto con il supporto di un consulente specializzato.

Uno dei principali strumenti attivabili in parallelo è il Credito d’Imposta per Beni Strumentali 4.0, previsto dal Piano Transizione 4.0. Questo incentivo consente di recuperare una parte rilevante delle spese sostenute per l’acquisto di macchinari, software e tecnologie digitali abilitanti. Le aliquote possono variare dal 20% al 50% in base alla tipologia del bene e alla dimensione dell’impresa, e sono cumulabili con altri incentivi regionali e nazionali.

Un altro incentivo interessante è il Credito d’Imposta per Formazione 4.0, dedicato a quelle imprese che intendono aggiornare le competenze digitali del proprio personale. L’investimento in capitale umano è infatti uno degli aspetti chiave per garantire il successo di ogni processo di trasformazione digitale.

Infine, le imprese che avviano progetti di digitalizzazione possono accedere più facilmente anche a bandi regionali, fondi europei (come Horizon Europe, Digital Europe, ecc.) e finanziamenti a tasso agevolato (come i prestiti Simest o i fondi BEI).

In sintesi, PID-Next può diventare il punto di partenza per attivare un ecosistema di agevolazioni, con impatti positivi su fiscalità, liquidità e capacità competitiva.

Errori da evitare

Nonostante la procedura di accesso al PID-Next sia pensata per essere semplice e digitale, non mancano i casi di esclusione per errori evitabili. Essere informati in anticipo sulle criticità più frequenti permette alle imprese di aumentare le probabilità di successo e di accedere senza intoppi ai benefici previsti.

Uno degli errori più comuni è la compilazione incompleta o inesatta della domanda online. Anche un semplice errore di digitazione nei dati aziendali o la mancata allegazione di un documento richiesto può determinare lo scarto automatico della richiesta. È quindi fondamentale leggere attentamente l’Avviso pubblico e predisporre per tempo tutta la documentazione necessaria.

Altro aspetto spesso sottovalutato riguarda la mancanza di coerenza tra i bisogni dell’azienda e gli obiettivi dichiarati nella domanda. Il progetto deve essere credibile, strutturato e realistico. Un buon consiglio è quello di farsi supportare da un consulente, anche solo per la parte iniziale di impostazione e per l’analisi dei fabbisogni digitali.

Attenzione anche alle tempistiche: l’accesso alla piattaforma può subire rallentamenti nei giorni prossimi alla scadenza, perciò è sempre consigliabile presentare la domanda con ampio anticipo rispetto al 30 giugno 2025.

Infine, è utile monitorare eventuali aggiornamenti normativi o integrazioni all’avviso che potrebbero modificare i requisiti o ampliare le possibilità di accesso ad altri fondi complementari.

In conclusione, pianificare con cura, essere tempestivi e farsi affiancare da esperti sono tre elementi chiave per accedere al PID-Next con successo.

Considerazioni finali

Il bando PID-Next rappresenta una delle migliori opportunità del 2025 per le micro, piccole e medie imprese italiane che vogliono intraprendere un percorso concreto di trasformazione digitale. Grazie a un mix vincente di servizi completamente gratuiti, consulenze personalizzate e accesso facilitato a tecnologie 4.0, questo programma consente di innovare senza sostenere costi diretti, ottenendo al contempo vantaggi fiscali e competitivi significativi.

La partecipazione è aperta fino al 30 giugno 2025, ma vista la complessità delle valutazioni preliminari e la possibilità di accesso su base “a sportello”, è fondamentale muoversi con anticipo, evitando ritardi e congestioni sulla piattaforma digitale.

Oltre al supporto tecnico e strategico offerto dal sistema camerale, PID-Next è anche una porta d’accesso a un ecosistema di innovazione fatto di partner pubblici, privati, università e centri di ricerca, pronti a collaborare per sviluppare progetti su misura. L’integrazione con gli altri strumenti fiscali, come il credito d’imposta per investimenti e formazione 4.0, rende il pacchetto ancora più interessante e redditizio.

Per le imprese, questa è l’occasione ideale per ripensare i propri modelli produttivi, aumentare la resilienza e la competitività sul mercato e farsi trovare pronte alle sfide di un’economia sempre più digitale.

Rendicontazione di sostenibilità per le PMI: cos’è il VSME e perché conviene adottarlo

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Business partnership holding plant together with recycle icon symbolize ESG sustainable environment nurturing and ecosystem protection with eco technology and waste recycling. Panorama Reliance

Negli ultimi anni, il concetto di sostenibilità ha smesso di essere un semplice slogan, trasformandosi in un vero e proprio criterio di valutazione economica, finanziaria e strategica per ogni impresa. Se per le grandi aziende la Direttiva CSRD ha già reso obbligatoria la rendicontazione ESG (ambientale, sociale e di governance), per le PMI non quotate – che rappresentano oltre il 90% del tessuto imprenditoriale italiano – il rischio è quello di restare escluse da una trasformazione ormai inarrestabile.

Ed è proprio per colmare questo divario che nasce il VSME – Voluntary Sustainability Reporting Standards for Non-listed SMEs: un framework volontario, pensato per le piccole e medie imprese che vogliono prepararsi in modo intelligente alle nuove esigenze del mercato, senza doversi confrontare con la complessità degli standard per le grandi aziende.

In questo articolo vedremo cos’è il VSME, a chi si rivolge, quali sono i suoi vantaggi pratici, e perché oggi rappresenta una delle soluzioni più concrete e strategiche per affrontare il tema della sostenibilità in modo accessibile, credibile e progressivo. Un’opportunità da cogliere subito, prima che la rendicontazione ESG diventi un obbligo anche per le PMI.

VSME

Il Voluntary Sustainability Reporting Standards for Non-listed SMEs (VSME), in italiano “Standard volontari di rendicontazione della sostenibilità per PMI non quotate”, è un insieme di linee guida sviluppato da EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group).

Questo strumento è stato pensato per supportare le piccole e medie imprese non quotate, ovvero quelle realtà aziendali che, pur non rientrando direttamente nell’ambito di applicazione obbligatoria della Direttiva CSRD, vogliono iniziare un percorso di rendicontazione sostenibile.

Si tratta dunque di una iniziativa su base volontaria, ma con un potenziale enorme, poiché consente alle PMI di anticipare le richieste future del mercato e degli stakeholder, migliorare la trasparenza e costruire relazioni più solide con clienti, banche e partner commerciali.

L’obiettivo principale del VSME è quello di fornire un framework semplice, accessibile e modulare, capace di adattarsi alle dimensioni e alla complessità delle PMI. Non tutte le imprese, infatti, hanno le risorse o le competenze per affrontare un sistema di rendicontazione sofisticato come quello previsto per le grandi aziende dalla CSRD.

Per questo motivo, il VSME si articola su diversi livelli di approfondimento e permette anche una rendicontazione graduale, offrendo un primo passo verso un modello di business più sostenibile e consapevole.

Transizione sostenibile

Il crescente interesse verso la sostenibilità non è più solo una questione etica o ambientale, ma si sta trasformando in una vera e propria leva economica e finanziaria. In questo contesto, l’EFRAG – organismo indipendente nato su impulso della Commissione Europea – ha elaborato gli standard VSME proprio per accompagnare le PMI nella transizione verso un modello di business sostenibile.

L’obiettivo è rispondere alla necessità, sempre più urgente, di un sistema di rendicontazione snello, accessibile e proporzionato alla realtà delle imprese di piccole dimensioni.

Il VSME diventa uno strumento chiave per gestire in modo efficiente le richieste sempre più frequenti di dati ESG (ambientali, sociali e di governance) provenienti da attori fondamentali dell’ecosistema economico: banche, investitori e grandi imprese, ovvero i principali stakeholder da cui spesso dipendono commesse, finanziamenti o condizioni di fornitura.

In molti casi, infatti, le PMI rivestono il ruolo di fornitori strategici per gruppi industriali o multinazionali che sono già obbligati alla rendicontazione di sostenibilità. Per poter continuare a collaborare con questi soggetti, le PMI devono dimostrare di essere allineate a criteri ESG: il VSME permette di farlo in maniera chiara, credibile e commisurata alla loro realtà operativa.

Gli obiettivi del VSME

Lo scopo principale del VSME è chiaro: aiutare le PMI ad affrontare il tema della sostenibilità senza sovraccaricarle di oneri burocratici, ma anzi semplificando il processo attraverso un framework flessibile e proporzionato. Grazie a questo standard, le imprese possono strutturare in modo più efficiente la raccolta e la comunicazione dei dati ESG, migliorando sia la trasparenza interna sia la percezione da parte del mercato.

Ma gli obiettivi del VSME vanno ben oltre la sola semplificazione.

Questo strumento è pensato anche per:

  • promuovere un’economia più sostenibile, inclusiva e resiliente, valorizzando le realtà imprenditoriali locali;

  • rafforzare la competitività delle PMI nel tempo, attraverso l’integrazione di pratiche ESG che migliorano il posizionamento e la reputazione aziendale;

  • facilitare l’accesso a finanziamenti e partnership commerciali, rispondendo alle crescenti esigenze informative di banche, investitori e grandi aziende;

  • offrire un punto di contatto semplificato con gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), evitando l’impatto eccessivo delle normative destinate alle grandi imprese, ma mantenendo un livello di coerenza e allineamento.

In sintesi, il VSME non è solo un’opportunità per fare “buon marketing” green, ma uno strumento concreto di sviluppo aziendale, con effetti positivi anche sul piano economico e finanziario.

Adozione volontaria del VSME

Lo standard VSME è stato concepito per essere adottato su base volontaria da tutte quelle realtà imprenditoriali che, pur non essendo obbligate a rendicontare secondo la Direttiva CSRD, vogliono iniziare un percorso serio verso la sostenibilità. In particolare, si rivolge a microimprese, piccole imprese e medie imprese non quotate, che rappresentano il cuore del tessuto produttivo europeo.

L’adozione del VSME permette loro di approcciarsi in maniera graduale e proporzionata ai temi ESG, senza dover affrontare la complessità degli standard ESRS pensati per le grandi aziende.

Il VSME agisce quindi come una sorta di ponte tra la volontarietà e l’obbligatorietà, offrendo alle PMI l’opportunità di prepararsi per tempo alle trasformazioni normative che stanno per arrivare.

Un esempio recente è il Pacchetto Omnibus, attualmente in discussione a livello europeo.

Se approvato in via definitiva dal Consiglio UE, il Pacchetto potrebbe introdurre modifiche sostanziali agli attuali obblighi di sostenibilità, con impatti anche per le PMI. Si ipotizza che l’iter legislativo venga completato tra fine 2025 e inizio 2026, rendendo cruciale per le imprese iniziare fin da ora un processo di adeguamento.

In questo scenario in evoluzione, il VSME si conferma come uno strumento strategico per anticipare il cambiamento, ridurre i rischi normativi futuri e dimostrare responsabilità sociale in modo credibile e documentato.

Come funziona

Uno degli aspetti più interessanti del VSME è la sua struttura modulare, pensata per adattarsi alle esigenze e alla maturità delle diverse PMI. Lo standard, infatti, è suddiviso in due livelli principali di rendicontazione: il livello base, chiamato “basic module”, e il livello avanzato, detto “narrative module”.

Questa articolazione permette alle imprese di iniziare con un primo step semplificato e, se lo desiderano, evolvere progressivamente verso una rendicontazione più completa e strutturata, senza subire pressioni o obblighi immediati.

  • Il basic module è orientato alla raccolta e comunicazione di informazioni quantitative essenziali, utili per soddisfare le richieste di clienti, banche e investitori in maniera rapida e accessibile. È particolarmente indicato per le microimprese o per chi si affaccia per la prima volta al mondo ESG.

  • Il narrative module, invece, consente una descrizione più dettagliata delle strategie di sostenibilità dell’impresa, degli impatti ambientali e sociali, delle politiche adottate e dei risultati ottenuti. Si avvicina di più agli standard della CSRD, pur restando su un livello meno complesso.

Questa impostazione modulare rende il VSME uno strumento estremamente flessibile, capace di adattarsi alla realtà di ogni PMI, e consente di costruire un percorso di sostenibilità credibile e sostenibile nel tempo, anche dal punto di vista operativo ed economico.

I vantaggi per le PMI

Adottare lo standard VSME non significa solo “fare bella figura” dal punto di vista ambientale o etico. Al contrario, le PMI che scelgono volontariamente di intraprendere un percorso di rendicontazione della sostenibilità secondo questo modello possono ottenere vantaggi concreti e misurabili.

In primo luogo, il VSME permette di accedere più facilmente al credito, poiché molte banche iniziano a valutare il profilo ESG delle imprese clienti nell’ambito delle proprie politiche di concessione dei finanziamenti. Una rendicontazione anche basilare, ma ben strutturata, può quindi fare la differenza nell’ottenimento di prestiti o agevolazioni.

Inoltre, la trasparenza in ambito ESG consente alle PMI di migliorare la propria reputazione, sia sul mercato nazionale che internazionale, aumentando la fiducia da parte di clienti, fornitori e partner commerciali.

Le imprese sostenibili sono percepite come più affidabili, innovative e resilienti, elementi cruciali in mercati sempre più esigenti. Non da ultimo, la rendicontazione volontaria rappresenta anche un vantaggio competitivo nelle gare d’appalto, nelle catene di fornitura delle grandi aziende e nei rapporti B2B, dove i criteri ESG sono ormai spesso decisivi.

In sintesi, il VSME è un investimento strategico: riduce i rischi futuri legati alla conformità normativa, migliora la competitività e apre nuove opportunità di crescita.

Il legame tra VSME ed ESRS

Anche se il VSME è uno standard volontario, è stato sviluppato in modo da essere coerente con gli ESRS, ovvero gli European Sustainability Reporting Standards, che rappresentano il cuore tecnico della Direttiva CSRD.

Questo significa che una PMI che adotta il VSME non sta semplicemente implementando un sistema alternativo, ma si sta già allineando a una logica europea di rendicontazione, utilizzando un linguaggio comprensibile e riconosciuto da istituzioni, investitori e grandi aziende.

Il VSME è infatti progettato per rispondere – in modo semplificato e proporzionato – a molte delle stesse esigenze informative richieste dagli ESRS. Le aree tematiche coperte riguardano:

  • Ambiente (impatto ambientale, risorse energetiche, emissioni),

  • Aspetti sociali (dipendenti, comunità, inclusione),

  • Governance (struttura decisionale, etica aziendale).

Questa coerenza rappresenta un enorme vantaggio per le PMI, che possono così costruire gradualmente una cultura aziendale della sostenibilità, senza subire il trauma di un cambiamento normativo repentino.

Inoltre, nel caso in cui in futuro l’impresa rientri tra i soggetti obbligati dalla CSRD (ad esempio per crescita dimensionale o perché parte di una catena di fornitura), sarà già pronta ad affrontare il passaggio in modo fluido, senza dover ripartire da zero.

Primi passi per le PMI

Avvicinarsi alla rendicontazione di sostenibilità può sembrare complesso, ma il VSME è stato progettato proprio per rendere semplice e graduale l’adozione da parte delle PMI. Il primo passo è una valutazione interna dei dati già disponibili: molte imprese, infatti, possiedono già informazioni rilevanti sui consumi energetici, gestione dei rifiuti, sicurezza sul lavoro o politiche HR, ma non le sistematizzano in chiave ESG. Il VSME aiuta a raccogliere, organizzare e comunicare questi dati in un formato strutturato.

Successivamente, l’impresa può decidere quale livello di rendicontazione adottare (modulo base o narrativo), in base alla propria capacità organizzativa e agli obiettivi di comunicazione. È consigliabile affidarsi a un consulente esperto o a un commercialista aggiornato sulle novità in materia di sostenibilità, che possa guidare l’impresa nella selezione degli indicatori e nella compilazione del report.

Un altro elemento importante è la formazione interna: coinvolgere dipendenti e management in un percorso di consapevolezza sulla sostenibilità aumenta la qualità del report e rafforza l’identità aziendale. Infine, il report VSME può essere pubblicato sul sito web, condiviso con banche, clienti e fornitori, oppure utilizzato nei rapporti con enti pubblici o per accedere a bandi e incentivi.

In questo modo, la PMI trasforma la rendicontazione in un vero strumento di gestione e comunicazione, ponendosi come attore credibile nella transizione verde.

Il futuro del VSME

Lo standard VSME rappresenta oggi una delle iniziative più concrete e promettenti per accompagnare le PMI verso la sostenibilità, senza imporre loro un carico normativo eccessivo. Ma il suo vero potenziale si vedrà nei prossimi anni, quando le richieste del mercato – tra cui investitori, clienti istituzionali, piattaforme di approvvigionamento e sistema bancario – diventeranno sempre più stringenti in termini di trasparenza ambientale e sociale.

In questo scenario, le PMI che avranno già avviato un percorso con il VSME potranno godere di un vantaggio competitivo strutturale, posizionandosi come partner affidabili, moderni e in linea con i principi dell’economia sostenibile europea. Non è da escludere che, in un futuro prossimo, il VSME diventi un requisito premiante nei bandi pubblici, nelle gare d’appalto e persino nei processi di selezione di fornitori da parte delle grandi aziende, in linea con quanto già avviene nei mercati più avanzati.

Inoltre, con l’arrivo del Pacchetto Omnibus e le prossime evoluzioni della normativa comunitaria, sarà sempre più utile disporre di uno strumento flessibile ma allineato agli standard ufficiali europei. Il VSME, in questo senso, è destinato a diventare un punto di riferimento stabile per le PMI, non solo in Italia ma in tutta l’Unione Europea.

Conclusione

In un’epoca in cui la sostenibilità è diventata un driver imprescindibile per lo sviluppo economico, le PMI italiane non possono permettersi di restare indietro. Il Voluntary Sustainability Reporting Standards for Non-listed SMEs (VSME) rappresenta un’occasione concreta per iniziare un percorso di trasformazione responsabile, con strumenti calibrati sulla realtà operativa delle piccole e medie imprese.

A differenza degli standard ESRS, pensati per le grandi aziende e di difficile applicazione per le realtà minori, il VSME si propone come uno strumento accessibile, flessibile e progressivo, che permette alle PMI di misurare, comunicare e migliorare il proprio impatto ESG. Un’opportunità non solo in termini di compliance futura, ma anche di valorizzazione del brand, accesso a nuove linee di credito e posizionamento competitivo sul mercato.

In un contesto normativo in continua evoluzione – basti pensare all’imminente Pacchetto Omnibus – dotarsi di un sistema di rendicontazione volontaria come il VSME può fare la differenza tra restare passivi o guidare il cambiamento. La sostenibilità, oggi, non è più un’opzione. È una scelta strategica.

Bonus Mobili 2025: requisiti, spese ammesse e come ottenere la detrazione del 50%

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Nel 2025 torna uno degli incentivi fiscali più apprezzati dagli italiani: il Bonus Mobili ed Elettrodomestici, confermato dalla Legge di Bilancio con alcune novità e limiti aggiornati. Si tratta di una detrazione IRPEF del 50% sulle spese sostenute per acquistare arredi e grandi elettrodomestici destinati a immobili oggetto di ristrutturazione edilizia, nel rispetto di specifici requisiti tecnici ed energetici.

Ma attenzione: per non perdere il diritto al beneficio è fondamentale conoscere chi può richiederlo, quali beni sono ammessi, quali esclusi, come vanno effettuati i pagamenti e quali documenti conservare.

In questa guida completa e aggiornata al Bonus Mobili 2025 troverai tutte le risposte, esempi pratici e consigli utili per massimizzare il vantaggio fiscale in modo corretto e sicuro.

Requisiti e condizioni

Il Bonus mobili 2025 è riservato a chi esegue interventi di ristrutturazione edilizia e, successivamente, acquista mobili o grandi elettrodomestici nuovi. Il diritto alla detrazione del 50% spetta solo se i lavori sono iniziati a partire dal 1° gennaio 2024, cioè nell’anno precedente all’acquisto dei beni, e se questi ultimi vengono acquistati entro il 31 dicembre 2025.

Tra i requisiti tecnici, per gli elettrodomestici è richiesta una classe energetica non inferiore a:

  • Classe A per i forni,

  • Classe E per lavatrici, lavasciugatrici e lavastoviglie,

  • Classe F per frigoriferi e congelatori.

La detrazione riguarda l’acquisto di mobili nuovi, come letti, armadi, cassettiere, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, poltrone, credenze, divani, materassi e apparecchi di illuminazione, ma esclude porte, pavimenti, tende, tendaggi e complementi d’arredo.

Rientrano tra le spese detraibili anche trasporto e montaggio, a condizione che vengano sostenute con i mezzi di pagamento ammessi (bonifico parlante, carta di credito o di debito). Importante: non è ammesso l’uso di contanti o assegni.

In caso di lavori sulle parti comuni condominiali, la detrazione spetta per l’acquisto di mobili destinati ad arredare solo tali spazi (es. guardiole o alloggio del portiere), ma non per quelli delle singole abitazioni dei condòmini. È però ammessa la detrazione anche se i beni sono collocati in un diverso ambiente della stessa unità immobiliare oggetto della ristrutturazione.

Vantaggi fiscali

Il Bonus mobili 2025 consente di ottenere una detrazione IRPEF pari al 50% delle spese sostenute per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di ristrutturazione edilizia. Il beneficio è valido per gli acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2025, ma solo se i lavori di ristrutturazione sono iniziati a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente.

La detrazione deve essere suddivisa in dieci rate annuali di pari importo e viene calcolata su un importo massimo di spesa che, per l’anno 2025, è pari a 5.000 euro. Si tratta di un tetto ridotto rispetto agli anni precedenti: nel 2023, ad esempio, era di 8.000 euro, mentre nel 2022 era 10.000 euro e nel 2021 addirittura 16.000 euro.

Per poter usufruire dell’incentivo, è fondamentale che la data di inizio lavori sia anteriore a quella di acquisto dei beni agevolati.

Tale data può essere dimostrata tramite:

  • le autorizzazioni edilizie,

  • la comunicazione preventiva all’ASL (se obbligatoria),

  • oppure una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000), in caso di interventi che non richiedono permessi specifici.

Questa agevolazione rappresenta un concreto risparmio fiscale per i contribuenti e consente di migliorare l’efficienza e il comfort dell’abitazione ristrutturata. Attenzione però: il beneficio non è cumulabile con altri bonus per lo stesso tipo di spesa.

Adempimenti e modalità di pagamento

Per usufruire del Bonus mobili 2025, è fondamentale rispettare scrupolosamente le modalità di pagamento e conservare adeguatamente la documentazione richiesta. I pagamenti devono essere effettuati esclusivamente con bonifico, carta di debito o carta di credito. Non sono ammessi pagamenti in contanti, assegni bancari o altri mezzi non tracciabili.

Nel caso di bonifico bancario o postale, non è necessario utilizzare il bonifico “parlante” previsto per le detrazioni relative alle ristrutturazioni edilizie. È sufficiente un bonifico ordinario, purché il pagamento sia tracciabile.

È possibile accedere al bonus anche nel caso in cui i mobili o gli elettrodomestici siano acquistati con un finanziamento rateale, ma solo a condizione che:

  • la società finanziaria paghi il fornitore con le modalità ammesse (bonifico, carta di credito o debito),

  • il contribuente possieda copia della ricevuta del pagamento effettuato dalla finanziaria.

I documenti da conservare ai fini della detrazione sono:

  • la ricevuta del bonifico o l’attestazione della transazione per i pagamenti con carte,

  • la documentazione di addebito sul conto corrente,

  • la fattura di acquisto indicante natura, qualità e quantità dei beni acquistati,

  • oppure lo scontrino fiscale “parlante”, che riporti il codice fiscale dell’acquirente e le stesse informazioni previste per la fattura.

Inoltre, la detrazione spetta anche se i beni agevolabili sono acquistati all’estero, a condizione che siano rispettate le regole sopra indicate.

Esempi pratici

Per capire meglio come utilizzare il Bonus mobili 2025, è utile analizzare alcuni esempi concreti di spese ammesse e non ammesse, così da evitare errori che potrebbero compromettere il diritto alla detrazione.

Tra i beni che rientrano pienamente nell’agevolazione troviamo:

  • mobili per l’arredamento della casa ristrutturata, come letti, armadi, comò, cassettiere, comodini, librerie, tavoli, sedie, divani, poltrone, credenze e scrivanie;

  • materassi e apparecchi di illuminazione, se acquistati come parte integrante dell’arredo dell’immobile ristrutturato;

  • elettrodomestici di classe energetica adeguata, come forni (almeno classe A), lavatrici, lavasciugatrici e lavastoviglie (almeno classe E), frigoriferi e congelatori (almeno classe F).

Sono invece esclusi dal bonus:

  • porte interne ed esterne,

  • pavimentazioni come parquet o piastrelle,

  • tende e tendaggi,

  • complementi d’arredo non funzionali alla destinazione d’uso dell’ambiente.

Un caso particolare spesso segnalato riguarda l’acquisto di arredi destinati a stanze diverse rispetto a quella oggetto di ristrutturazione: ad esempio, se si ristruttura il bagno ma si acquistano mobili per la camera da letto, la detrazione è comunque ammessa, purché all’interno dello stesso immobile.

Anche nei condomini è possibile usufruire del bonus, ma solo per arredi destinati agli spazi comuni (come l’alloggio del portiere o la guardiola) e non per le singole abitazioni dei condòmini.

Consigli pratici

Accedere al Bonus mobili 2025 è un’ottima occasione per rinnovare casa risparmiando, ma il rischio di perdere la detrazione per disattenzione è più comune di quanto si pensi. Ecco quindi una serie di consigli pratici e verificati per non commettere errori e ottenere senza intoppi il beneficio fiscale:

1. Attenzione alla data di inizio lavori

Molti contribuenti acquistano mobili convinti di poter usufruire della detrazione, senza aver ancora avviato formalmente i lavori. Ricorda: la data di inizio ristrutturazione deve essere precedente all’acquisto dei beni. Se necessario, formalizzala con una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, soprattutto in caso di lavori in edilizia libera.

2. Verifica le classi energetiche

Prima di acquistare un elettrodomestico, controlla bene l’etichetta: solo quelli con classe minima prevista dalla legge (A per forni, E per lavatrici, ecc.) sono ammessi al bonus. Conserva la scheda tecnica come prova in caso di controlli.

3. Effettua pagamenti solo con strumenti tracciabili

Evita assegni e contanti. I pagamenti devono essere effettuati con bonifico (anche ordinario), carte di credito o di debito. Se acquisti tramite finanziamento, assicurati che sia la finanziaria a pagare con modalità ammesse e conserva la ricevuta.

4. Conserva tutta la documentazione

Fatture, ricevute di pagamento, scontrini parlanti, prove di addebito su conto corrente: tutti questi documenti vanno conservati per almeno 10 anni, in caso di controlli futuri da parte dell’Agenzia delle Entrate.

5. Occhio al tetto di spesa

La detrazione è limitata a un massimo di 5.000 euro per il 2025. Se superi questo importo, la parte eccedente non sarà detraibile. Considera anche che l’agevolazione non si rinnova in caso di più ristrutturazioni sullo stesso immobile nello stesso anno.

Seguendo questi semplici consigli, è possibile ottenere la detrazione senza rischi e con la tranquillità di essere perfettamente in regola con la normativa fiscale vigente.

Dichiarazione dei redditi

Molti contribuenti, pur avendo rispettato tutte le regole per accedere al Bonus mobili, commettono errori nella compilazione della dichiarazione dei redditi, perdendo in parte (o totalmente) il diritto alla detrazione. Per evitare questi problemi, è utile sapere dove e come indicare la spesa nel modello 730 o nel modello Redditi PF.

Dove si inserisce il Bonus mobili nel 730?

Se utilizzi il Modello 730/2025, le spese per il Bonus mobili devono essere inserite nel Quadro E, rigo E57, dedicato alle “Spese per arredo di immobili ristrutturati”. Qui va indicato l’importo massimo detraibile, anche se la spesa effettiva è superiore ai 5.000 euro consentiti per il 2025. Ricorda: la detrazione è suddivisa in 10 quote annuali, e ogni anno è necessario riportare il valore corretto tra gli oneri detraibili.

Nel caso in cui l’immobile sia cointestato o in comproprietà, la spesa può essere ripartita tra gli aventi diritto in base alla percentuale effettivamente sostenuta da ciascuno, a patto che il pagamento sia tracciabile e intestato anche al beneficiario della detrazione.

E nel Modello Redditi?

Nel Modello Redditi PF, il riferimento è simile: la spesa va inserita nei righi da RP57 a RP59, seguendo gli stessi criteri previsti per il 730. Anche qui è fondamentale conservare tutte le ricevute di pagamento, le fatture e la prova della data di inizio lavori.

Un aspetto da non sottovalutare è che il Bonus mobili non è cumulabile con altri bonus per l’acquisto di arredi o beni mobili, a meno che non si tratti di interventi su immobili differenti o ristrutturazioni diverse e ben distinte.

Cosa succede se si sbaglia la compilazione?

Se l’errore viene rilevato subito, è possibile correggere il modello tramite un 730 integrativo o, in alternativa, con un modello Redditi correttivo nei termini previsti dalla legge. Tuttavia, se l’errore non viene corretto per tempo, l’Agenzia delle Entrate può disconoscere la detrazione e richiedere il rimborso delle somme indebitamente percepite, con sanzioni e interessi.

Per questo motivo, affidarsi a un commercialista o a un CAF resta la scelta migliore per chi vuole essere sicuro di usufruire correttamente del Bonus mobili nella propria dichiarazione dei redditi.

Differenze tra Bonus mobili e Bonus verde

Nell’ambito delle agevolazioni fiscali legate alla casa, il Bonus mobili viene spesso confuso con altre misure simili, come il Bonus verde. Pur essendo entrambi strumenti pensati per migliorare l’abitazione e incentivare determinati tipi di spesa, le due agevolazioni presentano caratteristiche completamente diverse.

Bonus mobili 2025: legato alla ristrutturazione

Come abbiamo visto, il Bonus mobili è subordinato all’avvio di lavori di ristrutturazione edilizia, e consente di detrarre il 50% delle spese sostenute per l’acquisto di mobili nuovi e grandi elettrodomestici ad alta efficienza. Il tetto massimo è fissato a 5.000 euro per il 2025, e la detrazione viene suddivisa in 10 rate annuali.

Bonus verde: destinato agli spazi esterni

Il Bonus verde, invece, riguarda la sistemazione di giardini, terrazzi, balconi e spazi verdi, sia privati che condominiali.

Consente una detrazione del 36% su un massimo di 5.000 euro per unità immobiliare, per spese legate a interventi di:

  • sistemazione a verde,

  • impianti di irrigazione,

  • recinzioni,

  • realizzazione di pozzi e tetti verdi.

A differenza del Bonus mobili, non è necessario aver effettuato lavori di ristrutturazione per accedere al Bonus verde. Inoltre, sono due detrazioni separate e cumulabili, purché si rispettino i limiti specifici e si riferiscano a spese diverse.

Perché è importante conoscere la differenza?

Conoscere le differenze tra i vari bonus casa permette al contribuente di ottimizzare la pianificazione fiscale e ottenere il massimo risparmio possibile. Confondere le due agevolazioni può portare a errori in dichiarazione o nella documentazione, con la conseguente perdita del beneficio o l’emissione di cartelle da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Considerazioni finali

Il Bonus mobili 2025 si conferma una misura fiscale di grande utilità per chi desidera rinnovare l’arredamento della propria abitazione in concomitanza con lavori di ristrutturazione. La possibilità di ottenere una detrazione IRPEF del 50%, seppur su un tetto di spesa ridotto rispetto al passato, rappresenta un incentivo concreto e facilmente accessibile.

Per usufruirne appieno, è essenziale conoscere le regole in vigore, rispettare le tempistiche tra l’inizio dei lavori e l’acquisto dei beni, e conservare con attenzione tutta la documentazione necessaria. Si tratta di un’opportunità interessante non solo dal punto di vista del risparmio fiscale, ma anche per migliorare il comfort, l’efficienza e il valore dell’immobile.

In un contesto economico dove ogni occasione per ottimizzare le spese può fare la differenza, pianificare correttamente l’uso del Bonus mobili — magari con l’aiuto di un professionista — può tradursi in un vantaggio tangibile.
L’invito, quindi, è a muoversi per tempo, valutando l’intervento edilizio e gli acquisti da effettuare, per non farsi trovare impreparati e sfruttare al meglio questa agevolazione ancora disponibile fino al 31 dicembre 2025.

Bonus nascita 2025 da 1000 euro: requisiti, scadenze e guida alla domanda INPS

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Dal 17 aprile 2025, è ufficialmente attiva la piattaforma INPS per richiedere il Bonus nascita da 1000 euro, il contributo economico una tantum previsto dalla Legge di Bilancio 2025 a favore delle famiglie con ISEE fino a 40.000 euro. Il beneficio, noto anche come “Carta nuovi nati”, è rivolto a genitori di bambini nati o adottati dal 1° gennaio 2025 e punta a sostenere la genitorialità in un momento economico complesso per molte famiglie italiane.

Attenzione: i fondi sono limitati e l’erogazione avverrà in ordine cronologico di presentazione delle domande. Chi invia la richiesta per primo ha più possibilità di ottenere il contributo, rendendo fondamentale agire con tempestività e precisione.

In questo articolo trovi tutte le informazioni utili per accedere al bonus: chi ne ha diritto, come presentare domanda, scadenze, documentazione necessaria e vantaggi fiscali. Parleremo anche delle novità sul Bonus asilo nido 2025, cumulabile con il Bonus nascita e potenziato dalla nuova normativa.

Se sei genitore o stai per diventarlo, questa guida ti aiuterà a non perdere un’opportunità concreta per il futuro della tua famiglia.

Bonus nascita 2025

Il Bonus nascita 2025, noto anche come “Carta nuovi nati”, è una delle misure chiave introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 (Legge n. 207/2024), pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2024. Il provvedimento si inserisce nel piano del Governo volto a sostenere le famiglie a basso reddito e incentivare la genitorialità, in linea con le dichiarazioni della Premier Giorgia Meloni e dei ministri competenti. Il bonus consiste in un contributo una tantum di 1.000 euro, destinato a famiglie con ISEE inferiore ai 40.000 euro, per ogni figlio nato o adottato a partire dal 1° gennaio 2024.

Un aspetto fondamentale da considerare è che le domande verranno accettate in ordine cronologico, come precisato nel Messaggio INPS del 16 aprile 2025. Questo significa che, in caso di esaurimento fondi, verrà data priorità a chi ha fatto richiesta prima. Dal 17 aprile 2025, è ufficialmente attiva la piattaforma INPS per l’invio delle domande online, mentre resta per ora inattiva l’app INPS Mobile.

In alternativa, è possibile fare domanda anche tramite i patronati, che possono assistere nella compilazione della richiesta.

Questo bonus si affianca al rafforzamento del Bonus asilo nido, un altro provvedimento importante introdotto dalla stessa legge, che prevede nuove agevolazioni nell’accesso, come l’esclusione dell’Assegno Unico dal calcolo ISEE e l’eliminazione del vincolo del secondo figlio sotto i 10 anni.

“Carta nuovi nati” da 1000 euro

Il Bonus nascita 2025, denominato anche “Carta nuovi nati”, è regolato dall’articolo 1, commi 206-208 della Legge di Bilancio 2025. Si tratta di un contributo una tantum pari a 1.000 euro, erogato a favore delle famiglie con Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) inferiore a 40.000 euro. Un aspetto rilevante da sottolineare è che, ai fini del calcolo dell’ISEE per l’accesso al bonus, l’importo percepito a titolo di Assegno Unico e Universale per i figli a carico viene escluso, rendendo di fatto il beneficio più accessibile anche per molte famiglie che supererebbero di poco la soglia.

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al disegno di legge, il bonus verrà erogato nel mese successivo alla nascita o all’adozione del minore. Inoltre, non concorrerà alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF, quindi non sarà tassato e non inciderà su eventuali prestazioni assistenziali o fiscali legate al reddito.

I beneficiari devono essere residenti in Italia e rientrare in una delle seguenti categorie:

  • cittadini italiani;

  • cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea o familiari di cittadini UE titolari di diritto di soggiorno;

  • cittadini extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, permesso unico di lavoro, o permesso per motivi di ricerca.

Lo stanziamento previsto per questa misura è pari a 330 milioni di euro per il 2025, e a 360 milioni annui a partire dal 2026, a conferma della volontà del Governo di renderla una misura strutturale.

Modalità, piattaforme e documenti necessari

l’INPS ha ufficialmente aperto la piattaforma per la presentazione delle domande relative alla Carta nuovi nati da 1.000 euro. Le domande possono essere presentate esclusivamente in modalità telematica, attraverso due canali principali:

  1. Il portale istituzionale INPS, accedendo con le proprie credenziali SPID, CIE o CNS;

  2. I patronati, che offrono assistenza gratuita nella compilazione e nell’invio dell’istanza.

È importante evidenziare che l’app INPS Mobile non è ancora attiva per questa funzionalità, secondo quanto chiarito dall’Istituto nel messaggio ufficiale del 16 aprile 2025. Di conseguenza, i genitori interessati dovranno accedere via web o rivolgersi direttamente a un patronato abilitato.

La procedura richiede la compilazione di un modulo online in cui andranno indicati:

  • i dati anagrafici del richiedente e del minore;

  • il codice fiscale di entrambi;

  • un ISEE in corso di validità (inferiore a 40.000 euro, calcolato al netto dell’Assegno Unico);

  • un IBAN intestato al richiedente, su cui verrà accreditato il bonus;

  • la documentazione che attesti la nascita o l’adozione del bambino.

Un elemento cruciale: le domande verranno valutate in ordine cronologico, e l’erogazione sarà subordinata alla disponibilità del budget stanziato. È quindi fondamentale agire con tempestività per non perdere l’opportunità. Una volta accettata la domanda, il contributo verrà versato il mese successivo alla nascita o all’adozione.

Bonus asilo nido 2025

Una delle grandi novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 riguarda l’integrazione e il potenziamento dei bonus destinati alla prima infanzia. Oltre al Bonus nascita da 1.000 euro, molte famiglie potranno beneficiare anche del Bonus asilo nido, che è stato significativamente rafforzato per renderlo più inclusivo e accessibile.

A partire dal 2025, infatti, viene escluso dal calcolo dell’ISEE il valore dell’Assegno Unico Universale percepito per i figli a carico (art. 1, commi 208-211). Questo accorgimento permette a molte famiglie di rientrare in una fascia ISEE più bassa, aumentando le possibilità di ricevere il contributo massimo previsto.

Inoltre, è stata eliminata la condizione precedentemente in vigore secondo cui per ottenere la maggiorazione del bonus (fino a 3.600 euro) era necessario avere almeno un altro figlio sotto i 10 anni. Dal 2025, questa restrizione non si applica più, ampliando notevolmente la platea dei beneficiari tra i neo-genitori.

Ecco i nuovi importi massimi previsti:

  • Fino a 3.000 euro per ISEE fino a 25.000,99 euro;

  • Fino a 2.500 euro per ISEE tra 25.001 e 40.000 euro;

  • Fino a 1.500 euro oltre i 40.000 euro o con ISEE non valido;

  • Per i nuovi nati dal 1° gennaio 2024, il bonus può arrivare a 3.600 euro se l’ISEE minorenni è sotto i 40.000 euro, anche senza fratellini piccoli.

Il budget statale per questa misura è stato incrementato fino a 200 milioni di euro annui a partire dal 2029, segno che si punta su un sostegno strutturale e a lungo termine per le famiglie.

Tempistiche, priorità e criticità

Uno degli aspetti più delicati legati alla Carta nuovi nati è la modalità di erogazione: l’INPS ha chiarito che i pagamenti avverranno secondo l’ordine cronologico di presentazione delle domande, e fino a esaurimento dei fondi disponibili. Questo significa che non conta solo avere i requisiti, ma anche la tempestività con cui si presenta la domanda.

Il budget stanziato per il 2025, pari a 330 milioni di euro, potrebbe non essere sufficiente a coprire l’intera platea di aventi diritto, motivo per cui è consigliabile preparare tutta la documentazione necessaria in anticipo e procedere all’invio appena possibile. In particolare, molte famiglie attendono ancora l’aggiornamento dell’ISEE 2025, che è indispensabile per l’accesso al bonus.

Un’altra criticità da evitare riguarda l’IBAN errato o intestato a persona diversa dal richiedente, che può bloccare l’erogazione del pagamento. Stessa cosa per eventuali difformità tra i dati anagrafici del richiedente e quelli riportati nei documenti allegati, come certificati di nascita o adozione.

Infine, si consiglia di verificare periodicamente lo stato della propria domanda tramite il portale INPS o il patronato, per intercettare tempestivamente eventuali richieste di integrazione documentale o anomalie che potrebbero rallentare la procedura.

In sintesi: avere i requisiti non basta. Per ottenere realmente il contributo, è fondamentale agire con precisione e rapidità, evitando gli errori più comuni che ogni anno portano a ritardi o esclusioni.

Come presentare la domanda

Secondo quanto comunicato dall’INPS nella circolare n. 76 del 14 aprile 2025 e nel messaggio n. 1303 del 16 aprile, la piattaforma per la richiesta del Bonus nuovi nati è attiva dal 17 aprile 2025

. Le famiglie aventi diritto possono quindi presentare subito la domanda, evitando il rischio di esclusione per esaurimento fondi, visto che i contributi saranno assegnati in ordine cronologico di presentazione.

Il servizio è accessibile tramite il portale ufficiale dell’INPS (www.inps.it) e richiede l’autenticazione con una identità digitale: SPID (livello 2 o superiore), CIE 3.0, CNS o eIDAS.

Il percorso da seguire per inviare la richiesta è il seguente:

  • accedere alla sezione “Sostegni, Sussidi e Indennità”;

  • cliccare su “Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità”;

  • selezionare “Vedi tutti” nella sezione “Strumenti”;

  • autenticarsi e selezionare la prestazione “Bonus nuovi nati”.

In alternativa, la domanda può essere inoltrata tramite:

  • il Contact Center Multicanale INPS (numero verde);

  • gli Istituti di Patronato, che possono presentare l’istanza per conto del richiedente.

Al momento non è ancora disponibile la funzione tramite app INPS Mobile, ma l’Istituto ha chiarito che fornirà aggiornamenti con un prossimo messaggio ufficiale.

Il pagamento del bonus avverrà nel mese successivo alla nascita o all’adozione, purché la domanda sia stata accettata e completa di tutta la documentazione.

Riepilogo

Con la circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025 e il messaggio n. 1303 del 16 aprile, l’Istituto ha chiarito requisiti, modalità di accesso e gestione delle domande per ottenere il Bonus nuovi nati 2025. Il contributo, pari a 1.000 euro una tantum, è destinato a famiglie con ISEE minorenni non superiore a 40.000 euro, calcolato al netto dell’Assegno Unico Universale. Possono beneficiarne i cittadini italiani, i cittadini UE, i familiari con diritto di soggiorno, e anche cittadini extra-UE con permesso valido da almeno un anno, nonché rifugiati, apolidi, titolari di protezione internazionale e cittadini britannici residenti in Italia entro il 31/12/2020.

È richiesto che il richiedente abbia residenza in Italia dalla data dell’evento (nascita, adozione, affido preadottivo) fino alla presentazione della domanda. Sono ammissibili figli nati o adottati a partire dal 1° gennaio 2025. In caso di affido preadottivo fa fede la data d’ingresso del minore nel nucleo, mentre per le adozioni internazionali vale la data di trascrizione nei registri civili.

Come fare domanda

Il termine è fissato a 60 giorni dalla data dell’evento, ma in fase di prima attuazione la scadenza decorre dalla pubblicazione del messaggio INPS che annuncia l’apertura del servizio. La domanda può essere presentata da:

  • uno dei genitori;

  • il genitore convivente se non vivono insieme;

  • un tutore, o il genitore del genitore minorenne/incapace.

Dove presentare la domanda

È possibile fare domanda:

  • sul sito inps.it con SPID, CIE, CNS o eIDAS (nella sezione “Sostegni, Sussidi e Indennità”);

  • tramite Contact Center INPS (803.164 da fisso, 06.164.164 da mobile);

  • presso un patronato;

  • (prossimamente) tramite app INPS Mobile, con attivazione annunciata via messaggio futuro.

Documenti e pagamenti

È obbligatorio avere un ISEE valido o presentare la DSU contestualmente alla domanda. Il richiedente dovrà dichiarare di possedere i requisiti e indicare un IBAN intestato per l’accredito. In caso di IBAN estero (area SEPA), è richiesto il modulo MV70. Il pagamento avverrà nel mese successivo alla nascita o adozione, in ordine cronologico rispetto alla presentazione, nei limiti del fondo stanziato (330 milioni per il 2025, 360 milioni annui dal 2026).

L’importo non è soggetto a tassazione IRPEF e non incide sul reddito complessivo.

Considerazioni finali

Il Bonus nuovi nati 2025 rappresenta una misura concreta e immediata per supportare economicamente le famiglie italiane in un momento cruciale come la nascita o l’adozione di un figlio. Grazie alla sua esenzione fiscale, all’esclusione dell’Assegno Unico dal calcolo ISEE e all’apertura a diverse categorie di cittadini, questo contributo si configura come uno strumento semplice ma di grande impatto sociale.

Tuttavia, proprio per la sua accessibilità e per la modalità a esaurimento fondi, è fondamentale muoversi subito, preparare l’ISEE aggiornato e presentare la domanda nei tempi previsti, evitando errori che potrebbero compromettere il diritto al bonus. I genitori devono agire con consapevolezza e precisione, approfittando anche del potenziamento del Bonus asilo nido, cumulabile e ricalcolato secondo i nuovi criteri favorevoli.

Investire nel benessere delle famiglie è investire nel futuro del Paese: questa misura è un segnale positivo, ma anche un invito a coglierne tutti i vantaggi senza farsi trovare impreparati.

Casa Funeraria: Incentivi fiscali 2025 tra credito ZES 60%, fondo perduto 40% e bonus transizione 5.0

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Nel panorama imprenditoriale italiano, pochi settori stanno vivendo una fase di evoluzione e crescita come quello delle case funerarie. Complice una crescente domanda di servizi funebri più personalizzati, dignitosi e “moderni”, l’apertura di una casa funeraria non è solo un’attività in espansione, ma può diventare anche una scelta strategica e altamente vantaggiosa sul piano fiscale ed economico.

Grazie all’introduzione di incentivi fiscali come il credito d’imposta ZES fino al 60%, i contributi a fondo perduto fino al 40%, e il recente credito d’imposta Transizione 5.0, chi decide di investire in questo settore può contare su agevolazioni concrete, cumulabili e perfettamente legali, che rendono l’investimento estremamente competitivo.

In questo articolo vedremo nel dettaglio come funzionano le agevolazioni disponibili, quali sono i requisiti per accedervi, come strutturare correttamente un progetto di investimento in una casa funeraria e infine, come massimizzare il risparmio fiscale e ottenere liquidità per avviare o ammodernare l’attività.

Credito d’imposta ZES

Una delle agevolazioni più importanti per chi vuole aprire una casa funeraria è il credito d’imposta per investimenti nelle ZES, ovvero le Zone Economiche Speciali. Si tratta di aree geografiche delimitate (prevalentemente nel Sud Italia, ma dal 2024 estese a livello nazionale con la nuova ZES Unica) dove le imprese possono beneficiare di vantaggi fiscali rilevanti per favorire lo sviluppo economico.

Cosa prevede il credito d’imposta ZES?

Chi investe in una casa funeraria situata all’interno di una ZES può ottenere:

  • Un credito d’imposta fino al 60% dell’investimento complessivo, valido per l’acquisto di beni strumentali nuovi (immobili, attrezzature, arredi, impianti, ecc.).

  • L’incentivo è cumulabile con altri contributi, come quelli a fondo perduto e con il credito d’imposta 5.0.

  • Il beneficio è utilizzabile esclusivamente in compensazione tramite modello F24.

Requisiti principali

  • L’investimento deve riguardare beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive situate nella ZES.

  • L’impresa deve mantenere l’attività per almeno 5 anni nella stessa sede.

  • È necessaria una comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate, da effettuare tramite apposito modello.

Un esempio pratico? Se investi 500.000 euro per aprire una casa funeraria in ZES, puoi ottenere fino a 300.000 euro di credito d’imposta, da utilizzare per abbattere tasse e contributi nei successivi anni fiscali.

Contributi a fondo perduto fino al 40%

Oltre al credito d’imposta ZES, le imprese che vogliono investire nell’apertura di una casa funeraria o ampliare una struttura già esistente possono accedere anche a contributi a fondo perduto: si tratta di finanziamenti pubblici a fondo perduto, quindi non soggetti a restituzione, che coprono in media dal 25% al 40% delle spese ammissibili.

Questi contributi sono particolarmente utili sia per nuove aperture, sia per chi ha già una casa funeraria e intende:

  • ampliare gli spazi,

  • migliorare l’efficienza energetica,

  • introdurre innovazioni tecnologiche,

  • digitalizzare i servizi (gestione online dei servizi, sistemi gestionali cloud, prenotazioni digitali, ecc.),

  • ottenere nuove certificazioni ambientali o di qualità.

Le principali misure disponibili

Tra le agevolazioni attive ricordiamo:

  • “Resto al Sud”: copre fino al 50% dell’investimento, di cui una parte a fondo perduto e una a tasso zero. Valido anche per chi amplia attività esistenti.

  • “ON – Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero”: combinazione di fondo perduto e finanziamento agevolato per investimenti fino a 3 milioni di euro.

  • Bandi regionali e PNRR: ogni Regione pubblica bandi per l’efficientamento energetico, la digitalizzazione, la ristrutturazione o l’adeguamento di strutture esistenti.

Spese ammissibili (anche per case funerarie già attive)

Le spese che possono essere coperte da contributi a fondo perduto includono:

  • Ristrutturazioni e ampliamenti edilizi della casa funeraria esistente.

  • Sistemi di domotica, impianti fotovoltaici, climatizzazione ad alta efficienza.

  • Arredi, celle frigorifere, laboratori di tanatoestetica e attrezzature specifiche.

  • Software gestionali, siti web, sistemi di prenotazione online e digitalizzazione dei processi.

  • Formazione del personale e consulenze per ottenere certificazioni (ISO, ambientali, ecc.).

In alcuni casi, i contributi sono erogabili anche a copertura di spese già sostenute, se avvenute in un arco temporale recente e documentato.

Transizione 5.0

Il nuovo Credito d’Imposta Transizione 5.0, introdotto con la Legge di Bilancio 2024 e potenziato dal Decreto Attuativo di aprile 2024, offre un contributo fino al 45% per gli investimenti in beni strumentali, software e formazione volti alla transizione digitale ed energetica. È valido fino al 31 dicembre 2025 e si rivolge anche alle imprese attive nei servizi alla persona, inclusi i servizi funerari.

Chi può beneficiarne?

Qualsiasi impresa, anche individuale, può accedere al bonus se:

  • Realizza investimenti in beni materiali e immateriali 5.0 (software gestionali, impianti smart, apparecchiature digitali, ecc.).

  • Dimostra un risparmio energetico minimo del 3% sull’intero fabbisogno aziendale o del 5% sul processo produttivo interessato.

Questo significa che anche una casa funeraria esistente che, ad esempio, installa impianti a basso consumo, digitalizza la gestione dei servizi e adotta nuovi sistemi gestionali può accedere al bonus.

Quanto si può ottenere?

Il credito varia in base al livello di risparmio energetico:

  • 35% per risparmio tra il 3% e il 6%;

  • 40% tra il 6% e il 10%;

  • 45% oltre il 10%.

Esempi di spese ammissibili:

  • Impianti fotovoltaici con monitoraggio intelligente dei consumi.

  • Software per la gestione dei servizi funebri e prenotazioni online.

  • Attrezzature intelligenti per tanatoestetica, camere ardenti climatizzate a risparmio energetico.

  • Sistemi digitali per la tracciabilità delle pratiche e archiviazione sicura dei dati.

Il credito si utilizza in compensazione in 5 quote annuali, ma può essere anticipato se si rispettano determinate condizioni.

Cumulabilità degli incentivi

Uno degli aspetti più potenti delle misure fiscali attualmente disponibili è la possibilità di cumulare tra loro diverse agevolazioni, a patto che si rispettino i limiti di ciascun bando e le regole di non sovrapposizione delle spese. Un progetto ben strutturato consente di raggiungere coperture fino al 100% dell’investimento tra credito d’imposta e contributi.

Come funziona la cumulabilità?

Ecco uno scenario concreto:

  • Un imprenditore decide di investire 600.000 euro per aprire o ristrutturare una casa funeraria in area ZES.

  • Ottiene il credito d’imposta ZES del 60%: 360.000 euro.

  • Ottiene un contributo a fondo perduto del 30%: 180.000 euro.

  • Decide di inserire tecnologie digitali e impianti ad alta efficienza, e beneficia anche del credito 5.0 del 35% su una parte (ad esempio 200.000 euro), per ulteriori 70.000 euro.

Totale agevolazioni: 610.000 euro, quindi l’investimento è quasi totalmente coperto da contributi pubblici.

Qual è la chiave del successo?

  • Progettare tutto con largo anticipo, includendo relazioni tecniche, diagnosi energetica, e una consulenza fiscale specializzata.

  • Verificare i requisiti di cumulabilità (ad esempio: stessi beni non devono essere incentivati due volte con la stessa spesa).

  • Usare strumenti di rendicontazione e monitoraggio energetico per accedere pienamente al 5.0.

  • Iniziare i lavori solo dopo l’ammissione ai contributi, per non perdere il diritto ai benefici.

Inoltre, si può prevedere l’apertura di una società di capitali (SRL), anche in forma semplificata, per ottimizzare l’impatto fiscale sul reddito d’impresa, sfruttando appieno deduzioni, ammortamenti accelerati e il credito d’imposta.

Vantaggi fiscali

Le Zone Economiche Speciali (ZES) sono territori geograficamente delimitati, principalmente nel Mezzogiorno, in cui le imprese che vi operano possono accedere a regimi fiscali fortemente agevolati. Con l’introduzione della ZES Unica a livello nazionale (attiva dal 1° gennaio 2024), queste opportunità sono ora estese a tutto il Sud Italia, e rappresentano una spinta decisiva anche per il settore dei servizi funebri.

Perché il settore funebre può beneficiare pienamente della ZES?

  • Le imprese funebri, comprese case funerarie, servizi di trasporto salme, tanatoestetica, cremazioni e gestione camere ardenti, rientrano pienamente nelle categorie produttive ammesse alle agevolazioni.

  • Il settore è ad alto contenuto immobiliare e strumentale, per cui si presta perfettamente all’utilizzo del credito d’imposta per beni strumentali, uno degli strumenti principali previsti dalla ZES.

I vantaggi fiscali principali includono:

  • Credito d’imposta fino al 60% per investimenti in beni strumentali nuovi destinati a strutture operative situate nella ZES.

  • Esenzione IRAP in alcune regioni per i primi anni di attività.

  • Semplificazioni amministrative e autorizzative, con procedure più veloci per ottenere licenze, permessi edilizi e autorizzazioni sanitarie.

  • Possibilità di cumulo con altri incentivi (PNRR, fondo perduto, credito 5.0), moltiplicando il vantaggio fiscale.

Focus sugli investimenti agevolabili:

  • Acquisto o costruzione di immobili funerari (case funerarie, camere ardenti, depositi).

  • Allestimento con attrezzature moderne: impianti di refrigerazione, sistemi di ventilazione, arredi per camere mortuarie.

  • Mezzi di trasporto funebri, anche elettrici o ibridi.

  • Software gestionali, impianti di videosorveglianza e sicurezza.

Inoltre, le imprese funebri già attive che decidono di trasferire la sede operativa in una ZES o di aprire un secondo punto operativo possono beneficiare comunque del credito d’imposta, a patto che i beni siano utilizzati in modo stabile nel territorio agevolato.

Guida operativa

Accedere alle agevolazioni fiscali e ai contributi previsti per le imprese funebri che investono in Zone Economiche Speciali (ZES) richiede una progettazione precisa e una gestione accurata della procedura amministrativa.

Ecco i passaggi fondamentali da seguire per non commettere errori e ottenere tutti i benefici disponibili.

1. Verifica dell’ubicazione e ammissibilità

  • Il primo step è verificare che l’investimento (o la sede dell’attività) sia situato in un comune compreso nella nuova ZES Unica (elenco aggiornato disponibile sul sito del Governo o tramite le Camere di Commercio).

  • Occorre avere una sede operativa attiva o da attivare nel territorio ZES entro 12 mesi dall’accettazione dell’agevolazione.

2. Definizione del progetto e delle spese

  • Redigere un piano dettagliato di investimento, che includa:

    • Descrizione dell’attività (apertura o ampliamento di casa funeraria).

    • Elenco dei beni da acquistare: immobili, impianti, attrezzature, veicoli, software.

    • Valore economico totale, tempi di realizzazione, e modalità di pagamento.

3. Comunicazione all’Agenzia delle Entrate

  • Per usufruire del credito d’imposta ZES, è obbligatorio inviare una comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate, compilando il modello approvato (art. 1, c. 98 della L. 208/2015).

  • La comunicazione va inviata prima dell’effettiva realizzazione dell’investimento e deve contenere:

    • I dati dell’impresa.

    • La descrizione del progetto.

    • L’ammontare previsto dell’investimento.

4. Domanda per contributi a fondo perduto

  • In parallelo (o subito dopo), va presentata domanda per i bandi regionali, Invitalia o altri strumenti di sostegno, allegando il progetto e i preventivi.

  • In caso di cumulabilità, è importante specificare quali spese sono coperte da quale incentivo, per evitare la doppia agevolazione sullo stesso costo.

5. Certificazione e rendicontazione finale

  • Una volta concluso l’investimento, occorre produrre:

    • Fatture elettroniche intestate all’impresa.

    • Prove di pagamento tracciabili.

    • Per il 5.0, anche la diagnosi energetica iniziale e finale per dimostrare il risparmio conseguito.

Senza una corretta rendicontazione, si rischia di perdere l’agevolazione anche a progetto ultimato.

Esempio pratico

Un’impresa funebre localizzata in area ZES Unica (es. Puglia, Campania, Calabria) decide nel 2025 di acquistare un nuovo carro funebre a trazione elettrica, per rinnovare la flotta e ridurre i costi energetici e ambientali. L’acquisto rientra in un progetto più ampio di efficientamento aziendale, quindi può rientrare sia nel credito ZES che nel credito d’imposta Transizione 5.0, se accompagnato da un risparmio energetico certificato.

Dettaglio dell’investimento

  • Costo del carro funebre elettrico: € 95.000 + IVA

  • L’investimento è documentato con fattura intestata all’impresa, e il pagamento è tracciabile.

Agevolazioni applicabili

1. Credito d’imposta ZES (Sud Italia)

  • Percentuale applicabile: 60%

  • Importo agevolabile: € 95.000

  • Credito d’imposta spettante: € 57.000

  • Utilizzabile in compensazione F24 in 5 anni o secondo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate.

2. Credito d’imposta Transizione 5.0

  • Il veicolo è a basso impatto energetico, quindi rientra tra i beni materiali innovativi 5.0.

  • L’azienda dimostra un risparmio energetico ≥ 6% sul processo logistico aziendale.

  • Percentuale applicabile: 40%

  • Credito aggiuntivo spettante (su parte ammissibile): € 38.000

In caso di cumulabilità, la spesa deve essere ripartita tra le due misure senza sovrapposizioni. Ad esempio: € 57.000 agevolati con ZES e i restanti € 38.000 con 5.0, su porzioni distinte e certificate del progetto.

Effetto economico complessivo

  • Costo reale sostenuto dall’impresa: praticamente nullo o marginale, grazie alla doppia agevolazione.

  • L’impresa ha inoltre diritto ad ammortamento fiscale sul costo non coperto dai crediti, deducibile ai fini IRES/IRAP.

Documentazione richiesta

  • Fattura elettronica dettagliata.

  • Relazione tecnica del risparmio energetico e asseverazione.

  • Comunicazione all’Agenzia delle Entrate per ZES.

  • Registrazione contabile e conservazione documentale per 5 anni.

Considerazioni finali

L’attuale assetto normativo e fiscale offre un contesto particolarmente favorevole per le imprese attive o in fase di avvio nel settore funerario, in particolare se localizzate all’interno delle Zone Economiche Speciali (ZES). L’introduzione della ZES Unica per il Mezzogiorno, operativa dal 1° gennaio 2024, ha infatti esteso a tutte le regioni meridionali la possibilità di beneficiare di importanti agevolazioni fiscali e contributive, volte a sostenere la crescita delle attività economiche produttive.

In questo contesto, le imprese che operano nei servizi funerari – comprese le case funerarie, i laboratori per tanatoestetica, i centri per cerimonie e le attività connesse – possono accedere a un pacchetto integrato di misure che comprende:

  • un credito d’imposta ZES fino al 60% per l’acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture operative localizzate nelle aree agevolate;

  • contributi a fondo perduto fino al 40% dell’investimento complessivo, erogabili tramite strumenti nazionali (Invitalia, PNRR) o regionali;

  • il nuovo credito d’imposta Transizione 5.0, applicabile agli investimenti che comportano un miglioramento dell’efficienza energetica, fino a un massimo del 45%.

La cumulabilità delle misure, se gestita correttamente nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa, consente in alcuni casi di coprire la quasi totalità dell’investimento.

Tuttavia, è fondamentale predisporre una progettazione tecnica e fiscale accurata, comprensiva di analisi energetiche, business plan coerente e cronoprogramma degli investimenti, per accedere agli incentivi in modo conforme e tracciabile.

Infine, si evidenzia che il rispetto dei requisiti temporali, documentali e procedurali è condizione essenziale per la fruizione delle agevolazioni e per evitare revoche o contestazioni in fase di controllo.

ZES e Transizione 5.0: fino all’80% di risparmio fiscale per investimenti nel Sud Italia nel 2025

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Sud Italia: arriva la doppia agevolazione fiscale che cambia le regole del gioco.

Se sei un imprenditore nel Mezzogiorno, o stai pensando di investire in regioni come Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna, Abruzzo o Molise, questo è il momento giusto per agire. Due strumenti straordinari – la ZES Unica (Zona Economica Speciale) e il Piano Transizione 5.0 – offrono una combinazione di agevolazioni fiscali che può superare l’80% dell’investimento, rendendo il Sud una delle aree più attrattive d’Europa.

Parliamo di crediti d’imposta fino al 60% per beni strumentali grazie alla ZES, e di un ulteriore credito tra il 20% e il 45% con il Piano 5.0, legato alla digitalizzazione e all’efficienza energetica. Un’opportunità unica anche per settori di nicchia ma strategici, come le imprese funebri, che possono beneficiare di queste agevolazioni per l’acquisto di autocarri funebri, impianti, macchinari e attrezzature tecnologiche.

In questo articolo andremo ad analizzare nel dettaglio come funzionano le due agevolazioni, chi può accedere, quali sono i beni agevolabili, e soprattutto come sfruttarle in modo strategico e combinato, con esempi pratici e riferimenti normativi aggiornati.

ZES Unica 2025

Dal 1° gennaio 2024, e con conferma e rifinanziamento per tutto il 2025, è pienamente operativa la ZES Unica per il Mezzogiorno, istituita dal Decreto Legge n. 124/2023 (cd. “Decreto Sud”) e successivamente prorogata e rafforzata con la Legge di Bilancio 2025. Questo strumento ha un obiettivo preciso: accelerare gli investimenti nel Sud Italia, attrarre capitali, rilanciare la produttività e creare nuova occupazione nelle regioni storicamente più svantaggiate del Paese.

Le regioni coinvolte sono: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Il vantaggio principale per le imprese che investono in queste aree è rappresentato da un credito d’imposta fino al 60% sul valore degli investimenti in beni strumentali nuovi, utilizzati in strutture produttive attive nel Mezzogiorno.

Le aliquote variano in base alla dimensione aziendale:

  • 60% per micro e piccole imprese,

  • 50% per medie imprese,

  • 40% per grandi imprese, con possibilità di incremento in base a particolari condizioni territoriali o settoriali.

Sono agevolabili impianti, macchinari, attrezzature e anche autocarri speciali, tra cui rientrano i veicoli funebri, se strettamente funzionali all’attività d’impresa. L’investimento deve essere mantenuto nella sede operativa per almeno 5 anni (3 anni per le PMI) e deve essere nuovo e non sostitutivo.

Il credito è compensabile tramite F24, è cumulabile con altri incentivi (come il Piano Transizione 5.0), e non concorre alla formazione del reddito imponibile, il che lo rende una leva fiscale di straordinaria efficacia.

Transizione 5.0

Nel 2024 e 2025 le imprese italiane possono beneficiare anche del nuovo Piano Transizione 5.0, introdotto ufficialmente con il Decreto-legge PNRR 4/2024, approvato nel marzo 2024 e finanziato attraverso le risorse europee del programma Next Generation EU.

Si tratta di un’evoluzione del Piano Transizione 4.0, ma con un focus specifico su digitalizzazione dei processi produttivi e efficienza energetica. La misura è destinata a tutte le imprese residenti in Italia che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, destinati a strutture operative sul territorio nazionale.

Il credito d’imposta previsto può arrivare fino al 45%, a seconda del livello di riduzione dei consumi energetici ottenuto grazie all’investimento:

  • 20% se la riduzione dei consumi è almeno del 3% sull’intera struttura produttiva o del 5% sul processo interessato;

  • 30% se il risparmio energetico è almeno del 6% (struttura) o del 10% (processo);

  • 35% o 40%, con percentuali massime che possono toccare il 45%, in caso di progetti integrati con più interventi sinergici.

Sono agevolabili beni materiali e immateriali 4.0 (Allegato A e B della Legge 232/2016), ma anche autocarri speciali, macchinari automatizzati, impianti intelligenti e software di controllo — a condizione che concorrano alla trasformazione digitale ed energetica dell’attività.

Fondamentale è la certificazione energetica ex ante ed ex post, che attesti la reale riduzione dei consumi. Inoltre, il credito è cumulabile con ZES, ma fino al limite massimo del costo dell’investimento. È anche utilizzabile in compensazione tramite F24 in 5 quote annuali.

ZES + Transizione 5.0

La vera forza delle due misure – ZES Unica e Transizione 5.0 – sta nella possibilità di cumularle, rispettando i limiti del costo sostenuto. Questo consente alle imprese di ottenere un risparmio fiscale combinato potenzialmente superiore all’80% del valore dell’investimento, un vantaggio mai visto prima in ambito produttivo.

Facciamo un esempio concreto:

Un’impresa di servizi funebri con sede in Puglia acquista nel 2025 un autocarro funebre tecnologico da 100.000 euro,

dotato di:

  • tracciamento GPS e connessione ai sistemi gestionali aziendali (requisiti 4.0),

  • motore ibrido a basso consumo (efficienza energetica),

  • utilizzo esclusivo in ambito ZES.

Questa impresa può ottenere:

  • 60.000 euro di credito d’imposta ZES (60% perché è una piccola impresa del Sud),

  • 20.000 o 30.000 euro di credito d’imposta 5.0, in base al livello di riduzione energetica certificata.

Totale agevolazioni: fino a 90.000 euro, su un investimento di 100.000.
Di fatto, l’impresa paga solo 10.000 euro netti per un bene che migliora i suoi servizi e la sua efficienza operativa.

Attenzione: la cumulabilità è ammessa solo entro il limite del costo complessivo dell’investimento e richiede una gestione precisa della documentazione, comprese certificazioni tecniche e relazioni energetiche.

Inoltre, è fondamentale il coordinamento con un consulente fiscale esperto, per evitare errori nella fruizione e nella rendicontazione all’Agenzia delle Entrate.

Beni agevolabili

Le agevolazioni previste dalla ZES Unica e dal Piano Transizione 5.0 si applicano a una vasta gamma di beni strumentali nuovi, a condizione che siano destinati a strutture produttive ubicate nel Mezzogiorno e che rispondano ai requisiti richiesti dalla normativa.

Ecco alcune categorie di beni materiali che possono beneficiare del credito d’imposta:

  • Macchinari industriali per la produzione, l’assemblaggio o la lavorazione di materiali (es. presse, torni CNC, macchine utensili, robot da linea automatizzata);

  • Impianti tecnologici per il trattamento dei materiali, la refrigerazione, il confezionamento o l’essiccazione dei prodotti;

  • Attrezzature professionali per magazzino o laboratorio, come scaffalature automatizzate, bilance digitali, forni industriali, strumenti di misura di precisione;

  • Veicoli speciali (come autocarri allestiti, furgoni refrigerati, piattaforme mobili) impiegati nel ciclo produttivo o logistico;

  • Apparecchiature per il controllo e il monitoraggio dei processi, comprese quelle connesse a software 4.0.

Per quanto riguarda i beni immateriali (solo per Transizione 5.0), sono agevolabili:

  • Software gestionali e applicazioni per l’automazione e la pianificazione produttiva (ERP, MES);

  • Piattaforme IoT per la raccolta dati da sensori, il controllo da remoto e l’ottimizzazione energetica;

  • Sistemi digitali di monitoraggio dei consumi e delle prestazioni operative.

Tutti i beni devono essere nuovi, interconnessi (per la 5.0), e garantire un miglioramento dell’efficienza energetica, certificato da un tecnico abilitato. Inoltre, devono essere mantenuti in azienda per almeno 5 anni (o 3 anni per le PMI), pena la revoca del beneficio.

Procedure, tempistiche e documentazione

Accedere alle agevolazioni fiscali offerte da ZES Unica e Transizione 5.0 richiede attenzione, competenze tecniche e il rispetto di precise procedure burocratiche, pena la decadenza del beneficio o il recupero degli importi da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Per il credito ZES Unica, l’impresa deve:

  • Effettuare l’investimento in beni strumentali nuovi localizzati in una delle regioni del Sud ammesse;

  • Trasmettere una comunicazione preventiva tramite il portale dell’Agenzia delle Entrate (la modulistica viene aggiornata ogni anno);

  • Utilizzare il credito maturato in compensazione tramite F24, a partire dall’anno successivo a quello in cui il bene entra in funzione;

  • Conservare la documentazione per almeno 10 anni, inclusi fatture, contratti e perizie tecniche (se richieste).

Per il credito d’imposta Transizione 5.0, invece, sono necessari:

  • Una certificazione ex ante rilasciata da un professionista abilitato (ingegnere o perito iscritto all’albo), che dimostri la riduzione dei consumi energetici prevista;

  • Una certificazione ex post, dopo l’installazione e l’avvio dei beni, che confermi i risultati ottenuti;

  • Un piano degli investimenti, da caricare sulla piattaforma del GSE (Gestore Servizi Energetici), che fungerà da organismo di controllo e approvazione del beneficio.

È fondamentale anche assicurarsi che i beni 5.0 siano interconnessi al sistema gestionale aziendale, come previsto dalla normativa sugli incentivi “Industria 4.0”. Inoltre, in caso di cumulo con il credito ZES, bisogna tenere traccia puntuale delle percentuali applicate per ogni misura, evitando di superare il costo effettivo dell’investimento.

In entrambi i casi, è consigliato affidarsi a uno studio professionale esperto in materia fiscale e industriale, per assicurare la corretta compilazione delle pratiche, evitare errori e ottenere il massimo del beneficio possibile.

Vantaggi economici e strategici

L’adozione combinata di ZES Unica e Piano Transizione 5.0 rappresenta una leva strategica per la crescita aziendale, soprattutto per le PMI del Sud Italia. I benefici non si limitano alla riduzione immediata delle imposte, ma si estendono a numerosi aspetti della gestione economica e finanziaria.

Vantaggi fiscali immediati:

  • Riduzione del carico fiscale fino all’80% del costo dei beni, grazie alla cumulabilità delle due misure;

  • Il credito maturato è utilizzabile in compensazione diretta dei tributi (IVA, contributi INPS, ritenute), migliorando il cash flow;

  • I crediti non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini IRES, IRPEF e IRAP: questo significa un doppio risparmio, fiscale e contabile.

Effetti sul bilancio e sulla competitività:

  • I beni acquistati aumentano il valore dell’attivo patrimoniale, migliorando l’immagine creditizia e la solidità dell’impresa;

  • L’adozione di tecnologie efficienti e digitali riduce i costi di produzione, ottimizza i tempi di lavoro e migliora la qualità dei prodotti o dei servizi;

  • Le imprese che investono in digitalizzazione ed efficienza energetica sono più attrattive per investitori, clienti e istituti di credito.

Vantaggi di lungo periodo:

  • Maggiore resilienza alle crisi grazie all’automazione e alla flessibilità operativa;

  • Accesso semplificato ad altri incentivi nazionali e comunitari (PNRR, bandi regionali, incentivi per l’export);

  • Possibilità di ridurre drasticamente il fabbisogno energetico e di contribuire agli obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance), ormai fondamentali per lavorare con la Pubblica Amministrazione o con grandi aziende.

In sintesi, investire oggi in beni agevolabili ZES + 5.0 significa rinnovare l’impresa a costo quasi zero e garantirsi una posizione di vantaggio competitivo per gli anni a venire.

Errori da evitare

Nonostante l’enorme potenziale delle agevolazioni ZES e Transizione 5.0, molti imprenditori rischiano di compromettere il beneficio fiscale per disattenzione o per una pianificazione poco precisa.

Ecco gli errori più frequenti e come evitarli.

Errori più comuni:

  • Acquisto di beni non agevolabili: ad esempio, beni usati, beni non strumentali all’attività, o non interconnessi nel caso della 5.0;

  • Mancata o errata comunicazione all’Agenzia delle Entrate (per la ZES) o mancata trasmissione della documentazione al GSE (per la 5.0);

  • Assenza di certificazioni energetiche valide, o mancanza della perizia tecnica ex ante/ex post obbligatoria per la 5.0;

  • Utilizzo del credito in F24 prima del termine previsto, che può portare a sanzioni o alla revoca del credito;

  • Cumulabilità mal gestita: se si sommano ZES e 5.0 oltre il costo effettivo del bene, l’eccedenza è persa (e in alcuni casi sanzionata).

Consigli operativi:

  • Fai un’analisi preventiva dell’investimento, stimando i benefici fiscali e l’effettivo impatto energetico/digitale del bene;

  • Coinvolgi da subito un professionista abilitato (ingegnere, perito, commercialista) per le certificazioni obbligatorie;

  • Prepara un piano di investimento documentato, con cronoprogramma, preventivi, schede tecniche e report energetici;

  • Verifica ogni passaggio con un consulente fiscale esperto, specializzato in cumulo di incentivi e incentivi PNRR;

  • Organizza la contabilità e la conservazione dei documenti: ogni fattura deve riportare chiaramente che il bene è agevolabile, ed essere accompagnata dalla relativa documentazione tecnica.

Ricorda: non basta “comprare un bene” per ottenere il credito. Serve una strategia fiscale ben strutturata che parte prima dell’investimento e si conclude con una rendicontazione perfetta.

Simulazione reale

Immaginiamo una piccola impresa operante nel settore della logistica e dei servizi di trasporto speciale con sede a Bari, in Puglia. L’azienda decide di modernizzare il proprio parco macchine e migliorare l’efficienza energetica del magazzino attraverso un investimento strutturato nel 2025, approfittando delle agevolazioni disponibili.

L’investimento complessivo è pari a 250.000 euro

così suddivisi:

  • 90.000 euro per un autocarro speciale con motore ibrido e sistema di geolocalizzazione 4.0;

  • 120.000 euro per un sistema automatizzato di stoccaggio verticale per il magazzino, con software integrato per la gestione delle merci;

  • 40.000 euro per un sistema di controllo intelligente dell’illuminazione e della climatizzazione, con riduzione stimata dei consumi del 7%.

L’azienda decide di cumularle entrambe le agevolazioni.

1. Calcolo del Credito ZES Unica

Essendo una piccola impresa del Sud, ha diritto al:

  • 60% su tutti i beni materiali nuovi, quindi su 250.000 euro → 150.000 euro di credito d’imposta ZES

2. Calcolo del Credito Transizione 5.0

  • L’investimento garantisce una riduzione energetica superiore al 6% a livello di struttura → credito d’imposta al 30% su:

    • i sistemi di climatizzazione e illuminazione (40.000 €)

    • parte dei macchinari interconnessi (es. magazzino automatizzato, 120.000 €)

  • Totale investimenti agevolabili 5.0 = 160.000 euro

  • Credito 5.0 = 48.000 euro

Nota: il veicolo non viene incluso nel 5.0, perché non contribuisce alla riduzione energetica della struttura.

Totale agevolazioni riconosciute

  • Credito ZES: 150.000 €

  • Credito 5.0: 48.000 €

  • Totale crediti fiscali: 198.000 € su 250.000 € di spesa

Investimento netto reale per l’impresa: solo 52.000 euro
Una spesa contenuta per un salto tecnologico ed energetico strategico.

Documenti e Tempistiche

  • Prima dell’investimento: perizia ex ante + piano da caricare sul portale GSE;

  • Durante l’investimento: acquisti documentati con fatture dedicate + tracciabilità dei pagamenti;

  • Dopo l’installazione: perizia ex post e attivazione dei crediti in F24.

Conclusione

Le agevolazioni fiscali ZES e Transizione 5.0 rappresentano oggi una delle opportunità più vantaggiose e concrete per le imprese italiane, in particolare per quelle che operano nel Mezzogiorno o che stanno valutando di espandersi nel Sud.

Poter recuperare fino all’80% dell’investimento tramite credito d’imposta significa abbattere il rischio imprenditoriale, aumentare la competitività e, allo stesso tempo, rinnovare l’infrastruttura produttiva con tecnologie moderne e sostenibili.

Ma attenzione: per ottenere i benefici è necessario muoversi in modo strategico e pianificato.

Questo vuol dire scegliere con cura i beni agevolabili, rispettare i requisiti tecnici ed energetici previsti, predisporre tutta la documentazione in modo conforme alle normative e coordinare ZES e 5.0 senza errori.

Per questo motivo è fondamentale affidarsi a un commercialista esperto in fiscalità agevolata e incentivi PNRR, capace di accompagnarti passo dopo passo, dall’analisi di convenienza all’ottenimento effettivo del credito.

Se sei un imprenditore del Sud, o vuoi portare la tua impresa in queste regioni, il 2025 è l’anno giusto per farlo: mai prima d’ora è stato possibile investire così tanto, spendendo così poco.

Ristorazione in Sardegna: 40% a fondo perduto per forni, attrezzature e macchinari professionali

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An Open Dining Room With A View Of The Coast

In un contesto economico sempre più sfidante, dove i costi energetici e le spese di gestione crescono in modo esponenziale, le imprese del settore ristorativo devono trovare nuove leve di competitività e innovazione.

Ecco perché il nuovo bando della Regione Sardegna rappresenta una vera boccata d’ossigeno: un contributo a fondo perduto pari al 40% delle spese sostenute per l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature e forni professionali, destinato alle attività operanti nel settore della ristorazione.

Un’occasione unica per rinnovare il proprio locale, migliorare l’efficienza produttiva, abbattere i consumi e offrire un servizio di qualità superiore ai propri clienti, senza dover sostenere l’intero investimento con risorse proprie. Il bando, pensato per sostenere la competitività delle micro, piccole e medie imprese locali, punta a rilanciare l’intero comparto dell’enogastronomia isolana, incentivando innovazione, sicurezza e sostenibilità.

Se hai un ristorante, una pizzeria, un agriturismo, una gastronomia o un laboratorio artigianale del gusto in Sardegna, non puoi permetterti di ignorare questa misura: il 40% dell’investimento te lo restituisce la Regione, a fondo perduto. Ma attenzione: i fondi sono limitati, e la procedura richiede una corretta pianificazione.

In questo articolo vedremo chi può accedere, quali spese sono ammesse, come ottenere il contributo e quali vantaggi fiscali si possono cumulare con questa agevolazione. Scopriremo anche casi pratici e consigli utili per presentare una domanda efficace e aumentare le probabilità di essere ammessi.

Requisiti e beneficiari

l bando regionale si rivolge in modo specifico alle micro, piccole e medie imprese con sede operativa in Sardegna, attive nel settore della ristorazione e della trasformazione alimentare. Rientrano tra i beneficiari: ristoranti tradizionali, pizzerie, trattorie, agriturismi con somministrazione, gastronomie, pasticcerie, panifici con laboratorio e vendita diretta, laboratori artigianali di prodotti da forno o tipici sardi, e tutte quelle attività che prevedono la preparazione, trasformazione e somministrazione di alimenti e bevande.

Uno dei requisiti fondamentali è che l’impresa sia regolarmente iscritta al Registro delle Imprese, attiva al momento della domanda e in regola con i contributi previdenziali e assistenziali (DURC). Non sono ammessi soggetti in stato di difficoltà economica grave o in liquidazione.

Altro aspetto cruciale è la localizzazione: il contributo è destinato esclusivamente alle aziende con sede in Sardegna, e l’investimento oggetto di agevolazione deve essere realizzato e utilizzato all’interno del territorio regionale.

Infine, l’impresa deve impegnarsi a non dismettere né cedere le attrezzature acquistate per almeno 3 anni, pena la revoca del contributo. È possibile presentare domanda anche in caso di ampliamento o rinnovamento di attività già esistenti, e non solo per nuove aperture.

Questi criteri di ammissibilità sono pensati per garantire un impatto concreto sull’economia locale e sulla qualità dell’offerta enogastronomica isolana, favorendo realtà che abbiano una vera prospettiva di crescita e radicamento nel territorio.

Spese ammissibili

Il contributo a fondo perduto del 40% è destinato a coprire investimenti materiali mirati a migliorare la produttività, la qualità e la sostenibilità dei processi produttivi all’interno delle attività ristorative.

Il bando specifica con chiarezza quali tipologie di spesa possono essere incluse nella domanda: questo consente alle imprese di pianificare con precisione le proprie scelte di acquisto.

Tra le spese ammesse figurano:

  • Forni professionali, sia statici che ventilati, elettrici o a gas, inclusi quelli per pizza o panificazione artigianale;

  • Impianti di cottura e attrezzature per la lavorazione degli alimenti (frigoriferi industriali, abbattitori di temperatura, cuocipasta, friggitrici, ecc.);

  • Macchinari per la trasformazione dei prodotti agroalimentari (impastatrici, sfogliatrici, tritacarne, affettatrici, ecc.);

  • Attrezzature professionali per cucine, laboratori di pasticceria o panificazione (cappe, banchi refrigerati, tavoli inox, ecc.);

  • Impianti tecnologici a supporto dell’attività (es. sistemi di aspirazione, impianti di depurazione, software gestionali legati alla produzione).

Le spese devono essere nuove di fabbrica (no usato o leasing), acquistate da fornitori regolarmente registrati e documentate da fattura elettronica. È importante che l’investimento sia coerente con l’attività economica svolta e che venga effettuato dopo la presentazione della domanda e entro il termine previsto dal bando.

Non sono ammesse, invece, le spese per beni usati, automezzi, opere edilizie o spese di consulenza.

Un investimento ben pianificato e in linea con i requisiti può portare non solo al rimborso del 40% della spesa, ma anche a un tangibile salto di qualità nei servizi offerti ai clienti.

Come ottenere il contributo

Ottenere il contributo a fondo perduto del 40% richiede attenzione e precisione, ma la procedura è accessibile, soprattutto se seguita con il supporto di un consulente esperto. La domanda deve essere presentata esclusivamente in via telematica, attraverso la piattaforma dedicata messa a disposizione dalla Regione Sardegna o dal soggetto gestore del bando, come ad esempio SardegnaIT o SFIRS S.p.A. (in base alla struttura dell’avviso pubblico).

La procedura prevede generalmente i seguenti passaggi:

  1. Registrazione alla piattaforma e creazione del profilo impresa;

  2. Compilazione della domanda, con l’inserimento dei dati aziendali, descrizione dettagliata dell’investimento e documentazione allegata (preventivi, DURC, visura camerale, dichiarazioni);

  3. Firma digitale del legale rappresentante;

  4. Invio telematico nei termini indicati dal bando.

I fondi sono assegnati secondo l’ordine cronologico di presentazione, quindi chi prima presenta la domanda ha maggiori probabilità di ottenere il contributo. Le risorse sono infatti limitate, e il click-day potrebbe esaurirle rapidamente. È quindi fondamentale predisporre tutto in anticipo, anche perché la Regione non consente correzioni successive all’invio.

Una volta approvata la domanda, l’impresa può procedere con gli acquisti, effettuare i pagamenti (tracciabili) e presentare la rendicontazione finale, per ricevere l’erogazione del contributo.

Importante: i pagamenti devono avvenire esclusivamente tramite bonifico bancario e le fatture devono riportare una chiara indicazione del bene acquistato e del collegamento al bando regionale.

Vantaggi fiscali cumulabili

Uno degli aspetti più interessanti del contributo a fondo perduto del 40% è la sua cumulabilità con altri incentivi fiscali e agevolazioni, che permette alle imprese di massimizzare il risparmio e ridurre sensibilmente il costo reale dell’investimento.

1. Cumulabilità con il Credito d’Imposta per Beni Strumentali

Le spese per attrezzature e macchinari possono beneficiare del Credito d’Imposta per Investimenti in Beni Strumentali, previsto dalla Legge di Bilancio e attualmente vigente (verificare annualmente la percentuale aggiornata). Questo incentivo permette di recuperare, sotto forma di credito fiscale, una quota delle spese effettuate per beni nuovi, materiali e immateriali. Il credito è compatibile con i contributi a fondo perduto, purché il cumulo non superi il 100% del costo sostenuto.

2. Ammortamenti e deducibilità dei costi

I beni acquistati restano in ogni caso ammortizzabili e i costi sostenuti, al netto del contributo, deducibili dal reddito d’impresa. Questo consente un ulteriore alleggerimento del carico fiscale annuale, generando vantaggi nel lungo periodo.

3. IVA detraibile

L’IVA sulle fatture d’acquisto, se l’impresa è in regime ordinario, è interamente detraibile, rappresentando un ulteriore risparmio.

4. Compatibilità con bandi comunali o di filiera

In alcuni casi, i comuni o le reti territoriali della Sardegna attivano microbandi locali per l’ammodernamento delle attività commerciali o della filiera agroalimentare. Anche questi possono essere cumulati, sempre nel rispetto dei massimali previsti dal regolamento europeo “de minimis”.

Un corretto piano fiscale, elaborato con l’assistenza di un commercialista esperto, può trasformare un investimento da decine di migliaia di euro in un’operazione strategica a costi ridotti, con benefici tangibili in termini economici, produttivi e competitivi.

Vantaggi per le imprese

Accedere al contributo a fondo perduto del 40% rappresenta per le imprese della ristorazione in Sardegna molto più di un semplice aiuto economico: è una leva strategica per migliorare l’efficienza, la qualità e la competitività dell’attività. In un settore in cui la differenziazione dell’offerta e la rapidità di servizio fanno la differenza, investire in tecnologie moderne e attrezzature avanzate può portare a risultati immediati.

1. Riduzione dei costi operativi

Macchinari di nuova generazione, forni a basso consumo, impianti efficienti dal punto di vista energetico permettono di abbattere le bollette e ridurre gli sprechi, con un risparmio mensile che incide positivamente sul bilancio dell’attività.

2. Aumento della produttività e della qualità

Attrezzature professionali più performanti consentono di ottimizzare i tempi di preparazione, aumentare la produzione, mantenere standard qualitativi costanti e offrire un’esperienza superiore al cliente finale. Un investimento mirato può tradursi in più coperti serviti, meno errori e meno scarti.

3. Miglioramento dell’immagine aziendale

Rinnovare gli ambienti di lavoro, migliorare la sicurezza e mostrare attenzione all’innovazione può diventare anche un vantaggio comunicativo: l’impresa si posiziona come moderna, affidabile e attenta all’ambiente. Un elemento oggi molto apprezzato, soprattutto dal turismo enogastronomico.

4. Accesso facilitato ad altri mercati e collaborazioni

Le imprese più strutturate e tecnologicamente avanzate sono anche quelle che riescono più facilmente ad accedere a reti di distribuzione, partnership locali, eventi e finanziamenti futuri.

In breve, questo bando non è solo un aiuto temporaneo, ma un volano per la crescita sostenibile e duratura delle attività ristorative sarde.

Simulazione reale

Per capire realmente l’impatto di questo incentivo, vediamo un esempio concreto. Supponiamo che un ristorante medio in Sardegna decida di investire 25.000 euro in nuove attrezzature per la cucina: forno professionale, abbattitore, banco refrigerato, impastatrice e cappe con aspirazione certificata.

Ecco come si compone il risparmio:

  • Contributo a fondo perduto del 40%: 10.000 € a fondo perduto erogati dalla Regione;

  • Credito d’imposta beni strumentali (ipotizzando 20%): altri 3.000 € recuperabili in F24;

  • IVA detraibile (22%): pari a 4.500 € (se l’impresa è in regime ordinario);

  • Costo effettivo dell’investimento: 7.500 € su 25.000 € totali.

In pratica, l’impresa sostiene meno di un terzo del costo reale dell’investimento, ma ottiene il 100% del valore in termini di efficienza, qualità e benefici strutturali.

Questa simulazione dimostra che, con una buona pianificazione, l’investimento non è solo sostenibile, ma strategicamente conveniente. E con l’aumento del livello qualitativo dell’offerta, la competitività sul mercato cresce esponenzialmente.

Consigli pratici

Presentare una domanda per un contributo a fondo perduto non è solo una questione di compilazione formale: è una vera strategia aziendale, che richiede organizzazione, tempismo e una visione chiara degli obiettivi. Ecco i suggerimenti chiave per massimizzare le probabilità di ottenere il contributo del 40%.

1. Preparati con largo anticipo

Non aspettare l’ultimo momento. La documentazione da raccogliere è ampia: preventivi dettagliati, visura camerale aggiornata, DURC regolare, dichiarazioni sostitutive, relazione tecnica sull’investimento. Più sei pronto, più veloce sarai nel click-day.

2. Scegli fornitori affidabili

I preventivi devono essere chiari, intestati all’impresa richiedente, con una descrizione tecnica dettagliata del bene, prezzo, IVA e condizioni di pagamento. Evita documenti generici o fornitori non registrati: potrebbero invalidare la domanda.

3. Redigi una relazione tecnica convincente

Anche se non sempre obbligatoria, una breve relazione sull’utilità dell’investimento può fare la differenza. Spiega come le nuove attrezzature miglioreranno la produttività, ridurranno i consumi, potenzieranno l’attività.

4. Verifica con un consulente esperto

Il bando contiene tecnicismi e limiti normativi (come quelli del regolamento “de minimis”) che vanno analizzati da chi ha esperienza specifica. Un consulente fiscale può aiutarti a massimizzare il contributo, evitare errori e magari affiancarti nella rendicontazione finale.

5. Non trascurare la rendicontazione

Una volta ottenuto il via libera, l’investimento deve essere completato nei tempi stabiliti dal bando, con fatture chiare, bonifici tracciabili e collaudo (se previsto). Una rendicontazione imprecisa può comportare la revoca totale o parziale del contributo.

6. Archivia tutta la documentazione

Conserva ogni documento, digitale e cartaceo, per almeno 5 anni. Potresti essere soggetto a controlli, e avere tutto in ordine è fondamentale.

Considerazioni finali

In un momento storico in cui le imprese della ristorazione affrontano aumenti dei costi, concorrenza crescente e la necessità di stare al passo con l’innovazione, il contributo a fondo perduto del 40% offerto dalla Regione Sardegna rappresenta un’opportunità concreta e strategica per modernizzare la propria attività, ridurre i costi di gestione e migliorare la qualità del servizio offerto.

Hai la possibilità di rinnovare forni, impianti e attrezzature professionali con un investimento che viene coperto quasi per metà da fondi pubblici, e allo stesso tempo potrai beneficiare di agevolazioni fiscali aggiuntive, come il credito d’imposta per i beni strumentali, l’ammortamento e la detrazione dell’IVA.

Questa misura non è solo un incentivo economico, ma un vero piano di rilancio per il comparto enogastronomico sardo, che può aiutarti a distinguerti, attrarre nuovi clienti, offrire un servizio più efficiente e sostenibile e rendere il tuo locale più competitivo sul mercato locale e turistico.

Attenzione però: i fondi sono limitati e la procedura è a sportello, quindi è fondamentale muoversi subito, preparare per tempo la documentazione e affidarsi a professionisti del settore per aumentare le probabilità di successo.

Se desideri una consulenza personalizzata o vuoi sapere se il tuo investimento è finanziabile, contattaci subito: possiamo accompagnarti in ogni fase, dalla progettazione dell’intervento fino alla rendicontazione finale.

IRES al 20% per investimenti in tecnologia

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Risparmiare sulle tasse investendo in tecnologia oggi è possibile. Con la Legge di Bilancio 2025 arriva una misura fiscale che potrebbe cambiare la pianificazione di molte imprese italiane: l’IRES ridotta al 20% per chi investe in beni strumentali tecnologicamente avanzati e assume personale a tempo indeterminato. Una novità che rappresenta non solo un’opportunità di risparmio fiscale immediato, ma anche uno stimolo concreto alla digitalizzazione, all’innovazione e all’occupazione stabile.

Ma attenzione: l’agevolazione è accessibile solo a precise condizioni. Non tutte le imprese potranno beneficiarne e sono previste rigide regole, vincoli temporali e cause di decadenza.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio come funziona l’aliquota IRES al 20%, chi può accedervi, quali investimenti sono validi, e come evitare di perdere l’agevolazione.

Introduzione

Nel panorama della fiscalità italiana, la Legge di Bilancio 2025 porta una novità che potrebbe segnare un punto di svolta per le imprese italiane: una riduzione dell’IRES al 20% per chi investe in beni strumentali tecnologici.

Si tratta di un incentivo fiscale altamente strategico, pensato per stimolare l’innovazione e la competitività delle imprese, in particolare quelle che scelgono di orientare i propri capitali verso la digitalizzazione e la transizione 4.0. Attualmente l’IRES, l’Imposta sul Reddito delle Società, ha un’aliquota ordinaria del 24%.

La riduzione al 20% rappresenta quindi un vantaggio fiscale immediato e concreto, soprattutto per le aziende più dinamiche, capaci di cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica.

Questa misura si inserisce nel solco di una più ampia strategia del Governo volta a sostenere la crescita economica e ad attrarre investimenti privati in settori chiave come l’automazione, l’intelligenza artificiale, la robotica, il cloud computing e la cybersecurity.

I benefici previsti non sono solo fiscali, ma anche economici e produttivi: le imprese che approfitteranno di questa riduzione potranno rafforzare il proprio posizionamento competitivo, aumentare l’efficienza operativa e stimolare l’occupazione qualificata.

Aliquota IRES ridotta al 20%

La misura introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 non è strutturale, ma limitata nel tempo: la riduzione dell’aliquota IRES al 20% si applicherà esclusivamente per il periodo d’imposta 2025. È una finestra temporale che offre un’occasione concreta per pianificare investimenti in modo strategico.

Il beneficio si rivolge a specifici soggetti passivi IRES che effettuano investimenti in beni strumentali tecnologicamente avanzati, rientranti tra quelli elencati nell’Allegato A della Legge 232/2016, ossia i beni materiali funzionali alla trasformazione digitale dei processi produttivi (macchinari interconnessi, sistemi automatizzati, sensori intelligenti, ecc.).

L’aliquota agevolata sostituisce l’ordinaria del 24% ma, attenzione: l’accesso a questo beneficio è subordinato al rispetto di precise condizioni. Non tutte le imprese potranno accedervi indiscriminatamente, ed è previsto un meccanismo di esclusione e decadenza. Ad esempio, non potranno beneficiare dell’agevolazione le imprese che si trovano in stato di liquidazione, fallimento o concordato preventivo.

Inoltre, il mancato rispetto delle condizioni poste dalla normativa – come l’effettiva messa in funzione dei beni tecnologici entro i termini previsti – comporta la perdita del beneficio e l’applicazione dell’aliquota ordinaria.

Queste restrizioni rendono cruciale per le imprese una pianificazione accurata, anche con il supporto di un consulente fiscale, per evitare di incorrere in errori o perdere l’opportunità di risparmio.

Una misura ponte

La riduzione dell’IRES al 20% introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 si inserisce in un contesto più ampio di revisione del sistema fiscale, anticipando in parte i principi contenuti nella legge delega n. 111 del 2023. Tale riforma, all’articolo 6, comma 1, lettera a), prevede infatti la possibilità di ridurre l’imposizione sui redditi societari quando gli utili vengono reinvestiti, in particolare per finalità considerate “qualificate”: innovazione tecnologica, assunzioni stabili, e partecipazione dei lavoratori agli utili.

In attesa dell’attuazione organica di questi principi, il legislatore ha introdotto per il solo periodo d’imposta 2025 una misura temporanea e sperimentale, che offre un’aliquota IRES ridotta al 20% in luogo dell’ordinaria del 24%, a favore di società ed enti che esercitano attività commerciali (anche non residenti) e che rispettano precise condizioni cumulative. Questo approccio “ponte” permette alle imprese di prepararsi in anticipo a una fiscalità premiale orientata alla produttività e alla responsabilità sociale.

Requisiti per accedere alla nuova IRES

Per poter beneficiare dell’IRES agevolata al 20% nel 2025, le imprese devono soddisfare una serie di condizioni cumulative, tutte finalizzate a garantire l’effettivo reinvestimento degli utili e la creazione di valore sul territorio nazionale. I requisiti sono suddivisi in ambiti ben precisi: gestione degli utili, destinazione degli investimenti, incremento occupazionale e stabilità produttiva.

1. Accantonamento utili

Le imprese devono accantonare almeno l’80% degli utili dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2024 in una riserva vincolata. Questo vincolo serve a impedire la distribuzione degli utili e a garantirne l’effettiva destinazione a scopi produttivi.

2. Destinazione degli investimenti

Almeno il 30% della riserva accantonata – e comunque non meno del 24% degli utili 2023, per un importo minimo di 20.000 euro – deve essere investito in beni strumentali nuovi, acquistati anche tramite leasing, destinati a strutture produttive ubicate in Italia. I beni devono rientrare:

  • negli Allegati A e B della Legge n. 232/2016 (beni materiali e immateriali per la Transizione 4.0);

  • oppure nell’articolo 38 del DL 19/2024 (Transizione 5.0).

Gli investimenti devono essere effettuati tra l’entrata in vigore della legge e la scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al 2025.

Incremento occupazionale

Oltre agli obblighi legati all’accantonamento e all’investimento degli utili, le imprese che desiderano accedere all’IRES ridotta al 20% devono rispettare una serie di requisiti occupazionali, a conferma della volontà del legislatore di legare la fiscalità premiale alla stabilità del lavoro e alla crescita dell’occupazione qualificata.

1. Mantenimento dell’organico

Nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024 – quindi, nel 2025 per la maggior parte dei soggetti – il numero di unità lavorative annue (ULA) non deve risultare inferiore alla media del triennio precedente. Questo parametro garantisce che l’impresa non benefici dell’agevolazione riducendo nel frattempo il personale.

2. Nuove assunzioni

La norma impone anche un incremento dell’occupazione stabile: devono essere effettuate nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato per un numero pari ad almeno l’1% dei dipendenti mediamente occupati nell’anno precedente (ovvero il 2024), e comunque non inferiore a una nuova assunzione. Questa clausola obbliga le imprese a contribuire attivamente al mercato del lavoro.

3. Assenza di Cassa Integrazione

Infine, l’impresa non deve aver fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni (CIG) nell’esercizio 2024 o in quello successivo. Fa eccezione solo la CIG ordinaria motivata da eventi transitori non imputabili all’azienda o ai dipendenti (ad esempio, intemperie stagionali).

L’inserimento di questi vincoli dimostra come la riduzione dell’IRES sia strettamente legata non solo a logiche di investimento, ma anche alla responsabilità sociale dell’impresa.

Cause di decadenza dall’IRES agevolata

La Legge di Bilancio 2025 stabilisce in modo molto chiaro che l’accesso all’aliquota IRES agevolata al 20% comporta anche obblighi di mantenimento delle condizioni per un certo periodo di tempo. Qualora queste condizioni vengano meno, l’impresa decade dal beneficio, con effetti retroattivi.

1. Distribuzione anticipata degli utili

Una delle principali cause di decadenza è la distribuzione, entro il secondo esercizio successivo al 2024, della quota di utili che era stata accantonata a riserva vincolata. Se ciò accade, l’agevolazione viene revocata e l’impresa sarà tenuta a versare la differenza d’imposta (tra il 24% ordinario e il 20% agevolato), con eventuali sanzioni e interessi.

2. Dismissione o delocalizzazione dei beni

Un’altra ipotesi di decadenza riguarda i beni strumentali acquistati: se questi vengono dismessi, ceduti a terzi, o destinati a finalità estranee all’attività d’impresa (oppure trasferiti stabilmente all’estero), entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento, il beneficio decade. Anche in questo caso si applica il recupero del vantaggio fiscale fruito.

Queste norme anti-abuso hanno una funzione chiara: evitare che l’aliquota ridotta venga sfruttata a fini speculativi e garantire che gli investimenti e le risorse restino al servizio dell’attività produttiva in Italia, con effetti positivi nel medio-lungo periodo.

Chi è escluso dall’IRES agevolata

Nonostante la portata innovativa dell’IRES al 20% per le imprese che investono in tecnologia e occupazione, la Legge di Bilancio 2025 stabilisce con chiarezza che alcune categorie di soggetti sono escluse in modo assoluto dal beneficio, per motivi di coerenza fiscale, rischi di elusione o instabilità economica.

1. Soggetti in liquidazione o in procedura concorsuale

Sono esclusi:

  • le società in liquidazione ordinaria;

  • le imprese sottoposte a procedure concorsuali a carattere liquidatorio (fallimento, liquidazione giudiziale, concordato liquidatorio, ecc.).

La logica è chiara: l’agevolazione è destinata a soggetti attivi, in crescita e con una prospettiva di continuità operativa. Le imprese in fase di chiusura o insolvenza non possono dimostrare la capacità di generare valore nel medio-lungo periodo, e pertanto vengono escluse a priori.

2. Imprese che adottano regimi forfettari o semplificati

Sono inoltre esclusi i soggetti che determinano il proprio reddito imponibile in tutto o in parte con regimi forfettari, quindi:

  • regimi agevolati per le partite IVA (ex Legge 190/2014);

  • eventuali soggetti che applicano metodi presuntivi o semplificati.

In questo caso, l’esclusione deriva da una incompatibilità tecnica: l’agevolazione IRES si applica sul reddito effettivo d’impresa, e non su base forfettaria o semplificata, dove non è possibile verificare puntualmente né l’accantonamento degli utili, né la destinazione degli investimenti.

Queste esclusioni vanno considerate attentamente già in fase di pianificazione fiscale, per evitare errori nella valutazione di accesso al regime agevolato.

Casi particolari

La normativa sull’IRES agevolata al 20% prevede anche specifiche disposizioni per i soggetti che partecipano a regimi fiscali particolari. In questi casi, l’agevolazione non viene persa, ma va gestita in modo differente, secondo regole precise.

1. Consolidato fiscale nazionale o mondiale

Nel caso in cui l’impresa beneficiaria dell’IRES agevolata faccia parte di un gruppo in consolidato fiscale, l’importo agevolabile (cioè il reddito imponibile sul quale applicare l’aliquota ridotta) viene trasferito alla società o ente controllante. Tale importo sarà utilizzabile per abbattere il reddito complessivo del gruppo, fino a concorrenza del reddito eccedente le perdite fiscali riportate in diminuzione. Si tratta di una misura che permette di distribuire in modo efficiente il beneficio fiscale all’interno del gruppo, ottimizzando la tassazione.

2. Regime di trasparenza fiscale

Per le società che optano per il regime di trasparenza fiscale (tipico delle Srl partecipate da persone fisiche), il beneficio non si applica a livello societario, ma viene attribuito direttamente ai soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili. Ogni socio potrà quindi beneficiare, pro quota, dell’aliquota ridotta sul reddito attribuito.

3. Enti non commerciali

Anche gli enti non commerciali possono accedere alla misura, ma solo in riferimento alla quota di reddito derivante da attività d’impresa. Questo significa che la parte di reddito soggetta a IRES e derivante da attività istituzionali o passive non beneficia in alcun modo dell’agevolazione.

Queste regole garantiscono che l’incentivo possa essere applicato anche in contesti strutturati o ibridi, ma nel rispetto della tracciabilità e della coerenza fiscale.

Acconti d’imposta e decreto attuativo

Oltre a definire requisiti, esclusioni e cause di decadenza, la norma che introduce l’IRES agevolata al 20% per il 2025 disciplina anche due aspetti cruciali: il calcolo degli acconti d’imposta per l’anno successivo e la necessità di un decreto attuativo per rendere operativa la misura.

1. Determinazione dell’acconto per il 2026

Ai fini del versamento dell’acconto IRES dovuto per il periodo d’imposta successivo al 2025 (quindi per il 2026), la norma specifica che si dovrà considerare, come imposta del periodo precedente, l’IRES calcolata senza applicare la riduzione al 20%. In pratica, l’acconto dovrà essere calcolato tenendo conto dell’aliquota ordinaria del 24%, e non dell’aliquota agevolata.

Questa disposizione ha un obiettivo preciso: evitare che le imprese riducano eccessivamente l’acconto, basandosi su un’imposta straordinariamente più bassa, e poi si trovino in difficoltà nel 2026 in caso di ritorno all’aliquota ordinaria o mancato rispetto delle condizioni.

2. Il decreto attuativo del MEF

La norma prevede inoltre che sarà un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), di natura regolamentare, a definire nel dettaglio le modalità di attuazione dell’agevolazione. Questo provvedimento sarà fondamentale per chiarire aspetti operativi come:

  • documentazione da predisporre per accedere al beneficio;

  • modalità di verifica del rispetto dei requisiti;

  • comunicazioni e obblighi informativi da parte delle imprese.

In attesa del decreto, è essenziale che le imprese interessate inizino da subito a pianificare in modo preciso gli utili, gli investimenti e l’organico, per non trovarsi impreparate all’apertura della finestra agevolativa.

Considerazioni finali

La riduzione dell’IRES al 20% per il periodo d’imposta 2025 rappresenta una leva fiscale potente per le imprese italiane che intendono investire in tecnologia e sviluppo. In un contesto di transizione digitale e innovazione industriale, questa misura consente non solo un risparmio immediato sulle imposte, ma anche un’opportunità per rafforzare la competitività sul lungo periodo.

Non si tratta, però, di un’agevolazione automatica. I requisiti sono numerosi, tecnici e da soddisfare in maniera puntuale e documentabile: dall’accantonamento vincolato degli utili, agli investimenti in beni strumentali 4.0 e 5.0, fino alle nuove assunzioni e alla stabilità dell’organico. Inoltre, vanno attentamente considerati i rischi di decadenza, le esclusioni soggettive, e i casi particolari legati a regimi di consolidato o trasparenza fiscale.

In questo scenario, la differenza la farà la pianificazione fiscale: analizzare il bilancio 2024, prevedere investimenti coerenti, valutare l’impatto occupazionale e impostare correttamente la gestione degli utili. Rivolgersi a un commercialista esperto diventa una scelta obbligata per non perdere questa opportunità e massimizzare i benefici fiscali in modo pienamente conforme alla normativa.

Il 2025 sarà un anno chiave per innovare, risparmiare e crescere. Chi si prepara adesso, potrà raccogliere i frutti domani.

Sardegna 2025: tutti i vantaggi di investire con ZES (50%) e fondo perduto (40%)

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Cala Luna cave by the sea

Sardegna: la nuova terra promessa per imprese e investitori grazie a ZES e contributi a fondo perduto.

Quando si parla di Sardegna, si pensa subito al mare cristallino, alla natura incontaminata e alla qualità della vita. Ma oggi c’è molto di più: la Sardegna è diventata una nuova frontiera per chi vuole investire e fare impresa in Italia.

Il motivo? Due strumenti di incentivo economico e fiscale che stanno attirando sempre più aziende: la Zona Economica Speciale (ZES) e i contributi a fondo perduto fino al 40% per progetti di investimento.

Il cuore della questione è semplice ma potentissimo: le imprese che scelgono di investire nelle aree ZES della Sardegna possono ottenere un credito d’imposta del 50%, mentre per determinati progetti strategici è disponibile un contributo a fondo perduto fino al 40% delle spese ammissibili. Tradotto: meno tasse, più liquidità, più competitività.

Queste misure rappresentano una risposta concreta alla storica marginalità economica dell’isola, trasformandola da territorio periferico a hub strategico per l’innovazione, l’industria green, la logistica e il turismo sostenibile.

Nell’articolo vedremo nel dettaglio cosa sono le ZES e come funzionano in Sardegna, come ottenere il credito d’imposta del 50%, come accedere al contributo a fondo perduto fino al 40%, i settori più incentivati, e infine, perché oggi è il momento perfetto per investire nell’isola.

ZES Sardegna

Le Zone Economiche Speciali (ZES) sono aree geografiche delimitate dove le imprese possono beneficiare di importanti agevolazioni fiscali e semplificazioni amministrative per favorire gli investimenti e la crescita economica.

Istituite con il Decreto-Legge n. 91/2017, le ZES rappresentano un vero e proprio strumento di politica economica per il rilancio del Mezzogiorno, e dal 2023 anche la Sardegna è entrata ufficialmente nel perimetro di queste zone privilegiate.

Uno degli incentivi più potenti previsti all’interno delle ZES è il credito d’imposta fino al 50% per gli investimenti effettuati dalle imprese. Nello specifico, si tratta di un beneficio fiscale che consente di recuperare fino alla metà del valore dell’investimento attraverso una compensazione diretta delle imposte dovute. Il credito può essere utilizzato per abbattere imposte come IRES, IRPEF, IVA e contributi previdenziali e assistenziali.

Chi può accedere?

Tutte le imprese – micro, piccole, medie e grandi – che realizzano investimenti produttivi nelle aree comprese nella ZES Sardegna, e che rispettano determinati requisiti, tra cui:

  • Essere regolarmente costituite e operative;

  • Non trovarsi in stato di difficoltà finanziaria;

  • Impegnarsi a mantenere l’attività nella ZES per almeno 5 anni.

Quali investimenti sono ammessi?

Il credito d’imposta si applica a spese per:

  • Acquisto di macchinari, impianti e attrezzature;

  • Costruzione o ristrutturazione di immobili strumentali all’attività;

  • Acquisto di terreni.

Grazie a questa misura, le aziende possono ridurre significativamente il carico fiscale e reinvestire più risorse nella crescita. È un’opportunità concreta per avviare o espandere un’impresa nel territorio sardo, con un vantaggio competitivo rilevante.

Contributi a fondo perduto fino al 40%

Oltre al credito d’imposta ZES, la Sardegna offre un altro strumento estremamente vantaggioso per chi vuole investire nell’isola: il contributo a fondo perduto fino al 40% delle spese ammissibili. Si tratta di un incentivo diretto, che non va restituito, e che può coprire una parte significativa dell’investimento iniziale, aumentando la redditività del progetto e riducendo il fabbisogno di capitale proprio o finanziamenti bancari.

Questi contributi rientrano nel più ampio quadro degli aiuti di Stato a finalità regionale, approvati dall’UE e coordinati a livello nazionale dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex MISE). In Sardegna, vengono erogati attraverso bandi regionali o tramite strumenti nazionali come il Contratto di Sviluppo, gli Incentivi “Smart&Start” o i fondi del PNRR, a seconda della tipologia e della dimensione del progetto.

Chi può accedere?

  • Imprese già costituite o da costituire, anche in forma di startup;

  • PMI e grandi imprese, a seconda del bando;

  • Settori strategici come agrifood, turismo, logistica, energia rinnovabile, nautica, IT e manifattura green.

Spese ammissibili:

  • Acquisto di macchinari e attrezzature;

  • Costruzione e ristrutturazione di immobili;

  • Innovazione tecnologica;

  • Spese per consulenze e studi di fattibilità.

Il contributo può variare dal 20% al 40%, con maggiorazioni previste per:

  • Progetti realizzati da giovani under 36 o donne;

  • Interventi in comuni svantaggiati o aree interne;

  • Investimenti ad alto impatto occupazionale o ambientale.

In sintesi, questo incentivo a fondo perduto consente di ridurre drasticamente l’investimento iniziale e di affrontare con meno rischio nuove sfide imprenditoriali in una terra ricca di potenziale ma ancora poco sfruttata. Un’occasione da non perdere.

Settori strategici in Sardegna

La Sardegna, grazie alla combinazione tra posizione geografica, patrimonio naturale, risorse umane qualificate e ora anche importanti incentivi economici, sta diventando una delle regioni italiane più interessanti per alcuni settori specifici ad alto potenziale. Le ZES e i contributi a fondo perduto vanno infatti a premiare gli investimenti in ambiti strategici per la transizione ecologica, la digitalizzazione e la valorizzazione del territorio.

1. Turismo sostenibile e ricettività

Il turismo è da sempre uno dei motori economici dell’isola, ma oggi le opportunità maggiori si trovano nella creazione di strutture eco-friendly, agriturismi, resort innovativi e servizi legati all’esperienza del viaggiatore. Investire in questo settore consente di accedere sia al credito d’imposta ZES che a contributi a fondo perduto, soprattutto nelle aree interne e meno battute dal turismo di massa.

2. Agroalimentare e filiere locali

La Sardegna vanta eccellenze come il pecorino, il pane carasau, il vino cannonau e l’olio extravergine d’oliva. Incentivi e agevolazioni premiano progetti per la modernizzazione degli impianti produttivi, la trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, la logistica e l’export.

3. Energia e green economy

Con l’obiettivo europeo di decarbonizzazione entro il 2050, la Sardegna si propone come laboratorio ideale per energie rinnovabili (solare, eolico, idrogeno verde), mobilità sostenibile e riqualificazione energetica degli edifici. In questo ambito, gli incentivi arrivano fino al massimo consentito, con priorità per chi innova.

4. Innovazione e digitale

Startup tecnologiche, laboratori di ricerca, data center, aziende che si occupano di cybersecurity, software, IA, biotech e industria 4.0 trovano nella Sardegna un territorio fertile, anche grazie alla presenza del polo universitario di Cagliari, del CRS4 e di infrastrutture digitali avanzate.

In conclusione, scegliere il settore giusto significa massimizzare il ritorno dell’investimento e sfruttare appieno le agevolazioni disponibili. Il mix di natura, qualità della vita, incentivi e potenziale di crescita rende la Sardegna una meta sempre più strategica per gli imprenditori lungimiranti.

Guida pratica

Accedere agli incentivi disponibili in Sardegna non è complicato, ma è fondamentale seguire correttamente le procedure e presentare una documentazione completa.

Ogni agevolazione ha regole specifiche, ma esistono passaggi comuni che permettono alle imprese di muoversi con metodo e senza errori.

1. Individuazione dell’incentivo giusto

Il primo passo è capire quale incentivo si adatta meglio al proprio progetto. Il credito d’imposta ZES si applica in automatico a investimenti effettuati in aree comprese nelle zone economiche speciali, mentre i contributi a fondo perduto sono legati a specifici bandi (regionali o nazionali) e a determinati settori.

Consiglio: farsi affiancare da un consulente fiscale esperto in incentivi o uno studio commerciale specializzato, per evitare di perdere opportunità per piccoli dettagli.

2. Predisposizione della documentazione

Per entrambe le tipologie di incentivo servono:

  • Business plan dettagliato, con proiezioni economiche e analisi costi-benefici;

  • Documentazione legale e amministrativa dell’impresa;

  • Preventivi e fatture per le spese previste;

  • Relazione tecnica sul progetto.

3. Presentazione della domanda

  • Per il credito d’imposta ZES, la domanda si presenta tramite la piattaforma dell’Agenzia delle Entrate, indicando gli investimenti agevolabili e allegando la documentazione.

  • Per i contributi a fondo perduto, la domanda va presentata all’ente che gestisce il bando (es. Regione Sardegna, Invitalia, MIMIT), spesso tramite piattaforme online dedicate.

4. Erogazione e controllo

Dopo l’approvazione, i contributi vengono erogati per stati di avanzamento lavori o a rendicontazione finale. Il credito d’imposta ZES, invece, può essere fruito in compensazione nel modello F24, a partire dall’anno successivo all’investimento. Sono previsti controlli documentali e, in alcuni casi, anche sopralluoghi.

In sintesi, la chiave è prepararsi bene, presentare una pratica chiara e documentata, e rispettare tempi e requisiti previsti. Chi lo fa in modo corretto può ottenere benefici economici importanti in tempi relativamente brevi.

Vantaggi fiscali, finanziari ed economici

La combinazione tra credito d’imposta ZES al 50% e contributi a fondo perduto fino al 40% rende la Sardegna una delle regioni italiane con il miglior rapporto tra investimento e incentivo pubblico. Non si tratta solo di una riduzione delle tasse, ma di un vero e proprio sistema integrato di vantaggi pensati per attrarre capitali, creare occupazione e rilanciare il tessuto economico locale.

1. Vantaggi fiscali immediati

Il credito d’imposta ZES consente alle imprese di compensare fino al 50% dell’investimento direttamente con le imposte da versare (IRES, IRPEF, IVA, INPS). Questo significa un abbattimento concreto del carico fiscale che si traduce in più liquidità disponibile per la crescita.

2. Contributi non rimborsabili

I contributi a fondo perduto permettono di ridurre il capitale iniziale necessario per avviare o ampliare un’attività. Coprendo fino al 40% delle spese, abbassano la soglia d’accesso agli investimenti e aumentano il margine operativo lordo fin dal primo anno.

3. Cumulabilità degli incentivi: un’opportunità senza precedenti

Uno degli aspetti più interessanti è che credito d’imposta e contributo a fondo perduto sono cumulabili, nel rispetto dei massimali previsti dalla normativa sugli aiuti di Stato. In pratica, un’impresa può ottenere sia il rimborso diretto di una parte delle spese, sia la detrazione fiscale sul restante investimento. Questo meccanismo può portare la copertura complessiva dell’investimento anche oltre il 70%, a seconda della tipologia di impresa e del progetto.

4. Semplificazioni amministrative e autorizzative

Nelle ZES sono previste procedure più snelle e tempi ridotti per autorizzazioni, concessioni edilizie e ambientali. Le imprese possono così avviare i lavori più velocemente, riducendo i tempi morti e migliorando il ritorno sugli investimenti (ROI).

5. Posizione strategica e mercato in crescita

La Sardegna si sta posizionando come hub strategico nel Mediterraneo, soprattutto per logistica, agroalimentare e turismo. Con l’aumento dei fondi europei e PNRR destinati all’isola, il trend è in forte crescita.

6. Qualità della vita e talenti locali

Fare impresa in Sardegna significa anche attrarre risorse umane qualificate, migliorare la reputazione del brand e godere di una qualità della vita unica, che può diventare un vantaggio competitivo per trattenere talenti e collaboratori.

In poche parole, oggi investire in Sardegna conviene davvero, non solo per gli incentivi, ma per un ecosistema che – grazie anche a queste politiche – è sempre più dinamico, moderno e proiettato al futuro.

Aree ZES in Sardegna

La Zona Economica Speciale della Sardegna è stata istituita ufficialmente nel 2023, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 agosto 2023, che ha definito le aree ammesse e le relative agevolazioni. L’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo industriale, logistico e turistico attraverso la concessione di incentivi fiscali e semplificazioni amministrative in territori strategici.

Le aree ZES in Sardegna si concentrano prevalentemente nelle zone portuali e retroportuali, nonché nelle aree industriali attrezzate.

Tra le principali aree incluse:

  • Cagliari – Porto Canale e zona industriale di Macchiareddu: perfetta per logistica, agroalimentare e industria leggera.

  • Porto Torres: vocata per chimica verde, cantieristica, energie rinnovabili.

  • Olbia – Golfo Aranci: turismo, nautica e logistica.

  • Oristano e Santa Giusta: agroindustria e cerealicolo.

  • Arbatax e Tortolì: valorizzazione delle aree interne con focus su turismo ed energia.

Queste zone sono state selezionate per la loro posizione strategica, la presenza di infrastrutture logistiche (porti, strade, interporti), e la possibilità di riutilizzare aree industriali dismesse o sottoutilizzate. L’idea è quella di trasformare la Sardegna in una piattaforma logistica nel Mediterraneo, in grado di attrarre investimenti internazionali e facilitare l’export delle eccellenze locali.

Ogni area ZES è gestita da una cabina di regia regionale, in stretto coordinamento con Invitalia e il Ministero per il Sud. Questo permette una maggiore rapidità nei procedimenti autorizzativi e un supporto tecnico costante alle imprese che vogliono insediarsi.

Casi studio reali

Per comprendere a fondo la portata degli incentivi ZES e dei contributi a fondo perduto, è utile guardare ai primi casi concreti di imprese che hanno scelto la Sardegna come destinazione dei propri investimenti. Non si tratta solo di grandi multinazionali, ma anche di PMI locali e startup innovative che hanno saputo cogliere le opportunità offerte.

Esempio 1: industria alimentare a Macchiareddu (Cagliari)

Una media impresa attiva nella trasformazione e confezionamento di prodotti tipici sardi ha realizzato un nuovo stabilimento produttivo nell’area ZES di Macchiareddu. Investimento totale: circa 1,8 milioni di euro. Grazie al credito d’imposta del 50% e a un contributo a fondo perduto del 35% ottenuto tramite bando regionale, l’azienda ha coperto l’85% dell’investimento con risorse pubbliche. In due anni ha raddoppiato la produzione e assunto 12 nuovi dipendenti.

Esempio 2: startup energetica a Porto Torres

Una startup green ha avviato un progetto sperimentale di produzione di idrogeno verde in collaborazione con enti di ricerca locali. Il progetto ha ricevuto finanziamenti PNRR e rientra nelle aree ZES. Qui, la cumulabilità tra contributo e credito d’imposta ha permesso di coprire oltre il 70% dei costi iniziali, accelerando lo sviluppo tecnologico e l’avvio delle attività operative.

Esempio 3: resort eco-sostenibile in Ogliastra

Una società attiva nel turismo sostenibile ha beneficiato di un contributo a fondo perduto del 40% per la costruzione di un eco-resort tra mare e montagna. L’area, pur non essendo industriale, è inclusa nelle zone svantaggiate prioritarie. L’intervento ha ottenuto inoltre il credito ZES per l’acquisto di attrezzature e veicoli elettrici, abbattendo significativamente i costi di start-up.

Questi esempi dimostrano che le agevolazioni non sono solo teoriche, ma già attive e funzionanti. Con un progetto solido e ben pianificato, è possibile ottenere coperture pubbliche molto elevate e realizzare investimenti sostenibili, innovativi e redditizi.

Considerazioni finali

In un contesto economico nazionale in cui le imprese sono costantemente alla ricerca di strumenti per migliorare la competitività, la Sardegna si presenta oggi come una delle realtà più promettenti, grazie alla combinazione tra incentivi fiscali strutturati, contributi pubblici a fondo perduto e semplificazioni burocratiche.

L’introduzione delle Zone Economiche Speciali ha trasformato alcune aree dell’isola in poli attrattivi per investimenti industriali, tecnologici e turistici, sostenuti da un credito d’imposta del 50% che incide in modo diretto sulla fiscalità d’impresa. A questo si aggiungono contributi a fondo perduto fino al 40%, cumulabili con il credito, che permettono una copertura degli investimenti iniziali anche superiore al 70%.

I settori strategici – turismo sostenibile, agroalimentare, green economy, innovazione tecnologica – trovano nell’isola non solo incentivi, ma anche territori vocati, manodopera specializzata, infrastrutture in crescita e una qualità della vita unica.

I primi esempi reali mostrano come, con una pianificazione attenta e il corretto supporto tecnico, sia già oggi possibile realizzare progetti di successo con un elevato tasso di ritorno economico e sociale.

La Sardegna non è più solo una terra di bellezza naturale, ma si sta affermando come un laboratorio di sviluppo economico sostenibile, dove politiche pubbliche, capitale privato e visione strategica possono convergere in modo virtuoso.

Tassazione palladio: guida completa alle plusvalenze e al trattamento fiscale secondo il TUIR

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Negli ultimi anni, l’interesse per i metalli preziosi come strumenti di investimento è cresciuto esponenzialmente. Oltre all’oro e all’argento, anche metalli come il palladio stanno guadagnando sempre più attenzione tra gli investitori, attratti dalle performance in borsa e dal loro impiego in ambiti strategici, come l’industria automobilistica e tecnologica. Tuttavia, mentre l’oro da investimento gode di un regime fiscale agevolato, il palladio segue tutt’altra strada.

Una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (n. 3554 del 2023) ha fatto chiarezza sul trattamento fiscale applicabile alla cessione del palladio. In particolare, ha stabilito che le plusvalenze derivanti dalla cessione di palladio da parte di privati sono tassabili, a differenza di quanto avviene per l’oro da investimento che, ai sensi del D.Lgs. n. 41/2000, è esente da imposizione in determinate condizioni.

Questo articolo si propone di approfondire nel dettaglio il regime fiscale della cessione del palladio, evidenziando le differenze con altri metalli preziosi, illustrando cosa si intende per plusvalenza tassabile e fornendo indicazioni pratiche su come comportarsi per non incorrere in sanzioni, ma anche per ottimizzare legalmente il proprio carico fiscale.

La tassazione delle plusvalenze da palladio

La cessione a titolo oneroso di metalli preziosi come il palladio, quando effettuata da soggetti privati, può generare una plusvalenza fiscalmente rilevante. Secondo l’articolo 67, comma 1, lettera c-ter del TUIR, le plusvalenze derivanti dalla vendita di metalli preziosi in forma grezza (come lingotti, grani, polveri o lamine) o monetata (ad esempio, Marenghi o Sterline) rientrano tra i redditi diversi e sono quindi imponibili. Esulano invece da questo regime le plusvalenze realizzate tramite la cessione di gioielli, semilavorati o pietre preziose, che non sono considerate alla stregua di investimenti finanziari.

Per determinare la base imponibile, si applica quanto stabilito dall’articolo 68, comma 6 del TUIR: la plusvalenza tassabile è data dalla differenza tra il corrispettivo di vendita e il costo o valore di acquisto, comprensivo degli oneri sostenuti per acquisizione o produzione, ma esclusi gli interessi passivi. Nel caso di acquisti ripetuti nel tempo, si applica il criterio LIFO (Last In, First Out), come stabilito dall’art. 67, comma 1-bis del TUIR: si presume che i beni ceduti siano quelli acquistati più di recente. Questa presunzione vale solo per beni fungibili, come i metalli preziosi.

Se il contribuente non riesce a documentare il costo d’acquisto, l’intero importo incassato sarà considerato plusvalenza imponibile, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 92, lettera c) della Legge 213/2023 (Legge di Bilancio 2024). Tali plusvalenze sono soggette a imposta sostitutiva del 26%, purché non si tratti di attività commerciale, abituale o occasionale.

Infine, va segnalato che in caso di vendita a un prezzo inferiore rispetto all’acquisto, si genera una minusvalenza, che però non sempre è compensabile.

Cosa si intende per metalli preziosi

Uno degli aspetti più critici nella tassazione delle plusvalenze da metalli preziosi riguarda proprio la definizione giuridica di cosa debba intendersi per “metallo prezioso”. Il TUIR, ovvero il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, pur individuando la categoria reddituale delle plusvalenze sui metalli preziosi, non fornisce una definizione precisa né di “metallo prezioso” né dello “stato grezzo” del bene.

A colmare questa lacuna interviene il D.Lgs. n. 251/1999, che regolamenta i titoli e i marchi di identificazione dei metalli preziosi. In base a tale normativa, rientrano nella categoria: oro, argento, platino e palladio. A confermare questa classificazione è anche la Convenzione internazionale sul controllo e la marcatura degli oggetti in metalli preziosi, che ribadisce gli stessi quattro elementi come unici metalli rientranti nella definizione.

Anche l’Agenzia delle Entrate, in una lettura sistematica della normativa, ha chiarito – con riferimento alla Circolare n. 165/1998 – che l’elenco lì contenuto (oro, argento, platino) è meramente esemplificativo e non esaustivo. Ne consegue che anche il palladio, nonostante inizialmente escluso, debba essere considerato a pieno titolo un metallo prezioso soggetto a tassazione in caso di plusvalenza.

Di conseguenza, altri metalli diversi da questi quattro, anche se rari o costosi, non dovrebbero essere inclusi nel perimetro delle plusvalenze tassabili, a meno di modifiche normative future. Questo aspetto è centrale per gli investitori che intendano diversificare su più metalli: sapere quali sono effettivamente soggetti a imposizione consente di pianificare al meglio l’investimento.

Palladio vs Oro da investimento

Uno degli aspetti più significativi per chi investe in metalli preziosi riguarda il diverso trattamento fiscale riservato al palladio rispetto all’oro da investimento. Se il primo è soggetto a tassazione in caso di plusvalenze, il secondo beneficia di un regime di esenzione previsto dal D.Lgs. n. 41/2000, che recepisce la direttiva europea 98/80/CE. Questa norma stabilisce che le cessioni di oro da investimento sono esenti da IVA e, in determinate condizioni, anche non imponibili ai fini delle imposte dirette.

L’oro da investimento è definito dalla legge come oro in forma di lingotti o placche con un titolo pari o superiore a 995 millesimi, e deve essere detenuto con finalità di riserva di valore. Questo lo distingue nettamente da gioielli o oro industriale. La finalità “di investimento” è dunque essenziale per beneficiare delle agevolazioni.

Il palladio, invece, pur essendo a tutti gli effetti un metallo prezioso, non gode di alcuna esenzione simile. Le plusvalenze generate dalla sua vendita da parte di un privato sono tassate come redditi diversi, con imposta sostitutiva del 26%, salvo che il contribuente non dimostri di aver sostenuto una perdita (minusvalenza).

Questa differenza di trattamento non è solo teorica: ha importanti implicazioni pratiche. Un investitore che acquista oro può godere di un vantaggio fiscale significativo in fase di dismissione dell’investimento. Chi sceglie il palladio, invece, deve valutare attentamente la strategia di uscita e tenere traccia documentale del prezzo e della data di acquisto per non vedersi tassato sull’intero importo ricevuto.

Come dichiarare

Nel caso in cui un contribuente realizzi una plusvalenza da cessione di palladio, è fondamentale sapere come e dove dichiararla all’interno del Modello Redditi Persone Fisiche. Trattandosi di un reddito diverso, la plusvalenza va indicata nel quadro RT, dedicato ai redditi derivanti da cessioni di partecipazioni, titoli e altri strumenti finanziari, nonché da operazioni su metalli preziosi.

Più precisamente, la plusvalenza generata dalla vendita del palladio va indicata nella Sezione II del quadro RT, dedicata alle plusvalenze realizzate fuori dall’esercizio di attività d’impresa.

Il contribuente dovrà inserire:

  • Il corrispettivo lordo di cessione;

  • Il costo documentato di acquisto, oppure zero se non è disponibile (in tal caso, tutta la somma incassata è tassabile);

  • L’imposta sostitutiva del 26%, che sarà calcolata sulla plusvalenza netta (corrispettivo – costo).

È essenziale conservare tutta la documentazione relativa all’acquisto del metallo, incluse fatture, ricevute o estratti conto, poiché, in assenza di prova del prezzo d’acquisto, il rischio è che l’intero importo percepito venga assoggettato a tassazione.

Nel caso in cui il contribuente realizzi invece una minusvalenza, questa può essere utilizzata in compensazione con plusvalenze realizzate nello stesso periodo d’imposta o nei successivi quattro anni, sempre nel quadro RT, ma solo se si tratta di redditi della stessa natura.

Attenzione: la mancata dichiarazione della plusvalenza può comportare non solo il recupero dell’imposta evasa, ma anche l’applicazione di sanzioni amministrative. Per questo, è consigliabile avvalersi dell’assistenza di un commercialista esperto in materia di fiscalità degli investimenti.

Investire in palladio

Il mercato dei metalli preziosi come il palladio può sembrare, a prima vista, simile a quello dell’oro o dell’argento, ma presenta delle peculiarità fiscali che, se ignorate, possono trasformare un investimento profittevole in una fonte di problemi con il Fisco. Vediamo allora quali sono gli errori più comuni commessi dagli investitori non professionisti quando operano con il palladio.

Il primo errore è non considerare la tassabilità della plusvalenza. Molti ritengono erroneamente che, essendo il palladio un metallo prezioso, sia soggetto allo stesso trattamento dell’oro da investimento, che invece è esente da imposizione in determinati casi.

Come abbiamo visto, il palladio è invece tassabile in base all’art. 67 del TUIR. Non dichiarare la plusvalenza nel quadro RT può comportare accertamenti fiscali, sanzioni e interessi di mora.

Un secondo errore è non documentare il costo di acquisto. In assenza di una prova certa, l’intero valore incassato dalla cessione viene considerato imponibile. Per evitarlo, è fondamentale conservare tutta la documentazione fin dal momento dell’acquisto: fatture, contratti, ricevute o anche l’estratto conto di una piattaforma di trading riconosciuta.

Altro errore è confondere i metalli industriali con quelli “preziosi” ai fini fiscali. Solo platino, palladio, oro e argento rientrano in questa categoria. Investire in metalli non inclusi in questa lista può sembrare più conveniente, ma attenzione: potrebbero essere soggetti a regole differenti o addirittura non considerate dal legislatore.

Infine, c’è chi non considera la possibilità di compensare le minusvalenze, perdendo così un’opportunità per ridurre il carico fiscale. Conoscere e applicare le regole sulla compensazione può fare una grande differenza.

Come risparmiare sulle tasse

Investire in palladio può essere molto redditizio, soprattutto nei momenti in cui la domanda industriale cresce e il prezzo sale. Tuttavia, come abbiamo visto, le plusvalenze sono tassabili al 26% e non godono delle esenzioni riservate all’oro da investimento. Ecco perché diventa fondamentale adottare alcune strategie legali per ottimizzare il carico fiscale.

Una delle prime strategie consiste nel documentare sempre il costo di acquisto, così da evitare che il Fisco imponga la tassazione sull’intero corrispettivo di vendita. Può sembrare banale, ma è una delle sviste più comuni. Acquistare tramite operatori professionali, banche o piattaforme certificate facilita la conservazione di documenti validi in caso di controllo.

Un altro strumento utile è la pianificazione delle vendite. Se si possiedono anche altri asset finanziari in perdita (azioni, ETF, criptovalute), si può decidere di realizzare le minusvalenze nello stesso anno in cui si vende il palladio in utile, così da compensare le due voci all’interno del quadro RT. Questo consente di ridurre l’imponibile o, in alcuni casi, azzerarlo.

Interessante anche la possibilità di utilizzare le minusvalenze residue degli anni precedenti (entro 4 anni), per compensare nuove plusvalenze da palladio.

Infine, in alcuni casi, può risultare vantaggioso valutare un regime dichiarativo alternativo, come il regime del risparmio amministrato o gestito, offerto da alcuni intermediari finanziari. In questo modo, è l’intermediario stesso a calcolare e versare l’imposta, semplificando la gestione fiscale per l’investitore.

Vantaggi fiscali

Anche se il palladio, a differenza dell’oro da investimento, non gode di un’esenzione diretta dalle imposte, ciò non significa che non vi siano vantaggi fiscali indiretti che l’investitore può sfruttare attraverso un’attenta pianificazione.

In molti casi, questi benefici si manifestano proprio nella possibilità di gestire in modo strategico le plusvalenze, riducendo l’imposizione legale, ma anche sfruttando le flessibilità offerte dalla normativa.

Uno dei principali vantaggi è la possibilità di compensare le plusvalenze con minusvalenze di pari natura, come previsto dall’art. 68 del TUIR. Questa compensazione può avvenire sia all’interno dello stesso anno fiscale, sia utilizzando minusvalenze maturate nei quattro anni precedenti, evitando così un’imposizione piena al 26% sulla plusvalenza da cessione del palladio.

Un altro vantaggio è legato alla flessibilità nel momento della vendita: l’investitore può decidere quando realizzare la plusvalenza, scegliendo un anno in cui ha minori redditi imponibili o più perdite da utilizzare. Questa possibilità di ottimizzazione temporale è un vantaggio spesso sottovalutato ma molto efficace.

Inoltre, nel caso di investimenti detenuti tramite intermediari finanziari abilitati, è possibile optare per il regime del risparmio gestito o amministrato, che solleva l’investitore da obblighi dichiarativi e può portare a una migliore gestione fiscale complessiva. In questo scenario, le imposte vengono calcolate e versate direttamente dall’intermediario, riducendo il rischio di errori o omissioni.

Infine, va ricordato che l’investimento in palladio, se ben documentato e inserito all’interno di un portafoglio diversificato, può diventare un strumento di bilanciamento fiscale utile a gestire gli impatti globali dell’imposizione su altri strumenti finanziari più tassati.

Considerazioni finali

La cessione di palladio, come abbiamo visto, non è priva di implicazioni fiscali. A differenza dell’oro da investimento, il palladio è soggetto a tassazione in caso di plusvalenza, secondo le regole previste dagli articoli 67 e 68 del TUIR. Si tratta di un reddito diverso, tassato al 26% tramite imposta sostitutiva, a meno che non si tratti di minusvalenze o il contribuente sia in grado di attuare una compensazione fiscale.

La documentazione del costo di acquisto è essenziale per evitare di pagare tasse su tutto il ricavato della vendita. Inoltre, è possibile adottare strategie legali di ottimizzazione fiscale, come la gestione delle tempistiche di vendita, l’utilizzo delle minusvalenze pregresse e il ricorso a regimi dichiarativi gestiti da intermediari abilitati.

Conoscere in profondità il trattamento fiscale del palladio permette non solo di evitare errori e sanzioni, ma anche di costruire un piano di investimento più intelligente e sostenibile, in grado di tutelare il capitale e aumentare la redditività netta. In un periodo di alta incertezza finanziaria, strumenti come il palladio possono rappresentare un’interessante opportunità di diversificazione, purché gestiti con attenzione alla normativa tributaria.

Per chi desidera approfondire o pianificare un investimento in metalli preziosi come il palladio, il supporto di un commercialista esperto in fiscalità degli investimenti può fare la differenza tra un investimento vincente e un’imposta inattesa.

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