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Messaggio n. 21009 Roma, 07-11-2011

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Descrizione del servizio e delle modalità di utilizzo

Nell’ambito dei servizi che INPS mette a disposizione del cittadino per la gestione del rapporto di lavoro domestico è stato realizzato il nuovo servizio online per la consultazione dell’estratto contributivo. Il servizio è disponibile sul sito internet dell’Istituto www. Inps. It, nella sezione SERVIZI ONLINE attraverso il seguente percorso: Al servizio del cittadino – Autenticazione con PIN/Autenticazione con CNS – Servizi rapporto di lavoro domestico – Estratto contributivo.  

Messaggio n. 21009 Roma, 07-11-2011

OGGETTO: Nuovo servizio on line per la consultazione dell’estratto contributivo relativo a rapporti di lavoro domestico. Descrizione del servizio e delle modalità di utilizzo Nell’ambito dei servizi che INPS mette a disposizione del cittadino per la gestione del rapporto di lavoro domestico è stato realizzato il nuovo servizio online per la consultazione dell’estratto contributivo.

Il servizio è disponibile sul sito internet dell’Istituto www. Inps. It, nella sezione SERVIZI ONLINE attraverso il seguente percorso: Al servizio del cittadino – Autenticazione con PIN/Autenticazione con CNS – Servizi rapporto di lavoro domestico – Estratto contributivo. Effettuato l’accesso, il servizio mette a disposizione l’elenco dei rapporti di lavoro sia attivi che cessati, relativi agli ultimi cinque anni, dai quali il datore di lavoro può selezionare il rapporto per il quale visualizzare l’estratto conto.

L’elenco dei rapporti di lavoro visualizzati contiene, per ogni rapporto, le seguenti informazioni: – Codice rapporto di lavoro – Data di inizio rapporto – Data di fine rapporto (eventuale) – Codice fiscale del lavoratore – Cognome del lavoratore – Nome del lavoratore.

La scelta del rapporto di lavoro, per il quale si intende chiedere l’estratto conto, avviene utilizzando l’apposita opzione di selezione presente nella prima colonna. Successivamente con il comando “Consulta Estratto Conto”, si visualizzano i dati dell’estratto conto relativo al rapporto selezionato. L’estratto conto fornito è di tipo analitico e riporta i dati identificativi del lavoratore e le informazioni relative ai pagamenti effettuati, ordinati per anno e trimestre, senza alcuna limitazione collegata alla modalità utilizzata per il versamento (reti amiche, on-line, bollettino postale, MAV).

Un avviso apposito, in calce, informa che l’estratto contributivo non ha valore certificativo ma elenca i pagamenti contributivi registrati negli archivi dell’Inps e può essere soggetto a modifiche in base a verifiche ed accertamenti.

Per ogni periodo visualizzato sono presenti le seguenti informazioni: – Codice fiscale del datore di lavoro – Cognome del datore di lavoro – Nome del datore di lavoro – Codice fiscale del lavoratore – Cognome del lavoratore – Nome del lavoratore – Codice del rapporto di lavoro – Anno di riferimento – Trimestre di riferimento – Importo del pagamento – Ore retribuite – Retribuzione oraria effettiva – Settimane lavorate nel trimestre

Su ciascuna riga sono inoltre presenti due possibili selezioni (icone comando): – Dettaglio – Segnalazione Selezionando l’icona relativa alla voce “Dettaglio”, si visualizza il dettaglio delle settimane lavorate nel trimestre indicato raggruppate per mese.

Selezionando l’icona relativa alla voce “Segnalazione” il datore di lavoro ha la possibilità di inserire il testo di una segnalazione relativa al trimestre indicato.

In particolare, si può inserire una segnalazione per un periodo contributivo mancante (dati assenti nella riga del trimestre visualizzato) o per dati del pagamento non corrispondenti a quelli in possesso del datore di lavoro.

In caso di periodo contributivo mancante è possibile inserire il motivo di sospensione dell’obbligo contributivo (maternità, permesso non retribuito, periodo di malattia superiore a quello riconosciuto nei CCNL come retribuito) o i dati identificativi del versamento: data, importo, modalità (bollettino c/c, Mav, on line/carta di credito , reti amiche).

Per confermare e inoltrare la segnalazione scritta alla sede INPS di competenza, occorre selezionare il comando “Continua” tramite il quale la segnalazione verrà presa in carico dal sistema FA. SE. (FAscicolo elettronico delle Segnalazioni contributive).

Le informazioni fornite al sistema FASE sono le seguenti: – Codice fiscale del datore di lavoro – Codice fiscale del lavoratore – Codice sede di competenza INPS – Data inizio periodo di riferimento – Data fine periodo di riferimento – Retribuzione oraria effettiva (con esclusione dei decimali) – Ore retribuite – Testo della segnalazione.

Per ogni segnalazione presa in carico dal sistema FASE, verranno resi noti al datore di lavoro il protocollo e il codice segnalazione assegnati.

La segnalazione verrà inoltre registrata dal sistema e sarà disponibile come promemoria per il datore di lavoro ad ogni visualizzazione di dettaglio del periodo di interesse. Su ogni pagina visualizzata dal datore di lavoro è disponibile inoltre il comando “aiuto” tramite il quale viene visualizzato il testo dell’help online del servizio.

Il servizio è ad uso esclusivo del cittadino che si autentica tramite PASSI, ma entro il mese di novembre sarà reso disponibile agli intermediari incaricati dal datore di lavoro, di cui alla circolare n. 28 del 2011. Nel caso di un datore di lavoro con credenziali di accesso ma SENZA rapporti di lavoro negli ultimi cinque anni, il sistema provvederà a visualizzare un messaggio del tipo: “Attenzione: Non esistono Rapporti di Lavoro per il datore di lavoro specificato. Il servizio di Consultazione Estratto Conto può essere utilizzato solo in presenza di Rapporti di Lavoro. Grazie. ” Accesso delle sedi alle informazioni segnalate e conseguenti adempimenti.

Le sedi dovranno accedere alla procedura FASE, raggiungibile da Intranet > Processi > Assicurato pensionato > Fascicolo delle Segnalazioni contributive, per la verifica e l’acquisizione delle informazioni segnalate. Le modalità operative della procedura FASE sono descritte nel manuale già in uso, scaricabile dalla pagina iniziale dell’applicazione.

I parametri utili ad individuare le segnalazioni relative a Lavoro Domestico provenienti dal canale del Datore di Lavoro sono: Regime assicurativo > Regime Generale Gestione > Lavoro Domestico Pratica di riferimento > Datore di Lavoro Viene così prodotta una lista di “Segnalazioni in carico relative a Regime Generale Lavoro Domestico, pratica di riferimento Datore di Lavoro”. La lista espone il codice individuale del datore di lavoro più altre informazioni di servizio. Selezionando la riga di interesse l’operatore accede al Fascicolo del soggetto e prosegue con l’esame della posizione, dove alla voce “Segnalazioni Contributive Acquisite” trova il dettaglio delle informazioni pertinenti (punto 4 del manuale utente inserito in procedura). A conclusione delle attività connesse alla richiesta di variazione, di fatto eseguite esternamente all’applicativo FASE, l’operatore accede nuovamente al Fascicolo per registrare l’esito della segnalazione (punto 7 del suddetto manuale).

Si precisa che: – nel caso di segnalazione di versamenti che non risultano in estratto, l’operatore dovrà procedere alle verifiche necessarie al riscontro contabile dell’effettività del versamento. A tal fine sarà messa a disposizione, nel mese corrente, un’apposita funzione della procedura LAVDOM per la ricerca del pagamento segnalato; riscontrato il versamento, dovrà essere dato esito “D” alla segnalazione, mentre, se malgrado tutte le verifiche non si riscontra il pagamento, dovrà essere dato esito “R” alla segnalazione; – nel caso di segnalazione di motivazioni di sospensione dell’obbligo contributivo dovrà essere utilizzato quale esito della segnalazione il cod. “D” di cui al punto 7 del manuale; dettesegnalazioni saranno successivamente riprese per l’inserimento nell’estratto conto dopo il rilascio dell’apposita funzione.   

Contributi alle Imprese per il reinserimento del personale Over 50

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Contributi alle Imprese per il reinserimento del personale Over 50

Contributi alle Imprese per il reinserimento del personale Over 50

Azione a supporto della ricollocazione dei manager over 50 in stato di disoccupazione Porre un argine alla perdita di occupazione manageriale nell’attuale scenario di crisi. Questo il principale obiettivo del progetto che mira all’inserimento occupazionale di dirigenti over 50 disoccupati, promosso e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed attuato da Italia Lavoro nell’ambito dell’Azione di sistema Welfare to Work per le politiche di reimpiego.

Le azioni previste nell’ambito del progetto, attuate in collaborazione con Federmanager e Manageritalia, beneficiano di un finanziamento del Ministero del Lavoro pari a 10 milioni di euro, destinati ad incentivi a favore delle aziende per l’assunzione di dirigenti over 50 in stato di disoccupazione, nella forma di un bonus di importo variabile secondo le diverse modalità di contratto di lavoro che verranno concretamente applicate.

Il contributo di cui potranno usufruire i datori di lavoro è pari a: 10. 000 euro per ogni dirigente assunto con contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato di almeno 24 mesi; 5. 000 euro per ogni dirigente assunto con contratto a tempo determinato di almeno 12 mesi; 5. 000 euro per ogni dirigente assunto con contratto di collaborazione a progetto di almeno 12 mesi.  Incentivi all’assunzione:

Il contributo all’inserimento è fissato in: 10. 000 euro per ogni manager over 50 in stato di disoccupazione assunto con contratto a tempo indeterminato o determinato di almeno 24 mesi;  5. 000 euro per ogni manager over 50 in stato di disoccupazione assunto con contratto a tempo determinato di almeno 12 mesi; 5. 000 euro per ogni manager over 50 in stato di disoccupazione assunto con contratto di collaborazione a progetto di almeno 12 mesi. L’incentivo non ha effetto retroattivo, ma si riferisce alle assunzioni che interverranno dopo la data di pubblicazione del bando.

Destinatari

Possono presentare domanda i datori di lavoro in regola con l’applicazione del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro, con gli obblighi contributivi ed assicurativi e con le norme che disciplinano la materia del lavoro in genere.

I datori di lavoro, inoltre, non dovranno avere in corso o attivato – nei 12 mesi precedenti la data di presentazione della domanda – procedure concorsuali, dovranno dichiarare di non essere sottoposti ad alcuna misura di prevenzione e non dovranno aver licenziato nei 12 mesi precedenti dirigenti, anche appartenenti a società collegate o facenti parte del medesimo gruppo.

Beneficiari

Ex dirigenti, che al momento dell’ assunzione abbiano compiuto i 50 anni di età e risultino disoccupati.
Nel caso in cui l’ultimo rapporto di lavoro si sia concluso per effetto di una transazione economica a favore del lavoratore, il requisito dello stato di disoccupazione deve essere posseduto da almeno 6 mesi.

Committente

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Durata
11 gennaio 2011 – 30 novembre 2011

C.C.I.A.A. Roma: Concessione Contributi per eventi organizzati da terzi

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C.C.I.A.A. Roma: Concessione Contributi per eventi organizzati da terzi

C. C. I. A. A. Roma: Concessione Contributi per eventi organizzati da terzi

Regolamento per la concessione di contributi per eventi promozionali – per iniziative di assistenza alle imprese – per studi, ricerche, formazione e convegni organizzati da terzi  criteri generali.

La Camera di Commercio di Roma, a norma dell’art. 2 della Legge 29. 12. 93 n. 580 “Riordinamento delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura”, come novellato dal D. Lgs. 25. 02. 2010 n. 23, recante “Riforma dell’ordinamento relativo alle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, in attuazione dell’articolo 53 della Legge 23. 07. 2009 n. 99”, svolge, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali delle imprese e delle economie locali. Svolge, in particolare, le funzioni e i compiti relativi alla promozione del territorio e delle economie locali al fine di accrescerne la competitività.

Il presente Regolamento è adottato nel rispetto di quanto previsto dall’art. 12, comma primo, della Legge 241190.

Nell’ambito di tale funzione l’Ente camerale prevede nel Bilancio preventivo annuale un programma di interventi per lo sviluppo economico provinciale che si articola nell’attuazione diretta di iniziative promozionali ovvero nel sostegno finanziario di analoghe iniziative, svolte a cura di altri soggetti, giudicate meritevoli in termini di ricaduta economica e coerenti con le linee guida del piano strategico triennale adottato dalla Giunta.

La Camera indirizza preferibilmente i propri interventi a favore di iniziative strutturali volte ad incidere in modo significativo sull’assetto economico territoriale nonché iniziative volte allo sviluppo della produttività e dell’efficienza delle aziende, alla crescita dei livelli tecnologici, al sostegno dello sviluppo della commercializzazione all’interno e all’estero, all’assistenza tecnica, alla formazione nonché alla realizzazione di studi, ricerche, documentazioni e convegni.

Nella concessione di contributi a favore di iniziative promozionali organizzate da terzi, l’Ente camerale tiene conto dei seguenti criteri di carattere generale:

a) evitare la polverizzazione delle risorse attraverso la concessione di contributi di modesta entità, concentrando le medesime verso le iniziative di maggiore rilievo;

b) dare la priorità ad iniziative che si inseriscano in programmi, preferibilmente pluriennali, di sviluppo, rispetto ad iniziative di carattere sporadico ed occasionale;

c) preferire le iniziative che siano impostate in collaborazione con enti pubblici ovvero con le associazioni di categoria escludendo le iniziative che abbiano interesse interno ad associazioni od enti e che non siano aperte alla generalità dei soggetti interessati;

d) privilegiare le iniziative che abbiano incidenza diretta e duratura sul sistema economico provinciale rispetto a quelle che abbiano riflessi indiretti o soltanto temporanei;

e) favorire la rotazione degli operatori fruenti delle agevolazioni;

f) sostenere prioritariamente le iniziative che abbiano lo scopo di fornire servizi di interesse comune degli operatori.

Art. 1  Soggetti destinatari dei contributi camerali

Possono accedere ai contributi camerali Enti e soggetti pubblici, Associazioni di categoria o altri soggetti privati portatori di interessi generali per il sistema socioeconomico locale. Questi ultimi, alla data di invio della richiesta di contributo, dovranno risultare iscritti nel Repertorio Economico Amministrativo della Camera di Commercio per l’esercizio dell’attività per la quale richiedono il contributo ed allegare alla richiesta l’Atto costitutivo, lo Statuto ed un curriculum sull’attività svolta, dal quale risulti che svolgono tale attività da almeno tre anni.

La tipologia dell’iniziativa promossa dovrà essere senza fini di lucro e di interesse generale per il sistema delle imprese della provincia e non dovrà essere suscettibile di sfruttamento imprenditoriale diretto da parte del richiedente.

Art. 2  Formulazione delle richieste di contributo

I soggetti che intendano ottenere contributi, sovvenzioni ecc. Per il sostegno di una iniziativa interessante ai fini della promozione dell’economia provinciale debbono presentare apposita domanda alla Camera entro e non oltre 30 giorni prima della data di inizio della medesima, salvo casi di riconosciuta forza maggiore.

La domanda, sottoscritta dal responsabile dell’organismo promotore dell’iniziativa o dal legale rappresentante in caso di enti o associazioni di categoria deve contenere:

a) generalità, residenza, numero di codice fiscale ed eventuale partita IVA del richiedente;

b) una esauriente illustrazione dell’iniziativa per la quale si chiede il contributo, nella quale siano messe in evidenza le ripercussioni di interesse generale che la stessa può comportare per l’economia locale;

c) il piano finanziario delle entrate e delle spese previste per l’iniziativa, deliberato, in caso di enti, dal competente organo amministrativo. Detto piano deve essere redatto in forma analitica e deve evidenziare, tra le entrate, i contributi richiesti ad altri enti pubblici, ad eventuali sponsor privati ed i proventi dell’iniziativa;

d) la misura del contributo richiesto all’ente camerale;

e) l’assicurazione che l’iniziativa sarà aperta a tutti i potenziali interessati che presentino i necessari requisiti e che saranno impiegati i mezzi più opportuni per assicurare una adeguata informazione;

f) le modalità di pubblicizzazione dell’intervento contributivo della Camera (inviti, manifesti, materiale pubblicitario, ecc. );

g) la disponibilità a fornire tutti gli elementi informativi e di valutazione, che si rendessero necessari in sede di istruttoria.

Art. 3 Ammontare del contributo

Il contributo camerale non potrà superare il limite massimo del 50% della spesa ammessa e comunque la differenza tra spese ed entrate accertate a consuntivo (al netto dell’Tv A soggettivamente detraibile). Nella spesa ammessa a contributo potranno rientrare solo quelle voci che siano chiaramente e specificatamente imputabili all’iniziativa, da comprovare successivamente con regolari giustificativi di spesa (fatture, ricevute, notule ecc. ).

Le spese relative all’utilizzo di risorse proprie (umane e logistiche) dell’organismo richiedente saranno valutate nella misura massima del 20% delle spese specifiche per l’effettuazione dell’iniziativa ammessa a contributo.

Parimenti le spese relative alla progettazione dell’iniziativa saranno valutate nella misura massima del 10% delle spese specifiche per l’effettuazione dell’iniziativa ammessa a contributo, nel caso si tratti di nuova iniziativa, mentre saranno escluse nel caso di reiterazione di un’iniziativa già finanziata dalla Camera.

Saranno inoltre escluse quelle spese che, per il loro palese carattere di marginalità e voluttuarietà, siano chiaramente da ritenersi di scarsa o nessuna utilità ai fini dello svolgimento dell’iniziativa stessa (ad es. Le spese di rappresentanza quali colazioni, gadgets ecc.).

Art. 4 Istruttoria della domanda

Il Dirigente competente, cui perviene la domanda, provvede ad assegnare al Responsabile dell’ufficio la responsabilità dell’istruttoria, volta ad accertare l’esattezza dei dati in essa contenuti, ad acquisire elementi di valutazione di merito e ove sia necessario, provvede alla richiesta, anche per le vie brevi, di elementi informativi e documentazione integrativa. Qualora non pervenga sollecita e completa risposta, la richiesta viene reiterata per iscritto con la fissazione di un termine di decadenza.

Art. 5  Adozione del provvedimento per la concessione del contributo

Completata l’istruttoria, il funzionario incaricato provvede a predisporre il provvedimento amministrativo di concessione del contributo che sarà sottoposto all’approvazione del Dirigente, nel caso si tratti di iniziative già inserite nel Bilancio di previsione dell’anno in corso, o alla preliminare valutazione della Giunta, nel caso si tratti di iniziative non previste nel Bilancio dell’anno in corso.

L’atto amministrativo di concessione del contributo dovrà, in ogni caso, essere adottato, salvo casi di forza maggiore, prima dell’attuazione dell’iniziativa.

Il provvedimento amministrativo di concessione del contributo deve essere motivato. In particolare la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e giuridici del provvedimento adottato. Pertanto, nelle premesse, deve essere illustrata, in ordine cronologico, la sequenza dei fatti: data della domanda e i suoi contenuti, istruttoria compiuta dall’ufficio e risultanze emerse. Deve poi essere valutata l’ammissibilità della richiesta nell’ambito dei compiti istituzionali di promozione dell’economia locale. Infine va verificata l’osservanza dei criteri e delle modalità predeterminati per la concessione di contributi, con particolare riferimento agli obiettivi di promozione economica prefissati nel programma promozionale annuale.

Il dispositivo del provvedimento deve indicare:

a. L’ammontare del contributo, il soggetto beneficiario e la percentuale di spesa effettiva che il contributo stesso non può in ogni caso superare;

b. ILa precisazione che la liquidazione del contributo e la sua erogazione sono comunque subordinate alla presentazione del rendiconto analitico e completo delle entrate e delle spese dell’iniziativa, nonché all’esibizione dei documenti di cui al successivo art. 6;

c. Eventuali ulteriori condizioni a cui è da intendersi subordinata l’erogazione, come la nomina di rappresentanti camerali in seno a comitati operativi, la pubblicità del finanziamento camerale, ecc.

Art. 6  Controllo sullo svolgimento dell’iniziativa, liquidazione ed erogazione del contributo

L’Ente camerale comunica al soggetto beneficiato dal contributo l’intervenuta decisione in ordine allo stanziamento dello stesso, precisandone, in caso di accoglimento, il contenuto e le condizioni ed invitandolo a trasmettere all’Ufficio competente, entro 90 giorni dalla conclusione dell’iniziativa, la seguente documentazione:

a) una relazione dettagliata sullo svolgimento dell’iniziativa, nella quale siano anche indicati i risultati positivi che ha determinato sul piano della promozione economica della provincia e la visibilità data all’intervento camerale;

b)il rendiconto analitico delle spese sostenute, corredato di tutti i documenti di spesa in originale, che dovrà essere redatto riportando le stesse voci di spesa contenute nel piano finanziario preventivo. Eventuali spese inizialmente non previste potranno essere conteggiate nel budget totale di spesa sul quale calcolare l’ammontare del contributo, sempre nell’ambito del tetto massimo concesso, solo in caso di spese, che a causa di imprevisti, si siano rese necessarie per il buon fine dell’iniziativa. Tali spese saranno ammesse a contributo a giudizio insindacabile dell’Ente;

c)la dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dal legale rappresentante contenente il rendiconto analitico delle entrate realizzate o comunque accertate, ovvero l’assenza delle stesse;

d)gli ulteriori documenti previsti o richiesti di volta in volta dal competente ufficio camerale.    Qualora la documentazione trasmessa sia incompleta o si renda necessario acquisire chiarimenti in proposito, l’Ufficio provvede a dame comunicazione scritta all’interessato, fissando un ulteriore termine.

Pervenuta la documentazione, verificatane la completezza ed il contenuto, l’Ufficio, a seguito di provvedimento di liquidazione del Dirigente competente, trasmette la pratica all’ufficio ragioneria ai fini dell’emissione del mandato di pagamento.    Sulle fatture esibite ai fini della liquidazione del contributo l’Ufficio provvederà ad apporre una stampigliatura dalla quale risulti che su di esse è stato erogato un contributo dell’Ente e l’ammontare totale del contributo stesso.

Nel caso in cui il soggetto beneficiario sia un Ente pubblico la documentazione di cui sopra potrà essere sostituita dalla trasmissione della copia conforme all’originale dell’atto ufficiale di approvazione del consuntivo dell’iniziativa e da apposita dichiarazione attestante l’entità delle entrate.

Qualora il rendiconto consuntivo evidenzi una contrazione dei costi, il contributo subirà una conseguente riduzione proporzionale. Parimenti il contributo subirà una riduzione nel caso in cui il rendiconto dell’iniziativa evidenzi un avanzo, fino all’ottenimento del pareggio.

Comportamento Concludente: rinnovo e modalità esercizio dell’opzione nel regime della trasparenza fiscale

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Comportamento Concludente: rinnovo e modalità esercizio dell’opzione nel regime della trasparenza fiscale

Sintesi Risoluzione n. 185E/2009 Agenzia delle Entrate oggetto:

Interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 – “Trasparenza fiscale” –  Modalità esercizio opzione – Art 4 DM 23 aprile 2004.       La società ALFA S. R. L. Ha formulato un’istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, relativa alla applicazione dell’articolo 4 del decreto 23 aprile 2004, in ordine al corretto esercizio del rinnovo dell’opzione per la trasparenza fiscale.

Quesito

In data 10 dicembre 2008 la società istante ha presentato la comunicazione relativa al rinnovo dell’opzione per il regime di tassazione per trasparenza (ex articolo 116 del TUIR) per il triennio 2008 – 2010. Prima dell’invio della predetta comunicazione, tutti i soci hanno provveduto a comunicare alla società la propria volontà di rinnovare l’opzione, utilizzando lo strumento della raccomandata a mano anziché effettuare la comunicazione mediante raccomandata postale con ricevuta di ritorno ai sensi dell’articolo 4 del decreto 23 aprile 2004.   Ciò premesso, atteso che non sono state rispettate le formalità contenute nel citato decreto in ordine all’invio della comunicazione dell’opzione da parte dei soci alla società, l’istante chiede se l’opzione possa essere considerata valida ai fini della continuazione del regime di tassazione per trasparenza.

Soluzione prospettata dal contribuente:

La società istante ritiene che l’invio della raccomandata con ricevuta di ritorno  dai  soci  alla  società,  prima  dell’esercizio  dell’opzione,  abbia  l’unico scopo di mettere inequivocabilmente la società stessa nella condizione di conoscere la volontà dei singoli soci, e che tale funzione sia stata adeguatamente svolta con l’inoltro alla società di una raccomandata a mano restituita in copia al mittente previa apposizione, da parte dell’organo amministrativo della società, della data di ricevimento.

L’istante evidenzia, inoltre, che il DM 23 aprile 2004 non sembra subordinare esplicitamente l’efficacia dell’opzione al preventivo invio delle raccomandate da parte dei soci visto che individua nella sola trasmissione dell’opzione  all’Agenzia  delle  Entrate  il  momento  di  perfezionamento  della stessa.

Sulla base delle suesposte considerazioni la società istante considera pienamente valida ed efficace l’opzione per la trasparenza fiscale espressa in data 10 dicembre 2008 per il triennio 2008 – 2010.

L’istante precisa, altresì, che l’opzione verrà confermata da ciascun socio con   comportamento   concludente   nella   propria   dichiarazione   dei   redditi, attraverso  l’esposizione  del  reddito  imputato  per  trasparenza  dalla  società, nonché mediante l’invio, alla stessa società partecipata, di una raccomandata con ricevuta di ritorno entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2008.

Parere dell’Agenzia delle Entrate

Il decreto 23 aprile 2004 reca disposizioni applicative del regime di tassazione per trasparenza nell’ambito delle società di capitali, di cui agli articoli 115 e 116 del TUIR.   L’articolo 4 del citato decreto prevede che l’opzione, così come il rinnovo, “deve essere esercitata, oltre che dalla società partecipata, anche da tutti i soci che devono comunicarla alla società partecipata mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. L’opzione si considera perfezionata quando viene trasmessa dalla società partecipata all’Agenzia delle entrate entro il primo dei tre periodi di imposta di sua efficacia con le modalità indicate con provvedimento del Direttore dell’Agenzia”.

La circolare 22 novembre 2004, n. 49/E ha chiarito che l’esercizio dell’opzione deve essere effettuato, oltre che dalla società partecipata, anche dai soci, attraverso l’invio alla società partecipata di una raccomandata con ricevuta di ritorno contenente la volontà di optare per il regime della trasparenza. Al riguardo, il decreto ministeriale non stabilisce gli specifici contenuti della comunicazione essendo sufficiente che dalla medesima si evinca inequivocabilmente la volontà della società di optare per la tassazione per trasparenza di cui agli articolo 115 e 116 del TUIR.

Lo stesso decreto, in ogni caso, statuisce, che per la validità del regime di trasparenza l’opzione deve essere effettuata da tutti i soggetti. (partecipanti e partecipata). Risulta,  pertanto,  necessario  che  la  partecipata  comunichi  all’Agenzia delle entrate l’esercizio dell’opzione per il regime della trasparenza e che i soci manifestino, in via preventiva, la loro volontà di optare per il regime della trasparenza attraverso l’invio alla partecipata di una raccomandata postale con ricevuta di ritorno.

Nel caso prospettato, la società ha presentato in data 10 dicembre 2008, tramite intermediario abilitato, la comunicazione relativa al rinnovo dell’opzione per  il  regime  di  tassazione  per  trasparenza  delle  società  di  capitali  ai  sensi dell’articolo 116 del TUIR mentre i soci hanno comunicato prima dell’invio della predetta  comunicazione  la  loro  volontà  di  rinnovare  l’opzione  utilizzando soltanto lo strumento della raccomandata a mano. A riguardo, la scrivente, nell’osservare che la disposizione di cui all’articolo 4 del decreto 23 aprile 2004 risponde all’esigenza di rendere evidente e certa la volontà dei soci, in ordine all’adesione al regime della trasparenza fiscale, non solo nei confronti della società partecipata ma anche nei confronti dell’amministrazione  finanziaria,  ritiene  che  l’opzione  per  il  rinnovo dell’adesione al regime della trasparenza fiscale di cui all’articolo 116 del TUIR non sia stata validamente esercitata, in quanto non si può ritenere soddisfatta la condizione di preventiva acquisizione da parte della società e tantomeno da parte dell’amministrazione finanziaria della precipua volontà dei soci di optare per la tassazione per trasparenza.

Corte Costituzionale Sentenza 22 luglio 2011, n. 234

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La sentenza della Corte Costituzionale 19-22 luglio 2011 n. 234 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del Decreto Legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla Legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa Legge n. 236 del 1993, nella parte in cui tali norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso in cui si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.  Le predette norme, dichiarate costituzionalmente illegittime – laddove esse non prevedevano in favore dell’assicurato il diritto di opzione tra l’assegno di invalidità e l’indennità di disoccupazione – pertanto, hanno cessato di avere efficacia e non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Consulta (Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 32 del 27-7-2011). Tale decisione riconosce all’assicurato il diritto di scegliere tra l’assegno ordinario di invalidità e l’indennità di disoccupazione limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato ferma restando l’incumulabilità delle due prestazioni.  

Corte Costituzionale Sentenza 22 luglio 2011, n. 234

In nome del popolo italiano la corte costituzionale ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, promosso dal Tribunale di Bologna nel procedimento vertente tra M. L. E l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 4 maggio 2010, iscritta al n. 375 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti gli atti di costituzione di M. L. E dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella; uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per M. L. , Antonietta Coretti per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1. − Con ordinanza del 4 maggio 2010, il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, «nella parte in cui tali norme non prevedono che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato».

Il rimettente riferisce che, nel giudizio sottoposto al suo esame la ricorrente, dopo la concessione dell’assegno di invalidità parziale, aveva continuato a prestare la propria attività lavorativa. Licenziata per riduzione di personale, ed essendo assicurata contro la disoccupazione presso l’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), la predetta ricorrente aveva dichiarato di optare per il trattamento più favorevole tra l’assegno di invalidità e l’indennità di disoccupazione.

La sede INPS competente, tuttavia, aveva respinto la domanda, affermando che l’assegno di invalidità era incompatibile con l’indennità di disoccupazione, in forza dell’art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 (Interventi urgenti a salvaguardia dei livelli occupazionali), non convertito in legge, i cui effetti sono stati fatti salvi dal successivo decreto-legge n. 148 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236 del 1993. L’art. 6, comma 7, del predetto decreto-legge n. 148 del 1993, infatti, riferisce il rimettente, inizialmente prevedeva solo che i trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e l’indennità di mobilità fossero incompatibili con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, nonché dei lavoratori autonomi. In seguito, prosegue il rimettente, tale norma è stata modificata per effetto della sentenza n. 218 del 1995, con cui questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso articolo, nonché dell’art. 1 della legge n. 236 del 1993, solo per lavoratori aventi diritto alla mobilità, nella parte in cui non prevedono che, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità, i lavoratori che fruiscono dell’assegno o della pensione di invalidità, possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilità, nei modi e con gli effetti di cui agli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tornando al caso del giudizio a quo, il rimettente riferisce che, poiché la normativa in vigore prevede tale facoltà solo nel caso di concorso tra il trattamento di mobilità e l’assegno o la pensione di invalidità, la ricorrente, avendo diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione, non aveva avuto la facoltà di optare tra l’assegno di invalidità, di cui è titolare, e il predetto trattamento di disoccupazione, in concreto più favorevole.

Ebbene, secondo il Tribunale di Bologna, la mancata previsione delle facoltà di opzione anche nel caso di concorso tra indennità di disoccupazione e trattamento di invalidità, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. , per le stesse ragioni poste a fondamento della già citata sentenza n. 218 del 1995 della Corte costituzionale, violando ulteriormente l’art. 3 della Carta costituzionale, sotto l’aspetto della disparità di trattamento tra chi, fruendo di un trattamento di invalidità, si trova in stato di disoccupazione con o senza collocazione in mobilità, posto che nel primo caso può esercitare la facoltà di opzione del trattamento più favorevole, mentre nel secondo tale facoltà è preclusa. Secondo il rimettente, la questione di costituzionalità della norma citata, inoltre, è rilevante nel giudizio a quo, posto che l’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993 e l’art. 1 della legge n. 236 del 1993 non prevedono la suddetta opzione e non sono superabili in via meramente interpretativa, stante il letterale e chiaro disposto delle norme in questione.

2. − Con memoria depositata il 22 dicembre del 2010, l’Istituto nazionale per la previdenza sociale ha chiesto che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile e infondata. Quanto alla dedotta inammissibilità, secondo l’INPS, l’ordinanza di rimessione non sarebbe motivata in modo esauriente ed autosufficiente, facendo rinvio alle «ragioni poste a fondamento della già citata sentenza n. 218 del 1995 della Corte costituzionale», senza motivare in ordine alla configurabilità di una coincidenza – quanto a natura, presupposti ed effetti – tra il trattamento di disoccupazione ed il trattamento di mobilità, così riproducendo il profilo di inammissibilità stigmatizzato dalla Corte nell’ordinanza n. 297 del 2000, in relazione ad altra questione sollevata con riferimento alla medesima norma. Quanto al merito, l’INPS ha chiesto che la questione di costituzionalità sia dichiarata infondata, attesa la non comparabilità tra l’istituto dell’indennità di disoccupazione, rispetto al quale è intervenuta la sentenza citata dal rimettente, e quello dell’indennità di disoccupazione. Secondo l’INPS, infatti, nei due istituti sarebbero diversi la natura giuridica, i presupposti di applicabilità e la struttura, per cui, come rimarcato dalla Corte nella citata ordinanza n. 297 del 2000, la pronuncia additiva richiesta non sarebbe “a rime obbligate”.

3. − Con memoria, depositata il 23 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, ed ha chiesto che la questione di legittimità sollevata sia dichiarata inammissibile e comunque infondata. Quanto al primo aspetto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sottolineato il carattere eccezionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994 – norma della cui efficacia il rimettente ha chiesto l’estensione anche alla fattispecie sottoposta al suo esame – atteso che, come già la Corte costituzionale avrebbe evidenziato nell’ordinanza n. 218 del 2000, tale norma, introducendo l’opzione soltanto tra l’indennità di mobilità e le prestazioni di invalidità, costituirebbe eccezione al principio generale, dettato dall’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993, di incompatibilità tra trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione, indennità di mobilità e trattamenti pensionistici diretti. Nel merito, secondo il Presidente del Consiglio non vi sarebbe coincidenza tra l’indennità di mobilità e l’indennità di disoccupazione: mentre la prima, connessa strettamente al trattamento di integrazione salariale, sarebbe svincolata dall’accertamento dello stato di bisogno individuale e sarebbe legata a obiettivi di politica economico-sociale di tutela dell’occupazione (tanto da essere strettamente connessa alla dimensione occupazionale dell’azienda presso la quale il lavoratore presta la sua opera), la seconda avrebbe natura prettamente assicurativa e sarebbe legata funzionalmente alla situazione di bisogno del lavoratore. Inoltre, quanto ai presupposti, l’indennità di mobilità, a differenza di quella di disoccupazione (riconosciuta a tutti i lavoratori, in conseguenza di un licenziamento anche individuale), è attribuita ai soli lavoratori dipendenti di imprese del settore industriale con almeno quindici dipendenti e a condizione che possano far valere un minimo di anzianità lavorativa presso l’azienda datrice di lavoro, e solo a seguito di licenziamento collettivo e dopo l’inizio di una procedura sindacale di messa in mobilità. Diverse, poi, sarebbero anche la struttura e l’articolazione dei due istituti indennitari, sia con riferimento all’entità che alla durata dei benefici concessi.

4. − Si è costituita in giudizio anche la ricorrente L. M. , chiedendo che la questione di costituzionalità sollevata sia dichiarata rilevante nel giudizio a quo, a causa della impossibilità di riconoscere al titolare dell’indennità di invalidità il diritto di optare per l’indennità di disoccupazione in via interpretativa, sulla base della legislazione vigente. Essa ha poi chiesto che la questione sia dichiarata fondata, potendosi desumere la ratio decidendi dell’accoglimento dalla stessa sentenza n. 218 del 1995, citando alcuni passi della stessa pronuncia e svolgendo ulteriori considerazioni a sostegno della tesi della perfetta adattabilità di tale pronuncia anche al caso della opzione tra indennità di invalidità ed indennità di disoccupazione.

5. − Con memoria depositata in data 14 giugno 2001, la parte privata ha illustrato ulteriormente le proprie argomentazioni a sostegno della sollevata questione. Considerato in diritto 1. − Il Tribunale di Bologna dubita, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui non prevedono che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.

1. 1. − La norma censurata, nella sua originaria formulazione, si limitava ad introdurre il divieto di cumulo dei trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e dell’indennità di mobilità con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, degli ordinamenti sostitutivi, esonerativi ed esclusivi dell’assicurazione medesima, nonché delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi; escludendo, dunque, che i soggetti che si trovavano nelle condizioni di poter astrattamente fruire, contemporaneamente, di entrambi tali tipologie di prestazioni previdenziali potessero in concreto godere di entrambe, cumulandole.

1. 2. − Successivamente alla sua emanazione, la norma è stata integrata per effetto dell’art. 2 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, che ha introdotto un temperamento al divieto di cumulo, consentendo, ai soli lavoratori aventi diritto alla mobilità, di scegliere, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità, tra tali trattamenti e quello di mobilità e stabilendo che, in caso di opzione a favore del trattamento di mobilità, l’erogazione dell’assegno o della pensione di invalidità resti sospesa per tutto il periodo di fruizione del predetto trattamento. Tale facoltà di opzione, invece, non risulta estensibile ai lavoratori titolari dell’assegno di invalidità che abbiano diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione. Questi ultimi, al momento del licenziamento, durante il periodo di disoccupazione potranno percepire il solo assegno parziale di invalidità.

1. 3. − In seguito, questa Corte, con la sentenza n. 218 del 1995, ha esteso l’operatività del diritto di opzione anche al periodo precedente alla riforma del 1994, rendendo, dunque, retroattiva la norma introdotta dal legislatore appena l’anno precedente.

2. − Preliminarmente, deve osservarsi che la questione è stata sollevata con riferimento sia all’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993, sia all’art. 1 della legge n. 236 del 1993, che, nel convertire in legge il predetto decreto, ha fatto salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), tra i quali v’è quella posta a fondamento dell’impugnato provvedimento di reiezione dell’istanza di opzione.

2. 1. − Sempre in via preliminare, l’INPS e il Presidente del Consiglio hanno eccepito l’inammissibilità della questione, in quanto la stessa, in punto di non manifesta infondatezza, risulterebbe motivata solo per relationem, mediante rinvio integrale alle argomentazioni contenute in altra sentenza di questa Corte. Tale eccezione è fondata solo con riferimento all’art. 38 Cost. Questa Corte ha avuto modo di ribadire (ex plurimis, sentenze n. 64 del 2009, n. 328 del 2008 e ordinanze n. 354, n. 75 e n. 42 del 2007, n. 312 del 2005) che, nell’ordinanza di rimessione, il giudice deve rendere esplicite le ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalità della norma con una motivazione autosufficiente, non potendosi limitare ad un generico richiamo alla giurisprudenza, o ad altri atti estranei all’ordinanza stessa. Ebbene, con riferimento al parametro di cui all’art. 38 Cost. , l’ordinanza di rimessione, oggi in esame, risulta motivata unicamente attraverso il rinvio recettizio alle motivazioni contenute nella già citata sentenza n. 218 del 1995. Al di fuori di tale inammissibile rinvio, non è rinvenibile alcuna motivazione specificamente riferibile all’art. 38 Cost. Pertanto, la predetta questione va dichiarata, in parte qua, inammissibile. Al contrario, con riferimento al principio di cui all’art. 3 Cost. , l’eccezione di inammissibilità deve essere respinta. Il rimettente, infatti, dopo aver richiamato le argomentazioni contenute nella motivazione della predetta sentenza, nel prosieguo dell’ordinanza, individua in modo autonomo il vulnus costituzionale denunciato con riferimento al principio di uguaglianza, identificandolo nella disparità di trattamento tra lavoratori aventi diritto alla mobilità e lavoratori che, pur disoccupati, ne sono esclusi. Tale motivazione, ancorché sintetica, deve ritenersi idonea a circoscrivere in modo adeguato ed autosufficiente l’oggetto dello scrutinio di costituzionalità demandato a questa Corte.

2. 3. − Né sussiste l’eccepito profilo di inammissibilità, connesso all’asserito carattere non “a rime obbligate” dell’intervento additivo richiesto, perché quest’ultimo costituisce l’unica possibile soluzione alla denunciata disparità di trattamento.

3. − Nel merito, la questione è fondata.

3. 1. − La disposizione censurata, come integrata dall’art. 2 del decreto-legge n. 299 del 1994 e dalla sentenza n. 218 del 1995, determina un’oggettiva diversità di trattamento tra il lavoratore inabile, titolare di un assegno o di una pensione di invalidità che, al momento del licenziamento, rientri nel novero dei lavoratori aventi diritto al trattamento di mobilità e quello che abbia invece diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione. Mentre nel primo caso, infatti, il lavoratore che, a causa del regime di incompatibilità, non può percepire entrambi gli assegni (di invalidità e di mobilità), ha però la facoltà di scegliere tra le due prestazioni, a seconda di quale dei due trattamenti sia, in concreto, più conveniente, nel secondo caso, non ha tale possibilità di scelta e si trova, di fatto, obbligato a beneficiare di quello connesso al suo stato di invalidità. L’impossibilità di optare per il trattamento di disoccupazione in occasione del licenziamento, determina, dunque, per i soli lavoratori inabili non aventi diritto alla mobilità, la concreta inutilizzabilità di tale tutela assicurativa.

3. 2. − Come questa Corte ha affermato, il legislatore, nel regolamentare il concorso tra più assicurazioni sociali e, in particolare, tra quelle connesse allo stato di invalidità e vecchiaia e quelle connesse allo stato di disoccupazione, gode certamente della più ampia discrezionalità (e può ben valutare, quindi, come sufficiente l’attribuzione di un unico trattamento previdenziale al fine di garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della sua famiglia), ma, nel fare tale scelta, deve soddisfare il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n. 218 del 1995). Nel caso in esame, la descritta diversità di disciplina tra indennità di disoccupazione ed indennità di mobilità non è ragionevole, perché, non essendo connessa a rilevanti differenze strutturali delle due situazioni poste a confronto, risulta irragionevolmente discriminatoria. Diversamente, infatti, da quello che sostengono l’INPS e il Presidente del Consiglio dei ministri, circa la non equiparabilità dell’assegno ordinario di disoccupazione al trattamento di mobilità, le differenze tra i due emolumenti (che si assumono essere connesse a diversità di presupposti, entità e struttura degli stessi) sono marginali e non giustificano, per i lavoratori non aventi diritto alla mobilità, la mancata previsione del diritto di opzione. Infatti, l’indennità ordinaria di disoccupazione e l’indennità di mobilità − valutate non in astratto ma con specifico riferimento alla ratio della disposizione di cui si chiede l’estensione – presentano, nella finalità e nella struttura, assorbenti analogie, perché tali sussidi rientrano nel più ampio genus delle assicurazioni sociali contro la disoccupazione. Un tale inquadramento è stato già avallato, da questa Corte, nella sentenza n. 184 del 2000, laddove si è affermato che, nell’ambito dei cosiddetti “ammortizzatori sociali”, l’indennità di mobilità − a differenza della Cassa integrazione guadagni, connessa ad un mero stato transitorio di crisi dell’impresa – è finalizzata a favorire il ricollocamento del lavoratore in altre imprese ed è, dunque, collegata ad una crisi irreversibile dell’impresa. Essa, cioè, deve considerarsi un vero e proprio trattamento di disoccupazione.

3. 3. − D’altra parte, la norma censurata, come da questa Corte sottolineato (per i lavoratori in mobilità) nella citata sentenza n. 218 del 1995, presenta un’ulteriore disparità di trattamento, perché discrimina i lavoratori disoccupati invalidi, non aventi diritto alla mobilità, anche rispetto agli altri lavoratori disoccupati pienamente validi. I primi, infatti, secondo la normativa attualmente vigente, percepiscono la sola indennità di invalidità (che potrebbe, peraltro, essere solo parziale), mentre i secondi, a partire dal momento del licenziamento, godono del più vantaggioso trattamento, ordinario o speciale, di disoccupazione. Anche sotto tale profilo, pertanto, la norma censurata determina una lesione del principio di uguaglianza, dal momento che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire nella più volte citata sentenza n. 218 del 1995, «il lavoratore parzialmente invalido, ove collocato in mobilità, viene a trovarsi in una situazione di più urgente bisogno del lavoratore valido, anch’egli collocato in mobilità, essendo prevedibile che egli, rispetto a quest’ultimo, abbia maggiori esigenze di mantenimento», e considerato che «chi subisce plurimi eventi pregiudizievoli si trova esposto ad una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il primo non potrà, rispetto a quest’ultimo, avere un trattamento deteriore».

4. − Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale, in parte qua, delle norme censurate. Per questi motivi la corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, che ha fatti salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), nella parte in cui dette norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011.  

Circolare n. 138 Roma, 26/10/2011

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La sentenza della Corte Costituzionale 19-22 luglio 2011 n. 234 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del Decreto Legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla Legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa Legge n. 236 del 1993, nella parte in cui tali norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso in cui si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.  

Direzione Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito Roma, 26/10/2011 Circolare n. 138 OGGETTO: Diritto di opzione fra Assegno di invalidità e Indennità di Disoccupazione. Sentenza della Corte Costituzionale 19-22 luglio 2011 n. 234.

SOMMARIO: 1. Premessa 2. Istruzioni operativa

Premessa

La sentenza della Corte Costituzionale 19-22 luglio 2011 n. 234 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del Decreto Legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla Legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa Legge n. 236 del 1993, nella parte in cui tali norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso in cui si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.  

Le predette norme, dichiarate costituzionalmente illegittime – laddove esse non prevedevano in favore dell’assicurato il diritto di opzione tra l’assegno di invalidità e l’indennità di disoccupazione – pertanto, hanno cessato di avere efficacia e non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Consulta (Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 32 del 27-7-2011). Tale decisione riconosce all’assicurato il diritto di scegliere tra l’assegno ordinario di invalidità e l’indennità di disoccupazione limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato ferma restando l’incumulabilità delle due prestazioni.

ISTRUZIONI OPERATIVE 

Si forniscono di seguito le istruzioni operative in attuazione di quanto in premessa. – Per un corretto esercizio del diritto di opzione è condizione indefettibile che l’assicurato presenti alla competente Struttura dell’Istituto domanda amministrativa, da cui risulti in modo non equivoco la propria volontà di scegliere. L’indennità di disoccupazione in luogo dell’assegno ordinario di invalidità. A tal fine è in corso di implementazione la procedura di presentazione della domanda di indennità di disoccupazione attraverso le modalità telematiche – direttamente da cittadino tramite WEB, Contact center integrato, Patronati/Intermediari dell’Istituto – affinché consentano di manifestare la suddetta opzione avente valore di domanda amministrativa. Nelle more l’opzione in argomento sarà esercitata con apposita richiesta scritta presentata alla Struttura INPS territorialmente competente. – Nel caso in cui i lavoratori diventino titolari di assegno ordinario di invalidità successivamente alla presentazione della domanda di indennità di disoccupazione o durante il periodo di fruizione dell’indennità medesima gli stessi possono esercitare, con apposita richiesta scritta, la facoltà di opzione a favore dell’indennità di disoccupazione entro 60 giorni dalla data in cui è stato notificato il provvedimento di accoglimento della domanda di assegno ordinario di invalidità.

Qualora essi non esercitino tale opzione o la esercitino in ritardo, l’importo dell’indennità di disoccupazione corrisposto diventa non dovuto e deve essere oggetto di compensazione/recupero sui pagamenti relativi all’assegno di invalidità. – In ogni caso di opzione a favore dell’indennità di disoccupazione, l’erogazione dell’assegno ordinario di invalidità resta sospesa per tutto il periodo di fruizione della predetta indennità. – I lavoratori che abbiano esercitato la facoltà di opzione per l’indennità di disoccupazione, possono rinunciare all’indennità in qualsiasi momento ottenendo il ripristino del pagamento dell’assegno di invalidità.

La rinuncia, che ha valore dalla data in cui viene effettuata, ha carattere definitivo e il lavoratore che l’ha esercitata non può più essere ammesso a percepire la parte residua di disoccupazione. Con l’occasione si precisa che la sentenza della Corte Costituzionale estende i suoi effetti esclusivamente ai rapporti ancora pendenti tra l’assicurato e l’Inps a decorrere dal giorno della sua pubblicazione. La statuizione della Consulta non produce, invece, più alcun effetto nei confronti dei rapporti ormai irreversibilmente esauriti anteriormente a detta pronuncia di illegittimità costituzionale, per effetto di intervenuto giudicato che ha fissato definitivamente la regola iuris da applicare al caso concreto oggetto di contenzioso, oppure per effetto della loro consolidata intangibilità ascrivibile all’avveramento della prescrizione estintiva decennale oppure all’avveramento della decadenza sostanziale, istituti sanzionatori entrambi riconducibili all’inerzia del titolare del relativo diritto.  

Cosa fare in caso di scontrino errato

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Cosa fare in caso di scontrino errato

In primis non farsi prendere dal panico, succede, si verifica sovente, soprattutto  in   attività  dove   l’operatore  alla   cassa   è   fortunatamente ancora l’uomo  e non il robot, è caso tipico dei bar dove  la fila alla cassa e la confusione portano quasi automaticamente a commettere un errore del genere.

COSA FARE IN CASO DI SCONTRINO ERRATO

In primis non farsi prendere dal panico, succede, si verifica sovente, soprattutto  in   attività  dove   l’operatore  alla   cassa   è   fortunatamente ancora l’uomo  e non il robot, è caso tipico dei bar dove tra la fila alla cassa e la confusione portano quasi automaticamente a commettere un errore del genere. La  norma  che  disciplina  la  fattispecie  in  esame  è  il  d. P. R. 633/72 art. 24 (consiglio personalmente di  leggere anche l’articolo 22),   si  devono distinguere due ipotesi o momenti di rilievo:

a)   lo  scontrino  errato  è  stato  rilasciato  (il  cliente  se  è  andato  e  non  è recuperabile la sua copia);

b)  lo scontrino errato non è stato rilasciato.

Nel caso a) ossia quando lo scontrino è stato rilasciato al cliente, se ne deve dare indicazione “per  giustificati motivi” nel  registro dei  corrispettivi 1o  sul  registro di prima nota (sostitutivo del reg. Dei corrispettivi quando quest’ultimo non viene tenuto presso il luogo ove si svolge l’attività) , di fatto in questa situazione lo scontrino errato non può essere annullato.

Nel   caso   b),  quando   si   è   “battuto”  lo   scontrino   accorgendosi   immediatamente dell’errore, si    evita  l’ipotesi  della  consegna  al  cliente  con  impossibilità  di  poter tornare   in   possesso   della   relativa   copia   e   si   risolve   il   tutto annullando lo scontrino errato riportando su di esso    idonea annotazione ed annessa causa (scontrino errato per errata digitazione/battitura)  ed   allegandolo  allo   scontrino  di chiusura giornaliero.

Il termine per la registrazione dei corrispettivi: -“la registrazione dei corrispettivi deve essere effettuata entro il primo giorno non festivo successivo all’incasso del corrispettivo o alla cessione del bene se antecedente”.

Decreto legislativo n. 119 del 18 luglio 2011.

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In attuazione dell’art. 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183 – recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi – è stato emanato il decreto legislativo n. 119 del 18 luglio 2011. Tale decreto prevede, agli artt. 2 e 8, alcune novità riguardanti i congedi e permessi riconosciuti alle lavoratrici ed ai lavoratori dipendenti in occasione dell’evento di maternità/paternità. In particolare, l’art. 2 del presente decreto dispone testualmente: “all’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità di cui al D. Lgs. 151/2001, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “1 bis. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute. ”  

In attuazione dell’art. 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183 – recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi – è stato emanato il decreto legislativo n. 119 del 18 luglio 2011. Tale decreto prevede, agli artt. 2 e 8, alcune novità riguardanti i congedi e permessi riconosciuti alle lavoratrici ed ai lavoratori dipendenti in occasione dell’evento di maternità/paternità.

In particolare, l’art. 2 del presente decreto dispone testualmente: “all’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità di cui al D. Lgs. 151/2001, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “1 bis.

Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione, nonchè in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute. ”

Il successivo art. 8 recita: “all’art. 45 del D. Lgs. 151/2001 sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1 le parole “entro il primo anno di vita del bambino” sono sostituite dalle seguenti “entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia; b)…”. Si forniscono di seguito le istruzioni relative alle disposizioni normative sopra citate. 1. Modifica della disciplina del congedo di maternità di cui all’art. 16 T. U. In caso interruzione di gravidanza successiva al 180° giorno nonché in caso di decesso del nato al momento della nascita o nei periodi di congedo post partum(art. 2 del d. Lgs. 119/2011) Come noto, il comma 1 dell’art. 16 del T. U. Prevede il divieto del datore di lavoro di adibire al lavoro le lavoratrici in avanzato stato di gravidanza nonché durante il periodo di puerperio. Ne consegue che, ove la lavoratrice, anche con il proprio consenso, prestasse attività di lavoro nei periodi di congedo indicati dall’art. 16 del T. U. , il datore di lavoro incorrerebbe nella sanzione prevista al successivo art. 18, ossia nell’arresto fino a sei mesi. Con l’entrata in vigore dell’art. 2 del decreto 119/2011, che ha aggiunto all’art. 16 del vigente T. U. Il comma 1 bis, il legislatore – fermo restando, in circostanze normali, il divieto per il datore di lavoro di adibire la lavoratrice all’attività lavorativa  nei periodi di cui all’art. 16 – ha introdotto la possibilità per la lavoratrice di riprendere, in presenza di particolari eventi e a determinate condizioni, l’attività lavorativa, rinunciando in tutto o in parte al congedo di maternità post partum.

Gli eventi che consentono alla lavoratrice in congedo di maternità di optare per la ripresa del lavoro sono: l’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione; il decesso del bambino alla nascita ovvero durante il congedo di maternità. Riguardo all’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza, si ritiene che la facoltà di riprendere l’attività lavorativa sia riconoscibile anche in caso di interruzione verificatasi in coincidenza del 180° giorno (messaggio Inps n. 9042 del 18. 04. 2011).

La facoltà in esame è esercitabile a condizione che il ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) oppure convenzionato con il SSN ed il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro attestino che la ripresa dell’attività non arrechi pregiudizio alla salute della lavoratrice interessata.

La norma prevede anche un preavviso di 10 giorni al datore di lavoro. Tanto premesso, per gli aspetti di competenza dell’Istituto, si precisa quanto segue. La lavoratrice che riprende l’attività lavorativa, rinunciando in tutto o in parte al congedo di maternità post partum, non ha diritto all’indennità di maternità a decorrere dalla data della ripresa dell’attività stessa. Pertanto, i datori di lavoro tenuti all’anticipazione dell’indennità di maternità per conto dell’Inps, potranno portare a conguaglio le somme anticipate a tale titolo fino al giorno precedente alla data della ripresa dell’attività lavorativa. Al fine di verificare quanto sopra, occorre che la lavoratrice porti a conoscenza dell’Istituto l’evento che ha reso possibile l’esercizio dell’opzione in esame nonché la data in cui è avvenuta la ripresa dell’attività lavorativa. In particolare, in caso di interruzione di gravidanza la lavoratrice produrrà all’Istituto, come di regola, certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto e certificazione sanitaria attestante la data in cui si è verificata l’interruzione di gravidanza. Riguardo all’altra ipotesi – ossia decesso del bambino verificatosi al momento del parto oppure durante il periodo di congedo post partum – la lavoratrice che intenda avvalersi della facoltà di cui trattasi presenterà all’Inps il certificato di morte del bambino oppure, in alternativa, dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’art. 46 del d. P. R. 445/2000.

La data di ripresa dell’attività è invece comprovata dalla lavoratrice mediante dichiarazione sostitutiva di fatto notorio, ai sensi dell’art. 47 del medesimo d. P. R. 445/2000. In particolare l’interessata è tenuta a dichiarare sotto la propria responsabilità: di aver presentato al datore di lavoro le specifiche attestazioni mediche previste dal comma 1 bis, nelle quali è dichiarato che le proprie condizioni di salute sono compatibili con la ripresa del lavoro; la data di ripresa dell’attività lavorativa. Sarà cura delle singole Strutture territoriali dare la più ampia diffusione possibile alle disposizioni fornite con la presente circolare mediante le modalità di comunicazione all’Utenza ritenute più adeguate. Si fa presente infine che le istruzioni sopra fornite trovano applicazione anche riguardo alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della L. 335/1995. Infatti, considerato che, a seguito dell’entrata in vigore del D. M. 12. 07. 07, il divieto di prestare attività lavorativa nei periodi di cui all’art. 16 T. U. è esteso anche le lavoratrici iscritte alla gestione separata (circ. 137/2007), appare evidente che la modifica normativa oggetto d’esame – innovativa dell’art. 16 T. U. – debba trovare applicazione anche nei confronti di tali categorie di lavoratrici.

2. Modifica formale del comma 1 dell’art. 45 del T. U. In materia di riposi giornalieri “per allattamento” in caso di adozione o affidamento (art. 8 del D. Lgs. 119/2011) L’art. 8 del decreto in esame modifica il comma 1 dell’art. 45 del T. U. Disponendo che i riposi giornalieri per allattamento, in caso di adozione o affidamento, sono fruibili “entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia” anziché “entro un anno di vita del bambino”. La novella in esame, tuttavia, interviene esclusivamente da un punto di vista formale posto che, sul piano sostanziale del diritto, già a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 104 del 9 aprile 2003, i riposi in questione sono fruibili dai genitori adottivi/affidatari entro un anno dall’ingresso in famiglia del minore. Si rammenta infatti che la Corte costituzionale, con la citata sentenza, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 45 del T. U. Nella parte in cui prevede che i riposi giornalieri di cui agli artt. 39, 40 e 41 del T. U. “si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento, “entro il primo anno di vita del bambino” anziché “entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia”. Pertanto, sull’argomento in esame si rimanda alle istruzioni a suo tempo fornite con circolare n. 91 del 26. 05. 2003.  

Nuovi Minimi Focus sui requisiti soggettivi e sull’età

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Il nuovo regime dei minimi entrerà in vigore dal 1° gennaio 2012 (articolo 27, Dl 98/2011), esaminiamo in sintesi  due aspetti principali : 1. Requisiti soggettivi per i nuovi minimi; 2. No anagrafe o inesistenza del limite di età.

Nuovi Minimi Focus sui requisiti soggettivi e sull’età

Il nuovo regime dei minimi entrerà in vigore dal 1° gennaio 2012 (articolo 27, Dl 98/2011), esaminiamo in sintesi  due aspetti principali :

1.       Requisiti soggettivi per i nuovi minimi;

2.       No anagrafe o inesistenza del limite di età.

 
Requisiti soggettivi per i nuovi minimi

In ordine al requisito della nuova attività bisogna fare riferimento all’articolo 13 della legge 388/2000 (nuove iniziative produttive o vecchio forfetino visitabile su www. Omniatax. Net ) e alle circolari emanate al riguardo dall’agenzia delle Entrate (1 e 8 del 2001).

 
Infatti, l’accesso al regime dei minimi, richiede che il contribuente non debba avere esercitato nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività, alcuna attività professionale, d’impresa anche in forma associata o familiare; inoltre la nuova attività non deve costituire in nessun modo la prosecuzione di altra attività svolta sottoforma di lavoro dipendente. Appare eccessivo escludere dal regime un soggetto che sia stato lavoratore subordinato in settore analogo a quello relativo alla nuova attività intrapresa.  

Il divieto, secondo le indicazioni fornite a suo tempo dall’agenzia delle Entrate, dovrebbe riguardare l’ipotesi in cui il soggetto prosegua l’attività nei medesimi locali e nei confronti della clientela già servita. La norma prevede che il nuovo regime possa essere applicato anche ai soggetti che hanno iniziato l’attività dopo il 31 dicembre 2007. Nella fattispecie non necessariamente tali contribuenti nel corso del 2011 devono applicare il regime dei contribuenti minimi, ma possono rientrare sia nel regime delle nuove iniziative produttive che nel regime di contabilità semplificata. In questo caso i soggetti che attualmente non applicano il regime dei minimi, ma che vi possono rientrare rispettandone i limiti, possono transitarvi se non sono vincolati ad altro regime per effetto di opzione.

Inoltre, i contribuenti già in attività al 1° gennaio 2008, con ogni probabilità dovrebbero anch’essi rispettare i nuovi requisiti di accesso ovvero, il non aver svolto attività nel triennio precedente alla data di inizio e che l’attività svolta non sia il proseguimento di altre.  

Inesistenza del limite di età

Tra le cause di esclusione non c’è l’anagrafe: il regime dei minimi può benissimo essere sfruttato da persone avanti negli anni, come pensionati o lavoratori che hanno perso l’impiego. Quello che cambia è la permanenza: normalmente, infatti, si potrà sfruttare la tassazione di favore per un massimo di cinque anni (a patto, ovviamente, di mantenere per tutto questo periodo i requisiti). I giovani al di sotto dei 35 anni, invece, avranno più tempo, perché – a prescindere dalla data di ingresso nell’agevolazione – potranno restarvi fino al periodo d’imposta in cui compiono il 35° anno d’età. Naturalmente i giovani avranno maggiori opportunità di accedere al regime, dato che è più facile che a centrare i requisiti previsti dalla normativa sia un’impresa di nuova costituzione.  

Redditometro: Nullatenente proprietario di tre automobili

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Redditometro: Nullatenente proprietario di tre automobili

Motivi della decisione La CTR ha affermato che “E’ illegittima l’applicazione del redditometro a persona disoccupata

Le due autovetture Golf 1600. E Fiat Croma sono state per possesso e uso della società XXXXX s. R. L. Come da contratto di comodato. La terza vettura non risulta mai acquistata”.

Sentenza

Cassazione Civile Sent. N. 12448 del 08-06-2011

Svolgimento del processo

Il reddito 1995 di R. A. , che non aveva presentato dichiarazione Irpef, fu accertato in base al D. M. 10 settembre 1992, risultando egli proprietario di tre autovetture e di un motorino. La CTR della Campania ha annullato l’avviso. L’Agenzia ricorre per la cassazione della sentenza con due motivi.

Motivi

Motivi della decisione La CTR ha affermato che “E’ illegittima l’applicazione del redditometro a persona disoccupata.

Le due autovetture Golf 1600. E Fiat Croma sono state per possesso e uso della società Riccio s. R. L. Come da contratto di comodato. La terza vettura non risulta mai acquistata”. Col ricorso si deduce violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, e vizio di motivazione illogica.

Si trascrive i contenuto dell’atto di trascrizione al PRA, prodotto in giudizio, nel quale risulta annotato il trasferimento della vettura Mercedes da R. A. Alla Riccio s. R. L.

Avvenuto il 27. 12. 1996; si osserva che ai fini dell’applicazione degli indici di capacità contributiva di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, la condizione di disoccupazione è irrilevante; si aggiunge che la disponibilità delle autovetture non è esclusa dal fatto che siano risultate affidate in comodato ad altre persone.

Il ricorso è fondato.

Il D. M. 10 settembre 1992 individua la disponibilità dei beni indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva ai fini dell’applicazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, nella condizione di chi “a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni”.

Vi rientra certamente anche la condizione dell’intestatario che concede il bene in uso gratuito a terze persone.

Scopo della normativa è quello di individuare fonti di reddito non dichiarate, sicché la titolarità di un reddito da lavoro è certamente estranea alla logica dell’istituto. L’affermazione che la vettura Mercedes “risulta in atti mai acquistata e in possesso del signor R. A. ” contrasta in modo palese con la risultanza del PRA che ne indica la cessione, avvenuta il 27. 12. 1996, dal contribuente alla omonima società.

Va dunque accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata.

La causa va decisa nel merito col rigetto dell’originario ricorso del contribuente, introduttivo della lite, poiché non sono necessari altri accertamenti di fatto (art. 384 c. P. C. ).

Possono compensarsi le spese dei gradi di merito. Quelle del giudizio di legittimità debbono seguire la soccombenza.

P. Q. M. Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e – decidendo nel merito – rigetta il ricorso originario del contribuente, introduttivo della lite.

Compensa fra le parti le spese dei giudizi di merito.

Condanna il contribuente a rimborsare quelle del giudizio di legittimità, liquidate in Euro. 1. 000 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

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