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Focus del Fisco su Fusioni, cessioni del credito, svalutazione con riflessi nelle imposte dirette e reati tributari

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Focus del Fisco su Fusioni, cessioni del credito, svalutazione con riflessi nelle imposte dirette e reati tributari

Il processo

Fatto – Diritto P. Q. M.  Svolgimento del processo – Motivi della decisione  Con decreto di citazione diretta del 15. 12. 2009 –Omissis– quale legale rappresentante della società –Omissis–, è stato rinviato al giudizio della prima sezione del Tribunale di Milano per rispondere del reato di cui all’art.  4 D. Lgs. 74/2000, relativamente al periodo di imposta 2006, commesso in Milano il 31. 12. 2007. Alla prima udienza dibattimentale del 23. 6. 2010 il giudice ha dichiarato la contumacia dell’imputato, che tale è rimasto fino all’udienza del 4. 5. 2011, quando si è presentato a rendere l’esame.

Tribunale Milano Sez. I, Sentenza, 22-07-2011 IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE
Perdite, minusvalenze, sopravvenienze passive, Redditi d’impresa, Cessione di credito.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MILANO PRIMA SEZIONE PENALE

All’odierna udienza –Omissis– era assente. Alla medesima prima udienza il giudice ha ammesso le prove orali richieste dalle parti (l’esame dei testi e dei consulenti del P. M. E della difesa e l’esame dell’imputato richiesto da entrambe le parti). Le parti hanno chiesto di essere autorizzate alle produzioni documentali all’udienza successiva e il giudice ha accolto la richiesta.

All’udienza del 10. 11. 2010 il P. M. Ha prodotto la documentazione di cui ha chiesto l’acquisizione, mentre la difesa vi aveva già provveduto in cancelleria. Le parti si sono riservate di interloquire sulle produzioni dell’altra. è stato esaminato il teste del P. M. All’udienza del 9. 2. 2011 sono stati esaminati i testi della difesa

Il giudice ha disposto l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti. All’udienza del 4. 5. 2011 sono stati esaminati i consulenti della difesa In conclusione d’udienza è stato esaminato l’imputato. All’odierna udienza, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale, le parti hanno concluso come riportato nell’intestazione e il giudice ha pronunciato sentenza con la lettura del dispositivo.

La contestazione

E’ accusato di avere presentato, quale legale rappresentante della –Omissis– la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2006 indicando elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, congiuntamente alla ricorrenza delle due condizioni previste dalla norma: – l’imposta evasa era pari a Euro 3. 069. 450,17 (per l’IRES), quindi superiori al limite di Euro 103. 291,38; – l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione è superiore al limite di legge di Euro 2. 065,828 (pari a Euro 9. 301. 365,79). Nell’imputazione è contestato il dolo specifico del reato, essendo la condotta diretta a evadere le imposte. Il reato è contestato come commesso il 31. 12. 2007, cioè al momento della presentazione delle dichiarazioni dei redditi.

Le prove a carico dell’imputato

Si reputa opportuno descrivere in questi primi paragrafi le contestazioni formulate dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di, per procedere nella seconda parte della sentenza a valutare i tenti critici introdotti dalla difesa, che, lo si anticipa, non riguardano i tatti accertati nel corso della verifica, ma l’interpretazione delle norme applicabili.

I rilievi dell’Agenzia delle Entrate

La contestazione di dichiarazione infedele mossa al legale rappresentante di –Omissis– si fonda su 6 rilievi descritti dall’AdE, nel p. V. C. Del 23. 7. 2009. Prima di affrontare il contenuto degli stessi è opportuno rilevare che, a parte la prima, tutte le contestazioni si fondano su una diversa interpretazione da parte dell’ufficio della normativa applicata dalla società verificata. è probabile che tale circostanza abbia indotto l’ufficio tributario a non formulare ancora la contestazione nei confronti dell’imputato, perché, come precisato dal teste {*******} all’inizio del suo esame “.

Questa è una verifica, non è ancora un accertamento, perché il processo verbale di contestazione, che è poi il risultato della nostra attività, è prodromico ali accertamento, che è del protratto in positivo. Diciamo il processo verbale di constatazione fotografa quello che noi abbiamo visto e vengono riportate quelle che sono le contestazioni che poi verranno valutate dall’ufficio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

(1) Sin dall’illustrazione del rilievo 2, –Omissis– ha definito l’ambito della contestazione, fondato, appunto su una contestata applicazione della normativa tributaria da parte della banca. Infatti, proprio con riferimento a quella contestazione, –Omissis– ha osservato che “. Veramente la parte non era d’accordo perché trattasi di questioni di diritto, a volte questioni interpretative, quindi si discute”(2), così sintetizzando la questione “.

In sostanza qui abbiamo notato che la parte ha effettuato il confronto, la comparazione tra i bilanci e dal confronto veniva fuori che la società era vitalizia. Però ci siamo accorti di un errore di fondo, perché in sostanza la società è andata a confrontare i bilanci redatti in base a principi contabili differenti. Perché nel 2005 –Omissis– la società incorporata, era passata dai principi contabili nazionali a principi contabili internazionali”(3). Il teste è stato ancora più esplicito rispondendo ad alcune domande del giudice, quando ha così definito l’ambito delle contestazioni: “GIUDICE – Scusate se intervengo, mi pare di aver capito che sia una valutazione diversa che voi avete fatto rispetto alla valutazione che aveva fatto la società? TESTE –Omissis– – Certo, si. GIUDICE – Questo è il punto. Il profilo era che voi avete valutato sulla certezza e precisione e sulla convenienza e quindi sulla base di questo.? TESTE –Omissis– Abbiamo fatto una valutazione diversa da loro. GIUDICE – Diversa da loro. TESTE –Omissis– – Però la documentazione ci è sempre stata data. GIUDICE – Ma su questo è stato chiaro. TESTE –Omissis– – C’è stata sempre la massima disponibilità. GIUDICE – Il problema è della valutazione diversa che hanno fatto su alcuni profili, anche sulla grati parte ha spiegato qual è la valutazione diversa che hanno fatto. “(4). Ancora, rispondendo al difensore dell’imputato, ha individuato nell’applicazione del D. Lvo 38/2005, la previsione normativa su cui si basa la contestazione, in quanto “. Il decreto 38 del 2005 ha introdotto la possibilità e la facoltà per altri soggetti di utilizzare i principi internazionali in luogo dei principi contabili nazionali. ” {******} ha soggiunto che lo stesso decreto introdusse per le banche l’obbligo di applicare i principi contabili internazionali IAS – IFRS e –Omissis– vi adempì nella redazione del bilancio di quell’anno(6). Infine, al termine dell’esame della difesa, –Omissis–, ha precisato i termini del contrasto interpretativo: “GIUDICE – Allora, siccome avevo capito un altra cosa, perché avete ritenuto violato il 109, lei la prima risposta che ha dato è perché questa inapplicabilità è a partire dal 2008, questa è la vostra valutazione? TESTE –Omissis– – A partire dal 2008, sì, e già dovrebbe chiudere la questione. GIUDICE – Questa è la vostra valutazione? TESTE. –Omissis– – certo. AVV. –Omissis– – Quindi, mi scusi, in base alla vostra valutazione non è corretto dire che la disciplina della legge finanziaria del 2008 e relativo decreto di attuazione si applicava per esplicita previsione di legge anche alla determinazione del reddito imponibile relativo al periodo di imposta 2006? TESTE –Omissis– – Per noi si applica va dal primo gennaio 2008. AVV. –Omissis– -Okay. TESTE –Omissis– – Cioè dal 2005 al 2008 cera il doppio binario, quindi Ias – fiscale. AVV. –Omissis– – E sulla base di questa considerazione poi si sono basati, tra le altre cose, anche i rilievi dove è prevista la violazione del 109? TESTE –Omissis– – Soprattutto il 3 che è impostato solo sul 109, mentre gli altri sono impostati sul 101, mancano i requisiti di certezza e precisione sugli altri; invece sul rilievo numero 3. GIUDICE – No, però non è chiaro. Lei ha detto c’era il doppio binario, cosa significa? TESTE –Omissis– – Il doppio binario significa che, in sostanza, la società doveva redigere il bilancio applicando i principi Ias e poi doveva adeguare le poste alle disposizioni fiscali. Ad esempio, se un ricavo e un costo. GIUDICE – Certo, no, questo io l’ho capito. TESTE –Omissis– -.

Di competenza del 2005, ma in base alle disposizioni fiscali la competenza non è 2005,, ma è 2006, in sede di dichiarazione doveva adeguarsi. GIUDICE – Quindi il doppio binario non significa che poteva applicare l’uno e l’altro? TESTE –Omissis– – No, no. GIUDICE – Doveva applicarli tutti e due? TESTE –Omissis– – Tutti e due, sì; come è sempre stato poi tra fiscale e civile sempre il doppio binario”(7).

La questione qui riassunta (su cui si sono soffermati in modo specifico i consulenti della difesa) è dirimente per la verifica della gran parte delle contestazioni formulate.

Il rilievo

1. Il primo rilievo è autonomo rispetto agli altri, perché ha per oggetto una contestazione estranea al terna appena introdotto.

L’ufficio contestò a –Omissis– una violazione determinata da un mero errore di valutazione compiuto dalla società verificata. Dopo avere richiamato la norma violata, l’art. 87 T. U. I. R. , –Omissis– ha precisato la violazione contestata “.

Nel senso che la società ha venduto, ha ceduto nel periodo di, imposta 2006 una partecipazione; da questa partecipazione ha realizzato una plusvalenza che è interamente esentati da tassazione ai sensi dell’art. 87.

Però l’Art. 87 per l’esenzione richiede dei requisiti, tra cui l’ininterrotto passesso della partecipazione per diciotto mesi. In questo caso per cura parte, poiché la partecipazione era stata acquisita in due momenti differenti, per una parte la partecipazione non possedeva i requisiti e quindi è stato ricalcolato, diciamo l’importo della plusvalenza esente, la differenza che andava tassata è stata diciamo segnalata per il recupero a tassazione. “(8) A domanda del P. M. , –Omissis– ha poi spiegato che quella contestazione fu sostanzialmente ammessa dalla parte, perché “.

Si tratta di un errore, tua per chi ha conoscenza della materia si vede; cioè è un errore proprio nella determinazione. Tra l’altro su un importo di un milione e 600 della plusvalenza vi era una differenza di imponibile di 113 mila euro. Cioè il rilievo numero 1 effettivamente è un errore fatto. “(9) 3. 1. 2 – Il rilievo 2. La descrizione del rilievo è riportata dalla deposizione di –Omissis– che ne ha fornito una chiara definizione: “TESTE –Omissis– –

Il rilievo numero 2 riguarda un operazione di fusione per incorporazione. La società nel corso dell’esercizio 2006 ha incorporato una partecipata al 100 per cento, con effetti civilistici dal primo gennaio 2006, dal primo settembre 2006 retrodatazione degli effetti fiscali. Nel caso in esame abbiamo applicato il disposto del 172 comma 7, che è una norma antielusiva, che tratta. P. M. – Sempre del Tuir? TESTE –Omissis– – Del Tuir. Che tratta della deducibilità delle perdite delle imprese partecipanti, delle perdite pregresse relativamente alle imprese partecipanti ad un operazione di fusione. Cioè la ratio della nonna in sostanza è evitare che si possa fare il cosiddetto commercio delle bare fiscali, quindi società costantemente in perdita che vengono acquisite e incorporate con il fine esclusivo di poter utilizzare le perdite. “(10) –Omissis– contabilizzò in bilancio una perdita pregressa della società incorporata, la {****} s. P. A, per Euro 1. 066. 000. (11) Le questioni contestate sono due, tratte entrambe dalla previsione dell’art. 172, comma 70 del T. U. I. R. : – il mancato superamento del test di vitalità; – l’avvenuta svalutazione da parte di della partecipazione in relazione perdite pregresse. (12) Con riferimento al primo punto della contestazione, il rilievo svolto dalla GdF è semplice.

L’art. 172, comma 70 del T. U. I. R.  prevede che al test di vitalità si proceda attraverso la comparazione dei bilanci dell’anno in cui si attua la fusione e quello dell’anno precedente. Nel caso dell’operazione –Omissis– i due bilanci, quello relativo all’anno 2005 e quello relativo all’anno 2006, erano stati redatti con regole difformi, il primo secondo i principi contabili nazionali, il secondo in base a quelli internazionali, definiti principi contabili internazionali IAS – IFRS. Secondo –Omissis– è scorretta la comparazione tra bilanci redatti in base a principi contabili difformi, per cui gli stessi avrebbero dovuto essere omogeneizzati a quel fine. L’omogeneizzazione fu compiuta dai verificatori sulla base dei principi contabili nazionali, operazione che determinò il mancato superamento da parte di –Omissis– del test di vitalità. (13) –Omissis– ha ribadito che con riferimento a tale rilievo –Omissis– contestò la legittimità dell’operazione, rilevando che la norma impone la comparazione tra bilanci, senza indicare la necessità di omogeneizzazione(14). Con riferimento alla seconda violazione, ha –Omissis– riferito che “. Inoltre ad abundantiam abbiamo controllato anche se erano state effettuate svalutazioni. Perché il 172 comma 7 oltre al test di vitalità prevedeva la possibilità di utilizzare le perdite pregresse, però fino a concorrenza delle svalutazioni già dedotte. Se avevi già dedotto svalutazioni su quella partecipazione, non potevi dedurre fino a concorrenza delle svalutazioni la perdita pregressa. In sostanza, chiedendo sempre la documentazione alle parti, ci siamo accorti che erano state fatte svalutazioni pregresse delle partecipazioni superiori all’ammontare della perdita pregressa. Quindi c é la violazione. “(15)

Il rilievo 3

Il rilievo riguarda la gestione dei crediti in sofferenza e si articola in tre categorie: 1. I crediti relativi a clienti debitori soggetti a procedura fallimentare; 2. I crediti transatti; 3. I crediti in bonis; Per la prima categoria la contestazione è relativa al periodo di competenza nel quale fu compiuta la svalutazione.

Così –Omissis– ha sintetizzato la violazione: “la violazione nasce dal combinato disposto 101 comma 5 e 109 comma 1 che è la competenza.

Ci siamo accorti che pur sussistendo i requisiti di certezza e precisione, le perdite erano state dedotte in un’annualità che non era diciamo quella di competenza, in sostanza. “(16)

Nella valutazione dei crediti svalutati (17), i verificatori ritennero che non sussistessero, ai sensi dell’art. 109, comma 10 T. U. I. R. , i criteri di certezza e precisione che consentono di svalutare i crediti nei confronti di soggetti falliti qualora la svalutazione non fosse stata compiuta nell’annualità in cui era stato dichiarato il fallimento.

L’ufficio propose il recupero delle perdite per Euro 1. 842. 150, 28(18). Nel corso dell’esame dibattimentale –Omissis– ha richiamato quell’accertamento, precisando che “. L’art. 101 comma 5 in deroga alla dimostrazione dei requisiti di certezza e precisione semplice, in sostanza, di presenza dei requisiti di certezza e precisione quando c’è la procedura fallimentare del creditore.

Però non bisogna dimenticare che in ogni caso i componenti negativi di reddito devono sempre rigettare quelli che sono i criteri generali di deducibilità dei componenti negativi e cioè il criterio fissato dal legislatore nel 109, quindi rispettare l’anno di competenza.

Altrimenti si lascerebbe al contribuente la discrezionalità”. (19) Sulla base di questa premessa, l’operante ha soggiunto che esclusero la ricorrenza dei requisiti di certezza e precisione della perdita(20).

Quanto ai crediti transatti, la contestazione contenuta nel p. V. C. Consiste esclusivamente nella diversa valutazione d’inquadramento dell’operazione di transazione come perdita su crediti. L’ufficio propose il recupero dell’imponibile di Euro 45. 920,30, non ritenendo sussistenti gli elementi certi e precisi richiesti dal combinato disposto degli artt. 101, comma 5° e 109, comma 1 ° T. U. I. R. Nel corso dell’esame {Iervolino} non ha fornito elementi ulteriori, precisando solo che “.

La giustificazione è quella generica, che in sostanza la società non riteneva conveniente proseguire ad aprire un contenzioso per quell’importo”(21).

Per quanto concerne i crediti in bonis, i verificatori ritennero del tutto insufficiente la documentazione prodotta dalla parte per dimostrare gli elementi certi e precisi richiesti dal combinato disposto degli artt. 101, comma 5° e 109, comma 1° T. U. I. R(22).

Nel corso dell’esame –Omissis– ha precisato che “. No, la banca ha sempre fornito tutti gli elementi di fatto, cioè su questo. Cioè la banca ha fornito tutta la documentazione! Fin dal primo momento in cui abbiamo fatto la verifica c’è stata piena disponibilità della parte, e questo lo tengo a sottolineare! Cioè ha fornito tutta la documentazione di dettaglio, prospetti. E poi è ovvio che quella documentazione noi non l’abbiamo considerata sufficiente ai fini della dimostrazione dei requisiti di certezza e precisione, però la banca ha fornito la documentazione. “(23). Con riguardo ai crediti in bonis, l’ufficio propose il recupero di Euro 174. 500,87.

Nel p. V. C. Gli operanti fornirono la giustificazione della loro diversa valutazione, richiamando la giurisprudenza di legittimità in merito alle modalità di contabilizzazione delle perdite sulle diverse tipologie di crediti(24). 3. 1. 4 –

Il rilievo 4

Il rilievo concerne la svalutazione integrale di alcuni crediti in sofferenza. Quel tipo di perdite non è disciplinato dal T. U. I. R. , per cui, a parere dell’ufficio la loro svalutazione era assoggettata all’art. 101, comma 5°.

L’ufficio propose il recupero di Euro 628. 804,95 sulla base dell’analisi dei fascicoli prodotti dalla banca. Nel p. V. C. Sono elencate le singole operazioni, con la valutazione dell’ufficio che contesta la svalutazione integrale in relazione ad alcune posizioni.

Nello stesso p. V. C. I verificatori giustificarono le ragioni della contestazione, con richiamo alla giurisprudenza di legittimità(25). Nel corso dell’esame –Omissis– ha precisato che “Il punto 4 riguardava sempre l’applicazione del 101 comma erano in sostanza svalutazioni a zero. Qui bisognerebbe fare una premessa sulla disciplina fiscale, perché il legislatore distingue tra svalutazioni e perdite sii crediti; le svalutazioni vengono disciplinate dal 106 comma 3 e le perdite su crediti al 101 comma 5.

Noi abbiatelo fatto un controllo analitico, sul controllo a campione, mi scusi, delle svalutazioni effettuate dalla banca, per verificare se in questi componeteti di reddito si celassero delle perdite sul crediti.

In particolare abbiamo individuato delle svalutazioni a zero, svalutazioni a zero si intende lo stralcio del credito, l’azzeramento del valore nominale.

La barica le ha trattate ai sensi del 106 comma 3, quindi considerandole interamente deducibili, inviare noi riteniamo che la svalutazione a zero non sia altro che lo stralcio di lui credito, cioè la si fa quando mancano gli elementi per il recupero. “(26)

Il rilievo 5

Su questo profilo è opportuno riportare la sintetica ma chiara descrizione che del rilievo ha fatto –Omissis– nel suo esame: “Il punto 5 è il rilievo più significativo come importo e riguarda la cessione prosoluto di crediti.

Cioè nel corso dell’esercizio 2006 la banca ha effettuato una cessione avente ad oggetto più posizioni di credito nei confronti di altri istituti finanziari. Noi abbiamo analizzato diciamo la documentazione prodotta dalla parte e ci siamo accorti che su alcune posizioni cedute la banca realizzava alla perdita.

In sostanza la differenza tra il prezzo e il valore detto contabile del credito era negativa, quindi incassavamo meno del valore iscritto in bilancio”(27) Subito dopo il teste ha precisato che quelle cessioni riguardavano blocchi di crediti che –Omissis– alienò pro soluto ad altri istituti bancari e che i rilievi proposti dall’ufficio riguardavano singoli crediti all’interno dei blocchi.

I verificatori non fecero una valutazione di convenienza complessiva dei blocchi di cessione, perché, conte affermato dal teste, “il vantaggio delle operazioni noi (rectius non) l’abbiamo valutato, perché applicando rigorosamente diciamo la norma fiscale ogni singolo credito è soggetto ad ima autonoma valutazione.

Quindi noi siamo andati ad analizzare esclusivamente le posizioni che avevano generato delle perdite. “(28) Su quella parte di rilievo, per il quale l’ufficio propose il recupero di Euro 5. 226. 693,95, non fu svolta in concreto attività di verifica circa la certezza e precisione della perdita perché –Omissis– aveva ceduto tutta la documentazione al cessionario, ma la contestazione si fondò sul fatto che “la valutazione della parte poi comunque l’aveva considerata al di allori del 101 comma 5 cioè (se ricordo bene) il parere della parte era di considerarle come delle perdite certe, perché il fatto stesso che le cediamo ad lui, soggetto terzo ci dà la certezza della perdita.

Però l’orientamento della Cassazione è differente, dice che in ogni caso fissa un principio generale quando c’è una cessione prosoluto se si realizza una perdita deve essere assoggettata al sindacato, ai requisiti di certezza e precisione”(29). Nel p. V. C. è contenuta la descrizione delle operazioni di cessione in blocco dei crediti, distinte in tre, due in favore di {Deutsche Bank} per 54 milioni di euro e di 20,2 milioni di euro, una in favore di {Tolomeo Finance} per 22,8 milioni di Euro(30). Anche con riguardo a tale rilievo l’ufficio motivò nel p. V. C. Le proprie valutazioni difformi rispetto a quelle di –Omissis—

Il rilievo 6

Il punto è stato sintetizzato da –Omissis– in poche battute: “.

Da un esame sopravvenienze passive, quindi dei componenti di reddito indicate in bilancio tra le sopravvenienze passive, è emerso l’importo di 169 mila e 700 euro, che secondo noi andava qualificato come perdite su crediti e si trattava di. P. M. – Anche queste, e quindi soggette al 101? TESTE –Omissis– – Perché si trattava di rinunce fatte per crediti vantati nei confronti della clientela.

Ad esempio spessa di istruttoria sui finanziamenti che venivano diciamo (tra parentesi) non addebitati al cliente. “(32).

L’ufficio propose un recupero di perdite su crediti per Euro 149. 700(33) 3. 2 – Le contestazioni della difesa.

La valutazione delle contestazioni difensive, fondate essenzialmente sulle consulenze tecniche acquisite al fascicolo, deve essere svolta attraverso l’inquadramento della normativa primaria e secondaria succedutasi dal 2005 in avanti, a seguito dell’introduzione dei principi internazionali per la redazione dei bilanci.

Il punto centrale, se non decisivo, delle questioni oggetto di questo giudizio è proprio la rilevanza a fini fiscali dei principi contabili internazionali IAS – IFRS. Il contrasto tra la prospettazione accusatoria, fatta propria dal F. M. Sulla base delle valutazioni dell’ufficio tributario, e quella difensiva si incentra sulla diversa interpretazione della normativa introdotta con il d. L. Vo 38/2005 e sugli interventi, essenzialmente di normazione secondaria, diretti a fornire ai contribuenti regole interpretative e applicative certe in una materia che, tra il 2005 e la fine del 2007 era alquanto incerta.

Si sono individuati i due termini temporali dell’incertezza normativa più volte richiamata dai consulenti della difesa, quello iniziale individuato nell’introduzione dei principi contabili internazionali IAS – IFRS nel nostro ordinamento (d. L. Vo 38/2005), quello finale nellalegge 244/2007, che, modificando l’art.  83, comma 1° T. U. I. R.  “per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali. Valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi”(34).

Questo periodo d’incertezza cessò con l’introduzione della cosiddetta “derivazione rafforzata” per le società che redigevano i bilanci secondo i principi contabili internazionali IAS – IFRS.

Sin dall’esame del teste dell’accusa – la difesa ha definito gli elementi di fatto su cui si fonda l’interpretazione proposta dai consulenti tecnici di parte e dagli stessi difensori: – l’introduzione con il d. L. Vo 38/2005 della possibilità di utilizzare i principi contabili internazionali IAS – IFRS nella redazione dei bilanci(35) – per le banche l’utilizzo dei principi IAS – IFRS era obbligatorio a partire dal 2006, tanto che il bilancio di –Omissis– relativo all’anno d’imposta 2006 fu redatto in base a quei principi contabili(36); – la previsione contenuta nel D. M. 48/2009, che, a partire dal 1 gennaio 2008, ha reso inapplicabili per i soggetti IAS adopter, i commi 1° e 2″ dell’art. 109 T. U. I. R. (37) – la contestazione delle violazioni nei confronti di –Omissis– fu determinata dal fatto che il D. M. Indicava il termine di inapplicabilità al 1. 1. 2008 e inoltre le violazioni contestate non riguardavano solo l’art. 109 T. U. I. R. (38). Su quest’ultimo punto la difesa ha formulato alcune contestazioni, ritenendo che prima la l. 244/2007 (la “finanziaria” del 2008), quindi il D. M. 48/2009, ancora la circolare dell’AdE n. 42/E del 3. 8. 2010 e, infine, la circolare dello stesso ente n. 7/E/201I del 28. 2. 2011, avevano affermato l’inapplicabilità non del solo art. 109 T. U. I. R. , ma più in generale di tutte le norme incompatibili con i principi contabili internazionali IAS – IFRS, e, quindi, imponesse per i soggetti IAS adopter il criterio di derivazione rafforzata. Sotto il profilo metodologico, ha ragione la difesa (impostazione che è stata sostanzialmente confermata anche dal teste d’accusa –Omissis–.

La questione dirimente nel processo, per valutare i rilievi contenuti nel p. V. C. , è se l’insieme dei principi IAS – IFRS fosse applicabile a fini fiscali, cioè se –Omissis–, soggetto IAS adopter, dovesse utilizzare il principio di derivazione rafforzata. Come rilevato nella descrizione degli addebiti mossi a –Omissis– ha dato atto alla società verificata di avere messo a disposizione, con spirito di collaborazione e trasparenza, tutta la documentazione fiscale, ribadendo che la gran parte delle contestazioni formulate derivavano esclusivamente da una diversità di interpretazione della normativa fiscale applicabile. Se così è, appare indispensabile, prima di procedere alla verifica degli specifici rilievi, valutare la questione qui prospettata, se cioè per l’anno d’imposta 2006 valesse per –Omissis–il principio di derivazione rafforzata, che consentiva (o imponeva) alla società di adottare anche ai fini fiscali i principi internazionali di redazione del bilancio stabiliti nello IAS – IFRS. La questione è stata affrontata per la prima volta nel processo dal consulente della difesa –Omissis–, incaricato da –Omissis– di fornire una valutazione dei termini di applicazione ai fini fiscali della normativa internazionale.

La risposta resa dal consulente in udienza è molto chiara nell’esprimere la tesi sostenuta nel processo (ma anche nell’ambito del contenzioso tributario) dalla società e può così essere riassunta: – l’obbligatorietà dell’applicazione dei principi IAS – IFRS per le società bancarie introdotta nel 2005 non era accompagnata da una chiara definizione delle regole applicabili a fini fiscali perché “le norme partivano da un concetto di derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato economico, e quindi da un bilancio redatto secondo i criteri di IAS ben diversi dai principi contabili nazionali. Con una evidente contraddizione dicendo che, laddove un soggetto applichi i principi IAS, non deve avere un carico fiscale diverso dal soggetto che non applicasse i principi IAS”; – alla fine del 2007 il legislatore intervenne affermando “.

Testualmente che c’è una diretta derivazione fiscale, derivazione rafforzata della fiscalità dal risultato di bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali”‘; – i soggetti IAS adopter che si sono trovati “.

A redigere le dichiarazioni dei redditi in questo lasso temporale dal 2005 al 2007 lo ha fatto evidentemente in assenza di norme che specificassero dettagliatamente come andare a trattare in punto fiscale le poste che c’erano state oggetto dl modifiche con gli IAS; non ultimo i crediti che sono, come è noto, il cuore dell’attività bancaria”;

– la norma della fine del 2007 ha affermato testualmente che “di fronte alla palese difficoltà di tenere un doppio binario, si é ritenuto di sposare il cosiddetto principio della derivazione rafforzata”; – il punto fondamentale per il riconoscimento anche ai fini fiscali dei principi internazionali (cioè la derivazione rafforzata) è che la società doveva avere tenuto la contabilità correttamente da un punto di vista IAS;

– la normativa del 2007 valeva per le dichiarazioni fiscali dal 2008 in avanti, è stata integrata da un D. M. Del 2009 (il n. 48 dell’aprile 2009), in cui “viene espressamente indicato che i principi di competenza temporale, previsti dai criteri formali giuridici, vengono superati dai criteri di rilevazione temporale, certezza e determinabilità previsti per gli IAS. Quindi il Decreto Ministeriale 48 e la relazione di accompagno stabiliscono per i soggetti IAS questo principio: quanto viene fatto in principio di temporalità dell’iscrizione in bilancio, competenza, quanto vale ai fini IAS e un criterio di certezza che supera i criteri formali giuridici previsti in precedenza. “;

– il 28. 2. 2011 una circolare ministeriale ha interpretato quella situazione di incertezza normativa, confermando “che, laddove anche nel triennio 2005 – 2007 i contribuenti si siano comportati in punto IAS correttamente, grazie al cantina 61 della Legge 244 art. 1, ulteriormente corroborato dall’art. 6 del D. M 48/2009, valgono anche per i periodi pregressi.

A condizione, ribadisco, che il contribuente si sia comportato in punto bilancistico in modo corretto.

Quindi questo dà efficacia retroattiva ex lege ad un provvedimento altrimenti entrato in vigore il 1° gennaio 2008. Ribadisco sottolineando “se dal punto di vista contabile ti sei comportato correttamente”(39)

La consulenza scritta enuncia in modo più analitico le valutazioni del prof. –Omissis– in merito all’applicabilità della normativa internazionale sin dalla redazione del bilancio del 2006.

La valutazione delle norme riportate dal consulente –Omissis– (a cui l’accusa ha aderito al termine dell’istruttoria dibattimentale) consente di ritenere che –Omissis– abbia correttamente predisposto le dichiarazioni fiscali relative all’anno 2006, adottando, anche a fini fiscali, le regole contabili utilizzate per la redazione dei bilanci.

Si deve preliminarmente osservare che la consulenza di –Omissis– pur riguardando l’interpretazione di norme (attività che è tendenzialmente di competenza delle parti processuali e del giudice), non può essere ritenuta priva di indicazioni da parte di un professionista esperto nella materia.

Il tema delle consulenze “interpretative” è troppo articolato per essere valutato in una sentenza, ma è opportuno rilevare che non sempre l’applicazione di norme giuridiche è autonoma dalla valutazione delle tematiche specialistiche cui quelle norme si riferiscono.

Con particolare riferimento alle regole di redazione dei bilanci, i giuristi sono certamente in grado di valutare la normativa, ma un esperto come –Omissis– può fornire un contributo di conoscenza sui meccanismi sottostanti alla normativa, indispensabili per la sua interpretazione.

L’interpretazione è un’attività complessa, caratterizzata da una reciproca incidenza dei fatti oggetto delle norme rispetto alla loro definizione normativa, l’accertamento degli uni essendo indispensabili per la definizione delle altre e le norme rilevanti anche per la definizione dei fatti da qualificare giuridicamente.

Per questo in materie specialistiche, la valutazione delle norme richiede un contributo di conoscenza da parte dei tecnici della materia(41).

è indubbio che nel 2006, quando divenne obbligatorio per le banche l’adozione dei principi IAS, la situazione normativa era incerta.

Da un lato il d. L. Vo 38/2005 aveva affermato il principio, definito contraddittorio dal consulente, che l’adozione di quei parametri di redazione dei bilanci non potevano differenziare dal punto di vista fiscale il trattamento dei soggetti non IAS adopter.

Dall’altro i soggetti obbligati all’adozione di quei parametri, dovevano mantenere un doppio binario, avrebbe comportato difficoltà e incongruenze.

Il doppio binario era regola incongruente perché poco compatibile con il principio per cui la base di partenza della dichiarazione dei redditi è rappresentata dal risultato di bilancio.

Questa incongruenza appare ancora più evidente se si considerino i principi di fondo delle due normative: da un lato le regole nazionali fondate sulla rappresentazione giuridico – formale delle operazioni aziendali, dall’altro la valutazione degli effetti sostanziali delle operazioni che fondano i principi internazionali.

Secondo i verificatori fiscali, quelle società avrebbero dovuto adottare un bilancio proforma, redatto secondo i principi nazionali, al fine di determinare il reddito imponibile.

Ritiene il giudice che la valutazione proposta dal consulente –Omissis– sia del tutto condivisibile.

D’altronde, dal 2005 in avanti il legislatore prima e l’amministrazione tributaria hanno rilevato l’incongruenza del sistema del doppio binario, giungendo di recente a affermare in modo inequivoco l’applicazione anche al periodo precedente al 2008 la disciplina prevista dai principi contabili IAS – IFRS(42) è opportuno richiamare testualmente la parte di circolare relativa all’applicabilità dei principi IAS – IFRS, che lo stesso consulente –Omissis– ha indicato nella sua consulenza: “Al riguardo, si ricorda che il comma 61 della legge finanziaria per il 2008 ha disposto che “sono fati salvi gli effetti sulla determinazione dell’imposta prodotti dai comportamenti adottati sulla base della corretta applicazione dei principi contabili internazionali, purché coerenti con quelli che sarebbero derivati dalli applicazione delle disposizioni introdotte dal comma 58” (cosiddetta “clausola di salvaguardia”).

Pertanto, sono tatti salvi gli ottetti sulla determinazione dell’imposta per i soggetti che hanno dato rilievo, ai fini fiscali, ai componenti di reddito negativi imputati in bilancio nel rispetto delle regole di determinazione del reddito imponibile per i soggetti IAS adopter come definite dalla legge finanziaria per il 2008 (principio di “derivazione rafforzata”, di cui si dirà più approfonditamente al paragrafo 3. 1).

Resta fermo che, ai sensi delle disposizioni dell’articolo 6 del D. M. 1° aprile 2009, n. 48 (Regolamento IAS), “con riferimento alle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta 200,5, 2006 e 2007, la conformità (alle risultanze di bilancio, ndr) e la coerenza di cui al comma 61 “devono essersi realizzate in tutti i periodi d’imposta per i quali sono state applicate le regole IAS/IFRS, interessati dalla medesima “fattispecie”.

Per la definizione del concetto di fattispecie si rinvia a quanto chiarito nella circolare 10 luglio 2009, n. 33/E avente ad ometto la disciplina per il riallineamento dei valori contabili e fiscali per i soggetti IAS adopter di cui all’articolo 15, comuni da 1 a 9 e 12 bis, deldecreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 10 febbraio 2009, n. 2. (43); 3. 2. 1 –

Il rilievo 1. Su questo rilievo la difesa non ha formulato contestazioni, ammettendo essersi trattato di un errore materiale nella determinazione del reddito e aderendo alla valutazione dell’ufficio. 3. 2. 2

Il rilievo 2. Il secondo rilievo è stato oggetto di valutazione critica da parte del consulente –Omissis– che lo ha definito nei termini esposti da –Omissis– nella sua deposizione, così sintetizzato: “Quindi in sintesi, premesso che il dettato legislativo non prevede di fare dei bilanci proforma, ma dice espressamente bilancio, seconda cosa: anche laddove avessi forzato la norma, a questo punto il Bilancio 2004, scritto anch’esso in una logica IAS, avrebbe portato esattamente ad un valore che era quello, guarda caso, coincidente ai vecchi principi contabili nazionali.

Perché noi vediamo una norma seminai letta in questo senso? Se si può parlare di lettura.

Perché proprio applicando gli IAS come fanno i verificatori, nella fase di passaggio agli IAS l’X1 mi dice che lo devo riscrivere l’ultimo bilancio non IAS secondo i criteri IAS e non assolutamente al contrario. Però ribadisco: il punto centrale fiscalmente è la circostanza che l’art. 172 comma 7 non prevede assolutamente di utilizzare bilanci preferiva, quindi se noti lo dice la norma non vi è motivo per farlo diversamente. “(44) Nel controesame del P. M. , il consulente –Omissis– ha confermato la sua interpretazione dell’art.  172, comma 7° T. U. I. R. , ribadendo che, anche se si ritenesse procedere alla comparazione di bilanci redatti con gli stessi parametri, la voce avrebbe dovuto essere rivalutata anche nel bilancio 2005, se redatto secondo i parametri IAS(45).

Infine, a specifica domanda del giudice, –Omissis– ha precisato che il test di vitalità non sarebbe stato superato solo valutando i due bilanci comparati secondo parametri nazionali, circostanza che, oltre a essere non prevista dalla norma, è contraria alla logica di valutazione della società incorporata, che nel 2006 aveva redatto il bilancio secondo i parametri IAS(46).

Anche con riguardo al secondo requisito contestato dall’ufficio, il consulente ha fornito una risposta che, per la sua chiarezza, è opportuno riportare testualmente: “Il Comportamento è stato questo: nel momento in cui c’è stata la fusione, la società aveva in sé – stiamo parlando della società –Omissis– – delle perdite fiscali.

La norma mi impone di verificare se queste perdite fiscali, che avrei diritto a scomputare una volta entrati nella incorporante, avevo io incorporante Negli esercizi precedenti fatto delle svalutazioni deducibili fiscalmente.

In buona sostanza l’obiettivo è evitare che da un lato goda della svalutazione e da quell’altro della deduzione della perdita fiscale.

Quindi abbiano dovuto confrontare se intanto che l’incorporata faceva le perdite fiscali, noi svaluta valilo le partecipazioni.

Bene, questa svalutazione delle partecipazioni è avvenuta prima che la società incorporata facesse le perdite fiscali e la norma, il 172 comma 7, norma che i verificatori non hanno evidentemente valorizzato, è avvenuta la svalutazione in –Omissis– nell’anno 2003. Mentre le perdite fiscali, come è allegato nel mio parere redatto sul PVC, sono avvenute nell’anno 2004 e 2005. Quindi temporalmente in un periodo anteriore rispetto a quello che è il termine di paragone. “(47). Il giudice ritiene la valutazione di –Omissis– del tutto corretta. Con riguardo al primo profilo, la tesi dell’ufficio secondo la quale –Omissis– avrebbe dovuto procedere alla predisposizione di un bilancio pro – forma secondo i parametri nazionali è smentita dalla norma e dalla logica. L’art.  172, comma 7° T. U. I. R.  prevede esclusivamente il raffronto tra i bilanci e l’obbligatorietà dei principi IAS – IFRS imponeva di considerare il termine di comparazione nel documento contabile redatto dalla società, non prevedendo l’obbligo di bilanci pro – forma. Ma anche a voler ammettere che fosse indispensabile per la società una comparazione tra bilanci redatti secondo principi contabili uniformi, non si comprende le ragioni per cui il test di vitalità avrebbe dovuto essere compiuto sulla base delle regole nazionali, ormai non applicate dalla società verificata. Con riguardo al secondo profilo –Omissis– ha correttamente rilevato che l’art. 172, comma 7° prevedeva il divieto di cumulare perdite fiscali e svalutazioni nello stesso anno, mentre –Omissis– contabilizzò le svalutazioni della partecipazioni a {Ipi} nell’annO 2003, prima che quest’ultima subisse le perdite (avvenute nel 2004 e nel 2005). 3. 2. 3 –

Il rilievo 6

Il rilievo 6 è stato sinteticamente affrontato dal consulente –Omissis– che, dopo avere rilevato l’esiguità della contestazione (Euro 149. 000 di minusvalenze ritenute non deducibili) ha descritto il contenuto dei crediti che ne sono oggetto, sorti in funzione di istruttoria per l’erogazione di finanziamenti.

La banca, per diverse motivazioni di tipo economico ritenne di non proseguire nella riscossione in ragione dell’esiguità dei singoli importi e delle esigenze di marketing che giustificavano la rinuncia(71). Il consulente –Omissis– ha ritenuto non corretta la qualificazione operata dall’ufficio, rilevando che “.

Ad avviso di chi scrive, la collocazione contabile corretta delle rinunce ai crediti in questione è proprio nella voce “sopravvenienze passive” (confluita nella voce 190 dello schema di conto economico previsto per le banche, intestata “altri oneri/proventi di gestione”). Non si tratta, in vero, di una perdita per inesigibilità del credito, ma di una “sopravvenienza passiva” conseguente alla decisione, autonomamente assunta dalla Banca, per ragioni di convenienza economica, di rinunciare alla riscossione del credito. “(72) Al di là della rilevanza del rilievo in relazione alla contestazione formulata, le ragioni addotte dal consulente della difesa appaiono del tutto condivisibili e legittimano, nella logica dei principi IAS – IFRS la deduzione di quelle svalutazioni di credito. 4 – Conclusioni. –Omissis– deve in conclusione essere mandato assolto per insussistenza del fatto. Con riferimento all’unico rilievo sicuramente accertato, la sua entità esclude il superamento dei limiti indicati all’art. 4. Le conclusioni cui questo giudice è pervenuto consentono di non valutare le altre questioni prospettate dalla difesa, che, lo si osserva solo per completezza, avrebbero comunque escluso la responsabilità di –Omissis– in relazione al reato ascrittogli.

Ritiene il giudice che, anche ad aderire all’interpretazione adottata dall’ufficio tributario, è indubbia “l’obiettiva incertezza interpretativa delle norme tributarie analizzate”.

La portata e l’ambito di applicazione dei principi IAS più volte richiamati è stata dalla stessa autorità tributaria ritenuta incerta, al punto da richiedere una pluralità di interventi normativi di vario livello.

Per questo sarebbe comunque applicabile la previsione di non punibilità prevista all’art. 15 d. L. Vo 74/2000. Infine, sotto il profilo soggettivo dovrebbe escludersi la responsabilità dell’imputato in relazione all’adozione di regole di bilancio determinanti la dichiarazione infedele.  P. Q. M.  Visto l’art. 530 c. P. P. assolve –Omissis– dall’imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste. Visto l’art. 544, 3° comma c. P. P. Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione. (1) –Omissis– (^) 10. 11. 2010, p. 4 (2) –Omissis– p. 12 (3) –Omissis– p. 11 (4) –Omissis– p. 24 (5) –Omissis– p. 34 (6) –Omissis– p. 35 (7) –Omissis– pp. 36-37. (8) –Omissis– p. 7 (9) –Omissis– p. 9 (10) –Omissis– p. 10 (11) –Omissis– p. 12 (12) –Omissis– pp. 14 – 15 (13) –Omissis– pp. 11 – 12 ha descritto il rilievo: “. Ai fini della deducibilità l’art. 172 chiede che ricorrono determinati requisiti proprio per evitare il commercio delle bare fiscali, innanzitutto che si superi il cosiddetto test di vitalità, che è un test che viene fissato dalla norma per verificare, per l’appunto, se la società che si sta incorporando nella società redditizia è vitale o se è una bara fiscale, ed è un test che si fa sulla base di dati di bilancio. P. M. – si mettono a confronto i vari bilanci dei vari anni? TESTE –Omissis– – Dei vari anni. In sostanza qui abbiamo notato che la parte ha effettuato il confronto, la –Omissis– comparazione tra i bilanci e dal confronto veniva fuori che la società era vitalizia. Però ci siamo accorti di un errore di fondo, perché in sostanza la società à ~ andata a confrontare i bilanci redatti in base a principi contabili differenti. Perché nel 2005 –Omissis–, la società incorporata, era passata dai principi contabili nazionali a principi contabili internazionali e quindi secondo noi occorreva. P. M. – Rivalutare anche tutte le poste? TESTE –Omissis– Prima di fare una comparizione, omogeneizzazione i valori, quindi andare a confrontare i bilanci che fossero redatti con gli stessi principi contabili. Noi abbiamo fatto una sorta di omogeneizzazione dei valori omogeneizzando i valori, diciamo, e confrontando i bilanci il test di vitalità ci risultava non superato. Proprio par questo motivo recuperiamo un milione e 66 di perdite pregresse, che secondo noi sono indeducibili” (14) –Omissis– p. 13 – 14, (15) –Omissis– p. 14 – 15. (16) –Omissis– p. 15 (17) Elencati nel p. V. C al fg. 26. (18) La ricostruzione della valutazione dei crediti è contenuta alle fg. 27 – 3 f del p. V. C. (19) –Omissis– p. 16 – 17 (20) –Omissis– pp. 18 – 19 (21) –Omissis– p. 21 (22) –Omissis– p. V. C. Al fg. 32 (23) Così nel p. V. C. Ai fg. 32 – 34 (24) Così nel p. V. C. Ai fg. 38 – 41 (25) –Omissis– p. 23 – 26 (26) –Omissis– p. 28 (27) p. 28 – 29 (28) p. 30 (29) l p. V. C. (^) 11 – 13 (30) l p. V. C. (^) 13 – 43 (32) –Omissis– pp. 30 – 31 (33) Così nel p. V. C. Al fg. 45 (34) Così l’art. 1 commi 58 – 60 l. 244/2007 (35) –Omissis– p. 34 (36) –Omissis– p. 35 (37) –Omissis– p. 36 (38) –Omissis– p. 36 – 37 (39) –Omissis– u. 4. 5. 2011, pp. 6 – 10. (40) –Omissis– pp. 4 – 5, ha così descritto le sue competenze: “Ho svolto la mia attività in ambito fiscale e bilancistico nell’ambito del settore finanziario; sono laureato in Scienze bancarie e dal 1978 faccio part della commissione tecnica tributaria dell’Associazione Bancaria Italiana. Sono stato componente della Commissione ****** per la riforma del diritto societario e successivamente, in sede Associazione Bancaria Italiana ed anche Ministero dell’Economia, ho contribuito all’introduzione, illustrazione dei principi contabili internazionali con i relativi adempimenti sia di carattere civilistico che fiscale.

E questo in seno all’Associazione Bancaria Italiana che ha partecipato più volte, appunto, all’introduzione e chiarimenti in materia di principi contabili internazionali, bilanci bancari, Banca D’Italia ed amministrazione finanziaria.

Ulteriormente tengo corsi di formazione presso il Ministero dell’Economia e presso l’Università italiana” (41) D’altronde, all’inizio della loro relazione, i consulenti –Omissis– hanno definito l’incarico conferito proprio facendo riferimento al contributo che un tecnico può fornire all’attività interpretativa delle norme giuridiche: “il fondamento tecnico – economico delle contestazioni contenute nel PVC, unitamente al relativo corredo probatorio, al fine di verificare, per rapporto ai principi contabili vigenti e alle prassi operative del settore, la correttezza, trasparenza e completezza delle rilevazioni contabili e del bilancio di –Omissis– con riguardo alle operazioni oggetto dei rilievi dell’Agenzia delle Entrate. ” (Consulenza –Omissis– p. 5).

(42) La lettura della circolare, pur complessa nell’individuazione dei profili di applicazione, definisce quantomeno il limite temporale indicato nel testo. (43) Circolare 28. 2. 2011, pp. 39 – 40. (44) –Omissis– pp. 11 – 14 “In estrema sintesi il rilievo numero 2 concerne una operazione di fusione che –Omissis– effettuò nell’anno 2006. Questa operazione di fusione riguardava una partecipata IPI.

Il Fisco per i motivi di cautela penalizza la fusione delle cosiddette “bare fiscali”, vale a dire soggetti che hanno delle perdite fiscali e che, in assenza di questa norma, di queste perdite fiscali ne potrebbe godere la società incorporante.

Il legislatore pone come test di vitalità che la società incorporata debba avere avuto una entità di ricavi e di spese per il personale che non siano superiore al 40% di quello che è accaduto nell’anno precedente la incorporazione.

Nel caso di specie. –Omissis– ha dovuto considerare le voci di spese per il personale e ricavi dell’anno 2005 la fusione è avvenuta nell’anno 2006 e confrontare le analoghe voci del biennio 2003 – 2004.

Quindi posto pari a 100 la media del 2003 – 2004, nel 2005, queste voci non dovevano essere singolarmente inferiori al 40%, perché questo avrebbe significato altrimenti secondo questa normativa che la società si è impoverita e ho incorporato un soggetto di fatto non esistente.

Aggiunto per completezza che, siccome la fusione è intervenuta nel corso del 2006 leggasi settembre, ma con effetto retroattivo 1 gennaio 2006 questo test di efficacia sul biennio precedente lo si deve fare anche con riguardo a questo limitato periodo di 9 mesi.

Quindi non si doveva prendere solo il confronto 2003/2004, ma anche 2004/2005; questo per cautela. Il punto sta che: nell’anno 2004 la società incorporata ha redatto il bilancio secondo i principi contabili nazionali; nel 2005 la società ha redatto il bilancio secondo i principi contabili internazionali.

La differenza tra questi due principi sta sul fatto che una voce di bilancio della –Omissis– che riguarda le partecipazioni, nel bilancio non IAS lo si deve iscrivere quello che è il costo storico o al minor valore di bilancio corrente al 31 dicembre. In un bilancio IAS lo si deve iscrivere al fari value.

Questo ha fatto si che i ricavi tipici dell’anno 2005 della società incorporata, per effetto di una rilevante rilevazione per adeguamento al fair value ha fatto si che si siano superati i test di vitalità.

I verificatori dicono: “In quanto il 2004 era in bilancio non IAS ai fini di questo test il Bilancio 2005 nonostante la Legge dicesse di redigerlo a quei bilanci IAS, lo dovevi preformare, cioè quindi redigerlo ancora con i vecchi criteri. Se lo avessi ancora portato con i vecchi criteri, non avresti superato il test di efficacia”.

Tutta la contestazione muove questo. Dal mio punto di vista ritengo che, in quanto il testo dell’art. 172 del T. U. I. R.  in particolare il comma 7, parla di bilancia e il legislatore nel passaggio agli IAS ha nominato tutte quelle che erano le norme transitorie, in questo caso il legislatore non è intervenuto e quindi non aveva motivo la società di andare a riscrivere in un modo diverso da quello che è esposto in bilancio queste voci.

Ma vi è di più. Laddove avessi voluto applicare gli IAS anche per l’anno 2004 in sostituzione dei principi contabili nazionali, quella voce a che valore sarebbe stata imposta? Cioè quale sarebbe stato il fari value di quella voce?

Quella voce avrebbe riportato come fari value, come è stato dimostrato, l’esatto valore che è stato iscritto in bilancio, seconda cosa: anche laddove avessi forzato la norma, a questo punto il Bilancio 2004, scritto anch’esso in una logica IAS, avrebbe portato esattamente ad un valore che era quello, guarda caso, coincidente ai vecchi principi contabili nazionali. Perché noi vediamo una norma semmai letta in questo senso?

Se si può parlare di lettura. Perché proprio applicandogli IAS come fanno i verificatori, nella fase di passaggio agli IAS l’X1 mi dice che io devo riscrivere l’ultimo bilancio non IAS secondo i criteri IAS e non assolutamente al contrario. Però ribadisce il punto centrale fiscalmente è la circostanza che l’art. 172 comma 7 non prevede assolutamente di utilizzare bilanci proforma, quindi se non lo dice la norma non vi è motivo per farlo diversamente.

Aggiungiamo un particolare: che poi i verificatori ritengono che la società avrebbe dovuto recuperare le svalutazioni delle partecipazioni che essa stessa aveva fatto, peccato che la norma appunto sostenga che questo recupero deve essere fatto per svalutazioni delle partecipazioni che avesse fatto, –Omissis– riferibili a periodi anteriori al formarsi della perdita fiscale presso la società fusa.

Nel caso di specie –Omissis– ha incominciato ad andare in perdita fiscale nell’ano 2004; la svalutazione in punto civilistico e fiscale fatta da –Omissis– si riferisce all’anno 2003, la legge dice: se fosse stato al contrario (^) in questo caso anche la stessa cronologia degli eventi dice che –Omissis– ha rispettato il dettato normativo. (45) –Omissis– p. 15 (46) –Omissis– p. 17 (47) –Omissis– P. 16 (48) Così –Omissis– u. 4. 5. 2011. P. 23 (49) –Omissis– p. 24 (50) (^) 4. 5. 2011 p. 42 (51) –Omissis– p. 44 – 45, ove ha citato la parte di relazione allegata al bilancio 2006 del collegio sindacale che sul punto affermò che “la struttura organizzativa, il sistema dei controlli interni risultano adeguati alle dimensioni e alle caratteristiche dell’attività sociale e mostrano una costante evoluzione diretta ad un continuo affinamento proprio per tenere conto dell’aggiornamento degli IAS” (52) –Omissis– p. 53. (53) –Omissis–, p. 54, che ha descritto anche un esempio di irrazionalità dell’obbligo di svalutazione: “faccio un banale esempio, se oggi nell’anno 2011, un cliente va in concordato preventivo, è una procedura concorsuale: fiscalmente potrei svalutare il 100%. Ma se oggi noi riteniamo di poter recuperare il 30%, in funzione della previsione concordataria, a livello di bilancio non possiamo svalutare il 100%, ma dobbiamo svalutare in funzione di un regolamento di valutazione, in funzione del disposto dello IAS solo il 70% e quindi stimare il valore recuperabile.

Quindi ne consegue che se negli esercizi successivi, in funzione di un peggioramento delle ipotesi di recupero, io vado a svalutare il residuo importo, non si può considerare che avrei dovuto farlo negli esercizi precedenti altrimenti non ti concedo più la deduzione, perché quella norma agevolativa fiscale non può essere interpretata come un obbligo imperativo di svalutazione se questo obbligo è in contrasto con i principi di valutazione di bilancio.

Nella consulenza, il principio è espresso con maggiore precisione (pp. 73 – 75): “Da ultimo, si formulano talune considerazioni ulteriori in merito alla prima parte del rilievo n. 3, riguardante le pentite i su crediti vantati verso clienti soggetti a procedura concorsuale. Come già richiamato, la materia è regolata dall’art, 101, e 5 del TUIR, il quale statuisce che sono deducibili “(. ) le perdite su crediti se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali” (cfr. Par. Par. 2 e 4).

L’ammissione a procedure concorsuali costituisce, quindi, per la norma tributaria, una condizione di deducibilità della perdita. L’ammissione del debitore a tali procedure e infatti elemento sufficiente per riconoscere la ricorrenza degli “elementi certi e precisi” della perdita (di cui all’art.  101 c. 5 TUIR). Va peraltro considerato che gli amministratori sono tenuti a redigere il bilancio nel rispetto dei principi contabili IAS/IFRS che, dal 2005, sono norme di legge per i soggetti che li applicano (cfr. Par. 3). Tale circostanza ha conseguenze che sembra opportuno sottolineare.

Invero, il diritto del contribuente, ai sensi dell’art. 101, e. 5 del TUIR, di dedurre, anche integralmente, dal reddito imponibile le perdite su crediti verso debitori in procedura concorsuale non può ragionevolmente trasformarsi in un obbligo di svalutazione di tali crediti al tempo dell’ammissione del debitore alla procedura concorsuale.

Un obbligo siffatto sarebbe in verità incompatibile con il contestuale dovere, imperativamente +,statuito, di redigere il bilancia in modo veritiero e corretto.

Fare dunque evidente che la disciplina tributaria non può imporre, ne in realtà impone, agli amministratori di stimare le perdite in base a criteri di imputazione temporale in contrasto con quelli stabiliti dalla Legge civile e dai principi contrabili.

La ratio della norma tributaria sta verosimilmente nella volantà del Legislatore di agevolare il contribuente nella prova della ricorrenza delle condizioni atte a consentire la qualificazione e la deducibilità delle “perdite” su crediti vero soggetti ammessi caci a procedure concorsuali.

La norma tributaria non intende realizzare finalità ulteriori: In particolare, non intende, né può influire sulle scelte degli amministratori al riguardo. Gli amministratori sono pertanto tenuti a calcolare le rettifiche di valore dei crediti nei confronti di soggetti ammessi a procedure concorsuali nelle misure che appaiono tempo per tempo più congrue in funzione dei risultati conseguiti ed attesi dalle procedure medesime e in relazione alle variazioni del valore delle garanzie che assistono i loro crediti.

In altri termini, gli amministratori, rilevato l’accantonamento più appropriato al tempo di ammissione del debitore alla procedura concorsuale, devono obbligatoriamente affinare la stima di perdita nel corso dell’avanzamento della procedura.

Né è possibile immaginare che una disciplina tributaria che trova la sua ratio nella volontà del Legislatore di agevolare il contribuente nel fornire la prova dell’esistenza delle perdite, si “ritorca” nei confronti del contribuente che rilevi le peritile su crediti nei termini che gli sono imposti dalla disciplina civile (la cui inottemperanza ha pure ricadute penali).

Da ultimo, si richiama, che il reddito imponibile, salvo eccezioni normativamente regolate, è derivato dalle risultanze del bilancio di esercizio. Per tal motivo, la possibilità di dedurre la perdita su crediti nei confronti di debitori assoggettati a procedute concorsuali, per importi che l’art.  101 del TUIR potenzialmente consente, dipende, in concreto, dalla possibilità di iscrivere legittimamente, nella voce 130 A del conto economico, una rettifica di importo corrispondente. Poiché non è possibile ipotizzare che la disciplina tributaria possa imporre agli amministratori di iscrivere in bilancio perdite civilisticamente scorrette, al fine di ottenerne la deduzione dal reddito imponibile, non è nemmeno possibile immaginare che gli amministratori, che, come nel caso di specie, applicano correttamente la disciplina civilistica della valutazione dei crediti, possano essere sanzionati per aver dedotto, gli oneri quando la disciplina `vile lo richiede. ” (54) Consulenza –Omissis– p. 65 (55) Consulenza –Omissis– pp. 65-70: “A –Omissis– a (k Euro 486) Il credito verso la società –Omissis– r. L. “sorge, per un importo paria a kEuro 3. 906, a seguito di un finanziamento agrario, erogato dalla Società nel 1991, ed assistito da garanzia del “Fondo interbancario di garanzia” (FIG) e da ipoteca di secondo grado su un complesso industriale di proprietà del debitore L’ipoteca di primo grado sul medesimo complesso è vantata da un altra creditore: –Omissis– Nel 1996, il credito è classificato tra quelli “in sofferenza” e la sua gestione entra dunque nella sfera di competenza del Servizio, contestualmente alla dichiarazione di fallimento della società. Negli esercizi precedenti al 2006, in capo al credito in analisi, sulla base delle valutazioni svolte, dal Servizio, erano già state imputate rilevanti perdite. Infatti, al 31. 12. 2005 il valore recuperabile del credito era stimato pari a kEuro 486, importo corrispondente all’incasso atteso dall’escussione del FIG (“Fondo interbancario di garanzia”).

Tale valore derivava dalle valutazioni del Servizio circa le prospettive di incasso del credito nell’ambito della procedura fallimentare, alla luce della presenza di creditori di grado superiore rispetto a quello di –Omissis– e dell’andamento del procedimento fallimentare. La decisione (contestata dai Verificatori) di azzerare il recupero atteso dal credito nel 2006 trova va ragione nell’emersione di “nuove “circostanze nell’ambito della procedura che facevano ragionevolmente ritenere che la Banca non avrebbe potuto adire al fondo interbancario di garanzia, nemmeno per l’importo stimalo nel molo la descrizione delle vicende fallimentari sinteticamente riportate in nota consente di cogliere le ragioni che hanno portato il Servizio a valutare il credito al 31. 12. 2005 per un importo corrispondente all’incasso atteso dal FIG e di azzerarne, nel 2006, le prospettive di recupero.

Si segnala che l’atteggiamento di prudenza del servizio nella valutazione delle attese di ricupero legate all’escussione del FIG, che ha determinato la registrazione della perdita contestata, è coerente con le indicazioni fornite dal Regolamento di valutazione, il quale prevede che, nella valorizzazione delle garanzie connesse al Fondo Interbancario di Garanzia (FIG), “è sempre comunque consigliabile un approccio estremamente prudenziale”(cfr. Par. 6. 2).

B –Omissis– (kEuro 282) Il credito verso la società –Omissis– S. P. A. (la cui perdita è oggetto di contestazione) nel marzo del 2001, per un importo di kEuro 12. 395 a seguito di un’operazione di sale & lease back immobiliare.

In data 30. 7. 2003 la posizione è classificata dalla Banca tra quelle “in sofferenza” e la sua gestione entra dunque nella sfera di competenza del Servizio. In data 14. L0. 2004, la società –Omissis– è ammessa alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria. Al 21. 12. 2005, il valore recuperabile del credito era pari a kEuro 4. 120.

Tale valore rappresentava la misura più probabile del recupero stimata al Servizio della Banca a quella data. Tale stima apprezzava, in coerenza con le procedure della Banca, le prospettive di realizzo dei beni del debitore, sulla base delle valutazioni formulate da periti indipendenti o dagli elementi informativi provenienti dalla procedura fallimentare. Nel corso del 2006 il Servizio, nell’ambito del monitoraggio degli importi conseguibili dalla vendita in sede concorsuale del patrimonio di –Omissis– ha provveduto ad aggiornare la stima del valore recuperabile di uno degli immobili del debitore. L’ultimo valore di stima dell’immobile, invero, risaliva al 2001.

A tal fine, il Servizio ha definito il valore di mercato del bene sulla base delle risultanze di una nuova perizia redatta ad un tecnico della banca All. 8).

Il valore di perizia è stato poi ridotto delle spese stimate di vendita, quantificate in misura pari al 20% del valore peritato.

La misura della svalutazione operata nel 2006, pari a kEuro 282 deriva dall’aggiornamento del valore di mercato del bene del debitore, ed è stata proceduralmente definita sulla base delle previsioni del Regolamento di valutazione, il quale indica come riferimento valutativo significativo per la stima del valore di un bene ipotecato “il valore della perizia o stima interna aggiornata” specificando, con riguardo alla quantificazione delle spese di vendita, che “è lecito operare una forfetizazione dei costi (di regola dal 10 al 20 per cento dl valore del bene)” (cfr. Par. 6. 2. ). C –Omissis– (kEuro 426) Il credito verso la società “–Omissis–” sorge nel 1998, per un importo di kEuro 2. 810, al seguito di un finanziamento erogato in pool con la banca popolare del Materano. Nel corso del 2001, il credito è classificato tra quelli “in sofferenza” e la sua gestione entra nella sfera di competenza del Servizio. In data 15. 12. 2003. La società –Omissis– è dichiarata fallita.

Precedentemente alla perdita oggetto del PVC in capo al credito in analisi, sulla base delle valutazioni svolte dal Servizio, erano già state imputate perdite rilevanti.

Le perdite precedenti erano state imputate dal Servizio al fine di allineare, nella successione degli esercizi il valore del credito agli importi ottenibili dalla vendita dei beni del debitore in ambito fallimentare; e ciò sulla base degli elementi informativi proveniente dalla procedura – quali le perizie dei CTU, la presenza di creditori di grado precedente – e delle indicazioni di regolamenti e della regolamentazione civilistica pro tempore vigente.

La previsione di recupero del credito al 31. 12. 2005 pari a kEuro 1. 500, si basava, tra l’altro sulla stima del valore del valore degli immobili del debitore, redatta dal CTU nel 2005. Nel corso del 2006, la prima asta fallimentare per la vendita degli immobili del debitore, offerti ad un prezzo corrispondente al valore di perizia, va deserta. Il Servizio, in coerenza con il regolamento di valutazione, valutata tale circostanza come segnale del fatto che la precedente stima del CTU non fosse più rappresentativa del valore ottenibile dalla vendita degli immobili.

Alla luce di ciò, il Servizio formula una previsione di contrazione dei flussi ottenibili dal credito, proponendo la registrazione della perdita contestata. La misura della tale perdita corrispondente al 25% del valore degli immobili stimato dal CTU nel 2005. Tale perdita – registrata a seguito del verificarsi di un evento “nuovo” nel corso del fallimento, quale la mancata vendita dei beni nel corso dell’asta fallimentare – è stata quantificata coerentemente rispetto alle previsioni del Regolamento di valutazione, il quale indica come riferimento valutativo significativo per la stima del valore di un bene ipotecario “il prezzo base dell’ultima asta deserta ridotto del 25% (cfr. Par. 6. 2) D –Omissis– (kEuro 342) Il credito verso la società “–Omissis–” soge nel 2000 per un importo di kEuro 2. 582, a seguito di un finanziamento erogato in pool la –Omissis–.

Nel corso del 2004, il crdito è classificato dalla Banca tra quelli “in sofferenza” e la sua gestione entra dunque nella sfera di competenza del Servizio. In data 3. 3. 2005, la società Iniziativa –Omissis– è dichiarata fallita. Negli esercizi precedenti al 2006, in capo al credito in analisi, sulla base delle valutazioni svolte dal Servizio, erano già state imputate rettifiche per complessivi kEuro 995 pari a circa il 35% del credito originario.

Il valore del credito al 31. 12. 2005, al netto delle rettifiche precedentemente imputate, era pari a kEuro 1. 600. Il credito al 31. 12. 2005 era valorizzato sulla base degli importi ottenibili dalla vendita, nel corso della procedura di un impianto industriale e di una villa di proprietà del debitore. Nel corso del 2006, il Servizio, nell’ambito del monitoraggio dei flussi ritirabili dal credito, ha provveduto ad aggiornare la stima del valore recuperabile dai beni del debitore (l’impianto industrial e la villa).

A tal fine, coerentemente con le previsioni del Regolamento di valutazione, il Servizio ha assunto per la definizione del valore di mercato dell’impianto, il valore stimato per il cespite dai lavori peritali predisposti nell’ambito della procedura fallimentare 110 (la perizia è allegata sub 9 alla presente) e, per la definizione del valore della villa, il valore stimato da una perizia predisposta da un tecnico della Banca (La perizia è allegata sub 10 alla presente) 111.

Entrambi i valori peritali sono stati ridotti, sempre coerentemente con le previsioni del –Omissis– Regolamento di valutazione, delle spese di vendità, qualificate in misura pari al 20% del valore di perizia (cfr. Par. 6. 2. )112″. (56) Consulenza –Omissis– pp. 71 – 73. (57) –Omissis– p. 54 – 55 (58) –Omissis– 54 – 57 (59) Consulenza –Omissis– pp. 77 – 80 (60) –Omissis– p. 46 (61) Consulenza –Omissis– p. 81 (62) Consulenza –Omissis– p. 83 (63) –Omissis– p. 26 – 27 (64) la ricostruzione è contenuta nel verbale d’udienza –Omissis– pp. 28 – 33 (65) –Omissis– u. 4. 5. 2011, p. 35 – 36, così ha testualmente descritto le due condizioni: “Lo IAS 39 prevede che la società debba stornare contabilmente i crediti se ricorrono due condizioni contestualmente: una ovviamente che ci sia il trasferimento del diritto giuridico a ricevere i flussi associati ai crediti; due, e questo è essenziale ed è l’elemento profondamente innovativo, se si vuole, sei principi contabili internazionali, che però ispira tutti i principi contabili internazionali, praticamente la sostanza sulla forma contrattuale. Nella fattispecie l’impresa, trasferendo il diritto, abbia contestualmente trasferito sostanzialmente tutti i benefici della proprietà del credito, ossia non risulti più esposta l’azienda che ha ceduto quei crediti alla variabilità dei flussi che derivano da quei crediti. Esposta in positivo o in negativo, in un senso o nell’altro. Se si manifestano contemporaneamente queste due condizioni, l’impresa – non “può” – deve toglierlo dall’attivo e rilevare l’effetto economico che può essere una plus o minus come abbiamo indicato poc’anzi. Nella fattispecie, ed esaminando il contratto – la slide è la 21 – noi abbiamo identificato che, effettivamente, il trasferimento del diritto a ricevere i flussi finanziari era previsto dal contratto, ed è stato condiviso dalle parti; trasferito da –Omissis– di ogni diritto o facoltà contrattuale relativo o connesso ai crediti. Poi i punti successivi possiamo vedere il contratto che qui ed è allegato, comunque poi lo possiamo trovare negli allegati è che la cessione dei crediti si intende effettuata pro soluto ossia senza garanzia della parte cedente. ” (66) –Omissis– pp. 38 – 39, ha così completato quell’affermazione “Talora nel passato, siccome i principi italiani non vincolavano esattamente nei termini i principi internazionali; alcune cessioni che apparivano formalmente eseguite in realtà non erano delle proprie cessioni perché il cedente mantenevi delle garanzie, dei diritti di PUT, dei diritti di CALL; poteva recupera e le plusvalenze o doveva pagare le minusvalenze successive. Quindi è chiaro che di fronte ad un quadro di incertezza di questo tipo un atteggiamento prudente ed attento anche della magistratura per evitare forme elusive era più che comprensibile.

Invece nel momento in cui i principi IAS stabiliscono che la possibilità di togliere dall’attivo del bilancio i crediti avviene solo nel momento in cui non ci sia più la possibilità, non ci siano garanzie né per i debiti ulteriori né per eventuali vantaggi, e che tutto ciò che é trasferito è trasferito nel bene o nel male all’acquirente, a questo punto, gli effetti sono definitivi. Quindi la certezza dell’effetto è acquisita con la cessione.

Io penso che questa possa essere la motivazione di alcuni orientamenti giurisprudenziali precedenti: l’intervento degli IAS.

Effettivamente la circolare del febbraio 2011, che è stata richiamata in precedenza, è molto chiara anche su questo tema della deducibilità e delle cessioni di questo punto. Vorrei solo brevemente richiamare. Non entro nel merito della fiscalità, perché ripeto non è la mia competenza specifica, però volevo solo richiamare quanto è scritto nella circolare.

A pagina 76 siamo sul tema che ci riguarda dice: Il medesimo art. 2 del Regolamento IAS, che è quel D. M 48 del 2009 – faceva riferimento prima dopo aver affermato la rilevanza fiscale del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, dispone conseguentemente che devono intendersi non applicabili a tali soggetti – cioè i soggetti IAS le disposizioni dell’art. 109 commi 1 e 2 del Testo Unico.

La disposizione, in commento introduce evidentemente una deroga alle disposizioni dell’art.  109 commi 1 e 2 del TUIR, che in ordine alla rilevanza fiscale dei costi e dei ricavi fanno riferimento ai requisiti di certezza e determinabilità dei componenti reddituali. Comma 1 “Poi un altro comma che non ci riguarda, ma questo è il punto che ci riguarda.

Poi aggiunge: “La disapplicazione delle disposizioni di cui al comma 1 e 2 del 109 si rende necessaria, come evidenziato nella relazione illustrativa di quel regolamento IAS, per superare le incertezze applicative generate dal riferimento ai criteri di certezza e di oggettiva determinabilità individuati in maniera difforme rispetto a quanto previsto nei principi IAS/IFRS”.

Quindi qui dà il quadro dei motivi per cui il 244/2007 è intervenuto e del quadro di incertezza in cui si trova il contribuente nella fase precedente questa legge 244/2007 e –Omissis– lo ha dichiarato” (67) –Omissis– pp. 38 – 41. Analoghe considerazioni sono espresse nella consulenza scritta –Omissis– pp. 39 – 41: “Sul piano del merito va infine segnalato che, ad avviso di chi scrive, la deducibilità delle minusvalenze di cui si discute non potrebbe essere messa in dubbio qualunque fosse la disciplina tributaria applicabile ai blanci redatti, nel 2006, in accordo con i principi contabili internazionali (ossia le discipline che si sono seguite nel tempo: il D. Lgs n. 38/2005 e la Legge n. 244/2007) (cfr. Par. 4).

Va infatti considerato che il fondamento della contestazione formulata dai Verificatori va ricercata nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui è stata negata la deducibilità delle minusvalenze derivanti da cessioni di crediti assumendo che, nelle fattispecie giudicate, la sostanza delle operazioni non corrispondeva alla forma contrattuale adottata dalle parti contraente.

Tale orientamento aveva la sua ratio nell’apprezzabile volontà di contrasto delle pratiche elusive.

Si trattava di pratiche con le quali, di norma, il cedente negoziava la cessione ad can prezzo simbolico, o comunque non rispettoso del valore dei crediti negoziati, al principale fine di dedurre minusvalenze indebite per entità e/o tempi di realizzazione.

I contratti che regolavano tali trasferimenti, con varie formule, attribuivano al cedente il diritto (o l’obbligo) a percepire (o a rimborsare) i maggiori (o minori) incassi al tempo in cui si manifesteranno.

Orbene, i principi contabili internazionali IAS/IFRS sono stati configurati, avuto riguardo alla cessione di crediti, proprio con l’intento di escludere che operazioni di tal fatta possano “albergare” con tale titolo nei bilanci d’impresa.

In ciò innovando rispetto ai principi contabili nazionali che, invero, non prevedevano regole restrittive per il riconoscimento dell’effettività del trasferimento.

Il tessuto dei principi contabili interni, infatti, dava preminente riferimento alla forma dei contratti, più che alla loro sostanza. Di qui il comprensibile atteggiamento della Suprema Corte. Nel profilo tributarlo, il contrasto della pratica elusiva sopra descritta, agevolato dalla “flessibilità” dei principi contabili tradizionali, è stato operato ammettendo in deduzione, all’atto della cessione dei crediti, la sola parte delle minusvalenze che corrispondono alle “perdite” che sarebbero state rilevate, in sede di valutazione dei crediti, in forza della presenza di elementi “certi e precisi” di perdita (art.  101 TUIR).

Nei bilanci redatti in pieno accordo con gli IAS/IFRS, invece, applicandosi in termini restrittivi il principio della “prevalenza della sostanza sulla forma”, tale effetto elusivo non può manifestarsi.

La “derecognition” (ossia l’eliminazione contabile) di un credito ceduto può rilevarsi in bilancio solo quando sono stati effettivamente trasferiti a terzi tutti i rischi ed i benefici direttamente o indirettamente connessi al credito stesso.

Solo dunque le cessioni “genuine” (cioè effettive e reali) di crediti sono idonee a determinare la cancellazione dal bilancio del rispettivo valore e a consentire la rilevazione della eventuale minusvalenza. Le cessioni “di comodo”, formalizzate ad un corrispettivo non corrispondente alla sostanza negoziata (fair value), ed accompagnate a clausole che attribuiscono al cedente il diritto di percepire, a vario titolo, in tempi diversi, una parte o tutti i maggiori incassi futuri rispetto al prezzo negoziato, non comportando il trasferimento al cessionario della parte prevalente dei rischi e benefici, non debbono essere contabilizzate come cessioni e pertanto non possono dar luogo alla derecognition del credito e alla conseguente rilevazione della minusvalenze.

Venuta così meno, nelle cessioni dei crediti regolate dai principi contabili internazionali correttamente applicati (come nel caso di specie), la finalità antielusiva che ha ispirato l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, non pare esservi più ragione per non adottare i criteri generali che sovrintendono alla rilevazione contabile e alla tassazione dei corrispettivi di cessione (e delle concesse plus e minusvalenze) di qualsiasi bene o diritto patrimoniale d impresa.

In altri termini, in vigenza di una corretta applicazione dei principi IAS IFRS (come nel caso di specie), non pare aver più senso la “forzatura” interpretativa implicita nell’orientamento giurisprudenziale sopra descritto. Si può, quindi, tornare a considerare deducibili le minusvalenze da cessione dei crediti secondo gli ordinari criteri che, per legge, regolano la deducibilità di tutte le minusvalenze, e cioè la “certezza “data dalla cono fusione del contratto e la “precisione” data dal prezzo pattuito.

” Anche nelle conclusioni, i consulenti hanno riportato l’insieme di elementi fondanti la loro valutazione; “In conclusione, sul rilievo n. 5, si può osservare quanto segue. – Le operazioni contestate rispondevano ad una ratio economica valida e razionale (riduzione dei costi legati all’attività di contenzioso e dell'”assorbimento” del “patrimonio di vigilanza”) che le rende pienamente giustificabili nel profilo economico (Par. 5. 1. ). – Le operazioni contestate erano dettagliatamente descritte nella relazione sulla gestione al bilancio d’esercizio 2006 della Banca. Inoltre, il bilancio e l’informativa che lo correda riportavano l’effetto economico delle cessioni concluse nel corso dell’esercizio, registrando, nella voce pertinente, la plusvalenza complessivamente realizzata (Euro/mln. 28,0, di cui Euro/mln. 26,2 relativi alle due operazioni con DB. ).

La rappresentazione aggregata della plusvalenza in bilancio era supportata dall’analitica rilevazione dell’operazione nelle scritture contabili, che riportavano evidenza delle plus e minusvalenze relative a ciascun credito trasferito.

Quindi, l’informativa di bilancio complessivamente intesa può essere giudicata esaustiva, chiara e corretta.

Tale informativa ha consentito ai Verificatori di trarre tutti i dati elementari alla base della loro contestazione (Par. 5. 2). – La rilevazione delle minusvalenze contestate (casi come delle plusvalenze), nel bilancio d’esercizio 2006 della Banca, è avvenuta in coerenza con il disposto dei principi IAS/IFRS. Sulla base delle previsioni contrattuali delle operazioni contestate, è, infatti, possibile affermare che, in tali operazioni, si sono realizzate le condizioni in presenza delle quali lo IAS 39 obbliga l’impresa cedente di un credito a procedere alla sua derecognition, registrando i pertinenti effetti economici (plusvalenze e minusvalenze) (Par. 5. 2).

Infine, si annota altresì che l’approccio dei Verificatori, che hanno eccepito la deducibilità di minusvalenze realizzate su singole posizioni non è condivisibile sul piano sostanziale, in quanto il prezzo di cessione è stato negoziato in modo unitario con riferimento ai “blocchi” Inoltre, nel contesto dei principi IAS/IFRS, la derecognition dei crediti può avvenire solo a seguito di operazioni effettive e reali, sicché non è più attuale l’orientamento giurisprudenziale, alla base della contestazione in analisi, che mirava a contrastare le pratiche elusive, possibili in vigenza dei principi contabili nazionali, consistenti nella deduzione di minusvalenze realizzate tramite operazioni di cessione “non genuine” che non comportavano l’effettività del trasferimento dei crediti (Par. 5. 3)” (consulenza –Omissis– pp. 42 – 43 (68) Si tratta delle pp. 13 – 21 della consulenza (69) Si fa riferimento alla consulenza –Omissis– a, pp. 40 – 42 e alle dichiarazioni rese in udienza da –Omissis– pp. 33 e ss. E pp. 66 – 68 (70)

Nella consulenza –Omissis– contestato la legittimità del procedimento utilizzato dai verificatori, affermando che “.

Tale approccio non pare condivisibile sul piano sostanziale poiché le negoziazioni tra le Parti, si sono svolte (e gli accordi si sono conclusi) con riferimento a “blocchi”, di crediti unitariamente considerati e “prezzati”.

Invero, la Banca ha negoziato con le controparti la cessione di portafogli complessivi e non, distintamente, le singole parti degli stessi.

Pertanto, nella fattispecie, l’elemento rilevante è costituito dalla plusvalenza complessivamente generata dall’operazione.

Il prezzo convenuto è invero unitario nella istanza e nella forma: esso remunera l’insieme dei crediti compravenduti.

Essenzialmente per esigenze contabili il prezzo è stato poi formalmente frazionalo dalla direzione amministrativa tra le partite compravendute, in funzione del fair value di ciascuna” (p. 41). (71) –Omissis– pp. 58 – 59, ha casi ricostruito la vicenda: “L’ultimissima voce sono le sopravvenienze passive, rilievo 6, che pesano 149 mila euro.

Qui la contestazione è di questo tipo: i verificatori ritengono che si tratti di perdite su crediti.

Di che cosa si trattava? Si trattava di crediti che erano nati in funzione di istruttorie iniziali per l’erogazione di finanziamenti.

In taluni casi evidentemente il cliente chiede alla Banca A, B, C, poi decide una banca e quindi l’attività che è svolta da –Omissis– in taluni casi non andava a buon fine con il finanziamento.

Al momento dell’attività iniziale viene esposta una commissione di istruttoria che aveva originato questi crediti. è chiaro che in talune situazioni, nel momento in cui il credito non si perfeziona, diventa difficile andare a recuperare per importi molto limitati le commissioni dell’istruttoria.

Quindi –Omissis– aveva nell’anno 2005 iscritto ricavi e crediti corrispondenti agli importi poi contestati, su cui ha pagato le imposte nell’anno 2005 perché sono entrate nella materia imponibile, nel reddito imponibile.

Nel 2006, verificalo che le operazioni non erano andate a buon fine, che era difficile per importi molto limitati si parla di oltre 20 operazioni che pesano in tutto 1491 mila cura, quindi veramente crediti unitari molto, molto piccoli ha ritenuto di non adire adire neanche alle vie legali per recuperare questi importi e di rinunciare ai crediti. è, come dire, un po’ una politica di marketing commerciale da un lato di risparmio di costi e dall’altro di carattere commerciale.

Va osservato che una parte rilevante di queste rinunce ai crediti era relativa a clienti con cui avevo altri rapporti commerciali.

Quindi il finanziamento X non era andato a buon fine, ma io magari avevo venduto un’altra operazione di finanziamento e quindi diventava commercialmente probabilmente difficile da giustificare il recupero di quel piccolo importo.

Quindi si tratta di rinunce ai crediti e quindi di sopravvivenze passive nell’ottica della banca e non di perdite su crediti.

Quindi, nel momento in cui si sono verificate le condizioni di rinuncia, la Banca ha in un profilo di bilancio correttamente rilevato.

Aveva rilevato (^) nell’anno precedente e come svalutazioni, rinunce e ricavi nell’anno in considerazione”. (72) Consulenza –Omissis– p. 85

Adempimenti contabili degli enti non commerciali ed obbligo di rendicontazione di cui all’art. 20 del DPR 600/73

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Adempimenti contabili degli enti non commerciali ed obbligo di rendicontazione di cui all'art. 20 del DPR 600/73

Adempimenti contabili degli enti non commerciali ed obbligo di rendicontazione di cui all’art. 20 del DPR 600/73   QUESITO   ALFA , confessione religiosa riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2000, fa presente di essere composta, “tra l’altro, da Associazioni (…) aventi le medesime finalità religiose (…) senza fini di lucro”.

Risoluzione N. 126/E 16 dicembre 2011

Oggetto:

Consulenza giuridica – Adempimenti contabili degli enti non commerciali ed obbligo di rendicontazione di cui all’art. 20 del DPR 600/73   QUESITO   ALFA , confessione religiosa riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2000, fa presente di essere composta, “tra l’altro, da Associazioni (…) aventi le medesime finalità religiose (…) senza fini di lucro”.

L’istante, premesso che non beneficia né intende beneficiare – al pari delle Associazioni che ne fanno parte – del regime agevolato previsto dall’art. 148, comma 3 e seguenti, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, chiede di sapere se le Associazioni ad essa aderenti, in quanto enti non commerciali: 1)       “debbano  tenere  alcuna  contabilità  ai  fini  fiscali  (Imposte  sui redditi ed IVA)” anche se “non esercitano abitualmente attività commerciali”; 2)       siano obbligate “a redigere un rendiconto annuale economico e finanziario, ai fini fiscali (Imposte sui redditi ed IVA), anche se non esercitano attività commerciali e anche se non effettuano le raccolte pubbliche di fondi elencate nel secondo comma dell’art. 20” del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600.

Soluzione interpretativa prospettata

L’interpellante ritiene che le Associazioni ad essa aderenti:  1)     “non debbano tenere alcuna contabilità, se non esercitano abitualmente attività commerciali”; 2)       “non  debbano  redigere  un  rendiconto  annuale  economico  e finanziario, se non esercitano attività commerciali e se non effettuano le raccolte pubbliche di fondi elencate nel secondo comma dell’art. 20” del DPR n. 600 del 1973.

Parere dell’Agenzia delle Entrate

Si evidenzia, in via preliminare, che i quesiti formulati da ALFA concernono l’obbligo di tenuta, sia ai fini IRES che IVA, delle scritture contabili di cui all’art. 20, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, nonché la redazione del rendiconto annuale e di quello previsto, per le manifestazioni occasionali di raccolta fondi, dal secondo comma dello stesso art. 20. ALFA, pertanto, non formula alcun quesito in ordine alla propria qualificazione tributaria né in relazione a quella delle associazioni che la compongono, muovendo, invece, dal presupposto che tanto la medesima quanto le proprie associate abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività non commerciali e siano, quindi, riconducibili alla categoria degli enti non commerciali che svolgono solo in via del tutto occasionale attività commerciali.

Si formulano, quindi, le seguenti osservazioni sui quesiti formulati dall’istante, senza entrare nel merito della natura tributaria (commerciale o non commerciale) sia di ALFA che delle proprie associate, atteso, peraltro, che detta qualificazione comporterebbe valutazioni che non possono essere effettuate in questa  sede,  richiedendo,  oltre  ad  una  disamina  delle  disposizioni  statutarie, anche una verifica in termini di effettività delle concrete modalità di svolgimento e dei caratteri dimensionali delle attività di fatto esercitate.

Quesito n. 1).

Ai sensi dell’art. 20, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, agli enti che non abbiano per oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività commerciali si applicano, relativamente “alle attività commerciali eventualmente esercitate” dagli stessi, le disposizioni recate dagli artt. 14, 15, 16 e 18 del medesimo decreto concernenti gli adempimenti contabili previsti per “le imprese commerciali, le società e gli enti equiparati” (enti commerciali). In sostanza, in forza del primo comma dell’art. 20 del DPR n. 600 del  1973, il presupposto affinché anche agli enti non commerciali sia imposta la tenuta delle stesse scritture contabili che il medesimo decreto prescrive per le imprese commerciali, le società e gli enti equiparati è che tali enti esercitino “attività commerciali” intendendosi per tali quelle che sono produttive, per i medesimi enti, di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 del TUIR, ai fini IRES, e che assumono, in capo agli stessi, rilevanza agli effetti dell’IVA in quanto costituenti esercizio di attività d’impresa. Al riguardo, si fa presente che per “esercizio di imprese” si intende sia ai fini IRES – ai sensi dell’art. 55 del TUIR – che ai fini IVA – ai sensi dell’art. 4, primo comma, del DPR n. 633 del 1972 – “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”, delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile (cfr. , in merito alla nozione di “esercizio di imprese”, le risoluzioni n. 169/E datata 1° luglio 2009, n. 122/E del 6 maggio 2009, n. 348/E del 7 agosto 2008 e n. 286/E datata 11 ottobre 2007).

Pertanto, qualora l’ente svolga in via abituale un’attività riconducibile tra quelle   elencate   all’art. 2195 del codice civile, il carattere commerciale dell’attività stessa si configura a prescindere dall’esistenza di un’organizzazione di impresa, mentre nelle ipotesi in cui l’ente effettui un’attività non riconducibile tra quelle del citato art. 2195, è necessario, al fine di accertare il carattere commerciale dell’attività posta in essere, verificare la sussistenza di un’organizzazione in forma d’impresa.

Come chiarito nei  citati documenti di prassi, l’attività si considera esercitata con “organizzazione in forma d’impresa” quando, per lo svolgimento della stessa, viene predisposta un’organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento di un risultato economico.

La commercialità dell’attività svolta sussiste, in sostanza, qualora quest’ultima sia caratterizzata dai connotati tipici della professionalità, sistematicità e abitualità, ancorché tale attività non sia esercitata in via esclusiva. In base all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, ribadito, peraltro, dall’Agenzia delle Entrate nelle risoluzioni n. 148/E del 20 maggio 2002, n. 204/E del 20 giugno 2002 e n. 273/E del 7 agosto 2002 e, da ultimo, nella citata risoluzione n. 286/E del 2007, i predetti connotati dell’abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica vanno intesi “in senso non assoluto, ma relativo”, con la conseguenza che la qualifica di imprenditore può determinarsi anche in ragione del compimento di un “unico affare”, avente rilevanza economica e caratterizzato dalla complessità delle operazioni in cui si articola, che implicano la necessità di compiere una serie coordinata di atti economici.

Da quanto sopra rappresentato, discende che l’attività posta in essere da un ente non commerciale assume i connotati dell’attività d’impresa, sia ai fini IRES che IVA, laddove la stessa presenti i caratteri dell’abitualità, professionalità e sistematicità, circostanza che sussiste anche nelle ipotesi in cui l’attività sia posta in essere in occasione della realizzazione di un unico affare, tenuto conto della rilevanza economica dello stesso e della complessità delle operazioni che sono necessarie alla sua effettuazione (cfr. Risoluzione n. 286/E del 2007).

A diverse conclusioni deve pervenirsi laddove l’attività posta in essere dall’ente non commerciale non soddisfi i sopra richiamati requisiti dell’attività d’impresa, non integrando nemmeno l’ipotesi dell’ “unico affare” di rilevante entità economica ed articolato in operazioni complesse. In tale ultima ipotesi, infatti, ai fini IRES, l’attività non può considerarsi produttiva di reddito d’impresa in capo all’ente non commerciale, ma costituisce, in capo allo stesso, fonte di reddito diverso, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. I), del TUIR, in quanto “attività commerciale non esercitata abitualmente”. La stessa attività, agli effetti dell’IVA, non assume rilevanza, non risultando integrato il requisito soggettivo dell’esercizio d’impresa. Pertanto, con riferimento al quesito n. 1), si ritiene che le associate dell’istante siano tenute, ai sensi dell’art. 20, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, all’obbligo di redazione delle scritture contabili previste per le imprese commerciali, le società e gli enti equiparati limitatamente all’ipotesi in cui le stesse svolgano attività d’impresa commerciale secondo i principi sopra richiamati. L’obbligo di tenuta della contabilità ai fini fiscali non sussiste, invece, nel caso in cui l’attività commerciale sia posta in essere dalle associate dell’istante in via del tutto occasionale e non abituale, cioè senza assumere i connotati dell’esercizio di impresa – nemmeno quale “unico affare” di rilevante entità economica ed articolato in operazioni complesse – trattandosi, in tale eventualità, di “attività commerciale non abituale” che, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. I) del TUIR, determina la produzione non di reddito d’impresa bensì di reddito diverso e che, ai fini IVA, non soddisferebbe il requisito del presupposto soggettivo.

Quesito n. 2).

Il secondo comma del citato art. 20 del DPR n. 600 del 1973 stabilisce che “indipendentemente dalla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi  devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto (…) dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione” di cui all’art. 143, comma 3, lettera a), del TUIR. Come chiarito con circolare n. 124 del 12 maggio 1998, l’art. 20, secondo comma, del DPR n. 600 prevede, per gli enti non commerciali, la redazione di due distinti rendiconti: a)  un rendiconto annuale economico e finanziario;  b)  uno specifico rendiconto in relazione alle raccolte pubbliche di fondi effettuate occasionalmente in concomitanza di ricorrenze, celebrazioni e campagne di sensibilizzazione.

Il rendiconto annuale economico e finanziario indicato sub a) è richiesto in ogni caso, vale a dire a prescindere dalle modalità gestionali ed organizzative dell’ente non commerciale ed indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell’attività esercitata dall’ente stesso.

La corretta tenuta di tale documento contabile, infatti, costituisce lo strumento cui è tenuto l’organo di rappresentanza dell’ente non commerciale per soddisfare le esigenze informative – sia degli associati che dei terzi – in ordine alla corretta gestione economica e finanziaria del patrimonio dell’ente.

Tale documento contabile, inoltre, consente agli organi di controllo di acquisire quelle informazioni contabili necessarie per stabilire, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, le modalità operative e la struttura organizzativa dell’ente, anche al fine di determinare la sua corretta qualifica fiscale.

Inoltre, a fortiori, tale obbligo di rendicontazione viene imposto agli enti non commerciali di tipo associativo che intendano avvalersi del regime di favore previsto, in relazione alle cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere a favore dei propri soci, associati o partecipanti, in forza dell’art. 148, comma 3, del TUIR – ai fini IRES – e dell’art. 4, quarto comma, secondo periodo, del DPR  n. 633 del 1972, agli effetti dell’IVA. Per poter fruire del predetto regime di favore, infatti, gli enti non commerciali associativi sono tenuti a conformarsi ad una serie di clausole – da inserire nei propri atti costitutivi o statuti – tra le quali è compresa anche quella relativa all’obbligo di formare un rendiconto annuale economico e finanziario.

In relazione all’ulteriore obbligo di rendicontazione indicato sub b), richiesto dal secondo comma dell’art. 20 del DPR n. 600 del 1973 ai fini dell’agevolazione fiscale prevista per le raccolte pubbliche di fondi occasionali dall’art. 143, comma 3, lettera a), del TUIR, si ritiene che laddove un ente non commerciale non abbia esercitato alcuna delle predette raccolte, lo stesso non sia tenuto alla redazione dello specifico rendiconto.

I soldi ricevuti dal “partner” a titolo di elargizione liberale non costituiscono reddito (donna sospetta di insegnare privatamente)

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Trattasi di un caso davvero particolare, nel quale, peraltro, appare del tutto corretta la decisione di primo grado. La contribuente *****, signora del 1956, nubile e priva di attività lavorativa, abitante con i genitori in un alloggio in affitto a Torino, riceveva 3 avvisi di accertamento per gli anni 2000, 2001 e 2002, per IRPEF, IRAP ed IVA, relativi a redditi di lavoro autonomo non dichiarati

Accertamento Redditi di lavoro autonomo

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI TORINO QUINTA SEZIONE

avverso la sentenza n. 30/03/2009 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di TORINO. Proposto dall’ufficio: AG. ENTRATE DIR. PROVIN. I UFF. CONTROLLI TORINO. Atti impugnati: AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2000 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2001 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2002

Svolgimento del processo – Motivi della decisione  Trattasi di un caso davvero particolare, nel quale, peraltro, appare del tutto corretta la decisione di primo grado. La contribuente *****, signora del 1956, nubile e priva di attività lavorativa, abitante con i genitori in un alloggio in affitto a Torino, riceveva 3 avvisi di accertamento per gli anni 2000, 2001 e 2002, per IRPEF, IRAP ed IVA, relativi a redditi di lavoro autonomo non dichiarati. L’Ufficio motivava i predetti atti, dopo avere attribuito d’ufficio alla signora una partita IVA, con un’attività d’iniziativa derivante da attività informativa autonoma; dava atto delle risposte fornite dalla signora al questionario inviatole (non possedere alcun autoveicolo, nessuna residenza né principale né secondaria di proprietà, ma solo una residenza in affitto intestata ai genitori conviventi che ne sostengono le spese; non avere alcun servizio di collaborazione familiare; non essere titolare di assicurazioni; né di imbarcazioni; né di cavalli da corsa, aerei, etc. ; non essere titolare di alcun reddito). Richiedeva copia dei c/c bancari e postali della signora relativamente alle tre annualità predette e riscontrava che dagli stessi emergevano rilevanti versamenti effettuati con continuità, sia in contanti che in assegni bancari, per cui il totale degli accreditamenti per l’anno 2000 era pari a Lire 90. 132. 000, per l’anno 2001 era pari a Lire 101. 791. 00, per l’anno 2002 era pari ad Euro 56. 443,00. In contraddittorio con l’Ufficio la signora spiegava che buona parte degli introiti versati sul suo c/c erano elargizioni provenienti da un uomo sposato con il quale ella intratteneva una relazione sentimentale da oltre diciassette anni e di cui per ragioni di riservatezza non poteva fare il nome, mentre per altri importi versati avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione agli interessati per rivelarne l’origine. L’Ufficio pertanto concludeva affermando che “i movimenti di danaro in accredito transitati sul suo c/c non sono stati giustificati”. Proseguiva poi asserendo che peraltro “da ulteriori elementi in possesso dell’Ufficio” era emerso che la signora nel corso di quegli anni aveva impartito lezioni private di matematica e fisica ad allievi di scuola media inferiore e superiore ed a studenti universitari. Procedeva dunque all’accertamento induttivo del reddito ex D. P. R. 600/73 e D. P. R. 633/72 deducendo, in assenza di adeguate giustificazioni, che gli importi transitati sul conto fossero riconducibili all’attività professionale di insegnamento svolta continuativamente dalla signora.

In primo grado, con la sentenza del 26. 01. 2009 la Commissione Tributaria Provinciale di Torino accoglieva il ricorso della contribuente annullando gli avvisi. Rimarcava come gli “ulteriori elementi in possesso dell’Ufficio” consistessero in una lettera anonima pervenutagli, in cui la donna veniva indicata da “un gruppo di contribuenti” come un evasore totale perché, appunto, avrebbe quotidianamente impartito parecchie di quelle lezioni per il prezzo di Euro 27 all’ora senza rilasciare ricevuta.

D’altra parte sottolineava come la stessa non potesse essere obbligata a violare il proprio obbligo di riservatezza, rilevando comunque che ella aveva prodotto un libretto universitario comprovante che era stata iscritta ed aveva superato diversi esami presso la facoltà di giurisprudenza, senza mai laurearsi; dunque aveva una formazione poco corrispondente alla natura dell’insegnamento di cui all’anonimo. In ogni caso, respingeva l’assunto dell’Ufficio circa l’inversione dell’onere della prova a carico del soggetto controllato, desunto dalle norme dei citati D. P. R. Secondo cui “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”, le risultanze dei conti sono poste a base dell’accertamento. L’Ufficio appellava sostanzialmente ribadendo le prime argomentazioni, insistendo sull’inversione dell’onere della prova, che farebbe venir meno la necessità dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, concernenti le presunzioni semplici, non già, come nel caso di specie, una presunzione legale relativa a favore dell’Erario. Orbene, i primi giudici hanno deciso correttamente.

Al di là della credibilità o meno delle giustificazioni date dalla signora in ordine alla provenienza dei propri introiti, vi è da osservare: 1) che il contenuto di un anonimo non può costituire elemento posto alla base di un accertamento induttivo, a meno che il suo contenuto non trovi, in tutto od in parte, riscontro aliunde. Ciò non è avvenuto perché l’Ufficio non si è nemmeno peritato di controllare la provenienza degli assegni bancari versati, cosa che poteva fare del tutto agevolmente. Né ha provato a fare un calcolo di quanto, seguendo le indicazioni dell’anonimo o prescindendo da questo, la signora avrebbe potuto introitare mese per mese, ed ogni anno, a titolo di lezioni private: operazione che invece, sia pure con l’approssimazione del caso, ha compiuto questa Commissione, con un risultato che indica come assolutamente impossibile che le sole lezioni private fornissero alla donna quegli introiti. Senza contare che effettivamente il corso di studi della signora  ****** non pare in sintonia con l’insegnamento delle materie indicate; 2) non è assolutamente possibile affermare che viga nel caso il principio dell’inversione dell’onere della prova: ciò sarebbe ammissibile se l’Ufficio avesse basato l’accertamento su elementi obiettivamente acquisiti, sia pure non sufficienti (quali non possono essere i dati ricavati da un anonimo). E’ invece l’Ufficio che non è stato assolutamente in grado, pur potendolo fare, di fornire elementi gravi precisi e concordanti, come deve essere nel caso di accertamento induttivo, sostanzialmente fondando sul nulla l’attribuzione alla  ****** di quegli introiti come reddito di  lavoro autonomo.

In realtà, l’Ufficio non è stato in grado di adeguatamente motivare che quei cespiti costituiscano reddito, soggetto dunque a tassazione, e non elargizioni svincolate da attività lavorativa. Può darsi che la signora facesse lezioni private, ma era l’Ufficio a doverlo dimostrare con una adeguata istruttoria, che non è stata compiuta, e che nemmeno ha permesso di dimensionare con attendibilità l’entità degli eventuali redditi da  lavoro autonomo dalla stessa percepiti, che, come si è detto, da un semplice calcolo si comprende non potere comunque in toto derivare dalle presunte lezioni. Pertanto, l’impugnata sentenza deve essere confermata e deve essere respinto l’appello dell’Ufficio, con conseguente compensazione delle spese, attesa la peculiarità del caso.  

Avviso accertamento da redditometro: nullatenente omessa dichiarazione ed auto di lusso

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L’Agenzia  delle Entrate constatata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e l’intestazione di un auto benzina HP 26, anno 88, periodo 12, quota 100% e spese sostenute per incrementi patrimoniali aveva proceduto (con distinti avvisi di accertamento) alla rideterminazione del reddito sintetico sulla base del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in relazione ai D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992.

SENTENZA Cassazione Civile Sent. N. 11213 del 20-05-2011

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 25 settembre 2006 all’AGENZIA delle ENTRATE ed al suo Ufficio di Chivasso (depositato, con plico postale spedito il 3 ottobre 2006), G. M. A.- premesso che il 13 dicembre 2001 l’Ufficio, constatata l’omessa presentazione della dichiarazione IRPEF e l’intestazione di un'”auto benzina HP 26, anno 88, periodo 12, quota 100%” e “spese sostenute per incrementi patrimoniali: 150. 250 nel periodo 1994/1999”, aveva proceduto (con distinti avvisi di accertamento) “alla rideterminazione del reddito sintetico sulla base del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in relazione ai D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992” per gli anni d’imposta 1995 e 1995 -, in forza di sei motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 39/31/06 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il 5 luglio 2006) che aveva recepito l’appello dell’Ufficio avverso la decisioni (26/29/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino (che aveva accolto il suo ricorso) e “determina(to) il reddito imponibile in L. 43. 045. 500”.

L’Agenzia delle Entrate depositava mero “atto di costituzione”.

L’Ufficio locale della stessa Agenzia non svolgeva attività difensiva. Motivi della decisione
1. La Commissione Tributaria Regionale – premesso che il “reddito sintetico” era stato determinato “sulla base dei seguenti beni e servizi” (“per i quali si sostenevano le relative spese”):
“autovettura (Jaguar Xj 6, anno 1988, a benzina” e “spese per incrementi patrimoniali”; rigettate le eccezioni (proposte dall’Ufficio) (a) di “inammissibilità del ricorso” (essendo stati impugnati “contemporaneamente due avvisi”) e (b) di “violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32” (“motivazioni” fondate su “atti prodotti solo nella fase contenziosa” e non “con la risposta al questionar”) -, come riportato, ha “determina(to) il reddito imponibile in L. 43. 045. 500” esponendo queste ragioni:
– “per quanto concerne i D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 ed il loro utilizzo in riferimento alla controversia de qua, si ritengono condivisibili le argomentazioni addotte dai giudici di prime cure”: “l’impiego degli indici e dei coefficienti presuntivi di reddito collegati ad elementi di capacità contributiva dovrà in primo luogo essere utilizzato quale spunto di indagine, allo scopo di individuare, per quanto possibile, le effettive fonti reddituali eventualmente sottratte all’imposizione escludendo, però, automatismi puramente aritmetici e rimanendo nell’ambito del concetto di “indizio”; “in tal modo il risultato raggiunto attraverso i coefficienti diviene la spia li una possibile situazione a rischio di evasìone utile ad innescare e stimolare l’attività di accertamento dell’Amministrazione per stabilire e effettive condizioni economiche del contribuente onde giustificare recuperi mediante tassazione di redditi presunti”;

– “fatte queste debite premesse in ordine alla natura semplice, e non assoluta, delle presunzioni di reddito discendenti dagli indici e coefficienti presuntivi e pertanto suscettibili di poter essere confutate dal contribuente attraverso la possibilità di prova contraria, si ritiene che nella fattispecie di cui trattasi il contribuente, fornendo elementi generici ed incompleti, non ha provveduto a giustificare e, quindi, a controvertere completamente la presunzione semplice sulla base della quale sono scaturiti gli accertamenti de quo”: “dalla documentazione in atti risulta infatti che, a supporto ed a giustificazione della capacità di spesa da parte del contribuente, vi fosse unicamente la disponibilità di un patrimonio rappresentato da due titoli di stato (per complessivi L. 200. 000. 000), che non risultando disinvestiti, erano generanti reddito nella sola misura degli interessi percepiti il cui ammontare può però giustificare, solo parzialmente, la capacità di spesa accertata dall’Ufficio”.

In conclusione il giudice di appello ritiene, condividendo e facendo propri i conteggi effettuati dall’Ufficio nel terzo motivo di appello in ordine al reddito annuo possibile prodotto dai citati titoli, di determinare il reddito imponibile in L. 43. 045. 500″ (differenza tra il reddito di L. 61. 005. 000 accertato dall’Ufficio e la redditività dei titoli quantificata in L. 16. 959. 500)”. 2. La G. Censura la decisione per sei motivi. A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art 5 all. E affermando che la Commissione Tributaria Regionale ha determinato il reddito” a lei “imputabile.

Applicando i D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 che sono illegittimi ed invalidi perchè emessi in violazione del disposto della L. N. 400 del 1988, art. 11”, “ovvero senza il parere del Consiglio di Stato”, quindi “regolamenti che ex art. 5” detto “il giudice non doveva nè utilizzare nè applicare al caso”. B. Con il secondo motivo la contribuente – assunto aver esibito, tra l’altro, “quietanze di assicurazione dell’auto. Per il periodo 93/94 e 94/95 intestate e pagate dal figlio F. P. G. ” – denunzia “omessa o insufficiente motivazione in relazione a documenti decisivi, in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato (o, comunque, ha fornito una motivazione insufficiente) per imputare” a lei “l’intero reddito determinato induttivamente per essere intestataria di un’ auto”, “senza ridurlo” (“come stabilisce il D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2”) “in presenza di prova documentale che attestava come l’assicurazione dell’auto fosse stata pagata dal figlio”. Secondo la ricorrente, quindi, la “Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto non solo decurtare dal reddito.

Determinato gli interessi da capitali percepiti. , ma anche ridurlo ulteriormente tenendo conto del fatto che ella sopportava solo in parte le spese del bene che aveva originato l’accertamento”. C. Con il terzo motivo la G. – esposto di aver prodotto in primo grado, tra l’altro, “dichiarazioni del Sindaco. Sulle sue condizioni personali” nonchè “stato di famiglia storico” (dal quale “emerge” che ella “è coniugata dall’undici maggio 1957 con F. M. In regime di comunione di beni, non essendovi diversa annotazione”) – denunzia “omessa o insufficiente motivazione in relazione a documenti decisivi, in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato (o lo ha fatto in modo insufficiente) per quale motivo abbia ritenuto di imputare” a lei “l’intero reddito determinato sinteticamente ed induttivamente dal fatto di essere intestataria dell’auto e del bene acquistato nel 1997, e non solo in parte, in presenza della prova che questi beni erano stati acquistati in pendenza di matrimonio, retto dal regime patrimoniale della comunione dei beni, e che pertanto dovevano considerarsi per il 50% in proprietà e disponibilità del marito F. M. “, di tal che “l’accertamento. Non si fonda sull’uso reale ma sull’intestazione del bene e dell’acquisto”. D. Con il quarto motivo la contribuente denunzia “violazione e/o falsa applicazione del D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2. E del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, comma 5, perchè la Commissione Tributaria Regionale. Ha imputato” a lei “l’intero reddito determinato presuntivamente e sinteticamente accertato” nonostante (a) la “prova” (1) che “sopportava solo in parte le spese dell’auto” e (2) che “i beni (l’auto del 1988 e l’acquisto del 1997).

Erano, ex lege, suoi solo per il 50%” e (b) “la mancata prova che erano solo nella sua esclusiva disponibilità”: “la Commissione Tributaria Regionale”, pertanto, “doveva ridurre il reddito” perchè ella ha “dato prova in giudizio” che “sopportava solo in parte le spese dell’auto” e “ne aveva la disponibilità solo per il 50%. Cosi come aveva la disponibilità del 50% di quella acquistata nel 1997 (utilizzata per imputarle nelle annualità 1994 e 1995. Le quote di presunto reddito determinate D. P. R. N. 600 del 1973, ex art. 38, comma 5)”. E. Con il quinto motivo la G. Denunzia “falsa applicazione e/o violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Ha assunto che le dette norme imponessero” ad essa “contribuente di dimostrare di aver comunque acquisito un reddito pari a quello derivante dall’applicazione dei parametri da esse previste, negandole la possibilità di dimostrare di aver percepito un reddito inferiore comunque utile a far fronte alle spese derivanti dalla cointestazione dei beni”: con la “motivazione” detta, però, secondo la ricorrente, il giudice di appello “non ha interpretato le norme nel senso indicato da questa. Corte” (sentenza 30 settembre 2005 n. 1952), “valutato cioè se la contribuente era in possesso delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni o per comprare quello da cui ha detto gli incrementi di reddito”, “ma le ha erroneamente interpretate nel senso che la contribuente dovesse dare la prova di aver percepito lo stesso reddito sinteticamente o induttivamente determinato in forma di redditi esenti o soggetti a tassazione separata come prova il fatto che contesti (ad essa ricorrente) di aver documentato di avere risparmi per L. 200. 000. 000, redditi annuali soggetti a tassazione separata per L. 19. 959. 99, ma di avere giustificato “solo parzialmente la capacità di spesa accertata dall’Ufficio” pur avendo ella offerto la prova. Che per l’auto. Doveva pagare solo tassa di circolazione. , ed essendo noto all’Ufficio che l’acquisto del 1557 era inferiore alle sue disponibilità”. F. Con il sesto (ultimo) motivo la ricorrente denunzia “insufficiente motivazione in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato la ragione per la quale abbia ritenuto generici ed incompleti i dati documentali forniti. Per dimostrare il suo minor reddito”. 3. Il ricorso è infondato. A. L’illegittimità ed invalidità dei D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 dedotte con il primo motivo di ricorso sono insussistenti: con l’ordinanza n. 297 depositata il 28 luglio 2004, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato la “manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, secondo periodo,. Come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1. Sollevata, in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e art. 100 Cost. , comma 1 e in relazione alla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17”, specificamente osservando, in ordine a quest’ ultima disposizione, “che nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce. Che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati con regolamento governativo ai sensi della L. N. 400 del 1988, art. 17, con la conseguenza che nessun vulnus costituzionale può ravvisarsi nella scelta di un regolamento del Ministro delle finanze, senza considerare che la norma da ultimo citata, nel fare un elenco delle materie che devono essere disciplinate con il regolamento, non fa menzione della materia tributaria”. Sulla questione, di poi, questa sezione ha reiteratamente statuito (sentenze: 7 luglio 2010 n. 16055, da cui gli excerpta che seguono, nonchè 11 febbraio 2009 n. 3289, 30 giugno 2006 n. 15124, trib. , 19 aprile 2006 n. 9129, ex multis) che il provvedimento amministrativo di “elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta” emanato in forza delle conferenti norme (D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1, comma 1, lett. B), e art. 1, comma 2, di quest’ ultima; L. N. 549 del 1995, art. 3, comma 184) “non è un atto di natura regolamentare” (“nè attuativo di legge, ai sensi del primo comma, nè delegificante, ai sensi del comma 2” della L. N. 400 del 1988, art. 17) per che, “non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione”, “non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili”. B. Le violazioni del D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2, denunziate con gli altri motivi di ricorso, sono insussistenti. La norma invocata, dopo aver stabilito che “si considerano gli importi relativi a ciascun bene o servizio disponibile, quali si ricavano dalla tabella” allegata al provvedimento ministeriale, dispone che “ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra”:

(a) che “il bene o servizio è nella disponibilità anche di altri soggetti diversi da quelli indicati nel D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art 2, comma 1, ultimo periodo”, oppure

(b) che “per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese”. B. 1. La “disponibilità” considerata dalla prima parte della disposizione, attesa la sua esclusiva valenza di significazione reddituale, prescinde del tutto dalla (ed è, quindi, indifferente alla) effettiva titolarità giuridica del bene (come pure al titolo giuridico fonte di essa “disponibilità”) perchè considera rilevante e sintomatico non già quella titolarità secondo la legge ma unicamente la concreta situazione fattuale data dal riscontro del potere del soggetto di trarre dallo stesso ed in proprio favore le utilità economiche che il bene, per sua natura, è in grado di fornire (in proposito la concreta vicenda può considerarsi emblematica del concetto in questione: nella sentenza impugnata, infatti, si legge, che la contribuente ha evidenziato, nel proprio ricorso di “essere casalinga” nonchè di avere acquistato “nel 1988, in occasione del pensionamento del marito” l'”autovettura Jaguar Xj8″ per “uso di entrambi” e, nelle “memorie illustrative”, di “aver acquistato nel 1994 BOT e CCT per 200 milioni e di aver incassato cedole nel 1996 per L. 9. 091. 250”, cioè operazioni economiche possibili solo per effetto ed in conseguenza di una corrispondente “disponibilità” economica, a meno che non si deduca e dimostri la natura meramente fittizia dell’intestazione). Peraltro, il regime di “comunione legale” tra coniugi, di per sè solo, non esclude che un acquisto (anche di bene immobile) intervenuto in costanza di matrimonio sia o debba considerarsi escluso (art. 179 cod. Civ. ) da detto regime perchè (ad esempio) l’operazione economica è stata effettuata “con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio” (cfr. Cass. , 2^, 5 maggio 2010 n. 10855, secondo cui “l’acquisto di un bene, effettuato con lo scambio o con il prezzo ricavato dalla vendita di un bene personale, fa sì che si concreti un’ipotesi di surrogazione reale, con conseguente riconoscimento della natura personale del nuovo bene così acquistato”): di conseguenza, si rivela del tutto insufficiente la mera deduzione di detto regime ove non accompagnato (almeno) dalla allegazione dell’avvenuta esibizione al giudice del merito dell’atto di acquisito di quel bene e, ai fini della autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c. P. C. ), della riproduzione dei conferenti punti testuali dell’atto di acquisto. B. 2. Parimenti, considerata la identità di funzione, anche il disposto secondo cui “ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra” che “per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese” deve essere inteso attribuendo valenza non alla situazione formale ma, giusta il pregante significato del verbo “sopporta”, come prova concreta (“se il contribuente dimostra”) dell’effettivo sostenimento solo parziale delle “spese” proprie del “bene o servizio disponibile” considerato ai fini della rideterminazione del reddito. Nel caso il giudice di appello afferma che “la contribuente, in data aprile 2002, depositava documenti aggiuntivi”, tra i quali “quietanze di pagamento assicurazione auto pagate dal marito anni 92/93, 96/97 e 97/98”, mentre la ricorrente deduce di aver “prodotto nel giudizio di primo grado copia delle quietanze di assicurazioni dell’auto per il periodo 93/94 e 94/95 intestate e pagate dal figlio”: la sola intestazione (quand’anche in corrispondenza con afferente titolarità del contratto) della quietanza di pagamento dell’assicurazione (tenuto conto, peraltro, degli stretti rapporti familiari dei soggetti e della mancata allegazione di ragioni giustificative della dissociazione soggettiva tra la mai contestata “disponibilità” esclusiva del bene da parte della ricorrente e la diversa intestazione del contratto assicurativo) prova solo il pagamento ma non la effettiva “sopportazione” (ovverosìa il finale carico economico) della spesa de qua da parte del marito e/o del figlio. 4. Nonostante l’integrale reiezione del ricorso nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali di questo giudizio di legittimità perchè l’Agenzia non ha svolto nessuna attività difensiva

Circolare n. 173 30 dicembre 2011

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Con circolare n. 169 del 31. 12. 2010 sono state fornite le disposizioni attuative della determinazione del Presidente dell’Istituto n. 75 del 30 luglio 2010 “Estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall’Inps ai cittadini”, la quale prevede, a decorrere dall’1/01/2011, l’utilizzo graduale del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi. Le decorrenze per la presentazione telematica in via esclusiva sono state successivamente stabilite con la determinazione n. 277 del 24 giugno 2011 “Istanze e servizi Inps – Presentazione telematica in via esclusiva – Decorrenze”, cui si è data attuazione con circolare  n. 110 del 30. 08. 2011. Si dà quindi avvio alla telematizzazione esclusiva delle domande di disoccupazione e assegno per il nucleo  familiare ai lavoratori agricoli dipendenti, le quali a partire dal 1° gennaio 2012, salvo il periodo transitorio di cui al punto 4, dovranno pervenire attraverso uno dei seguenti canali:

Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto;

Contact Center multicanale – n. 803164.

Roma, 30/12/2011 Circolare n. 173

OGGETTO: Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010. Determinazioni presidenziali n. 75 del 30 luglio 2010 e n. 277 del 24 giugno 2011. Modalità di presentazione telematica delle domande di indennità di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti.

Aspetti organizzativi e prime istruzioni operative.

SOMMARIO: Premessa

1.   Presentazione telematica della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite Patronato

2.   Presentazione telematica della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti direttamente  da cittadino tramite Web

3.   Presentazione della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite Contact Center

4.   Periodo transitorio. Esclusività del canale telematico

PREMESSA

Con circolare n. 169 del 31. 12. 2010 sono state fornite le disposizioni attuative della determinazione del Presidente dell’Istituto n. 75 del 30 luglio 2010 “Estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall’Inps ai cittadini”, la quale prevede, a decorrere dall’1/01/2011, l’utilizzo graduale del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi. Le decorrenze per la presentazione telematica in via esclusiva sono state successivamente stabilite con la determinazione n. 277 del 24 giugno 2011 “Istanze e servizi Inps – Presentazione telematica in via esclusiva – Decorrenze”, cui si è data attuazione con circolare  n. 110 del 30. 08. 2011. Si dà quindi avvio alla telematizzazione esclusiva delle domande di disoccupazione e assegno per il nucleo  familiare ai lavoratori agricoli dipendenti, le quali a partire dal 1° gennaio 2012, salvo il periodo transitorio di cui al punto 4, dovranno pervenire attraverso uno dei seguenti canali:

Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto;

Contact Center multicanale – n. 803164.

1.    Presentazione telematica della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite  patronato La presentazione della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti può essere effettuatra tramite Patronato, secondo le modalità già in uso.

2.    Presentazione telematica della domanda di disoccupazione agricola e assegno per il nucleo familiare direttamente da cittadino tramite Web. Il servizio è disponibile sul sito internet dell’Istituto (www. Inps. It) attraverso il seguente percorso: Al servizio del cittadino / Autenticazione con PIN / Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito / Cessazione rapporto di lavoro / Disoccupazione agricola. In automatico il servizio preleva e precompila l’anagrafica dell’utente autenticato con PIN consentendo al cittadino la verifica e l’eventuale modifica dei dati di residenza. Il pannello di acquisizione corrisponde al modello Prest. Agr. 21TP e l’utente provvede a compilare i campi proposti con le informazioni necessarie. La procedura effettua il controllo dei dati inseriti fornendo segnalazione degli eventuali erroriche dovranno essere rimossi per il completamento dell’acquisizione della domanda. Una volta completata l’acquisizione della domanda il cittadino può stampare la ricevuta di presentazione e il modello Prest. Agr. 21TP telematico che non dovrà essere presentato all’Istituto ma conservato dall’utente. Le domande che pervengono dallo Sportello del cittadino verranno gestite dalle Strutture territoriali INPS in analogia a quanto già previsto per le domande telematiche trasmesse dagli Enti di patronato. Se il cittadino non è munito di PIN dispositivo, la procedura, al termine della presentazione della domanda, rilascia il seguente messaggio di avvertenza:

“Nel confermarLe il corretto ricevimento della Sua domanda di indennità di disoccupazione agricola, la cui data di trasmissione via web con PIN online rimane valida ad ogni effetto, La informiamo che per consentirci la definizione della domanda è necessario che Lei richieda l’attivazione di un “PIN Dispositivo”. La richiesta di tale PIN può essere effettuata tramite la procedura online sul sito Internet dell’INPS, raggiungibile seguendo il percorso: Servizi Online à Richiedi il tuo Pin Online à CONVERTI IL TUO PIN. La informo che il Pin dispositivo, che garantisce maggiore sicurezza ai Suoi dati, potrà essere da Lei utilizzato per successive richieste di servizi/prestazioni”.

3.    Presentazione della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite Contact Center Il servizio sarà disponibile telefonando al Contact Center multicanale – Numero Verde 803. 164. Le domande potranno essere acquisite con o senza PIN del cittadino. L’operatore della struttura INPS territorialmente competente dovrà gestire le domande degli utenti dotati di PIN dispositivo come domande da sportello virtuale del cittadino (vedi precedente paragrafo 2). Nel caso in cui l’utente non sia dotato di PIN o sia dotato solamente di PIN non dispositivo, verranno acquisiti dal Contact Center i dati essenziali della domanda. Successivamente copia di questa, con gli estremi identificativi, verrà inviata a stretto giro di posta all’utente che provvederà a firmarla, eventualmente integrarla, e a farla pervenire, corredata di copia del documento d’identità, a mezzo Fax al n. 800. 803. 164 o per posta alla Struttura INPS competente. L’utente dotato di PIN non dispositivo verrà invitato a convertire quest’ultimo in PIN dispositivo affinché, dalle volte successive, possa accedere più proficuamente a tutti i servizi INPS. La richiesta del PIN dispositivo potrà essere effettuata on line sul sito istituzionale www.inps.it oppure presentata direttamente presso le Strutture territoriali INPS, come già indicato nella circolare INPS n. 50 del 15 marzo 2011. Qualora  l’utente, senza PIN o con PIN non dispositivo, manifesti all’operatore di Contact Center  l’intenzione di richiedere le detrazioni d’imposta per familiari a carico, allo stesso dovrà essere inviata dall’operatore la necessaria modulistica (modello MV10) che l’utente dovrà debitamente compilare e inoltrare all’Istituto attraverso una delle due modalità sopra indicate (Fax al n. 800. 803. 164 o per posta alla Struttura INPS competente). Qualora l’utente sia invece dotato di PIN dispositivo e manifesti all’operatore di Contact Center  l’intenzione di richiedere le detrazioni d’imposta per familiari a carico, l’operatore del Contact Center provvederà ad acquisire anche i dati relativi a detta richiesta. Naturalmente il Contact Center fornirà supporto anche ai cittadini che utilizzano il canale webdi cui al paragrafo 2.

4.    Periodo transitorio. Esclusività del canale telematico A decorrere dal 1° gennaio 2012, tutte le domande di indennità di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti dovranno essere inoltrate attraverso unodei tre  canali telematici indicati in premessa. Al fine di informare i potenziali beneficiari è previsto un periodo transitorio di tre mesi durante il quale saranno comunque garantite le consuete modalità di presentazione delle domande. Per consentire, in detto periodo, il caricamento in procedura delle domande presentate allo sportello della Struttura INPS territorialmente competente senza creare situazioni di criticità, la procedura “Presentazione domande di disoccupazione agricola” verrà aggiornata per consentire all’operatore di acquisire la domanda mediante l’inserimento del solo codice fiscale, in analogia con la modalità utilizzata dagli operatori di Contact Center. La procedura assegnerà alla domanda il numero di protocollo, consentirà la stampa della ricevuta di presentazione e memorizzerà in archivio la domanda come “incompleta”. L’operatore dovrà quindi successivamente richiamare la domanda e completarla. Al termine del periodo transitorio, ossia dal 1° aprile 2012, i tre canali telematici diventeranno esclusivi ai fini della presentazione delle istanze di prestazione. Si precisa, ad ogni buon fine, che il termine perentorio per la presentazione delle domande di indennità di disoccupazione agricola è stabilito al 31 marzo. Successivamente a tale data sarà possibile presentare solo la richiesta dell’assegno per il nucleo familiare (ANF) nell’ambito della prescrizione quinquennale. La richiesta andrà presentata telematicamente attraverso uno dei tre canali sopraindicati.

Conferimento di ramo d’azienda subentro nel c.d. plafond ed esenzione IVA

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OGGETTO: Interpello – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 – Subentro nel c. D. Plafond  a  seguito  di  operazione  straordinaria  di  conferimento  di ramo d’azienda. Articolo 8, primo comma, D. P. R. N. 633 del 1972 Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art.   8 del  Decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26 ottobre  1972,  n. 633,  è stato esposto il seguente  

RISOLUZIONE N. 124/E  14 dicembre 2011  Direzione Centrale Normativa     

OGGETTO: Interpello – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 – Subentro nel c. D. Plafond  a  seguito  di  operazione  straordinaria  di  conferimento  di ramo d’azienda. Articolo 8, primo comma, D. P. R. N. 633 del 1972     Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art.   8 del  Decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26 ottobre  1972,  n. 633,  è stato esposto il seguente  

QUESITO   

ALFA S. P. A. (di seguito, la “Società”) realizza macchinari ad alto contenuto tecnologico destinati alle industrie del petrolio, del gas e della produzione di energia elettrica. I macchinari sono realizzati sulla base di contratti di appalto e di vendita, per conto di clienti-soggetti  passivi IVA che agiscono in quanto tali, stabiliti in Italia, Stati dell’UE e Stati extra-UE. La Società, oltre alla realizzazione dei macchinari, fornisce ai propri clienti servizi di montaggio, supervisione al montaggio nell’ipotesi in cui il montaggio del bene non sia eseguito dalla società istante, manutenzione e riparazione. In virtù delle numerose cessioni intracomunitarie e cessioni all’esportazione poste in essere, la Società ha acquisito lo status di soggetto abilitato ad effettuare acquisti e importazioni di beni e servizi senza pagamento dell’Iva, ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lett. C), e secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, nei limiti dell’ammontare delle operazioni non imponibili effettuate nell’anno solare precedente o nei dodici mesi precedenti.     Tutto ciò premesso, la Società fa presente che intende separare l’attività di produzione da quella di prestazione di servizi. Ciò avverrebbe – con effetto dal 31 dicembre   2011  –  mediante   il  conferimento   del  ramo  aziendale  afferente  la produzione dei macchinari in una società a responsabilità limitata di nuova costituzione  (di seguito  “Newco”)  della quale  la Società  deterrà  la totalità  delle quote.  

Per  effetto  del  conferimento,  l’attività  di produzione  dei  macchinari  sarà svolta dalla Newco mentre la Società interpellante, oltre all’attività di prestazione di servizi, effettuerà la vendita, continuerà cioè ad essere la controparte contrattuale dei clienti, relativamente ai macchinari prodotti dalla Newco.

Conseguentemente, nella tipologia di operazioni poste in essere più frequentemente dalla Società interpellante, cessioni all’esportazione, si determinerà un’operazione triangolare, di cui all’articolo 8, primo comma, lettera a), del DPR n. 633 del 1972, nella quale Newco assumerà il ruolo di primo cedente nazionale e la  Società quello di promotore della triangolazione.   Tanto premesso, la Società chiede se la Newco conferitaria – dedita all’attività produttiva – possa subentrare alla Società (conferente) nella facoltà di acquistare senza Iva, ai sensi del citato art. 8, primo comma, lett. C), e secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, i beni e servizi necessari alla produzione dei macchinari, in virtù del plafond maturato nell’anno 2011.   

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE   

La Società interpellante osserva che nella disciplina Iva nazionale manca una disposizione   che   regolamenti,   in   generale,   gli   effetti   delle   operazioni   di conferimento di ramo d’azienda.

Tali effetti, invece, sono disciplinati dall’articolo 19 della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, secondo cui “In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto    forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente”.

Tale disposizione prevede la possibilità, per gli Stati membri, di considerare irrilevante, agli effetti dell’Iva, l’operazione di conferimento di complesso aziendale e parimenti di riconoscere la successione del conferitario  nei rapporti tributari  Iva relativi  al complesso  aziendale  oggetto del conferimento. La Repubblica Italiana si è avvalsa della predetta facoltà di non attrarre nell’ambito impositivo l’operazione di conferimento di complesso aziendale con la previsione di cui all’articolo 2, terzo comma, lettera b) del DPR n. 633 del 1972 secondo cui non sono considerate cessioni di beni “…le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda”. Da ciò, ad avviso della Società interpellante, deriva automaticamente la successione del soggetto conferitario in tutti gli  obblighi  e  i  diritti  relativi  all’applicazione  dell’Iva  inerenti  il  complesso aziendale  oggetto  del trasferimento.  

Tra i diritti in cui il conferitario  succede  è quindi da ricomprendere anche la possibilità di effettuare acquisti e importazioni senza pagamento dell’imposta. Possibilità prevista dall’articolo 164 della Direttiva 2006/112 e recepita dal legislatore nazionale con il citato articolo 8 del DPR n. 633 del 1972. In  particolare,  sia  con  riferimento  alla  verifica  dello  status  di  soggetto abilitato a effettuare acquisti e importazioni senza pagamento dell’imposta, sia ai fini della determinazione del plafond all’uopo spendibile, il conferitario dovrebbe poter fare riferimento – in applicazione di tale principio – alle operazioni relative al complesso aziendale trasferito che hanno generato il plafond, poste in essere dalla conferente. Considerato che nella fattispecie in esame – a seguito dell’operazione di conferimento  del  ramo  aziendale  –  le  cessioni  all’esportazione  dei  macchinari    avverranno con operazioni triangolari (Newco cede all’istante che a sua volta cede al cliente estero con trasporto all’estero a cura della Newco), può ritenersi che alla Newco competa la maggior parte del plafond maturato nel 2011 in capo alla Società interpellante posto che l’attività di promotore della triangolazione da parte dell’interpellante origina un plafond limitato alla differenza tra il corrispettivo richiesto al cliente estero ed il corrispettivo addebitatogli da Newco.

Le prestazioni di servizi che la Società interpellante continuerà ad effettuare, infatti, non comporteranno l’effettuazione di operazioni che concorrono alla formazione del plafond. La società ritiene, quindi, che per determinare la quota di plafond disponibile al 1° gennaio 2012, da attribuire all’una o all’altra delle società, potrebbe procedersi in funzione delle operazioni non imponibili che si stima saranno rispettivamente poste in essere da ciascuno dei due soggetti nell’anno 2012. La Società espliciterebbe nell’atto di conferimento il passaggio del plafond e i criteri di attribuzione dello stesso in parte alla conferente e in parte alla conferitaria, provvedendo all’indicazione dell’operazione nella comunicazione di variazione dati da  presentare  ai  sensi  dell’art.   35,  comma  3,  DPR  n.   633/1972.   In  particolare, verrebbe compilato il modello AA7/10, quadro D, secondo le modalità previste dalle istruzioni, per evidenziare il passaggio del c. D. Plafond alla conferitaria. A parere dell’istante, tale soluzione sarebbe coerente con la “ratio” su cui si fonda l’art. 8, quarto comma, del DPR n. 633 del 1972 – sia pure relativo all’affitto dell’azienda – “ratio”  estensibile  anche  al caso  del  conferimento  in esame  – ravvisabile  nella finalità di evitare la duplice utilizzazione del plafond. Sulla base di tale “ratio” l’acquisizione del plafond dovrebbe ritenersi pienamente legittima non solo qualora, a  seguito  dell’operazione,  il  conferitario  sia  l’unico  soggetto  a  beneficiarne  ma anche,  come  nel  caso  di  specie,  qualora  sia  chiaro  quale  parte  compete  al conferitario stesso. Nella specie, il plafond spettante alla Newco dovrebbe essere individuato in funzione di un rapporto che vede al numeratore l’ammontare stimato    delle operazioni non imponibili che la stessa effettuerà nel 2012 e al denominatore la somma di tale ammontare e di quello relativo alle operazioni non imponibili che ALFA stima di effettuare nel 2012, rimanendo in capo alla Società istante la parte residua del plafond stesso.

Con nota prot. N. … di novembre 2011 la Società interpellante ha precisato che l’operazione di conferimento si perfezionerà il 31 dicembre 2011 e, pertanto, non sussisterà una fase transitoria in cui la Società continuerà ad effettuare cessioni dirette all’esportazione.   

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE   

L’art. 8, secondo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, consente a coloro che effettuano esportazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma del medesimo articolo 8, dietro presentazione di una lettera di intenti, di poter acquistare beni e servizi senza IVA, nei limiti dei corrispettivi  realizzati per l’effettuazione  di tali operazioni nell’anno solare precedente (ovvero nei dodici mesi precedenti, come consentito dall’art. 2, c. 2, della legge 18 febbraio 1997, n. 28), ammontare che rappresenta  il  c. D.   plafond  fisso  (ovvero  mobile,  se  riferito  ai  dodici  mesi precedenti). Ciò a condizione che – come stabilito dall’art. 1 del D. L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17 – l’ammontare di tali corrispettivi sia superiore al dieci per cento del volume d’affari; l’art. 41, comma 4, del D. L. 30 agosto 1993, n. 331, stabilisce che i corrispettivi delle cessioni intracomunitarie concorrono alla determinazione del plafond ed alle relative percentuali necessarie per l’effettuazioni di acquisti senza IVA. L’art. 8, primo comma, lettera c), del DPR n. 633 del 1972, prevede che possano fruire di tale agevolazione anche le cessioni di beni, diversi dai fabbricati ed    aree fabbricabili, e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di coloro che effettuano cessioni all’esportazione ovvero cessioni intracomunitarie. Con riferimento alla possibilità di trasferimento del plafond nelle ipotesi di conferimento d’azienda o di ramo aziendale, con la risoluzione n. 165 del 2008 è stato chiarito che “Il conferimento d’azienda o di ramo aziendale determina il subentro nella posizione di esportatore abituale da parte del conferitario il quale può fruire del plafond maturato dalla conferente quando ricorrono due condizioni: 1) il conferitario continua, senza soluzione di continuità, l’attività relativa al complesso aziendale oggetto di trasferimento, in precedenza svolta dal conferente; 2)  il  conferitario  subentra  nei  rapporti  giuridici  (attivi  e  passivi)  relativi  ai complessi aziendali conferiti”. Le predette condizioni sono finalizzate ad assicurare la continuità nello svolgimento dell’attività di impresa – tesa all’esportazione – da parte della società conferitaria, tale da giustificare il trasferimento in capo alla stessa dello status di esportatore  abituale  e, conseguentemente,  il diritto  della conferitaria  a fruire (in luogo della conferente,  che ha maturato  il c. D. Plafond)  del beneficio  della non imponibilità dell’Iva per gli acquisti di beni e servizi e per l’importazione di beni, previsto dall’articolo 8, primo comma, lettera c), del DPR n. 633 del 1972. In particolare, per quanto riguarda la condizione che la conferitaria subentri al conferente nei rapporti giuridici in essere, con la predetta risoluzione n. 165/E del 2008 è stato richiamato l’orientamento della giurisprudenza tributaria di primo e secondo grado (cfr. CTR Piemonte 9 marzo 2007, n. 8) secondo cui nelle “trasformazioni   sostanziali   soggettive   il   trasferimento   del   plafond   a   favore dell’avente causa non deve ritenersi subordinato al trasferimento di tutti i debiti/crediti  dell’azienda  ma solo delle posizioni  attive e passive  necessarie  ad assicurare,  in  situazione  di  continuità,  la  prosecuzione  dell’attività  di  impresa rivolta ai clienti non residenti”.    

Tanto premesso,  si è dell’avviso  che il trasferimento  del plafond  non sia condizionato al trasferimento di tutti i rapporti con la clientela non residente o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie e debitorie relative al ramo d’azienda conferito. Il diritto a fruire dello speciale trattamento fiscale previsto dalla norma nasce, infatti, dalla situazione obiettiva, ovverosia dall’essere esportatore abituale nei limiti  quantitativi   previsti  dalla  relativa  disciplina.   Situazione  nella  quale  il conferitario  subentra  per  effetto  del  conferimento  del  ramo  aziendale  dedito all’attività di esportazione. Nell’ipotesi prospettata dalla Società, a seguito dell’operazione straordinaria di conferimento di ramo aziendale, la conferitaria subentrerà alla conferente nell’attività di produzione dei macchinari mentre la conferente continuerà ad essere controparte contrattuale della clientela estera nonché ad esercitare l’attività di prestazione dei servizi (montaggio, supervisione al montaggio, manutenzione ecc. ) nei confronti della stessa clientela. In particolare, gli scambi con la clientela estera avverranno tramite operazioni triangolari (Newco cede alla Società istante – promotore della triangolazione – che a sua volta cede al cliente estero con trasporto all’estero a cura della Newco).

Ne  consegue  che entrambe  le società  (conferente  e conferitaria) continueranno  ad  effettuare  operazioni  che  attribuiscono  lo status  di esportatore abituale: la conferente nei limiti dell’attività di promotore della triangolazione, vale a dire per la differenza tra il corrispettivo richiesto al cliente estero ed il corrispettivo addebitatogli da Newco (articolo 8, secondo comma, DPR n. 633 del 1972) e la conferitaria nei limiti delle cessioni poste in essere nei confronti della società conferente. In relazione a tale situazione, si è dell’avviso che il plafond maturato dalla conferente possa essere suddiviso con la conferitaria, subentrante nell’attività dedita all’esportazione.    

Ai fini della determinazione del quantum di plafond maturato nell’anno 2011 dalla conferente, trasferibile alla conferitaria, si ritiene condivisibile la soluzione interpretativa  prospettata  dalla Società  interpellante  secondo  cui il plafond  potrà essere utilizzato da: – Newco, in funzione di un rapporto che vede al numeratore l’ammontare (stimato) delle operazioni non imponibili che si presume che la stessa porrà in essere nel 2012 e al denominatore la somma di tale ammontare e dell’ammontare (pure stimato) delle operazioni non imponibili che si presume che la Società interpellante porrà in essere nel 2012. Ai fini di tale calcolo, per le operazioni in cui la Società interpellante assumerà il ruolo di secondo cedente in una “operazione triangolare”, si considererà come ammontare delle operazioni la differenza tra i corrispettivi praticati da ALFA nei confronti dei clienti e i corrispettivi praticati da Newco alla Società interpellante; – dalla Società interpellante, per la restante parte.  

In altri termini, il predetto metodo consentirà di ripartire tra la conferente e la conferitaria il plafond maturato nell’anno 2011 dalla Società interpellante, in base all’entità dell’attività di esportazione che sarà effettuata rispettivamente da Newco e dalla Società interpellante nell’anno 2012. Sotto il profilo degli adempimenti connessi al trasferimento del plafond si ritiene che la procedura descritta dalla Società sia condivisibile. Pertanto, nell’atto di conferimento, ALFA indicherà il passaggio del plafond e i criteri di attribuzione dello stesso in parte alla stessa Società e in parte alla conferitaria.

La Società conferitaria, a sua volta, dovrà provvedere all’indicazione dell’operazione nella comunicazione di variazione dati da rendere ai sensi dell’articolo 35, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, compilando il modello AA7/10, quadro D. In particolare, la società conferitaria dovrà barrare le caselle (2a e PL) relative al conferimento del ramo d’azienda ed al subentro nella facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta. Dovrà, altresì, essere indicato negli appositi spazi del predetto modello il codice fiscale del soggetto conferente.       

Esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e i motoveicoli di “particolare interesse storico e collezionistico”

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OGGETTO: Interpello – interpello ordinario – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 –  Esenzione  dal  pagamento  delle  tasse  automobilistiche  per  gli autoveicoli  e   i   motoveicoli   di   “particolare   interesse   storico   e collezionistico”  –  articolo  63,  comma  2,  della  legge  21  novembre 2000, n. 342    

RISOLUZIONE N. 112/E, 29 NOVEMBRE 2011  Direzione Centrale Normativa      

OGGETTO: Interpello – interpello ordinario – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 –  Esenzione  dal  pagamento  delle  tasse  automobilistiche  per  gli autoveicoli  e   i   motoveicoli   di   “particolare   interesse   storico   e collezionistico”  –  articolo  63,  comma  2,  della  legge  21  novembre 2000, n. 342    

Con   l’interpello   specificato   in   oggetto,   concernente   l’interpretazione dell’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342 è stato esposto il seguente 

QUESITO  

TIZIO,   titolare   di   un   motoveicolo   immatricolato   nell’anno   1986   ed individuato nell’elenco dei modelli dei motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico della Federazione Motociclistica Italiana (FMI) valido per il 2011, chiede di conoscere il corretto trattamento tributario applicabile, ai fini delle tasse automobilistiche, al proprio motoveicolo ultraventennale. L’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342 dispone l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e i motoveicoli di “particolare interesse storico e collezionistico” costruiti da almeno 20 anni.   L’articolo 63, comma 3, dispone, inoltre, che i veicoli e i motoveicoli per i quali è possibile fruire dell’esenzione devono essere individuati dall’Automobilclub Storico Italiano (ASI) e dalla Federazione Motociclistica Italiana (FMI), con propria determinazione.   L’interpellante chiede di conoscere con quali modalità debba essere comprovata la sussistenza del requisito del “particolare interesse storico e collezionistico”. Il quesito proposto assume rilevanza in quanto l’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice dalla Strada) stabilisce che “rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI”. Il contribuente istante chiede, quindi, di conoscere se per beneficiare dell’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica di cui all’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342, per il proprio motoveicolo, sia necessaria l’iscrizione nei registri della Federazione Motociclistica Italiana.   

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE 

Il contribuente ritiene di poter usufruire dell’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica, pur non essendo iscritto alla FMI. A parere dell’istante, infatti, qualora si ritenesse di subordinare il riconoscimento   del   predetto   beneficio   fiscale   all’obbligo   di   iscrizione   ad associazioni private come l’ASI o la FMI si realizzerebbe una “disparità di trattamento per situazioni uguali (motocicli ultraventennali iscritti e non)”.  

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE  

In via preliminare, occorre ricordare che la competenza nella gestione degli interpelli dell’Agenzia delle entrate è limitata alle tasse automobilistiche dovute dai soggetti residenti nelle Regioni a statuto speciale, nonché a quelle riguardanti i veicoli in temporanea importazione di cui all’articolo 23, comma 3, del decreto  legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (circolare 16 maggio 2005, n. 23 e circolare 5 ottobre 2005, n. 43). Tenuto  conto  che  il  contribuente  istante  è  residente  in  un  comune  della  Sardegna si rappresenta, quindi, quanto segue:  –     l’articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, disciplinante le “tasse automobilistiche per particolari categorie di veicoli”, prevede, al comma 1, l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per i veicoli ed i motoveicoli  che  hanno  compiuto  trent’anni  dall’anno  di  prima immatricolazione, esclusi quelli adibiti ad uso professionale. A tal fine, viene predisposto, per gli autoveicoli dall’Automobilclub Storico Italiano (ASI) e per i motoveicoli anche dalla Federazione Motociclistica Italiana (FMI), un apposito elenco indicante i periodi di produzione dei veicoli; –   il comma 2 dell’articolo 63 estende l’esenzione anche agli autoveicoli e motoveicoli di “particolare interesse storico e collezionistico”, per i quali il termine predetto è ridotto a venti anni. Come ribadito dall’Agenzia delle entrate, con circolare 16 novembre 2000, n. 207, l’articolo 63, comma 2, definisce di “particolare interesse storico e collezionistico” i veicoli costruiti specificamente per le competizioni, i veicoli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in  vista  di  partecipazione  ad  esposizioni  o  mostre  ed  infine  i  veicoli  che rivestono un particolare interesse storico o collezionistico in ragione del loro rilievo industriale, sportivo, estetico o di costume; –     il comma 3 dell’articolo 63 dispone, inoltre, che “I veicoli indicati al comma 2 sono  individuati,  con  propria  determinazione,  dall’ASI  e,  per  i  motoveicoli, anche dalla FMI. Tale determinazione è aggiornata annualmente”. La norma stabilisce, infine, che i veicoli di cui ai predetti commi 1 e 2 sono assoggettati,  in  caso  di  utilizzazione  sulla  pubblica  strada,  ad  una  tassa  di circolazione forfettaria annua.   Pertanto, l’articolo 63, comma 2, estende il trattamento di esenzione dalle tasse automobilistiche, previsto dal comma 1 per i veicoli ultratrentennali – non adibiti  ad  uso  professionale  –  ai  veicoli  ultraventennali  di  particolare  interesse storico e collezionistico, individuati dall’ASI o dalla FMI con propria determinazione. Si osserva che, per i veicoli ultraventennali, a differenza dei veicoli di cui al comma 1, l’esenzione non spetta in ragione del solo presupposto della vetustà, ma è subordinata alla preventiva determinazione annuale di enti associativi riconosciuti dalla legge, quali l’ASI e l’FMI. Al riguardo, si rileva che i commi 2 e 3 del citato articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, non delineano alcuna procedura di tipo autorizzatorio, né viene prevista, per il riconoscimento del regime di favore, l’iscrizione nei registri tenuti dall’ASI o dalla FMI o in altro registro storico. In sostanza, per fruire del beneficio fiscale in commento non viene espressamente richiesta l’iscrizione del veicolo nei predetti registri, come è, invece, disposto dall’articolo  60, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice dalla Strada) secondo cui “ rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in  uno  dei  seguenti  registri:  ASI,  Storico  Lancia,  Italiano  FIAT,  Italiano  Alfa Romeo, Storico FMI”. A seguito di apposita richiesta di parere inviata dalla scrivente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con nota R. U. 26300 del 19 settembre 2011 ha chiarito che “ l’iscrizione in uno dei sopra citati registri è condizione necessaria affinché un veicolo possa essere considerato e classificato, ai fini delle disposizioni contenute nel codice della strada, di interesse storico e collezionistico”.   A parere del  Ministero  delle  Infrastrutture,  quindi,  le  previsioni  dettate  dal  Codice  della Strada non esplicano effetti in ordine al regime fiscale applicabile ai veicoli in argomento.   Pertanto, i principi dettati dall’articolo 60 non esplicano effetti in ordine alla individuazione, sotto il profilo fiscale, dei veicoli di “particolare interesse storico e collezionistico” disciplinati dall’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342.   Quanto sopra trova conferma nella sentenza della Corte Costituzionale del 23 dicembre 2005, n. 455 che in relazione all’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, afferma che tale “disposizione individua i veicoli di interesse storico collezionistico al solo fine di regolarne la circolazione stradale (…) e non può estendersi al diverso ambito settoriale dell’esenzione dalla tassa automobilistica sia perché tale esenzione trova una compiuta e specifica disciplina nel citato articolo 63, sia perché la norma agevolativa fa riferimento ai veicoli di “particolare”  interesse  storico  e  collezionistico  non  a  quelli  di  mero  interesse storico e collezionistico”. Come affermato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza “ la individuazione dei relativi requisiti soggettivi e oggettivi è rimessa, ai sensi del successivo comma 3, all’ASI (Automobilclub Storico Italiano) e alla FMI (Federazione Motociclistica Italiana)”. Ai fini dell’individuazione dei veicoli ultraventennali di particolare interesse storico, l’applicazione della disposizione fiscale recata dall’articolo 63 è, tuttavia, subordinata alla sussistenza di una determinazione dell’ASI o della FMI. In considerazione del disposto dell’articolo 63, si ritiene che possano beneficiare del regime agevolativo i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico ultraventennali di proprietà di soggetti, associati o meno all’ASI o alla FMI, se compresi nelle determinazioni annuali predisposte da tali enti, in base alle caratteristiche precisate dal comma 2, lettere a), b), c) del citato articolo (veicoli costruiti per le competizioni; veicoli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in vista di partecipazione ad esposizioni o mostre; veicoli che pur non appartenendo  alle  predette  categorie  rivestano  un  particolare  interesse  storico  o  collezionistico  in  ragione  del  loro  rilievo  industriale,  sportivo,  estetico  o  di costume). L’esenzione dalla tassa automobilistica trova, quindi, applicazione qualora il veicolo sia compreso nelle apposite determinazioni predisposte dai suddetti enti che individuano  in  maniera  definita  le  tipologie  di  veicoli  in  possesso  dei  requisiti previsti dall’articolo 63, comma 2, per beneficiare delle agevolazioni fiscali in commento. In assenza di specifica individuazione dei veicoli nelle suddette determinazioni, il contribuente potrà documentare con un’attestazione rilasciata dall’ASI o dalla FMI che il proprio veicolo ultraventennale è considerato di “particolare interesse storico e collezionistico” in quanto possiede i requisiti prescritti dalla norma agevolativa (articolo 63, comma 2, lettere a, b e c). Con riferimento al quesito in esame, tenuto conto che il contribuente rappresenta che il proprio motoveicolo risulta specificamente individuato nell’elenco dei modelli indicati nella determinazione della FMI per il 2011 dallo stesso prodotta, si ritiene che possa trovare applicazione il regime di esenzione disciplinato dall’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342 per i veicoli ultraventennali di “particolare interesse storico e collezionistico”. In caso di utilizzazione sulla pubblica strada, il contribuente sarà tenuto esclusivamente al versamento della tassa forfettaria di circolazione, come previsto dal comma 4 del citato articolo 63.   

Circolare n. 130 E, Roma, 04/10/2010

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La presente circolare sostituisce  la n. 107 del 5 agosto 2010 riproponendone integralmente il contenuto integrato con la precisazione, riportata nel paragrafo 6, punto6. 1, circa l’utilizzo della quota di contribuzione IVS contenuta nel valore nominale dei “buoni lavoro” nelle ipotesi in cui, per gli anni 2009 e 2010, la prestazione di lavoro accessorio sia compatibile e cumulabile con integrazioni salariali ed altre prestazioni a sostegno del reddito.  

Circolare n. 130 E, Roma, 04/10/2010

OGGETTO: Integrazioni salariali. Compatibilità con l’attività di lavoro autonomo o  subordinato e cumulabilità del relativo  reddito. Regime dell’accredito dei contributi figurativi. Disposizioni particolari per il personale del  settore trasporto aereo. Chiarimenti in materia di utilizzo della quota di contribuzione IVS contenuta nel valore nominale dei “buoni lavoro” nei casi di compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali e delle altre prestazioni a sostegno del reddito con le prestazioni di lavoro accessorio per gli anni 2009 e 2010.

SOMMARIO:

1. Premessa e quadro normativo.

2. Incompatibilità del nuovo rapporto di lavoro: cessazione del rapporto di lavoro che dava luogo all’integrazione salariale.

2. 1. Disposizioni particolari per i lavoratori dei vettori aerei (articolo 2, comma 5-quater, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134).

3. Compatibilità tra nuova attività  di lavoro e integrazione salariale: cumulabilità totale dell’indennità con la remunerazione.

4. Compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali con le prestazioni di lavoro accessorio nel limite massimo di 3000 euro per gli anni 2009 e 2010.

5. Cumulabilità parziale tra integrazione salariale e reddito derivante da una nuova attività.

5. 1 Integrazioni salariali e redditi da lavoro a tempo pieno (occasionale o saltuario) e da lavoro part-time.

5. 2 Integrazioni salariali e redditi da lavoro autonomo o simili.

6. Regime dell’accredito della contribuzione figurativa nelle ipotesi di   compatibilità/cumulabilità totale e parziale.

6. 1. Regime dell’accredito della contribuzione figurativa in caso di svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio negli anni 2009 e 2010. Chiarimenti.

7. Prestazioni integrative a carico del fondo speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo.

La presente circolare sostituisce  la n. 107 del 5 agosto 2010 riproponendone integralmente il contenuto integrato con la precisazione, riportata nel paragrafo 6, punto6. 1, circa l’utilizzo della quota di contribuzione IVS contenuta nel valore nominale dei “buoni lavoro” nelle ipotesi in cui, per gli anni 2009 e 2010, la prestazione di lavoro accessorio sia compatibile e cumulabile con integrazioni salariali ed altre prestazioni a sostegno del reddito.

1.    Premessa e quadro normativo.

Il caso in cui il lavoratore in cassa integrazione svolga altra attività di lavoro (subordinato o autonomo) remunerata, è regolato dal combinato disposto dell’articolo 3 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 788 e dall’articolo 8, comma 4, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (convertito con legge 20 maggio 1988 n. 160). La prima norma stabilisce che l’integrazione salariale «non sarà (…) corrisposta a quei lavoratori che durante le giornate di riduzione del lavoro si dedichino ad altre attività remunerate»; l’articolo 8, comma 4, del D. L. N. 86/1988 precisa che «il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate». Come già chiarito con circolare n. 179 del  12 dicembre 2002 (le cui disposizioni devono ritenersi superate dalla presente circolare), il combinato disposto delle norme citate non sancisce tuttavia una incompatibilità assoluta delle prestazioni integrative del salario con il reddito derivante dallo  svolgimento di una attività lavorativa sia essa autonoma oppure subordinata.

Per un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, l’articolo 3 del D. Lgs. Lgt. 788/1945 si interpreta «nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata od autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa. Ai fini dell’applicazione di tale principio  – mentre in caso di attività lavorativa subordinata può presumersi l’equivalenza della retribuzione alla corrispondente quota d’integrazione salariale  – in ipotesi, invece, di attività lavorativa autonoma grava sul lavoratore (al fine del riconoscimento del suo diritto a mantenere l’integrazione salariale per la differenza) l’onere di dimostrare che il compenso percepito per la detta attività è inferiore all’integrazione salariale stessa» (Cass. N. 12487 del 23/11/1992). Resta comunque necessaria la comunicazione preventiva resa dal lavoratore alla sede provinciale dell’Istituto circa lo svolgimento dell’attività secondaria, come previsto al comma 5°, dell’art. 8 della L. 160/88, al fine di evitare la decadenza dal diritto alle prestazioni per tutto il periodo della concessione.

Allo scopo di chiarire ulteriormente il quadro, si riepilogano di seguito le circostanze in cui si può dar luogo:

–       all’incompatibilità tra la nuova attività lavorativa e l’integrazione salariale e alla conseguente cessazione del rapporto di lavoro su cui è fondata;

–       alla totale cumulabilità della remunerazione collegata alla nuova attività con l’integrazione salariale;

–       ad una parziale cumulabilità dei redditi da lavoro con l’integrazione salariale.

2.    Incompatibilità del nuovo rapporto di lavoro: cessazione del rapporto di lavoro che dava luogo all’integrazione salariale.

Si ha incompatibilità nel caso in cui il lavoratore beneficiario dell’integrazione salariale abbia iniziato un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato. In questo caso, come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 195 del 1995), «il nuovo impiego a tempo pieno e senza prefissione di termine, alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, (…) la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento». 2. 1 Disposizioni particolari per i lavoratori dei vettori aerei (articolo 2, comma 5-quater, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134). Rispetto alla regola generale del venir meno del precedente rapporto di lavoro (e quindi del diritto all’integrazione salariale) in caso di stipula di un nuovo rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, la norma contenuta nell’articolo 2, comma 5-quater, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166) pone una parziale deroga, con esclusivo riguardo alle ipotesi di cassa integrazione guadagni straordinaria concessa al personale, anche navigante, dei vettori aerei e delle società da questi derivate a seguito di processi di riorganizzazione o trasformazioni societarie (ai sensi dell’articolo 1-bis del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291). In questi casi la norma prevede eccezionalmente che «i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria assunti a tempo indeterminato, licenziati per giustificato motivo oggettivo o a seguito delle procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, hanno diritto a rientrare nel programma di cassa integrazione guadagni straordinaria e ad usufruire della relativa indennità per il periodo residuo del quadriennio». Va rilevato che, anche in questo caso il rapporto di lavoro da cui trae origine l’integrazione salariale cessa, anche se, in via eccezionale e nelle sole ipotesi previste dalla normativa, viene ripristinato al fine di consentire la fruizione dell’integrazione salariale nel residuo periodo inizialmente previsto. Di conseguenza, nel corso del nuovo rapporto di lavoro non potrà darsi luogo a cumulabilità, neppure parziale, dell’integrazione salariale con relativo reddito.

A questa conclusione conducono due ordini di motivi: da una parte l’osservazione che la reviviscenza del vecchio rapporto di lavoro avvenga solo in alcuni casi di cessazione dal nuovo contratto (licenziamento per giustificato motivo oggettivo e procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223); dall’altra il dato letterale riguardante l’effetto, che è quello di «rientrare nel programma di cassa integrazione guadagni straordinaria ed usufruire della relativa indennità» e non già quello di rientrare nel rapporto di lavoro precedente.

3. Compatibilità tra nuova attività di lavoro e integrazione salariale:

cumulabilità totale dell’indennità con la remunerazione.

Si ha piena compatibilità tra attività di lavoro ed integrazione salariale, laddove la nuova attività di lavoro dipendente intrapresa, per la collocazione temporale in altre ore della giornata o in periodi diversi dell’anno, sarebbe stata comunque compatibile con l’attività lavorativa sospesa che ha dato luogo all’integrazione salariale. In tali casi l’integrazione salariale è pienamente cumulabile con la remunerazione derivante dalla nuova attività lavorativa. Quest’ipotesi ricorre nel caso in cui i due rapporti di lavoro siano part-time, sia orizzontale (con riduzione dell’orario ordinario giornaliero) e sia verticale (con prestazione del lavoro per intere giornate in periodi predeterminati). Del resto nell’ipotesi di part-time verticale l’integrazione salariale è dovuta soltanto nei periodi in cui sarebbe stata espletata l’attività lavorativa. Da ultimo si segnala che si può avere compatibilità anche tra un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e uno part-time, purché le due attività siano tra loro comunque compatibili nel limite dell’orario massimo settimanale di lavoro.

4. Compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali con le prestazioni di lavoro accessorio. Come già illustrato dalla circolare n. 75 del 26 maggio 2009, l’art. 7-ter, comma 12, lettera b) del decreto legge n. 5/2009 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33/2009), nel modificare l’art. 70 del D. Lgs. 10. 9. 2003 n. 276 sul lavoro accessorio, aggiunge il comma 1-bis, che recita: «in via sperimentale per il 2009, prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di 3. 000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito compatibilmente con quanto stabilito dall’articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. L’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio».                                                                                                    L’art. 2, comma 148, lett. G), L. 23. 12. 2009 n. 191 ha esteso la portata di tale disposizione anche all’anno 2010. La suddetta norma – con efficacia quindi limitata agli anni 2009 e 2010 – consente ai lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa di effettuare lavoro accessorio in tutti i settori produttivi e per tutte le attività con il limite massimo di 3. 000 euro per anno solare. Il limite dei 3. 000 euro (da intendersi al netto dei contributi previdenziali) è riferito al singolo lavoratore; pertanto va computato in relazione alle remunerazioni da lavoro accessorio che lo stesso percepisce nel corso dell’anno solare, sebbene legate a prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro.                                                                                                                                                            Conseguentemente, per il solo caso di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite dei 3. 000 euro annui, l’interessato non sarà obbligato a dare alcuna comunicazione all’Istituto.

Le remunerazioni da lavoro accessorio che superino il limite dei 3. 000 euro non sono integralmente cumulabili; ad esse dovrà essere applicata la disciplina ordinaria sulla compatibilità ed eventuale cumulabilità parziale della retribuzione          Il lavoratore ha inoltre l’obbligo di presentare preventiva comunicazione all’Istituto.                                                                     Nel caso di più contratti di lavoro accessorio stipulati nel corso dell’anno e retribuiti singolarmente per meno di 3. 000 euro per anno solare, la comunicazione andrà resa prima che il compenso determini il superamento del predetto limite dei 3. 000 euro se sommato agli altri redditi per lavoro accessorio.

5. Cumulabilità parziale tra integrazione salariale e reddito derivante da una nuova attività lavorativa

Al di fuori dai casi descritti ai punti da 2 a 4 potrà darsi luogo a cumulabilità parziale tra la remunerazione derivante da attività lavorativa e le integrazioni salariali. In via generale l’integrazione salariale non è dovuta per le giornate nelle quali il lavoratore beneficiario si dedichi ad altre attività remunerate, di conseguenza il reddito derivante dalla nuova attività di lavoro non è normalmente cumulabile con l’integrazione salariale. In tali casi il trattamento di integrazione salariale verrà sospeso per le giornate nella quali è stata effettuata la nuova attività lavorativa. Tuttavia, per consolidato orientamento giurisprudenziale, qualora il lavoratore dimostri che il compenso (o provento) per tale attività è inferiore all’integrazione stessa, avrà diritto ad una quota pari alla differenza tra l’intero importo dell’integrazione salariale spettante e il reddito percepito.

5. 1 Cumulabilità parziale tra le integrazioni salariali ed il reddito da lavoro subordinato: rapporto di lavoro  a tempo determinato e contratto di lavoro part-time.

Nel caso in cui il beneficiario della integrazione salariale stipuli un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, tale contratto risulta compatibile con il diritto all’integrazione salariale. Se il reddito derivante dalla nuova attività lavorativa è inferiore all’integrazione, sarà possibile il cumulo parziale della stessa con il reddito, a concorrenza dell’importo totale della integrazione spettante. Analogamente nel caso in cui il lavoratore  – beneficiario di integrazione salariale rispetto ad un rapporto di lavoro a tempo pieno  – stipuli un nuovo contratto di lavoro subordinato a tempo parziale (sia esso a tempo determinato o indeterminato), sarà possibile il cumulo parziale dell’integrazione salariale con il reddito derivante da tale attività anche se, tale attività  – a differenza del caso contemplato al punto 3 – non sarebbe compatibile con il contratto di lavoro che ha dato luogo all’integrazione salariale, in quanto parzialmente sovrapponibile.

5. 2 Cumulabilità parziale tra le integrazioni salariali ed il reddito da lavoro autonomo o simili.

Se il lavoratore beneficiario del trattamento di integrazione salariale intraprende una nuova attività di lavoro autonomo, non rileva il fatto che il lavoro sospeso sia a tempo parziale o a tempo pieno, né il tempo dedicato alla prestazione di lavoro autonomo e neanche il fatto che tale nuova attività non comporti una contestuale tutela previdenziale di natura obbligatoria: non sussiste alcuna presunzione circa la possibile equivalenza tra il provento di tale attività e la misura dell’integrazione salariale cui il lavoratore avrebbe avuto diritto. Spetterà pertanto al lavoratore interessato dimostrare e documentare l’effettivo ammontare dei guadagni e la loro collocazione temporale al fine di consentire all’Istituto l’erogazione dell’eventuale quota differenziale di integrazione salariale.

Nel caso in cui l’ammontare dei redditi non sia agevolmente quantificabile o collocabile temporalmente, l’Istituto deve comunque sospendere l’erogazione delle integrazioni salariali al momento della comunicazione preventiva. Si segnala che rientrano in tale ipotesi anche le somme percepite per incarichi pubblici elettivi o in virtù di un rapporto di servizio  onorario con la Pubblica Amministrazione.

6. Regime dell’accredito della contribuzione figurativa nelle ipotesi di compatibilità/cumulabilità totale e parziale.

Si illustra il regime dell’accredito della contribuzione figurativa con riferimento alle diverse ipotesi di compatibilità e cumulabilità illustrate nella presente circolare. Si osserva in premessa che nelle ipotesi di compatibilità tra la nuova attività di lavoro e l’integrazione salariale (di cui al precedente punto 3), la contribuzione per cassa integrazione guadagni e quella obbligatoria per l’attività effettivamente prestata si riferiscono a periodi temporalmente non coincidenti o comunque non sovrapposti, pertanto non si pongono particolari questioni e l’accredito della contribuzione figurativa collegato al godimento della prestazione di cassa integrazione sarà effettuato in base ai criteri generali. Diversamente, qualora l’importo della prestazione di integrazione salariale stabilito debba essere proporzionalmente ridotto in conseguenza dello svolgimento di un’attività di lavoro, subordinato o autonomo (casi di incumulabilità relativa) l’accreditamento dei contributi figurativi dovrà essere effettuato in quota integrativa, in misura corrispondente alla quota retributiva pari alla differenza tra l’intera retribuzione presa a base per il calcolo dell’integrazione salariale e la retribuzione percepita in relazione all’attività svolta. In tale ipotesi la contribuzione obbligatoria relativa all’attività effettivamente svolta verrà accreditata nella gestione di competenza e darà luogo, laddove ne ricorrano le condizioni, alle prestazioni previste dall’ordinamento delle medesime gestioni.

6. 1 Regime dell’accredito della contribuzione figurativa in caso di svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio negli anni 2009 e 2010. Chiarimenti.

Per quanto riguarda, infine, le fattispecie di compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali  con le prestazioni di lavoro accessorio (di cui al precedente punto 4) e, in genere, di compatibilità e cumulabilità delle altre prestazioni a sostegno del reddito con le prestazioni di lavoro accessorio per gli anni 2009 e 2010, trova applicazione un diverso meccanismo. In tali casi, ai fini della corretta applicazione della norma di cui al comma 1bis dell’articolo 70 del d. Lgs n. 276/2003, si rende necessario che la quota di contribuzione IVS (pari a 1,3 Euro per ogni buono lavoro del valore di 10 Euro) affluisca alla gestione a carico della quale è posto l’onere dell’accredito figurativo correlato alle prestazioni integrative o di sostegno al reddito, a parziale ristoro del relativo onere.   Ne consegue che in tali casi la quota IVS predetta non dovrà essere accreditata sulla posizione contributiva del singolo lavoratore, a conferma ulteriore di quanto illustrato nel messaggio 12082 del 4 maggio 2010, e a scioglimento definitivo della riserva formulata nella circolare 88 del 9 luglio 2009, punto 4.

7. Prestazioni integrative a carico del Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo.

II Fondo Speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e per la riqualificazione del personale del trasporto aereo, di cui all’articolo 1-ter del decreto legge n. 249/2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 291/2004) provvede all’erogazione di un’integrazione delle prestazioni corrisposte per effetto degli ammortizzatori sociali (CIGS, solidarietà, mobilità), tale da garantire che il trattamento complessivo sia pari all’80% della retribuzione lorda di riferimento. Il Comitato Amministratore del Fondo, con delibera n. 22 del 16 marzo 2009, ha disciplinato i casi di prestazione di attività lavorativa da parte di lavoratori beneficiari delle prestazioni integrative del Fondo. In particolare ha previsto che:

a. La prestazione a carico del Fondo resti immutata nel caso in cui i proventi derivanti da una nuova attività lavorativa di tipo autonomo o la retribuzione derivante da un nuovo rapporto di lavoro dipendente, purché a tempo determinato, sia inferiore o pari al trattamento di integrazione salariale;

b. La prestazione a carico del Fondo venga ridotta in misura pari alla differenza tra i proventi/retribuzioni relativi alla nuova attività e l’integrazione salariale, nel caso in cui essi siano superiori al trattamento di integrazione salariale,  purché inferiori all’80% della retribuzione di riferimento.

Da ultimo si precisa che la contribuzione figurativa spetta esclusivamente nel caso in cui residui almeno una parte del trattamento di integrazione salariale. Pertanto le disposizioni di cui al punto 6 si applicano soltanto ai casi in cui la retribuzione/il provento relativo ad una nuova attività da lavoro dipendente o autonomo sia inferiore alla misura dell’integrazione salariale, a nulla rilevando che il beneficiario percepisca una prestazione residua a carico del Fondo per il sostegno del reddito e dell’occupazione e per la riqualificazione del personale del trasporto aereo.

Dimissioni per giusta causa e disponibilità a continuare l’attività per il periodo di preavviso Cass., sez. lav., 21 novembre 2011, n. 24477

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La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e quando il lavoratore receda e solo successivamente adduca l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.   

Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto – Dimissioni – Dimissioni per giusta causa – Presupposti – Manifestazione della volontà di dimettersi con contestuale dichiarazione di disponibilità a continuare l’attività per il periodo di preavviso o per una parte di esso – Configurabilità – Esclusione

La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e quando il lavoratore receda e solo successivamente adduca l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.

Nota – Nella fattispecie in esame, la Corte di Appello di L’Aquila aveva confermato la decisione di primo grado con la quale era stata accolta la domanda di un dirigente, dimessosi per giusta causa, volta a far valere l’illegittimità della trattenuta operata dal datore di lavoro sulle competenze di fine rapporto a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.  Il dirigente aveva dedotto, come giusta causa di recesso, l’omessa corresponsione di sei mesi di retribuzione durante il periodo in cui il suo datore di lavoro era in Amministrazione straordinaria per insolvenza.  La società soccombente (subentrata al precedente datore di lavoro del ricorrente dopo il provvedimento di ammissione all’Amministrazione straordinaria) ha proposto ricorso per Cassazione ritenendo erronea la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha ravvisato la giusta causa di dimissioni nonostante il fallimento dell’imprenditore non costituisca giusta causa di risoluzione del rapporto ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile e nonostante il recesso fosse tardivo rispetto all’inadempimento (omesso pagamento di sei mensilità) della società.

La Suprema Corte di Cassazione, dopo avere osservato che, avendo il dirigente continuato a prestare la propria opera a favore della società per altri quattro mesi successivi al mancato pagamento delle retribuzioni (con parziale espletamento di lavoro anche nel periodo di preavviso), queste circostanze inducono ad escludere che il pregresso inadempimento costituisca un effettivo impedimento alla prosecuzione, anche temporanea, del rapporto, ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione formulato dal datore di lavoro e, richiamando due precedenti pronunce (Cass. Sez. Lav. N. 2048/1985 e Cass. Sez. Lav. N. 2492/1997), ha ritenuto che: “Ancorché la sussistenza di dimissioni per giusta causa possa ammettersi anche quando il recesso non segue immediatamente i fatti che lo giustificano ed il lavoratore possa recedere e solo successivamente addurre l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto”.  La Suprema Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che il datore di lavoro era in amministrazione straordinaria, per cui non poteva pagare direttamente (cioè senza l’autorizzazione del giudice delegato) le retribuzioni maturate anteriormente alla dichiarazione dello stato di insolvenza.  In applicazione di detti principi, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società ricorrente.

Finanziamenti alle imprese per 205 milioni di euro

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Finanziamenti alle imprese per 205 milioni di euro

Finanziamenti per 205 milioni di euro, ripartiti su base regionale: sono previsti nell’Avviso pubblico 2011 per incentivare la realizzazione di interventi per il miglioramento della salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro. Dalle ore 12 del 28 dicembre 2011 alle ore 18 del 7 marzo 2012 le domande potranno essere compilate e salvate mediante procedura informatica attiva sul portale INAIL, sezione Punto cliente. Le domande saranno successivamente inviate, tramite il codice identificativo assegnato, con inoltro telematico da effettuare nei giorni che verranno indicati dopo il 14 marzo 2012.

Finanziamenti alle imprese per la sicurezza sul lavoro

Avviso pubblico 2011  ISI INAIL 2011

in attuazione dell’art. 11, comma 5, D. Lgs. 81/2008 e s. M. I.

1. Obiettivo

Incentivare le imprese a realizzare interventi finalizzati al miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.   Possono essere presentati progetti di investimento e per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale.

2. Ammontare del contributo

L’incentivo è costituito da un contributo in conto capitale nella misura del 50%  dei costi del progetto.
Il contributo massimo è pari a 100. 000 euro, il contributo minimo erogabile è pari a 5000 euro, previsto solo per i progetti di investimento.   Per i progetti che comportano contributi superiori a € 30. 000  è possibile richiedere un’anticipazione del 50%

3. Destinatari

Destinatari sono le imprese, anche individuali, iscritte alla Camera di Commercio Industria, Artigianato ed Agricoltura.

4. Risorse

Per l’anno 2011  l’INAIL ha stanziato 205 milioni di euro ripartiti in budget regionali.

5. Modalità e tempi

5. 1. Compilazione della domanda

Nel periodo dal 28 dicembre 2011 al 7 marzo 2012 sul sito www. Inail. It  – Punto Cliente,  le imprese, previa registrazione sul sito,  avranno a disposizione una procedura informatica che consentirà l’inserimento della domanda, con la possibilità di effettuare tutte le simulazioni e modifiche necessarie, allo scopo di verificare che i parametri associati alle caratteristiche dell’impresa e del progetto siano tali da determinare il raggiungimento del punteggio minimo di ammissibilità, pari a 105 (punteggio soglia).

I parametri da considerare per il raggiungimento del punteggio soglia attengono principalmente a: dimensione aziendale, rischiosità dell’attività di impresa, numero di destinatari, finalità, tipologia ed efficacia  dell’intervento, con la ulteriore previsione di un bonus nel caso di collaborazione con le Parti sociali nella realizzazione dell’intervento.

5. 2. Salvataggio della domanda on-line

Al termine dell’inserimento della domanda nella procedura informatica, le imprese, la cui domanda salvata abbia raggiunto il punteggio soglia, riceveranno un codice che identificherà in maniera univoca la domanda.

5. 3. Invio della domanda on-line Le domande inserite, alle quali è stato  attribuito il codice identificativo, ormai salvate e non più modificabili, potranno essere inoltrate on-line;  la data e l’ora di apertura e di chiusura dello sportello informatico per l’inoltro delle domande saranno pubblicate sul sito  www. Inail. It  a partire dal 14 marzo 2012.

L’elenco in ordine cronologico di tutte le domande inoltrate sarà pubblicato sul sito INAIL, con evidenza di quelle collocatesi in posizione utile per l’ammissibilità del contributo, ovvero fino alla capienza della dotazione finanziaria complessiva.

Entro  i 30 giorni successivi all’invio telematico l’impresa deve trasmettere alla Sede INAIL competente tutta la documentazione prevista, utilizzando la Posta Elettronica Certificata.
In caso di ammissione all’incentivo, l’impresa ha un termine massimo di 12 mesi per realizzare e rendicontare il progetto. Entro 90 giorni dal ricevimento della rendicontazione, in caso di esito positivo delle verifiche, viene predisposto quanto necessario all’erogazione del contributo.

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