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Redditometro: Acquisto immobile con fondi da cessione azienda

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La controversia ha per oggetto l’impugnazione da parte della contribuente S. C. Dell’avviso di accertamento IRPEF e ILOR per l’anno 1997; 2. La C. T. P. Di Napoli accoglieva il ricorso sul presupposto del mancato rispetto delle disposizioni della circolare ministeriale 101/E del 30 aprile 1999 e della prova fornita dalla contribuente circa il reperimento di fondi, provenienti dal nucleo familiare, finalizzato a un acquisto immobiliare di rilevante entità; 3. La C. T. R. Ha accolto l’appello rilevando che la cessione di azienda che avrebbe finanziato l’acquisto immobiliare era avvenuta oltre 14 mesi dopo l’acquisto immobiliare e costituiva pertanto una circostanza inidonea a impedire l’applicazione dell’accertamento sintetico (cd. Redditometro);

Sentenza

Cassazione Civile Ord. N. 21661 del 22-10-2010

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Letti gli atti depositati;

1. La controversia ha per oggetto l’impugnazione da parte della contribuente S. C. Dell’avviso di accertamento IRPEF e ILOR per l’anno 1997;

2. La C. T. P. Di Napoli accoglieva il ricorso sul presupposto del mancato rispetto delle disposizioni della circolare ministeriale 101/E del 30 aprile 1999 e della prova fornita dalla contribuente circa il reperimento di fondi, provenienti dal nucleo familiare, finalizzato a un acquisto immobiliare di rilevante entità;

3. La C. T. R. Ha accolto l’appello rilevando che la cessione di azienda che avrebbe finanziato l’acquisto immobiliare era avvenuta oltre 14 mesi dopo l’acquisto immobiliare e costituiva pertanto una circostanza inidonea a impedire l’applicazione dell’accertamento sintetico (cd. Redditometro);

4. Ricorre per cassazione la contribuente con due motivi di impugnazione attinenti al difetto di motivazione. In particolare S. C. Con il primo motivo rileva l’insussistenza dei presupposti per l’accertamento sintetico che, secondo la circolare n. 7 del 30 aprile 1977 (punti 59 e 60), ricorrono quando la determinazione del reddito complessivo netto, quantificato con il metodo analitico, risulta in evidente contrasto con le realtà relative al tenore di vita e ad altri elementi o circostanze di fatto che inducono a far ritenere l’esistenza di redditi sottratti alla valutazione analitica. Afferma poi che la prova contraria che il ricorrente deve fornire non attiene alle modalità con le quali vengono messe a sua disposizione i fondi necessari per l’acquisto di un immobile essendo sufficiente provare il concorso alla spesa di altri componenti della famiglia che possa giustificare la presenza di redditi sufficienti a giustificare in concreto la reale capacità contributiva posta in essere dal contribuente all’atto dell’investimento. In altri termini rileva che la prova contraria, che il contribuente deve fornire, attiene unicamente alla dimostrazione che la sua capacità di spesa è compatibile con il cumulo del suo reddito con quello degli altri componenti il nucleo familiare;

5. In data 24 settembre 2009 veniva depositata in Cancelleria relazione ex art. 380 bis c. P. C. , con la quale si affermava la palese infondatezza del primo motivo di ricorso alla luce del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 8738/2002 e 2656/2007) secondo cui il dettato del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, che disciplina i criteri di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche prevede che il controllo della congruità delle stesse venga effettuato partendo da dati certi e utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (cd. Redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla.

Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato. L’unico onere dell’ufficio è quello di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa, mentre i coefficienti presuntivi vengono utilizzati sia al fine di accertare l’incongruità del reddito dichiarato sia al fine di determinare sinteticamente il reddito da accertare, ferma restando la possibilità per il contribuente, oltre che, ovviamente, di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, posto che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora il contribuente, in sede di risposta ad apposito questionario, ammetta la proprietà e l’utilizzazione di determinati beni, indici di capacità contributiva, ha l’onere di provare in modo rigoroso che detti beni appartengono a terzi e sono da questi utilizzati -, restando altrimenti esposto alle conseguenze, in tema di accertamento presuntivo del reddito della propria dichiarazione (Cassazione civile, sez. Trib. , 18 giugno 2002, n. 8738);

6. La stessa relazione con riferimento al secondo motivo di ricorso rilevava che con tale motivo si propone un riesame dell’accertamento relativo alla carenza della prova a carico della contribuente e nello stesso tempo si contesta la interpretazione della CTR della norma regolante il contenuto di tale prova. La relazione affermava la infondatezza di entrambi i profili il primo per la evidente logicità della motivazione della CTR nel rilevare lo sfalsamento temporale fra acquisto dell’immobile e cessione dell’azienda familiare (che secondo la contribuente avrebbe finanziato l’acquisto) e per la oscurità del quesito di diritto relativo a una pretesa alterità fra prova delle modalità del finanziamento e prova del concorso alla spesa da parte dei familiari;

7. In considerazione della imminente decisione delle SS. UU. Civili della Corte di Cassazione in materia di parametri all’udienza del 18 novembre 2009 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo;

8. A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 26635 del 18 dicembre 2009 la giurisprudenza di legittimità si è arricchita nel frattempo dei seguenti principi di diritto:
a) in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dal D. L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, aggiunto dalla Legge Di Conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62 sexies cit. , non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento;b) la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, che giustifica la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, in quanto più affinato e, pertanto, più affidabile;
c) la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito;
ritiene che:
1. Riletta alla luce di questa più recente giurisprudenza la relazione del 24 settembre 2009 conserva la sua validità;
2. Permangono altresì i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso;
ritenuto che tale relazione appare pienamente condivisibile cosicchè il ricorso deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del giudizio di Cassazione;

P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese del giudizio di cassazione

Redditometro: Legittimo acquistare la casa con i lasciti paterni

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Redditometro: Legittimo acquistare la casa con i lasciti paterni

Sentenza Commissione tributaria provinciale PIEMONTE Vercelli, sez. II, 23-02-2011, n. 22 – Pres. Carenzo Franco – Rel. Catania Antonio

Accertamento – Redditometro – Incrementi patrimoniali – Attribuzione anni precedenti – Semplice divisione matematica – Illegittimità – Art. 38, comma 5, D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600
Non è legittimo l’accertamento col quale l’ente impositore determina il maggior reddito dell’anno accertato dividendo semplicemente il valore patrimoniale acquisito per il quinquennio (nel caso di specie, la contribuente aveva posto in essere acquisizioni patrimoniali nel 2006 per 455 mila euro, a fronte di un reddito imponibile dichiarato per l’anno 2004 pari a 10. 170,00 euro. Tale incremento patrimoniali derivava da lasciti e donazioni del padre nonché dalla vendita di alcuni valori mobiliari).

Fatto-Diritto

Con ricorso presentato 13/1/2010 la sig. Ra Bo. Ni. Impugnava avviso di accertamento per IRPEF anno 2004 da parte dell’Agenzia Entrate di Vercelli OSSERVA La contribuente si oppone avverso avviso di accertamento, chiedendone l’annullamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate di Vercelli elevava il reddito da Euro 10107,00 ad Euro 91. 000,00.

L’atto impositivo deriva da accertamento sintetico posto in essere dall’Agenzia delle Entrate di Vercelli a seguito di segnalazione, da parte dell’Anagrafe tributaria, circa la non coerenza delle quote di incremento patrimoniale, rispetto ai redditi della contribuente relativi all’anno 2004. Tale incoerenza deriva dal fatto che la contribuente di che si tratta ha posto in essere acquisizioni patrimoniali, con atti registrati nell’anno 2006, per un importo di Euro 455. 000,00, che si contrappone ad un reddito imponibile dichiarato, per l’anno 2004, pari ad Euro 10107,00.

Contro tale determinazione la parte ricorrente oppone l’acquisizione di entrate derivanti da lasciti e donazioni da parte del padre Bo. Gi. , nonché con vendita di valori mobiliari, esponendo una serie di transazioni di assegni delle cui provenienza non viene data compiuta dimostrazione documentale, come non viene esaurientemente dimostrato che tali capitali derivino da redditi che abbiano assolto l’onore tributario, oppure derivano da redditi esenti o con tassazione alla fonte. Per sua stessa ammissione, come riportato dall’Agenzia in sede di controdeduzioni, la sig. Ra Bo.

Avrebbe giustificato la sua disponibilità di denaro, sia attraverso regalie da parenti, in particolare i nonni deceduti, sia da lavori lautamente compensati come bozzettista Olivetti e decoratrice artistica per facoltosi privati, di cui non è dato sapere l’anno di competenza e quindi comprenderne la relativa tassazione. Il ricorso quindi si incentra su una lunga elencazione dei movimenti di capitale avvenuti in capo alla sig. Ra Bo. , senza peraltro dare compiuta dimostrazione documentale, soprattutto in merito alla stretta inerenza di tale entrate con le acquisizioni effettuate. Acquisizioni che, peraltro, mostrano alcune singolarità avvenendo una, tra padre e figlia, e l’altra, con il singolare pagamento sotto forma di prestito effettuato in capo al venditore.

Cose che non contribuiscono alla trasparenza delle operazioni ma che, in questo contesto, non sono materia su cui questa Commissione deve esprimere giudizio, essendo chiamata unicamente a dirimere l’incoerenza del reddito rispetto alle operazioni patrimoniali poste in essere.

La parte ricorrente, nel suo ricorso, conclude nel richiedere, in via principale l’annullamento dell’avviso di accertamento, ed in via secondaria l’eventuale rideterminazione della pretesa impositiva, il tutto con rifusione delle spese. Da parte sua, l’Agenzia contro deduce ribadendo la correttezza dei presupposti che hanno portato all’emissione dell’accertamento sintetico, evidenziando peraltro le singolarità sopraesposte, e conclude con la richiesta di rigetto del ricorso, con vittoria delle spese. Il COLLEGIO osserva che la fattispecie in esame, alla luce di quanto già parzialmente esposto in premessa, presenta un duplice filone di giudizio, vale a dire:

1)     E’ indubbio che l’incoerenza rilevata sia un fatto reale che, nonostante lo sforzo difensivo profuso, non convince pienamente circa la completa inesistenza di redditi non assoggettati a tassazione, troppo elevato sarebbe in contrasto tra la disponibilità reddituale della ricorrente, rispetto all’entità dell’acquisizione patrimoniale posta in atto.

2)     E’ quindi indubbio che l’Agenzia delle Entrate abbia agito correttamente nel porre in atto l’accertamento sintetico, da cui è scaturito l’avviso contestato. Per contro non appare del tutto corretto il risultato raggiunto, il quale non è stato altro che la semplice suddivisione matematica, del valore patrimoniale acquisito per un quinquennio, vale a dire 455. 000,00:5= 91. 000,00. Tale metodo non ha minimamente tenuto conto, in modo critico, di tutte le componenti attive e passive che avrebbero dovuto concorrere alla corretta e reale determinazione del nuovo reddito imponibile.

Che la fattispecie, in assenza di una corretta impostazione analitica nella determinazione del reddito, debba ragionevolmente essere trattata, da parte di questa Commissione, in maniera equitativa, contemperando sia la convinzione che il contribuente non è stato in grado di dissolvere tutti i dubbi circa l’incoerenza appalesata, sia la superficialità dell’Agenzia nel rideterminare un reddito sintetico solo attraverso un esercizio di semplice calcolo aritmetico, sviluppato in maniera acritica senza dimostrata attinenza con la realtà.

Che pare equo quindi confermare la correttezza nel porre in essere un accertamento sintetico, ma nel contempo addivenire a quanto richiesto, in seconda istanza, da parte della ricorrente in ordine alla rimodulazione in maniera equitativa del reddito. P. Q. M. Accoglie parzialmente il ricorso rideterminando il reddito sintetico accertato, da Euro 91. 000,00 ad Euro 45. 500,00, demandando all’Agenzia delle Entrate di Vercelli la rideterminazione dell’imposta dovuta, e dei relativi oneri accessori.

In ordine alle spese, in considerazione del tipo di giudicato, ritiene esserci i presupposti per la loro compensazioni.

Redditometro: Proprietà azienda ereditata in successione

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Redditometro: Proprietà azienda ereditata in successione

SENTENZA Cassazione Civile Sent. N. 23171 del 17-11-2010

Svolgimento del processo

P. N. Ha impugnato l’avviso di accertamento relativo ad IRPEF, ILOR e SSN 1995, notificatogli nel 2001 sulla base dell’imputazione a tale annualità – D. P. R. N. 600 del 1973, ex art. 38 – di un sesto (L. 7 3. 333. 000) del reddito presuntivamente derivante da un acquisto di azienda per L. 490. 000. 000 – effettuato dal P. Nel 1998 (previa detrazione della somma di L. 56. 606. 000 – pervenuta al contribuente per successione nel 1997).

La Commissione Tributaria Provinciale ha respinto il ricorso, disattendendo, oltre le doglianze di carattere processuale, quelle relative a fatto che l’esborso iniziale relativo all’acquisto era stato di L. 1 40. 500. 000, mentre gli ulteriori pagamenti erano avvenuti negli anni successivi.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha accolto con sentenza 4 aprile 2005 il ricorso del P. In relazione alla valutazione dell’esborso effettivo, provato dall’appellante attraverso la produzione dell’atto di acquisto, qualificato come vendita a rate (con acconto iniziale, seguito da cambiali e da una rivendita nel 2001 dell’azienda, mediante accollo del residuo debito di L. 254. 000. 000 da parte del nuovo acquirente)ed ha quindi annullato integralmente all’avviso di accertamento in quanto basato su un importo superiore a quello pagato dai P.

L’Agenzia delle Entrate chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di un unico motivo, cui P. N. Resiste con controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. Motivi della decisione
I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza vanno riuniti à sensi dell’art. 335 c. P. C. Con l’unico motivo del ricorso principale si censura la sentenza impugnata per violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, e art. 2697 c. C. , nonchè per difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione, da parte dei giudici tributari, della disposizione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, comma 5, che prevede, in caso di accertamento sintetico del reddito netto in relazione a spesa per incrementi patrimoniali, che tale spesa si presume comunque sostenuta con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque anni precedenti.

Nel caso in esame quindi la Commissione Regionale avrebbe dovuto eventualmente ridurre il reddito relativo al 1995 in relazione alla somma pagata dal contribuente nel 1998 (secondo un insieme di calcoli esposti nella doglianza in esame), ma non annullare “in toto l’avviso impugnato. Il controricorrente eccepisce l’inammissibilità della domanda di merito introdotta dall’Agenzia ricorrente per la prima volta in sede di Legittimità, dopo che nei due gradi precedenti l’Ufficio aveva sempre sostenuto la conferma dell’avviso sulla base della maggior somma in indicata, per cui il giudice d’appello non poteva pronunciare oltre i limiti della domanda. In sede di ricorso incidentale il P. Contesta la compensazione delle spese applicata dai giudici d’appello.

Il ricorso principale e fondato e va accolto, con assorbimento del ricorso incidentale.

Il giudice tributario, che è giudice del rapporto, può modificare il contenuto dell’accertamento, nell’ambito dell’importo preteso dall’Ufficio, di cui le Commissioni tributarie possono operare la riduzione, ove correttamente motivata (Cass. 10816/2002), come riscontrabile dagli elementi e dalle circostanze di causa. Infatti secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 15825/2006; 16252/2007; 13868/2010; 13132/2010) essendo il processo tributario annoverabile non tra i processi di “impugnazione/annullamento”, ma fra quelli di “impugnazione/merito”, in quanto non diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva, sia della dichiarazione del contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio, il giudice che ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare, come nella specie, l’atto impositivo, ma deve esaminare il merito della pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, ricondurla eventualmente nella corretta misura, purchè entro i limiti, della domanda. Nella fattispecie, noi 1998, l’esborso da parte del contribuente, come dato accertato e non contestato ulteriormente dall’Agenzia, e stato di L. 140. 000. 500, e a tale somma vanno dunque rapportate le quote di reddito presunto nel quinquennio precedente, il relativo calcolo andrà verificato dal giudice di rinvio, che si indica previa cassazione sul punto della sentenza impugnata – in altra Sezione della Commissione Tributaria regionale della Lombardia, la quale liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio.

P. Q. M. La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria regionale della Lombardia

Redditometro Possesso automobile e spese di mantenimento

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Redditometro Possesso automobile e spese di mantenimento

Sentenza Commissione tributaria provinciale PIEMONTE Alessandria, sez. VI, 22-02-2011, n. 13 – Pres. Liuzzo Fabio – Rel. Quarati Antonio

Accertamento – Accertamento sintetico

E’ legittimo il redditometro laddove il contribuente non dimostri che il reddito presunto è costituito da entrate reddituali (Nel caso di specie, al contribuente veniva contestato il possesso di un’auto ALFA ROMEO 156 2,4 JTD, alimentata a gasolio, di 22 cavalli fiscali, ed immatricolata nel 2004. Tra i vari motivi, il contribuente contestava all’ente impositore di non aver tenuto conto del ricalcolo del reddito riferibile all’auto basato sull’applicazione di dati relativi a presunti costi annuali desunti da tabelle pubblicate dall’ACI).

(1) Sentenza non condivisibile. Ben può il contribuente chiedere la disapplicazione dell’atto presupposto, vale a dire del Decreto Ministeriale 10 settembre 1992, laddove si ravvisino i vizi tipici dell’atto amministrativo, quali l’illogicità, la contraddittorietà, il difetto di istruttoria, il travisamento ed erronea valutazione dei fatti, etc. Nel caso di specie, non pare sia infondata la censura della disapplicazione dei consumi attribuibili ad un’auto alla luce delle tariffe ACI. Si pensi alle auto storiche. Vi è l’esenzione dal bollo auto, vi è un’assicurazione di modesto ammontare, il numero di chilometri percorsi è decisamente inferiore a quello generalmente percorso da altre autovetture non storiche.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorsi pervenuti in data 11/03/2010 il sig. Sp. Ro. Opponeva gli avvisi di accertamento n. (. ) con i quali l’Agenzia delle Entrate Ufficio di Tortona, in allora competente, accertava a suo carico maggiori redditi, per gli anni di imposta 2004 e 2005. Applicando la metodologia dell’accertamento “sintetico” a norma dell’art. 38 c. 4 del D. P. R. N. 600/1973, tenendo conto dei beni di cui è risultato intestatario il contribuente nelle citate annualità: un’auto alimentata a gasolio di HP 22 immatricolata nel 2004, quota di possesso 100% ed un immobile adibito ad abitazione principale di mq 75, quota di possesso 100%. A motivo dell’opposizione il ricorrente contestava in diritto l’illegittimità e l’inammissibilità della tipologia di accertamento c. D. Sintetico ex art. 38 c. 4 D. P. R. N. 600/73 applicata dall’Ufficio, nonché la presunta carenza di motivazione in relazione al disposto dell’art. 42 stesso DPR. Nel merito, eccepiva il fatto che in sede di accertamento l’Ufficio non avesse tenuto conto della documentazione esibita a seguito di invito al contraddittorio, con specifico riferimento all’acquisto dell’auto “Alfa Romeo 156 2,4 JTD”. Forniva poi un ricalcolo del reddito riferibile alla predetta auto basato sull’applicazione di dati relativi a presunti costi annuali desunti da tabelle pubblicate dall’A. C. I. Resisteva di contro l’Agenzia delle Entrate affermando la piena legittimità nonché la fondatezza dell’applicazione, nel caso in esame, dell’art. 38 c. 4 D. P. R. N. 600/73 supportate peraltro da consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. Quanto al lamentato difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, l’ufficio ne rilevava la palese infondatezza considerato che la motivazione dell’atto stesso riportava in maniera dettagliata sia i presupposti di fatto sia le ragioni giuridiche, per cui il contribuente è stato messo in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa. Quanto infine alla richiesta avanzata dal contribuente del riconoscimento del minor reddito accertato, con la proposta di un ricalcolo, l’ufficio rilevava che il reddito derivante dal predetto ricalcolo risultava addirittura superiore a quello accertato. Concludeva pertanto per il rigetto del ricorso e la conferma dell’avviso impugnato, con la condanna del contribuente alla refusione delle spese di giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non è fondato e merita di essere respinto in ogni sua parte. A prescindere dall’eccezione in ordine alla pretesa carenza di motivazione dell’avviso impugnato, – cui questa Commissione non ritiene di dover aderire in ossequio ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, poiché è principio incontroverso che la motivazione di un atto debba ritenersi sussistente ed esaustiva in tutti i casi in cui la stessa consenta al contribuente di conoscere la natura e l’entità della pretesa tributaria e, nel caso in esame l’ufficio ha indicato i fatti sui quali ha fondato la pretesa impositiva consentendo al ricorrente di contestarne la rilevanza e concretando in tal caso la “provocatio ad opponendum “che la giurisprudenza di legittimità ed anche di merito è concorde nel ritenere necessaria e sufficiente all’instaurazione del contraddittorìo tra contribuente e fisco, – anche le restanti eccezioni proposte dal ricorrente non sono condivisibili e dovranno essere disattese. In particolare priva di fondatezza risulta la contestazione circa l’illegittimità del metodo accertativo di tipo “sintetico” così come applicato dall’ufficio. Pare incontestabile infatti, che la rettifica del reddito imponibile mediante il ricorso alla tipologia del metodo sintetico sia perfettamente legittima e più volte confermata dalle sentenze della Suprema Corte di Cassazione che individuando il canone ermeneutico di tale procedimento su presunzioni fondate sull'”id quod plerumque accidit” ha ravvisato l’esistenza di tutte la garanzie in tema di prova dei fatti da parte del contribuente dispensando l’amministrazione finanziaria da ulteriori prove rispetto ai fatti indice di maggiore capacità contributiva individuati dal “redditometro” stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere. Merita sottolineare che la rettifica del reddito imponibile mediante il ricorso alla tipologia del reddito sintetico si basa unicamente sul confronto tra il reddito dichiarato e quanto determinabile in base al possesso o alla disponibilità di beni o servizi descritti nel D. M. 10/09/1992. Sussiste un automatismo nel calcolo del maggior reddito, attraverso la moltiplicazione tra i beni indice di capacità contributiva ed i coefficienti stabiliti dal citato D. M. E successivi decreti. Risulta di tutta evidenza che sia posto a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto è costituito in tutto o in parte da redditi esenti già assoggettati ad imposta ovvero che esso non esiste in misura inferiore, – e, poiché non pare che il ricorrente abbia dato le prove che a lui competono per contrastare l’operato dell’ufficio, si deve considerare ulteriormente fondata la pretesa tributaria vantata dall’ufficio. Consegue pertanto, da quanto sopra esposto, che il ricorso va respinto. P. Q. M. La Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria respinge integralmente il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nella misura di Euro 500,00 (cinquecento).

INPS Messaggio n. 16032 05-08-2011

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Articolo 18 : Interventi in materia di prestazioni previdenziali. Comma 1: graduale elevazione dell’età anagrafica da 60 a 65 anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato e autonomo.  Il presente comma stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2020, ferma restando la disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici e di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, per le lavoratrici dipendenti ed autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata, il requisito anagrafico di 60 anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo o misto nonché il requisito anagrafico di sessanta anni per l’accesso al predetto trattamento pensionistico nel sistema contributivo sono incrementati di un mese. Dal 1° gennaio 2021 detti requisiti sono incrementati di ulteriori due mesi; dal 2022 di ulteriori 3 mesi, dal 2023 di ulteriori quattro mesi; dal 2024 di ulteriori cinque mesi; dal 2025 di ulteriori 6 mesi e per ogni anno successivo fino al 2031 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2032.

Articolo 18 : Interventi in materia di prestazioni previdenziali

Comma 1: graduale elevazione dell’età anagrafica da 60 a 65 anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato e autonomo Il presente comma stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2020, ferma restando la disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici e di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, per le lavoratrici dipendenti ed autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata, il requisito anagrafico di 60 anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo o misto nonché il requisito anagrafico di sessanta anni per l’accesso al predetto trattamento pensionistico nel sistema contributivo sono incrementati di un mese. Dal 1° gennaio 2021 detti requisiti sono incrementati di ulteriori due mesi; dal 2022 di ulteriori 3 mesi, dal 2023 di ulteriori quattro mesi; dal 2024 di ulteriori cinque mesi; dal 2025 di ulteriori 6 mesi e per ogni anno successivo fino al 2031 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal1°gennaio2032.                                                                                                                                                         Comma 3: rivalutazione delle pensioni Il comma di che trattasi dispone che, per il biennio 2012/2013, la rivalutazione automatica, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 non è concessa ai trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il trattamento minimo di pensione INPS, con esclusione della fascia di importo inferiore a tre volte il predetto trattamento minimo INPS con riferimento alla quale l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato, per il predetto biennio, secondo il meccanismo stabilito dal menzionato articolo 34, comma 1, della legge n. 488/1998, nella misura del 70 per cento. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica sulla base della normativa vigente, l’aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.

Comma 4, lett. A) e b): Anticipo dell’adeguamento dei requisiti di accesso alla pensione agli incrementi della speranza di vita Con tale disposizione sono state apportate modifiche all’articolo 12, commi 12 bis e 12 ter, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010. Il comma 12 bis ha stabilito che il primo adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita avrebbe operato a decorrere dal 2015 e con un aumento non superiore a tre mesi ed il secondo a decorrere dal 2019. L’articolo 18, comma 4, lettera a) stabilisce che al comma 12-bis dell’articolo 12 della legge n. 122 la parola “2015” è sostituita dalla seguente “2013” e che sono soppresse le parole “salvo quanto indicato al comma 12-ter”. Pertanto , in attuazione dell’articolo 18, comma 4, lettera a), a decorrere dal 1º gennaio 2013 i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, i requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il requisito anagrafico di cui all’articolo 22-ter, comma 1, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, il requisito anagrafico di 65 anni di cui all’articolo 1, comma 20, e all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, devono essere aggiornati a cadenza triennale, con decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare almeno dodici mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento. Il comma 12-ter della legge n. 122 del 2010 ha disposto che l’ISTAT, a partire dall’anno 2013, entro il 30 giugno dell’anno medesimo renda disponibile il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all’età corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia. La lettera b) del comma 4, dell’articolo 18 della legge n. 111 stabilisce altresì che al comma 12-ter, primo periodo, le parole “2013” e “30 giugno” sono sostituite  rispettivamente dalle seguenti “2011” e “31 dicembre” e che l’ultimo periodo è soppresso. Conseguentemente, a partire dall’anno 2011 l’ISTAT rende annualmente disponibile entro il 31 dicembre dell’anno medesimo il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all’età corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia.

Comma 5: Pensione ai superstiti Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012, il comma 5 dell’articolo 18 del decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011, convertito in legge n. 111 del 2011, stabilisce una riduzione dell’aliquota percentuale della pensione a favore del coniuge superstite di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata, rispetto alla disciplina generale, “nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiore a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni”. La riduzione è stata stabilita nella misura pari al 10 per cento “in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di dieci”: nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Tale disposizione non si applica nei casi di presenza di figli di minore età, studenti ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità di cui all’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995.

Commi 6, 7, 8 e 9 : Indennità integrativa speciale Le disposizioni contenute nei commi illustrati nel presente paragrafo riguardano, tra gli altri, i trattamenti pensionistici a carico del Fondo Speciale dipendenti della Ferrovie dello Stato Italiane S. P. A. E quelli ex IPOST. L’articolo 18, comma 6, del Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, ha stabilito che l’art. 10, quarto comma, del D. L. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, è implicitamente abrogato dall’art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730. Il successivo comma 7 precisa che, secondo il citato art 21 della legge 730/83, le percentuali di incremento dell’indennità integrativa speciale vanno corrisposte “nell’aliquota massima, calcolata sulla quota dell’indennità medesima effettivamente spettante in proporzione all’anzianità conseguita alla data di cessazione dal servizio”. Il comma 8 dispone che “l’art. 21, ottavo comma della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che è fatta salva la disciplina prevista per l’attribuzione, all’atto della cessazione dal servizio dell’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall’articolo 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, ad eccezione del comma quarto del predetto articolo del decreto-legge n. 17 del 1983. ” Infine, il comma 9, prescrive che “ sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore del presente decreto già definiti con sentenza passata in autorità di cosa giudicata o definiti irrevocabilmente dai Comitati di vigilanza…………. ” Tutto ciò premesso, le Direzioni territoriali dovranno definire le situazioni pendenti secondo la normativa di cui al citato art. 18 della legge 111/2011 e, per quanto riguarda le pronunzie in materia della Corte dei Conti sfavorevoli all’Istituto e non ancora passate in giudicato o per le quali non risulti decorso il termine per proporre appello, le Sedi stesse vorranno prestare ogni necessaria collaborazione agli Uffici legali per la relativa tempestiva impugnativa innanzi all’Autorità giudiziaria.

Comma 10: Trattamenti pensionistici del personale degli enti pubblici creditizi Il comma 10 dell’articolo 18 in esame, ha autenticamente interpretato l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 357/1990 (il quale prevede che «la gestione speciale assume a proprio carico, per ciascun titolare di trattamento pensionistico in essere all’entrata in vigore della legge 30 luglio 1990, n. 218, una quota del trattamento stesso determinata secondo le misure percentuali indicate nella tabella allegata al presente decreto») nel senso che la quota del trattamento va «determinata con esclusivo riferimento all’importo del trattamento pensionistico effettivamente corrisposto dal fondo di provenienza alla predetta data, con esclusione della quota eventualmente erogata ai pensionati in forma capitale». Tale interpretazione autentica conferma i criteri adottati dall’Istituto illustrati con circolare n. 295 del 28 dicembre 1991.

Comma 22 -Affidamento all’INPS delle funzioni di accertamento sanitario invalidità civile Si consente alle Regioni di affidare all’INPS, sulla base di apposite convenzioni, le funzioni di accertamento dei requisiti sanitari nei procedimenti volti ad ottenere l’invalidità civile.

Comma 22-bis: Contributo di perequazione A decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, il comma 22-bis dell’articolo 18 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, come modificato dalla legge di conversione n. 111, istituisce un contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi risultino complessivamente superiori a 90. 000 euro lordi annui. Il contributo di perequazione è pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150. 000 euro, nonché pari al 10 per cento per la parte eccedente 150. 000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non può’ essere comunque inferiore a 90. 000 euro lordi annui. Ai predetti importi concorrono anche i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, nonché i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, ivi compresa la gestione speciale ad esaurimento di cui all’articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nonché le gestioni di previdenza obbligatorie presso l’INPS per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale già addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette. La norma stabilisce che la trattenuta sia applicata in via preventiva e conguagliata a conclusione dell’anno di riferimento.

Commi 22-ter, 22-quater e 22-quinquies: Posticipo decorrenza trattamento pensionistico Il comma 22 ter del più volte citato articolo 18 dispone che al comma 2 dell’articolo 12, del decreto legge 31 maggio 2010,n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 è aggiunto il seguente periodo “I soggetti di cui al presente comma che maturano i previsti requisiti per il diritto al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico con un posticipo ulteriore di un mese dalla data di maturazione dei previsti requisiti rispetto a quello stabilito al primo periodo del presente comma per coloro che maturano i requisiti nell’anno 2012, di due mesi per coloro che maturano i requisiti nell’anno 2013 e di tre mesi per coloro che maturano i requisiti a decorrere dal 1º gennaio 2014, fermo restando per il personale del comparto scuola quanto stabilito al comma 9 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni”. Pertanto per i soggetti che maturano i prescritti requisiti (40 anni di contribuzione) nell’anno 2012 per il diritto al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica potranno accedere al predetto trattamento con un mese di posticipo rispetto alle regole previgenti (v. Circolare n. 126 del 2010). Il posticipo di cui sopra sarà pari a due mesi per coloro che maturano i requisiti nell’anno 2013 e a tre mesi per coloro che maturano i requisiti a decorrere dal 2014. In proposito, si richiama l’attenzione delle Direzioni in indirizzo per quanto riguarda i lavoratori ammessi alla prestazione straordinaria erogata dai Fondi di sostegno, di cui all’articolo 2, comma 28, della legge n. 662/1996, a decorrere dal 1° agosto 2011: per tali lavoratori il diritto alla pensione deve essere verificato in funzione della nuova disciplina introdotta dal richiamato articolo 18, comma 22-ter, della legge 111/2011. Nei casi in cui la data di scadenza dell’assegno straordinario indicata nella domanda non tenga conto della nuova disciplina sopra richiamata, la Sede INPS competente dovrà segnalare la circostanza all’azienda, la quale provvederà a presentare un’altra domanda, ovvero un’integrazione della precedente – sottoscritta dal datore di lavoro e dal lavoratore – con l’indicazione della nuova scadenza.   Il comma 22 quater dispone che le decorrenze previgenti continuano ad applicarsi nei limiti del numero di 5. 000 lavoratori beneficiari, ancorchè maturino i requisiti per l’accesso al pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2012, appartenenti alle seguenti categorie:

a) ai lavoratori collocati in mobilità’ ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 giugno 2011 e che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità di cui all’articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223;

b) ai lavoratori collocati in mobilità lunga ai sensi dell’articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 giugno 2011;

c) ai lavoratori che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all’articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Il comma 22-quinquies dispone altresì che l’INPS provvede al monitoraggio, sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro, delle domande di pensionamento presentate dai lavoratori di cui al comma 22-ter che intendono avvalersi del regime delle decorrenze previsto dalla normativa vigente pria della data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Qualora dal predetto monitoraggio risulti il raggiungimento del numero di 5. 000 domande di pensione, l’INPS non prendera’ in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici previsti dalla disposizione di cui al comma 22-quater.

Art. 38: Disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e assistenziale L’articolo articolo 38 , comma 1, lett. D), numero 1) del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in legge n. 111 del 2001,ha introdotto un nuovo comma all’art. 47 del D. P. R. N. 639 del 1970, che prevede l’applicazione della decadenza dall’azione giudiziaria alle controversie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione o dal pagamento della sorte. Con il menzionato articolo 38, comma 1, lett. D), numero 2) sono state introdotte norme in materia di prescrizione dei ratei di trattamenti pensionistici, stabilendo in particolare la prescrizione nel termine di cinque anni, per i ratei dei trattamenti pensionistici e per le differenze dovute a seguito di riliquidazioni.

 

Sintesi del Nuovo regime dei minimi dal 2012

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Sintesi del Nuovo regime dei minimi dal 2012

Per favorire la costituzione di  nuove  imprese  da  parte  di  giovani ovvero di  coloro  che  perdono  il  lavoro  e,  inoltre,  per  favorire  la costituzione di nuove imprese, gli attuali regimi forfettari sono  riformati e concentrati in funzione di questi obiettivi.

D. L. 6 luglio 2011, n. 98 [c. D. “Manovra correttiva 2011”]. (Gazz. Uff. N. 155 del 6 luglio 2011 Serie Generale)

Art. 27 Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità Entrata in vigore: 6 luglio 2011
1. Per favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani ovvero di coloro che perdono il lavoro e, inoltre, per favorire la costituzione di nuove imprese, gli attuali regimi forfettari sono riformati e concentrati in funzione di questi obiettivi. Conseguentemente, a partire dal 1° gennaio 2012, il regime di cui all’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si applica, per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche: a) che intraprendono un’attività d’impresa, arte   o professione; b) che l’hanno intrapresa successivamente al 31 dicembre 2007. L’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali prevista dal comma 105 dell’articolo 1 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 è ridotta al 5 per cento.

2. Il beneficio di cui al comma 1 è riconosciuto a condizione che:         a) il contribuente non abbia esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività di cui al comma 1, attività artistica, professionale ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare;         b) l’attività da esercitare non costituisca, in nessun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;         c) qualora venga proseguita un’attività d’impresa   svolta   in precedenza da altro soggetto, l’ammontare dei relativi ricavi, realizzati nel periodo d’imposta precedente quello di riconoscimento del predetto beneficio, non sia superiore a 30. 000 euro.

3. Coloro che, per effetto delle disposizioni di cui al comma 1, pur avendo le caratteristiche di cui ai commi 96 e 99 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n.  244, non possono beneficiare del regime semplificato per i contribuenti minimi ovvero ne fuoriescono, fermi restando l’obbligo di conservare, ai sensi dell’articolo 22 del decreto   del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  600, e successive modificazioni, i documenti ricevuti ed emessi e, se prescritti, gli obblighi di fatturazione e di certificazione dei corrispettivi, sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell’IVA previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n.  100. I soggetti di cui al periodo precedente sono altresì esenti dall’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

4. Il regime di cui al comma 3 cessa di avere  applicazione dall’anno successivo a quello in cui viene meno una della condizioni di cui al comma 96 ovvero si verifica una delle fattispecie indicate al   comma   99 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

5. I soggetti di cui al comma 3 possono optare per l’applicazione del regime contabile ordinario. L’opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.

6. Con uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate sono dettate le disposizioni necessarie per l’attuazione   dei   commi precedenti.

7. Il primo e il secondo periodo del comma 117 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono soppressi. Al terzo periodo le parole: “Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del periodo precedente,” sono soppresse.

D.M. 28 settembre 2011Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 14 ottobre 2011, n. 240. Emanato dal Ministero dell’interno

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D.M. 28 settembre 2011Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 14 ottobre 2011, n. 240. Emanato dal Ministero dell'interno

D. M. 28 settembre 2011.

Riduzione dei trasferimenti per l’anno 2011 nei confronti degli enti locali nei quali ha avuto luogo il rinnovo dei consigli.

Pubblicato nella Gazz. Uff. 14 ottobre 2011, n. 240. Emanato dal Ministero dell’interno.

 

IL MINISTRO DELL’INTERNO di concerto con IL MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

Visto l’articolo 2, comma 183, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, come modificato dall’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 4, il quale prevede che il contributo ordinario assegnato dal Ministero dell’interno per l’anno 2011 è ridotto per le province ed i comuni per i quali nel corso dell’anno 2011 ha luogo il rinnovo dei rispettivi consigli rispettivamente di 5 milioni ed 86 milioni, applicando la riduzione in proporzione alla popolazione residente;

Considerato che le province e i comuni nei quali si sono svolte le elezioni amministrative per il rinnovo dei consigli nell’anno 2011 sono destinatari della riduzione anzidetta in proporzione alla popolazione residente calcolata dall’ISTAT alla data del 31 dicembre 2009;

Considerato che agli enti locali appartenenti ai territori delle regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano non va applicata la riduzione in quanto l’attribuzione dei trasferimenti agli enti locali è regolata dalle norme di attuazione degli statuti delle citate Regioni e Province autonome;

Considerato che in seguito delle consultazioni amministrative svoltesi nel mese di maggio e giugno 2011, gli enti per i quali è avvenuto il rinnovo dei rispettivi consigli e, pertanto, destinatari della riduzione sono 9 province e 1299 comuni;

Considerato che nei comuni di Rivamonte Agordino (Belluno), Castiglione Messer Marino (Chieti) e Staiti (Reggio Calabria), non si è potuto procedere al rinnovo del consiglio in quanto non è stato raggiunto il quorum necessario e che nel comune di Soddì (Oristano) non è stato possibile svolgere le elezioni per mancanza di candidature, per cui tali enti non sono destinatari della riduzione di risorse;

Ritenuto di dover quantificare la riduzione per abitante da applicare per l’anno in corso;

Considerato che per i comuni delle regioni a statuto ordinario, il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», ha previsto la devoluzione di entrate proprie con corrispondente soppressione di parte dei trasferimenti erariali;

Visto l’articolo 20, comma 16, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, il quale prevede che: «A decorrere dalla data di entrata in vigore delle disposizioni che prevedono, in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, la soppressione dei trasferimenti statali in favore degli enti locali, le disposizioni che prevedono sanzioni, recuperi, riduzioni o limitazioni a valere sui predetti trasferimenti erariali, sono riferite anche alle risorse spettanti a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio di cui al comma 3 dell’articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 e di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 e, successivamente, a valere sul fondo perequativo di cui all’articolo 13 della legge 5 maggio 2009, n. 42. In caso di incapienza dei predetti fondi gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue»;  Considerato che la riduzione è già stata presa in considerazione per la determinazione del contributo ordinario calcolato in forma figurativa ai fini di cui agli articoli 2 e 3 del decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 21 giugno 2011;

Decreta:

Art. 1 1. Per le province per le quali ha avuto luogo nel 2011 il rinnovo del consiglio provinciale è determinata per il medesimo anno una riduzione del contributo ordinario pari ad euro 1,274298 per abitante, considerando la popolazione calcolata dall’ISTAT al 31 dicembre 2009.

2. Per i comuni delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Sicilia e Sardegna per i quali ha avuto luogo nel 2011 il rinnovo del consiglio comunale è determinata per il medesimo anno una riduzione del contributo ordinario pari ad euro 6,470876 per abitante, considerando la popolazione calcolata dall’ISTAT al 31 dicembre 2009. Per i soli comuni delle regioni a statuto ordinario la riduzione si applica al contributo ordinario calcolato in forma figurativa ai fini di cui agli articoli 2 e 3 del decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 21 giugno 2011. Restano ferme le assegnazioni finanziarie agli stessi spettanti ai sensi dello stesso decreto.

Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Cassazione, sezione lavoro, 25 luglio 2011, n.16195

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Al fine dell’accertamento dell’inidoneità del servizio del dipendente, il parere della Commissione medica non è vincolante per il giudice, avendo il dovere di controllare l’attendibilità degli accertamenti della Commissione. Nella vicenda esaminata, la Corte d’Appello, contravvenendo a quanto disposto dal giudice di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento adoperato per inidoneità del lavoratore ad indossare calzature antinfortunistiche incompatibili con la malformazione del dipendente. Il giudice sosteneva che la società non aveva adempiuto all’onere di provare la mancanza sul mercato di calzature antinfortunistiche compatibili con la malformazione del lavoratore.  Contro tale decisione, la società si difendeva sostenendo l’erronea applicazione dell’articolo 1 comma 5 legge 604/1966. In particolare, secondo la ricorrente, il giudice non avrebbe il potere di disporre ulteriori accertamenti sanitari per verificare l’idoneità del lavoratore.   

Licenziamento per inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni.

Al fine dell’accertamento dell’inidoneità del servizio del dipendente, il parere della Commissione medica non è vincolante per il giudice, avendo il dovere di controllare l’attendibilità degli accertamenti della Commissione.

Nella vicenda esaminata, la Corte d’Appello, contravvenendo a quanto disposto dal giudice di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento adoperato per inidoneità del lavoratore ad indossare calzature antinfortunistiche incompatibili con la malformazione del dipendente. Il giudice sosteneva che la società non aveva adempiuto all’onere di provare la mancanza sul mercato di calzature antinfortunistiche compatibili con la malformazione del lavoratore.

Contro tale decisione, la società si difendeva sostenendo l’erronea applicazione dell’articolo 1 comma 5 legge 604/1966. In particolare, secondo la ricorrente, il giudice non avrebbe il potere di disporre ulteriori accertamenti sanitari per verificare l’idoneità del lavoratore.

Secondo la giurisprudenza, sostenuta e consolidata delle sentenze della Corte di Cassazione, la motivazione della società è infondata poiché <<ai fini dell’accertamento dell’idoneità al servizio dei dipendenti da aziende concessionarie di servizi di linea automobilistica, il parere della Commissione medica, non è vincolante per il giudice di merito adito ai fini dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disposto a seguito di giudizio di inidoneità, avendo egli il dovere di controllare l’attendibilità degli accertamenti sanitari effettuati dalla predetta commissione>> (cfr. Cass. 20 maggio 2002, n. 7311 e Cass. 8 febbraio 2008, n. 3095).

La Corte territoriale aveva stabilito l’applicazione della regola generale della prova del licenziamento gravante sula società. La ricorrente doveva provare i motivi alla base del recesso del rapporto di lavoro. Inoltre, nella perizia tecnica, si affermava la reperibilità sul mercato di vari modelli di calzature antinfortunistiche all’interno delle quali si potevano trovare quelle adatte alla malformazione del lavoratore.

PRESTAZIONI ECONOMICHE DI MALATTIA AI LAVORATORI DIPENDENTI

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La disciplina normativa che regola le prestazioni economiche di malattia ai lavoratori dipendenti trae le sue norme fondamentali dalla legge 11 gennaio 1943, n. 138, relativa all’assistenza di malattia dei lavoratori subordinati. In particolare, l’articolo 4 individuava le categorie di soggetti tutelati (lavoratori dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, del credito e della assicurazione).

1. Fonti normative dell’obbligo di versamento del contributo di malattia e dell’erogazione delle relative prestazioni economiche ai lavoratori dipendenti.

La disciplina normativa che regola le prestazioni economiche di malattia ai lavoratori dipendenti trae le sue norme fondamentali dalla legge 11 gennaio 1943, n. 138, relativa all’assistenza di malattia dei lavoratori subordinati.   In particolare, l’articolo 4 individuava le categorie di soggetti tutelati (lavoratori dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, del credito e della assicurazione). L’art. 6 prevede, tra le forme di assistenza garantita, la concessione dell’indennità di malattia, sostitutiva del reddito, in regime di previdenza obbligatoria “nei limiti, nella misura e secondo le modalità che verranno determinate nazionalmente dalle associazioni sindacali a mezzo dei contratti collettivi o da deliberazione dei loro competenti organi”. Infine l’art. 9 prevede l’imposizione di un contributo di finanziamento dell’assicurazione di malattia, la cui misura era demandata alla contrattazione collettiva. Le norme citate si inquadravano, evidentemente, nell’ambito della disciplina corporativa dell’epoca, che – in virtù del valore erga omnes di quei contratti – affidava alla contrattazione collettiva la disciplina di dettaglio anche nelle materie previdenziali. In tale ottica ai contratti collettivi corporativi era delegata l’individuazione, nell’ambito di ciascuna categoria, dei lavoratori destinatari dell’indennità, della misura della stessa, nonché della relativa contribuzione di finanziamento, peraltro non dovuta per i lavoratori non aventi diritto alla predetta indennità. Al venir meno del sistema corporativo, la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva veniva perpetuata dall’articolo 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944 n. 369, che espressamente faceva salva la vigenza, per i rapporti collettivi ed individuali, delle norme contenute nei contratti collettivi, negli accordi economici, nelle sentenze della Magistratura del lavoro e nelle ordinanze corporative. Successivamente, con il D. Lgs. Lgt. N. 142/1946 è stata posta a carico dei datori di lavoro, senza diritto di rivalsa nei confronti degli interessati, la quota di contributi originariamente dovuta dai lavoratori per alcune forme di assistenza e previdenza, tra le quali anche quella per l’assicurazione di malattia di cui alla legge n. 138/1943. Il legislatore è poi intervenuto a rideterminare sia la misura dell’indennità giornaliera sia la relativa aliquota di finanziamento per ogni singolo settore, senza peraltro modificare l’ambito categoriale di applicazione dell’indennità economica. Così il D. Lgs. Lgt. N. 213/1946 (Modificazioni delle vigenti disposizioni sulla assicurazione di malattia per i lavoratori dell’industria), in continuità con le disposizioni dei contratti collettivi corporativi di settore, indica quali destinatari dell’indennità giornaliera di malattia solo gli operai, ad esclusione, quindi, degli impiegati. Analoghe disposizioni, confermative del generale impianto della predetta assicurazione, sono pure contenute nel D. Lgs. Lgt. N. 212/1946 relativo ai lavoratori dell’agricoltura, nonché nel D. Lgs. C. P. S. N. 1304/1947, relativo ai lavoratori del commercio, del credito, dell’assicurazione e dei servizi tributari appaltati. Con legge 23 dicembre 1978, n. 833, di istituzione del servizio sanitario nazionale, il legislatore, nell’attribuire all’Inps la competenza ad erogare le prestazioni economiche di malattia (v. Circolare n. 134363/1980 e circolare n. 134368/1981) nonché a riscuotere la relativa contribuzione di finanziamento, sulla scorta delle “vigenti disposizioni in materia”, prefigurava, entro il 1° gennaio 1980, un complessivo riordino della materia, peraltro mai avvenuto. Con l’articolo 31, comma 5, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, si è provveduto a rideterminare le aliquote di finanziamento dell’indennità di malattia, con riferimento ai settori di attività di cui alla tabella G allegata alla legge e per le categorie di lavoratori aventi diritto alla prestazione, già individuate dalla normativa sopra richiamata. Infine, l’art. 1, comma 773, legge 27 dicembre 2006, n. 296, haesteso ai lavoratori assunti con contratto di apprendistato le disposizioni in materia di indennità giornaliera di malattia secondo la disciplina prevista per i lavoratori subordinati (v. Circolare n. 22/2007 e circolare n. 43/2007). La relativa contribuzione di finanziamento è stabilita dal D. M. 28 marzo 2007 (v. Messaggio n. 25374/2007).

2. Contenzioso relativo all’obbligo di versamento del contributo di malattia Sull’obbligo di versamento del contributo di finanziamento dell’indennità di malattia si è sviluppato un notevole contenzioso, basato sulla disposizione recata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 il quale esonera l’INPS dal pagamento dell’indennità di malattia quando il relativo trattamento economico venga corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro. Secondo i ricorrenti, il pagamento di trattamenti economici sostitutivi dell’indennità di malattia da parte dei datori di lavoro avrebbe dovuto portare ad una loro esclusione dal versamento della relativa contribuzione di finanziamento. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità si è ripetutamente espressa nel senso che l’art. 6, secondo comma, della predetta legge n. 138 del 1943, non comporta anche l’esonero dei datori di lavoro dall’obbligo di versamento della contribuzione di malattia (si veda, per tutte, Cass. S. U. N. 10232/2003). Tale orientamento giurisprudenziale di legittimità è stato pure confermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 47 del 25 febbraio 2008), che ha ritenuto conformi a costituzione l’art. 9 della legge n. 138/1943 e l’art. 31 della legge 41/1986 nella parte in cui non escludono l’obbligo contributivo qualora il trattamento economico di malattia venga corrisposto per contratto collettivo dal datore di lavoro in misura pari o superiore all’indennità di malattia.

3. Articolo 20, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133 Nonostante l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità e l’intervento chiarificatore della Corte Costituzionale e nel perdurare del contenzioso amministrativo e giudiziario, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire nella materia con le disposizioni di cui all’art. 20, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133). Il predetto art. 20, comma 1, dispone che “ Il secondo comma dell’art. 6, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dal’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori al 1° gennaio 2009”. Con tale norma, d’interpretazione autentica del 2° comma dell’art. 6 della legge n. 138/1943, il legislatore ha pertanto stabilito l’esonero dal pagamento della contribuzione di malattia, in favore dei datori di lavoro tenuti a corrispondere, per legge o per contratto collettivo, il trattamento economico di malattia consentendo, nel contempo, la definizione delle situazioni di contenzioso, amministrativo e giudiziario, ancora pendenti per gli stessi periodi.

4. La sentenza della Corte Costituzionale n. 48 dell’8 febbraio 2010 La Corte Costituzionale, con sentenza n. 48 dell’8 febbraio 2010, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 20, primo comma, del decreto legge n. 112 del 2008, haritenuto che la suddetta norma di interpretazione autentica del dettato dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 “. Introduce una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le malattie. Essa, pertanto, costituisce espressione della discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione dell’obbligazione contributiva”. Tale disposizione, come interpretata dalla Corte Costituzionale, consentirebbe ai datori di lavoro tenuti per legge o per contratto collettivo a corrispondere ai propri dipendenti il trattamento economico di malattia, di essere esonerati dal versamento della relativa contribuzione, non solo per i periodi antecedenti il 1° gennaio 2009, ma anche in relazione ai periodi successivi.

5. Le modifiche introdotte all’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112/2008, dall’art. 18, comma 16, del decreto-legge n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011 Con l’art. 18, comma 16, del decreto-legge n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina del contributo di malattia, modificando il testo dell’articolo 20, comma 1, del decreto-legge n. 112/2008, ed inserendo un comma 1-bis; il testo dei predetti commi risulta conseguentemente essere il seguente (in corsivo le parti modificate): “1. Il secondo comma, dell’articolo 6, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data di cui al comma 1-bis. 1-bis. A decorrere dal 1° maggio 2011, i datori di lavoro di cui al comma 1 sono comunque tenuti al versamento della contribuzione di finanziamento dell’indennità economica di malattia in base all’articolo 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, per le categorie di lavoratori cui la suddetta assicurazione è applicabile ai sensi della normativa vigente. ” Il comma 1-bis dell’articolo 20, dispone pertanto che, a decorrere dal 1° maggio 2011, anche i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, sono obbligati a versare la contribuzione di malattia come stabilito dall’art. 31 della legge n. 41/1986. Per effetto della norma in commento – venuto meno l’esonero ex art. 20 comma 1 del DL n. 112/2008 – a far tempo dal 1° maggio 2011, l’obbligo di versamento del contributo di malattia è riaffermato in via generale per tutti i datori di lavoro indicati nella tabella G di cui alla legge n. 41/86, con riferimento ai lavoratori aventi diritto all’indennità economica di malattia, individuati dalla vigente normativa richiamata al precedente punto 1. Va a tal proposito chiarito che la norma non estende il campo di operatività della normativa in materia di trattamento economico di malattia, bensì si limita a ripristinare l’obbligo di contribuzione in relazione a tutti i lavoratori i quali fossero già inclusi nell’ambito di applicazione della stessa in base alla normativa previgente; essa è infatti tesa unicamente a rimuovere l’eventuale possibilità di esonero legata all’obbligo per il datore di lavoro (derivante da norma di legge o da contrattazione collettiva) di corrispondere nei casi di malattia una prestazione di valore non inferiore a quella prevista dalla legge.                      

Dal combinato disposto dei commi 1 e 1-bis della norma in commento deriva altresì che l’esonero dall’obbligo di versamento della contribuzione di malattia trova applicazione, fino al 30 aprile 2011, relativamente ai datori di lavoro che abbiano corrisposto l’indennità giornaliera, in quanto a ciò tenuti da una norma di legge o dalla contrattazione collettiva (nazionale ovvero territoriale). Le eventuali istanze di annullamento di note di rettifica ovvero le richieste di sgravio di cartelle esattoriali emesse per il recupero della contribuzione di malattia in argomento, potranno trovare accoglimento solo in relazione a periodi antecedenti il 1° maggio 2011 e dopo attenta verifica dei presupposti fondanti l’esonero dal versamento della predetta contribuzione, come precisati dal 1° comma dell’art. 20.   L’ultimo periodo del primo comma stabilisce, infine, la irripetibilità della contribuzione comunque versata per i periodi anteriori al 1° maggio 2011. Conseguentemente, non potranno trovare accoglimento le istanze di rimborso relative ai versamenti effettuati per periodi antecedenti il 1° maggio 2011, sebbene presentate dai datori di lavoro che abbiano assicurato ai propri dipendenti un trattamento economico sostitutivo dell’indennità giornaliera di malattia.  

Contributo Unificato nei ricorsi tributari notificati dopo il 6.07.11

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Contributo Unificato nei ricorsi tributari notificati dopo il 6.07.11

Per effetto delle suddette nuove disposizioni, ai ricorsi tributari notificati successivamente al 6 luglio 2011 – data di entrata in vigore del decreto-legge n. 98 del 2011 – si applica il contributo unificato in sostituzione dell’imposta di bollo. Il citato decreto-legge n. 98 del 2011 ha inoltre previsto, per tutti gli atti introduttivi di un giudizio, l’indicazione obbligatoria del codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50) nonché, nel ricorso innanzi agli organi della giustizia tributaria, l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti

Provvedimento Agenzia delle Entrate del 18. 10. 2011

Motivazioni

Il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto modifiche al T. U. In materia di spese di giustizia – D. P. R. 30 maggio 2002, n. 115, nonché alla disciplina dei procedimenti giurisdizionali introducendo alcuni adempimenti a carico delle parti e del difensore. In particolare, all’ art. 13 del D. P. R. N. 115/2002 è stato aggiunto il comma 6-quater ai sensi del quale: «Per i ricorsi principale ed incidentale proposti avanti le Commissioni tributarie provinciali e regionali è dovuto il contributo unificato nei seguenti importi:

a. Euro 30 per controversie di valore fino a euro 2. 582,28;

b. Euro 60 per controversie di valore superiore a euro 2. 582,28 e fino a euro 5. 000;

c. Euro 120 per controversie di valore superiore a euro 5. 000 e fino a euro 25. 000;

d. Euro 250 per controversie di valore superiore a euro 25. 000 e fino a euro 75. 000;

e. Euro 500 per controversie di valore superiore a euro 75. 000 e fino a euro 200. 000;

f. Euro 1. 500 per controversie di valore superiore a euro 200. 000. ».

All’art. 14 del citato T. U. è stato aggiunto il comma 3-bis che individua la norma di riferimento per la determinazione del valore della controversia e stabilisce le modalità con le quali procedere alla dichiarazione di tale valore.

Per effetto delle suddette nuove disposizioni, ai ricorsi tributari notificati successivamente al 6 luglio 2011 – data di entrata in vigore del decreto-legge n. 98 del 2011 – si applica il contributo unificato in sostituzione dell’imposta di bollo.

Il citato decreto-legge n. 98 del 2011 ha inoltre previsto, per tutti gli atti introduttivi di un giudizio, l’indicazione obbligatoria del codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50) nonché, nel ricorso innanzi agli organi della giustizia tributaria, l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti (art. 39, comma 8), inserendo il comma 1-bis nell’ art. 16 del D. Lgs. N. 546/1992 in materia di comunicazioni e notificazioni.

L’adempimento relativo all’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata della parte ricorrente è stato altresì previsto dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 [3] (comma 35-bis inserito nell’ art. 2 dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148) che lo ha incluso tra gli elementi da indicare nel ricorso ai sensi dell’ art. 18 del citato D. Lgs. N. 546/1992. è stata data, inoltre, evidenza alla circostanza che la mancata indicazione del codice fiscale della parte ricorrente o dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore determina l’aumento del contributo unificato nella misura della metà (art. 13, comma 3-bis, D. P. R. N. 115/2002).

Considerato che l’ articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall’ articolo 11 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, prevede che la cartella di pagamento sia redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze (rectius Provvedimento del Direttore dell’Agenzia), al fine di dare attuazione alle citate norme si provvede ad apportare le suindicate rettifiche alle Avvertenze di cui agli allegati 1, 2, 3, 4 e 6 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 28 luglio 2010.

La pubblicazione del presente provvedimento sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate tiene luogo della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’articolo 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

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