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Cassazione sezione lavoro, 13 gennaio 2012, n. 391

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Licenziamento collettivo e criteri di scelta  In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla legge n. 223/1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione o, comunque, incentrato sulla maggiore prossimità del diritto a pensione.  

Cassazione sezione lavoro, 13 gennaio 2012, n. 391

Licenziamento collettivo e criteri di scelta

In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla legge n. 223/1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione o, comunque, incentrato sulla maggiore prossimità del diritto a pensione. La contrattazione collettiva è libera di scegliere qualsiasi criterio, purché esso sia tale e cioè sia un criterio e non direttamente la scelta e sia rivolto a tutelare gli interessi dei lavoratori nella logica della riduzione delle conseguenze negative dei licenziamenti e non sia, infine, discriminatorio. Nota – Il caso di specie è sorto in seguito all’impugnazione del licenziamento da parte di tre lavoratori all’esito di una procedura di riduzione collettiva di personale che aveva interessato 29 dipendenti di una Banca. I lavoratori adivano il Tribunale di Perugia sostenendo la nullità, inefficacia e illegittimità del licenziamento per inosservanza delle procedure previste dall’art. 4 della legge n. 223/1991 mentre la Banca sosteneva di aver operato legittimamente e in conformità dell’accordo di programma sottoscritto con le Oo. Ss. Il Tribunale accoglieva il ricorso affermando che la Banca non aveva congruamente motivato i criteri di scelta dei dipendenti da licenziare e non aveva fornito alle Oo. Ss. Le indicazioni sulla causa delle eccedenze nonché specificato l’elenco e le caratteristiche dei lavoratori da licenziare impedendo di verificare la congruenza rispetto alle ragioni dell’eccedenza. La Corte d’appello di Perugia confermava la decisione ribadendo l’illegittimità del criterio di scelta adottato dall’accordo sindacale in base al quale il personale in esubero era stato individuato esclusivamente in base al criterio dell’età, senza tener conto della specifica collocazione aziendale e dei singoli profili professionali. La Banca ricorreva pertanto in Cassazione lamentando che erroneamente la Corte territoriale avesse ritenuto che i ricorrenti sarebbero stati individuati fra il personale in esubero in base all’età alla stregua di un criterio discriminatorio e che, ai fini dell’applicazione dei criteri di scelta, la platea dei lavoratori da licenziare dovesse essere necessariamente delimitata dai profili professionali e dalla collocazione aziendale del personale indicato come eccedente, anche quando la riduzione del personale sia stata necessitata dalla esistenza di una crisi che induca a ridurre genericamente i costi. La Banca lamentava inoltre il fatto che la Corte territoriale avesse ritenuto che, ai fini del rispetto dell’art. 4, comma 9 della legge n. 223/1991, sia indispensabile che per ciascun dipendente risulti chiaramente, per ciascun nominativo, in considerazione della qualifica, del livello di inquadramento, che vi sia un nesso causale tra il posto occupato e le eccedenze riscontrate, ossia che l’eccedenza debba riferirsi all’impresa o all’unità produttiva dell’impresa e ai profili professionali dei dipendenti da licenziare. La Cassazione ha accolto i motivi della Banca e cassato con rinvio la sentenza affermando che, secondo il proprio consolidato orientamento, la prospettiva di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offre elementi utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva che, come confermato anche dalla Corte Costituzionale (Cost. N. 268/1994), è conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione e coerente con le finalità di controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (Cass. N. 20455/2006 e Cass. N. 9866/2007). La Cassazione ha infatti affermato che le condizioni favorevoli per un accordo sindacale su tale criterio sono costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda, senza distinzioni di uffici e settori produttivi specifici.  

Cassazione sezione lavoro 2 febbraio 2012 n.1462

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Cass. , sez. Lav. , 2 febbraio 2012, n. 1462

In caso di licenziamento ingiustificato, il Giudice non può limitare l’importo per l’indennità risarcitoria ex art. 18 St. Lav. Al periodo intercorrente fra la data del licenziamento e quella del compimento del 65° anno di età, epoca del pensionamento, in carenza di allegazioni o eccezioni in tal senso da parte del datore di lavoro e senza avere accertato l’effettiva percezione della pensione da parte del lavoratore e l’entità della medesima.

Cass. , sez. Lav. , 2 febbraio 2012, n. 1462

In caso di licenziamento ingiustificato, il Giudice non può limitare l’importo per l’indennità risarcitoria ex art. 18 St. Lav. Al periodo intercorrente fra la data del licenziamento e quella del compimento del 65° anno di età, epoca del pensionamento, in carenza di allegazioni o eccezioni in tal senso da parte del datore di lavoro e senza avere accertato l’effettiva percezione della pensione da parte del lavoratore e l’entità della medesima.

Il fatto

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, aveva accolto il ricorso del lavoratore avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per riduzione di personale intimatogli ex lege n. 223/1991.

Il Giudice del gravame, nel merito, poneva a base del decisum la violazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223/1991, in quanto nell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità non era stata predisposta alcuna graduatoria, tale da consentire la valutazione comparativa di tutti i dipendenti tra i quali la scelta era stata operata e limitando, in tal modo, la verifica in ordine al rispetto dei criteri di scelta adottati e, conseguentemente, il controllo sindacale.

La Corte di Appello ordinava dunque la reintegra del lavoratore licenziato, condannando il datore di lavoro al pagamento, a titolo di danno, delle retribuzioni globali di fatto dal momento del licenziamento a quello del compimento del 65° anno di età del ricorrente. Avverso tale decisione, ricorreva in Cassazione il datore di lavoro sulla base di un’unica censura e resisteva con controricorso il lavoratore, il quale spiegava altresì ricorso incidentale basato su due motivi di censura, cui si opponeva il ricorrente con controricorso. In particolare, il ricorrente chiedeva alla Corte di pronunciarsi sulla conformità o meno all’art. 4, comma 9, della legge n. 223/1991 di una comunicazione di chiusura della procedura contenente, in relazione a ciascun lavoratore interessato dal licenziamento, nella specifica ed individuata unità produttiva, il nominativo, il luogo di residenza, la qualifica, il livello di inquadramento, l’età, il carico di famiglia, nonché il dettaglio sui criteri di scelta, oltre ad essere corredata dalla copia dell’accordo di mobilità e dall’elenco dei lavoratori ritenuti in eccedenza.

Nel controricorso incidentale veniva richiesto invece se, in caso di dichiarazione d’inefficacia del licenziamento con applicazione dell’art. 18 St. Lav. , il Giudice potesse limitare l’importo dell’indennità risarcitoria al periodo intercorrente fra la data del licenziamento e quella del compimento del 65° anno di età, epoca del pensionamento, senza che vi fosse alcuna allegazione o eccezione in tal senso da parte del datore di lavoro e senza avere accertato l’effettiva percezione della pensione da parte del lavoratore e l’entità della medesima.

I motivi della decisione

La Corte ha superato il primo motivo di censura del ricorso principale, inerente all’interpretazione della normativa in materia di comunicazione di conclusione della procedura di mobilità, ritenendolo non esaminabile per violazione dell’art. 366Bis c. P. C. Con riguardo alla specificità dei motivi. Ciò in quanto non solo si deduceva contemporaneamente una violazione di legge e un vizio di motivazione (richiesta già considerata inammissibile in precedenti pronunce, cfr. Cass. 11 aprile 2008, n. 9470 e Cass. 23 luglio 2008, n. 20355), ma oltretutto la Cassazione non poteva «sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura» (interalios, Cass. 23 marzo 2006, n. 6225), poiché si sarebbe chiesto «di procedere ad un riesame della documentazione per verificare se questa sia o meno conforme a quanto prescritto dalla legge». Superato il ricorso, la Cassazione si è invece soffermata sui motivi del ricorso incidentale. Veniva richiesto alla S. C. Di valutare se il raggiungimento dei 65 anni di età, ossia dell’età pensionabile, comportasse astrattamente l’automatica cessazione del rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, l’automatica limitazione del risarcimento del danno al raggiungimento di tale requisito anagrafico, a prescindere dalla considerazione se vi fosse stato o meno l’effettivo pensionamento del lavoratore. La Suprema Corte, con pronuncia del 2 febbraio 2012, n. 1462, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma in parte qua, accertata l’illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore, ha condannato però il datore di lavoro al pagamento della retribuzione globale di fatto dal momento del licenziamento a quello del compimento del 65° anno di età del lavoratore. Ciò in quanto il Giudice del gravame aveva omesso di valutare, a giudizio della Corte, se «effettivamente vi sia stato o meno l’effettivo pensionamento» del lavoratore.

Precedenti giurisprudenziali

La Suprema Corte, già in precedenti pronunce, aveva stabilito che, in caso di accertamento del diritto del lavoratore alla reintegra, il datore non potesse opporsi e rifiutare di procedere al pagamento dell’indennizzo, contestando che il rapporto si fosse ipso iure risolto automaticamente con il raggiungimento della massima anzianità contributiva, dovendo l’eventuale circostanza impeditiva alla reintegrazione (i. E. Il compimento del 65° anno di età) essere fatta valere nel giudizio in cui la reintegrazione era stata disposta (sul punto, Cass. 9. 2. 2007, n. 2898). Orbene, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui il risarcimento ex art. 18 St. Lav. Deve coprire anche il periodo successivo al pensionamento, poiché il trattamento pensionistico non ha natura retributiva e non può essere sottratto dal risarcimento spettante. Le somme percepite dal lavoratore ingiustamente licenziato a titolo di trattamento previdenziale e pensionistico, infatti, non sono in alcun modo ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge, e si sottraggono pertanto all’operatività della regola della compensatio lucri cum damno, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore, detraibile dall’ammontare del risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro, in quanto la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento, facendo venir meno il presupposto del pensionamento, travolge ex tunc lo stesso diritto dell’assicurato alla prestazione previdenziale e lo espone all’azione di ripetizione dell’indebito da parte del soggetto erogatore della pensione (sul punto, Cass. 14. 6. 2007, n. 13871 e, in senso conforme, Cass. , S. U. , 13. 8. 2002, n. 12194, Cass. 6. 2. 2003, n. 1786, 20. 2. 2003, n. 2529, 1. 8. 2003, n. 11758, 11. 6. 2004, n. 11134 e 9. 2. 2004, n. 2406).

Osservazioni conclusive

La pronuncia in commento stabilisce un riferimento chiaro nel rapporto tra risarcimento del danno ex art. 18 St. Lav. Ed età del lavoratore. Laddove le precedenti pronunce si limitavano a prevedere il rapporto tra art. 18 e trattamento pensionistico latu sensu considerato, la presente decisione rappresenta l’unico arresto successivo che prevede l’esclusione del compimento del 65° anno di età come causa di limitazione della responsabilità del datore di lavoro nel risarcimento ex art. 18 St. Lav.

出租人恶意诈欺签订出租合同

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潘先生来访:董丽芳律师,您好!我在最近的几个月里遇到了一件麻烦事,请您一定要帮帮我。两年前,我和我的妻子来到意大利。像其他大多数中国人一样,我和我的妻子一起开了一家服装店。在看了众多店面后,我与一个房东签订了一份为期6年的房屋商业租赁合同。但是,就在几个星期,一位检查员在到我的店铺检查时,告诉我说,我的房屋只能用做仓库,而不能用做店面。于是我立即联系房东,让他给我一个解释。但房东却声称由于我们已经签署了房屋租赁合同,所以我们必须在未来的6年里继续缴纳房租。我现在该怎么办呢?我想解除我们之间的合同关系,如果可以的话,我想要回我已经支付的房租。 

董丽芳律师信箱:出租人恶意诈欺签订出租合同

潘先生来访:董丽芳律师,您好!我在最近的几个月里遇到了一件麻烦事,请您一定要帮帮我。两年前,我和我的妻子来到意大利。像其他大多数中国人一样,我和我的妻子一起开了一家服装店。在看了众多店面后,我与一个房东签订了一份为期6年的房屋商业租赁合同。但是,就在几个星期前,一位检查员在到我的店铺检查时,告诉我说,我的房屋只能用做仓库,而不能用做店面。于是我立即联系房东,让他给我一个解释。但房东却声称由于我们已经签署了房屋租赁合同,所以我们必须在未来的6年里继续缴纳房租。我现在该怎么办呢?我想解除我们之间的合同关系,如果可以的话,我想要回我已经支付的房租。

董丽芳律师:潘先生,您好!对您的遭遇我表示同情。遗憾的是,在经济危机的情况下,有些人为了敛财不择手段,就包括哪些利用像您这样生活在异国他乡,对意大利法律和语言不熟悉的人。可以肯定的是,法律允许您采取一定的补救措施。您的情况属于意大利民法典第1427条规定的因诈欺缔约的情况,即房东恶意的向您隐瞒了房屋的相关信息,而如果您了解该信息就不会签约的情况:事实上,被出租的房屋根本不适宜用来从事您想要从事的商业活动。

潘先生:那么我可以解除合同么?

董丽芳律师:依据相关法律,自发现当事人的恶意之日起5年内,您可以恶意诈欺为由,申请撤销上述租赁合同。因此,起算点应自上述意大利检查员到您的商店检查并告知您之日起计算。总之,您的房东从他的诈骗行为中获得了不当的利益,因此其构成了诈骗。我建议您咨询一位懂得中文的律师,以更好的向您阐述意大利的司法体系,并帮助您捍卫您的正当权利。

注:上述内容仅作为参考信息使用,不得视为本所对任何事项的法律意见。如果您对此事还有其他问题,请您与本所联系,我们会及时提供全方面的法律咨询和服务。

Regolamento per la corresponsione dei compensi professionali degli avvocati dell’Istituto (determinazione presidenziale n. 89/2010)

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L’art. 6, comma 1, del CCNL integrativo sottoscritto in data 8 gennaio 2003, relativo al personale dell’area dei professionisti del comparto degli Enti Pubblici non Economici, in attuazione dell’art. 33 del CCNL stipulato il 16 febbraio 1999, prevede che gli Enti disciplinino su base nazionale la corresponsione dei compensi professionali degli avvocatisecondo i principi di cui al r. D. L. 27 novembre 1933, n. 1578 ed in armonia con gli analoghi criteri vigenti per l’Avvocatura dello Stato.  

Roma, 17/02/2012 Circolare n. 24

OGGETTO: Regolamento per la corresponsione dei compensi professionali degli avvocati dell’Istituto (determinazione presidenziale n. 89/2010)

1. Introduzione

L’art. 6, comma 1, del CCNL integrativo sottoscritto in data 8 gennaio 2003, relativo al personale dell’area dei professionisti del comparto degli Enti Pubblici non Economici, in attuazione dell’art. 33 del CCNL stipulato il 16 febbraio 1999, prevede che gli Enti disciplinino su base nazionale la corresponsione dei compensi professionali degli avvocatisecondo i principi di cui al r. D. L. 27 novembre 1933, n. 1578 ed in armonia con gli analoghi criteri vigenti per l’Avvocatura dello Stato.

Il predetto art. 6, comma 1, introduce i criteri per la disciplina, su base nazionale, della “corresponsione dei compensi professionali degli avvocati, dovuti in relazione agli affari legali trattati e conclusi favorevolmente per l’Amministrazione, secondo i principi di cui al R. D. L. 27. 11. 1933, n. 1578 ed in armonia con gli analoghi criteri vigenti per l’Avvocatura dello Stato”; vengono, pertanto, individuati i soggetti (personale con qualifica di avvocato), l’oggetto (compensi professionali dovuti in relazione agli affari legali trattati e conclusi favorevolmente per l’Amministrazione) e i criteri di individuazione degli onorari (principi di cui al R. D. L. 27. 11. 1933, n. 1578 armonizzati con gli analoghi criteri vigenti per l’Avvocatura dello Stato).

La determinazione presidenziale n. 89 del 9 agosto2010 haintrodotto nuove norme in tema di adeguamento del regolamento sulla disciplina degli onorari per la corresponsione dei compensi professionali degli avvocati dell’INPS (con ciò modificando il precedente regolamento adottato con determinazione n. 143 del 23 ottobre 2007).

La principale innovazione arrecata dalla determinazione 89/2010 in materia consiste nella previsione (art. 5 comma 2 del nuovo regolamento onorari) dei cd. “parametri qualificanti l’obbligazione professionale”, che vengono così individuati: “a) costituzione dell’istituto in tutti i giudizi affidati all’avvocatura, ad eccezione di quelli per i quali sussistano cause ostative debitamente motivate; b) presenza in giudizio nella totalità dei procedimenti affidati, da realizzare anche attraverso la sostituzione con altro avvocato dell’ente o di altri enti previdenziali, con un praticante avvocato, ovvero con avvocati del libero foro quali sostituti di udienza e/o domiciliatari; c) parcellazione, esclusivamente attraverso sistemi informatici automatizzati, di tutti i giudizi definiti; d) regolare e tempestivo aggiornamento dei sistemi informativi e di comunicazione dell’istituto circa lo stato del contenzioso e l’attività svolta”.

L’obiettivo consiste nel porre in essere “iniziative tese ad incentivare comportamenti virtuosi finalizzati alla deflazione del contenzioso”.

Nel precedente sistema (determinazione 143/2007) la partecipazione dei singoli avvocati dell’Istituto agli onorari avveniva per i compensi posti a carico dell’Istituto a seguito della “redazione delle parcelle” dei giudizi favorevoli e per i compensi posti a carico delle controparti a seguito dell’effettivo “incasso”; il nuovo impianto richiede, invece, la definizione, sia in via amministrativa che in via informatica, di alcuni aspetti applicativi in relazione a ciascuno dei quattro parametri suindicati.

L’attuazione della determinazione presuppone la definizione del c. D. “comportamento virtuoso” e l’individuazione della linea di demarcazione tra esatto adempimento e inadempimento dell’obbligazione professionale da parte degli avvocati, nonché l’adeguamento dei sistemi informatici sino ad allora in uso per il rispetto delle nuove esigenze di rilevazione dell’attività dei professionisti ai fini dei parametri di cui sopra.

Al fine di adeguare le procedure informatiche al contenuto della citata determinazione, è in fase di rilascio, attualmente in test presso la D. C. Risorse Umane e il Coordinamento Generale Legale, una nuova versione della procedura SISCO, contenente le ulteriori implementazioni atte a consentire la corretta registrazione dei dati necessari ai fini della rilevazione della percentuale di realizzazione dei parametri qualificanti l’obbligazione professionale, come previsti dall’art. 5 del Regolamento per la corresponsione dei compensi professionali degli avvocati dell’Istituto (di seguito “Regolamento”), da ultimo modificato con la determinazione presidenziale n. 89 del 9 agosto 2010.

Tale percentuale di realizzazione, ai sensi del medesimo articolo 5 del “Regolamento”, determina, assieme al coefficiente di riparto, la misura dell’importo individuale spettante al singolo legale. In caso di assenze dal servizio che comportino la mancata o ridotta attribuzione dello stipendio, l’importo individuale sarà proporzionato in egual misura.

Si forniscono, facendo seguito al messaggio numero n. 11702 del 27 maggio 2011, le indicazioni tecnico-operative relative a:

modalità di registrazione, in procedura, degli eventi qualificanti considerati dalla citata determinazione;

cause, processuali e non, che rendono non realizzabile – per causa indipendente dal professionista – ilcomportamento auspicato;

modalità della rilevazione dell’adempimento professionale;

tempi entro i quali provvedere alla rilevazione della percentuale di realizzazione dei parametri (definizione dei trimestri di rilevazione e utilizzo dei parametri, per l’erogazione dei compensi per onorari legali, in acconto e a saldo).

Si illustrano, quindi, per ciascun parametro, le novità contenute nella procedura SISCO e le modalità attraverso le quali si procederà al conteggio degli eventi rilevanti ed alla rilevazione della percentuale di realizzazione del singolo parametro, ai fini della determinazione della percentuale media trimestrale.

E’ opportuno precisare che:

a) il raggiungimento dei parametri ha come punto di imputazione l’avvocato titolare della pratica, in capo al quale sarà riferito l’adempimento dei singoli parametri, assicurato secondo le modalità che di seguito verranno esposte;

b) ciascuna erogazione di onorari avverrà secondo un parametro unico, costituito dalla media aritmetica delle percentuali raggiunte nei quattro parametri.

2. Primo parametro: “Costituzione in giudizio”:

“costituzione dell’Istituto in tutti i giudizi affidati all’Avvocatura, ad eccezione di quelli per i quali esistano cause ostative debitamente motivate” (articolo 5, comma 2, del “Regolamento”).

La rilevazione dell’adempimento dell’obbligazione professionale “costituzione in giudizio” sarà effettuata, per i giudizi in cui l’Inps assume la veste di ricorrente/attore/appellante (c. D. Ruolo “A” in SISCO = attivo), mediante verifica della compilazione del campo “iscrizione a ruolo”; per le cause in cui l’Inps è convenuto (identificate in SISCO con ruolo contrassegnato dalla sigla “P” = ruolo passivo), la rilevazione sarà effettuata mediante verifica della compilazione del campo “costituzione in giudizio”. Circa l’adempimento dell’obbligazione professionale prevista dal primo parametro, nei casi di ruolo “P” (passivo), l’obbligazione si intenderà adempiuta laddove la costituzione in giudizio avvenga entro la data di svolgimento della prima udienza, coerentemente con l’obiettivo della determinazione 89/2010 di assicurare la presenza dell’Istituto in tutti i giudizi ed evitare dichiarazioni di contumacia.

Da ciò consegue che la costituzione in giudizio non effettuata o effettuata oltre la data della prima udienza andrà a decremento della percentuale di realizzazione del parametro, salvi i casi in cui la mancata costituzione entro la prima udienza sia stata determinata da “cause ostative debitamente motivate”.

A tal fine, tali cause ostative sono state individuate e classificate in due gruppi: il primo (comprendente le c. D. “cause ostative interne al processo”) collegato alla dinamica processuale; il secondo (relativo alle c. D. “cause ostative esterne al processo”) indipendente da eventi processuali e connesso a fenomeni organizzativi o a cause soggettive.

2. 1 Cause ostative interne al processo

Dette cause ostative, identificate ed indicate in una apposita finestra della procedura, possono comportare due tipi di conseguenze:

– lo spostamento in avanti della prima udienza e dunque del termine di costituzione;

– l’assimilazione della tardiva o mancata costituzione alla costituzione entro la prima udienza.

Fanno parte del primo gruppo le seguenti ipotesi:

a. Rinvio d’ufficio;

b. Rinvio ex art. 181 c. P. C. (1° grado);

c. Rinvio ex art. 348 c. P. C. (grado di appello);

d. Differimento udienza ex art. 168bis (rito civile);

e. Rinvio per rinnovo notifica tardiva;

f. Rinvio per rinnovo notifica nulla;

g. Rinvio per notifica a S. C. C. I. (cause contributive);

h. Rinvio per integrazione contraddittorio.

In tutti i casi di cui sopra lo spostamento del termine di costituzione avverrà, in automatico, mediante aggiornamento dell’agenda, nella quale è stata prevista una nuova voce di rinvio denominata “Nuova prima udienza”. Ricorrendo tale ipotesi di rinvio in Agenda, automaticamente, nel tab “Dati pratica” di SISCO verrà aggiornata la data di prima udienza, con sterilizzazione del parametro della costituzione in giudizio in riferimento alla precedente prima udienza (ossia con la

sua eliminazione del monte totale di costituzioni su cui viene calcolata la percentuale).

Per converso, qualora l’adempimento dell’obbligazione professionale non fosse possibile per cause processuali, la causa ostativa esime dall’obbligo di costituzione in giudizio. Pertanto, il parametro si intenderà realizzato anche in assenza di costituzione in giudizio nelle seguenti ipotesi:

– Cancellazione della causa dal ruolo;

– Estinzione pronunciata alla 1^ udienza;

– Abbandono di controparte/Rinuncia;

2. 2 Cause ostative esterne al processo

Le cause connesse ad eventi indipendenti dal processo sono state così individuate:

a. Mancata o tardiva trasmissione del ricorso dalla struttura Inps che ha ricevuto la notifica dell’atto;

b. Mancata tempestiva acquisizione o trasmissione del ricorso;

c. Mancata istruttoria (tranne che per questioni di diritto);

d. Cause soggettive esimenti (malattia, maternità, aspettativa, trasferimento, missione, assegnazione temporanea, pensionamento ecc. Del legale incaricato o altre cause non codificate);

e. Definizione in procedura con esiti “acquisita erroneamente” o “trasferita ad altro settore”.

2. 3 Modalità di registrazione delle cause ostative

Per tutte le cause ostative sopra elencate è prevista in SISCO la compilazione di apposito campo.

In particolare, nella maschera “Dati pratica”, il giorno successivo alla prima udienza effettiva ed in assenza di costituzione, compariranno due pulsanti: uno con la dicitura “no costituzione” e l’altro con la dicitura “causa ostativa”.

Nell’ipotesi si debba utilizzare il campo “causa ostativa”, si aprirà un menu a tendina con la necessità di indicare una delle ipotesi elencate. Sarà disponibile anche un ulteriore campo note a testo libero, per l’inserimento di eventuali note esplicative.

L’inserimento della nota esplicativa è obbligatorio quando la causa ostativa indicata appartenga alla tipologia “causa soggettiva esimente”, sorgendo l’onere di specificare più in dettaglio la circostanza soggettiva impeditiva della costituzione.

3 Secondo parametro “Presenza in udienza”:

“presenza in giudizio nella totalità dei procedimenti affidati, da realizzarsi anche attraverso la sostituzione con altro Avvocato dell’ente o di altri enti previdenziali, con un praticante avvocato ovvero con Avvocati del libero foro quali sostituti d’udienza e/o domiciliatari” (articolo 5, comma 2, del “Regolamento”).

E’ già stata rilasciata, con messaggio del 27/5/2011 n. 11702, la funzione “Presenza in udienza”, la quale, nella nuova

ed ultima versione ora disponibile, è stata implementata con la previsione delle cause ostative. Oltre alle opzioni presenza “SI” e presenza “NO” è stata inserita l’opzione “causa ostativa”, equiparata alla presenza in udienza, che ricorre qualora si verifichino i seguenti eventi:

a) Udienza non tenuta:

Rinvio d’ufficio;

Rinvio per domanda riconvenzionale;

Differimento udienza ex art. 168 bis.

Tutti i predetti eventi sono compresi nella voce SISCO «rinvio d’ufficio».

b) Udienza tenuta:

Rinvio ex art. 181 c. P. C. (1° grado) ;

Rinvio ex art. 309 c. P. C. ;

Rinvio ex art. 348 c. P. C. (grado di appello) ;

Rinvio per rinnovo notifica tardiva;

Rinvio per rinnovo notifica nulla;

Rinvio per notifica a S. C. C. I. (cause contributive);

Rinvio per integrazione contraddittorio;

Cancellazione della causa dal ruolo;

Estinzione;

Abbandono di controparte/Rinuncia;

Rinvio per astensione avvocati;

Definizione in procedura con esiti “acquisita erroneamente” o “trasferita ad altro settore”;

Adunanza camerale (giudizio di cassazione);

Udienze concomitanti (solo per UL presso le sedi critiche);

Cause soggettive esimenti;

Mancata costituzione giustificata.

Nel caso di sussistenza della causa ostativa “cause soggettive esimenti”, analogamente a quanto previsto in caso di mancata costituzione in giudizio, dovrà essere inserita la nota con la specifica delle ragioni dell’assenza.

4 Terzo parametro: “Parcellazione di tutti i giudizi”:

“parcellazione, esclusivamente attraverso sistemi informatici, di tutti i procedimenti definiti” (articolo 5, comma 2, del “Regolamento”).

La verifica della realizzazione del parametro verrà effettuata tramite la procedura “Parcelleweb”.

Il numero delle parcelle da emettere da ciascun avvocato intestatario del fascicolo sarà verificato nel trimestre successivo a quello di riferimento e desunto dalle parcelle transitate nel trimestre di riferimento in stato “da emettere” nella procedura “Parcelleweb”. La percentuale di realizzazione sarà calcolata con riferimento al numero delle parcelle in stato “emessa estensore” desumibili dalla predetta procedura.

La verifica del numero delle parcelle transitate in “Parcelleweb” nello stato “da emettere” terrà conto sia delle parcelle richieste da SISCO con modalità “Elaborazione automatica”, sia di quelle richieste con modalità non automatica.

La sezione SISCO dedicata alle parcelle, con il comando “stampa”, produce un file pdf della parcella e non sarà più obbligatoria la materiale stampa cartacea.

5. Quarto parametro: “Aggiornamento delle procedure”:

“regolare e tempestivo aggiornamento dei sistemi informativi e di comunicazione dell’istituto circa lo stato del contenzioso e l’attività svolta” (articolo 5, comma 2, del “Regolamento”).

A seguito dell’emanazione della circolare n. 132 dell’11/10/2011, che ha introdotto nuove modalità di gestione del contenzioso amministrativo e giudiziario, si è proceduto all’individuazione dei campi rilevanti ai fini della realizzazione del parametro, sulla base delle attività di aggiornamento dei sistemi informatici effettuate dalla Unità organizzativa “Supporto area legale e gestione del contenzioso giudiziario”, in rapporto di servizio rispetto all’Ufficio legale.

I campi di cui sarà monitorato il tempestivo e regolare aggiornamento sono i seguenti:

– Acquisizione ricorso/atto introduttivo nelle procedure;

– Acquisizione nominativo avvocato Inps assegnatario del fascicolo;

– Costituzione in giudizio;

– Aggiornamento udienze successive alla prima;

– Registrazione sentenze.

Il concetto di “tempestività” deve sempre fare riferimento al rispetto delle scadenze processuali ed alla corretta tenuta del fascicolo, funzionale all’efficace difesa dell’Istituto, nonché alla tempestiva attivazione dei soggetti coinvolti, a vario titolo, nel processo di gestione del contenzioso.

Il momento in cui sorge l’obbligo di aggiornamento dei sistemi informatici è fissato come segue:ATTIVITà DA VERIFICARE DATA DI RIFERIMENTO DATA RILEVAZIONE

TEMPESTIVITA’ Acquisizione ricorso/atto introduttivo nelle procedure informatiche ruolo passivo tutti i tipi di contenzioso data notifica atto introduttivo data acquisizione dell’atto ruolo attivo rito lavoro 1° e 2° grado data deposito ricorso 3° gr. , altri riti e giurisdizioni data notifica ricorso o atto di citazione Acquisizione nominativo avvocato Inps assegnatario del fascicolo data assegnazione/riassegnazione data acquisizione del nominativo Costituzione in giudizio data costituzione data acquisizione della costituzione Aggiornamento udienze rito lavoro 1° e 2° gr. Passivo udienze successive alla prima data udienza trascorsa tranne i casi di

a) TRATTENUTA IN RISERVA

b) GIUDIZIO INTERROTTO

c) GIUDIZIO SOSPESO

d) TRATTENUTA IN DECISIONE

data inserimento nuova udienza rito civile 1° e 2° gr. Rito lavoro ruolo attivo 1^ udienza e successive

giudizi 3° grado e altre giurisdizioni Registrazione sentenze data pubblicazione sentenza data inserimento sentenza

La tempestività va rilevata considerando, quale termine finale per l’aggiornamento, il trimestre successivo a quello in cui si collocano le date di riferimento

6. Definizione dei trimestri e tempistica della rilevazione dei parametri

I parametri trimestrali verranno rilevati a montante. Pertanto, i dati presi in considerazione nel secondo trimestre comprenderanno anche quelli del primo trimestre e così via.

Quanto alla registrazione degli eventi che formano oggetto dei quattro parametri, si rappresenta che il termine finale per l’aggiornamento in ciascun trimestre è l’ultimo giorno del trimestre successivo a quello di riferimento.

Ad esempio, gli eventi verificatisi dal 1° gennaio al 31 marzo possono essere registrati in procedura SISCO, ai soli fini dell’applicazione della determinazione 89/2010, entro il successivo 30 giugno.

Pertanto, immediatamente al termine di ciascun trimestre, verranno rilevati i parametri individuali parziali per la liquidazione degli acconti. Le rilevazioni relative al quarto trimestre – che, come sopra specificato, comprende anche i dati dei primi tre – costituiranno la base per l’individuazione dei parametri di rendimento dell’intero anno e per la liquidazione del conseguente saldo.

Considerato che nel mese di giugno è previsto il pagamento a saldo dei compensi per onorari legali incassati, le rilevazioni relative all’anno precedente diverranno definitive il 31 maggio di ciascun anno. In occasione del pagamento di ciascuno dei saldi, per onorari incassati e per onorari compensati, i parametri annuali definitivi saranno utilizzati per distribuire il budget totale annuale di riferimento (per onorari incassati e compensati).

Naturalmente, l’importo individuale a saldo spettante a ciascun legale, come sopra determinato, sarà nettizzato delle anticipazioni percepite a titolo di acconti infrannuali sulla base dei parametri trimestrali.

Considerato che nel mese di ottobre è previsto il pagamento a saldo per onorari legali compensati, e ferma restando la definitività dei parametri individuali rilevati alla data del 31 maggio, è consentita sino al 30 settembre – ed ai soli fini del raggiungimento dell’importo massimo complessivo di cui all’art. 8 del “Regolamento” – la parcellazione dei procedimenti definiti nell’anno precedente.

7. Utilizzo dei parametri trimestrali per i pagamenti Le cadenze dei pagamenti, in acconto e a saldo, per onorari incassati e compensati, non sono state modificate dalla determinazione 89/2010.

I pagamenti a saldo saranno effettuati sulla base dei parametri definitivi annuali rilevati al 31 maggio. Ne deriva che l’eventuale rendimento, in un trimestre, inferiore alla soglia dell’86% comporterà, nell’erogazione dei compensi per onorari legali, penalizzazioni che hanno carattere provvisorio e potranno essere colmate nei trimestri successivi. 8. Mancato adempimento dell’obbligazione professionale Il mancato adempimento delle singole obbligazioni professionali verrà imputato al legale risultante titolare del fascicolo in procedura SISCO.

Al fine dell’imputazione della mancata effettuazione di uno specifico adempimento, la procedura SISCO è stata implementata rendendo obbligatoria l’annotazione della data di attribuzione del fascicolo all’avvocato, della data di legittima restituzione da parte del medesimo (ad es. Per trasferimento) e della nuova data di assegnazione in caso di successione di altro legale nella titolarità del medesimo fascicolo.

E’ pertanto onere dei Coordinatori legali competenti (periferico, distrettuale o centrale) di provvedere alla tempestiva riassegnazione dei fascicoli intestati agli avvocati pensionati, trasferiti, assegnati temporaneamente, in missione, malattia. I Coordinatori assicureranno inoltre, in tali ipotesi, la registrazione in SISCO del nominativo del nuovo assegnatario e la decorrenza della riassegnazione.

Si precisa che nelle ipotesi di assenze per assegnazione temporanea, missione, malattia e fattispecie analoghe, la riassegnazione dovrà avvenire solo se tali eventi abbiano una durata tale da incidere sulla correntezza degli affari del legale incaricato.

9. Modalità di monitoraggio delle percentuali di realizzazione dei parametri a breve, saranno resi disponibili strumenti informatizzati, attraverso i quali potrà essere costantemente monitorato, anche a livello individuale, l’andamento dei predetti quattro parametri e della loro media.

10. Situazioni di “elevata criticità” Il Direttore Generale, con proprie determinazioni, adottate su proposta della Direzione centrale pianificazione e controllo di gestione e della Direzione centrale risorse umane, d’intesa con il Coordinamento generale legale, potrà individuare, al fine di stabilire ulteriori ipotesi di cause ostative, “situazioni di elevata criticità” dovute o alla rilevanza e complessità, anche ambientale, del fenomeno contenzioso, ovvero ad oggettive difficoltà organizzative, anche transitorie, degli Uffici legali.

Contratto di Locazione concluso con dolo del locatore

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Contratto di Locazione concluso con dolo del locatore

Rubrica Legale dell’Avv. Lifang Dong: Contratto di Locazione concluso con dolo del locatore

Sig. Pan: Avvocato Dong, buonasera! La contatto per sottoporLe una questione abbastanza problematica che mi è accaduta negli ultimi mesi.

Sono un cittadino cinese e mi sono da circa due anni trasferito in Italia con la mia famiglia e ho aperto con mia moglie un’attività commerciale di  abbigliamento, come ce ne sono molte in Italia tra cinesi.

Ho affittato un locale dopo averlo ovviamente visionato ed ho concluso con il locatore un contratto della durata di sei anni con cui mi sono assicurato la disponibilità di un locale utilizzabile per attività commerciale.

Sennonché, qualche settimana fa è arrivato un controllo mentre ero a negozio mi è stato comunicato dalle autorità che mi era vietato condurre un’attività commerciale in quanto il locale non è era accatastato a questa funzione, ma semplicemente poteva essere destinato alla funzione di magazzino. Ho senza ritardo contattato il locatore e ho cercato di spiegare, con grande difficoltà di carattere linguistico, il problema.

La risposta che ho avuto è che devo continuare a pagare l’affitto perché ormai è stato concluso il contratto e lui mi ha dato la disponibilità per 6 anni. Posso fare ancora qualcosa? Io vorrei svincolarmi dal rapporto contrattuale e, in più, avere anche i soldi indietro per quanto ho già pagato.

Avv. Dong: Buonasera Sig. Pan, mi dispiace per questa Sua situazione, purtroppo di recente la crisi economica porta alcune persone a cercare tutti i modi possibili per ottenere del denaro, approfittandosi anche di chi, come Lei in questo caso, lavora in un Paese che non è il Suo e conosce poco la lingua e la legge italiana.

Posso certamente dirLe che Lei ha la possibilità di fare qualcosa e, soprattutto, è ancora nei tempi per poterlo fare.

Questo contratto che Lei ha concluso rientra in ciò che il Codice Civile all’articolo 1427 chiama “consenso carpito con dolo”, ovvero un caso in cui lei è stato volutamente raggirato dal locatore che le ha tenuto nascosto una qualifica essenziale dell’immobile senza la quale non avrebbe mai firmato il contratto: l’immobile è infatti non era idoneo ad ospitare un’attività di tipo commerciale come invece Lei ha bisogno che sia.

Sig. Pan: Posso allora svincolarmi dal contratto?

Avv. Dong: Lei potrebbe riuscire ad ottenere l’annullamento del contratto di locazione, di cui il dolo rappresenta una delle cause, entro 5 anni dal giorno in cui, è stato scoperto il dolo. L’azione, quindi, decorre dal giorno in cui sono venute le autorità italiane nel Suo negozio e Le hanno comunicato la notizia.

In ogni caso, posso dirle, che il Suo locatore è anche perseguibile per Truffa, proprio perché, con artifizi e raggiri, ha procurato a sé stesso un ingiusto profitto, raggirandola.

Le consiglio, in ogni caso, di rivolgersi ad un Avvocato che conosca la Sua lingua in modo da poterLa aiutare a comprendere meglio i Suoi diritti e il funzionamento del sistema italiano.

Nota: il contenuto di questo articolo non costituisce un parere del nostro studio legale, ma ha funzione informativa. Se Lei ha altri dubbi, ci può contattare per ulteriori informazioni ed assistenza legale.

Redditometro: possesso auto di 2.400cc, capacità reddituale e spese di mantenimento

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Redditometro: possesso auto di 2.400cc, capacità reddituale e spese di mantenimento

E’ legittimo il redditometro laddove il contribuente non dimostri che il reddito presunto è costituito da entrate reddituali, nel caso di specie, al contribuente veniva contestato il possesso di un’auto di  cilindrata 2400cc…

Sentenza Commissione tributaria provinciale PIEMONTE Alessandria, sez. VI, 22-02-2011, n. 13 – Pres. Liuzzo Fabio – Rel. Quarati Antonio

Accertamento – Accertamento sintetico

E’ legittimo il redditometro laddove il contribuente non dimostri che il reddito presunto è costituito da entrate reddituali (Nel caso di specie, al contribuente veniva contestato il possesso di un’auto ALFA ROMEO 156 2,4 JTD, alimentata a gasolio, di 22 cavalli fiscali, ed immatricolata nel 2004. Tra i vari motivi, il contribuente contestava all’ente impositore di non aver tenuto conto del ricalcolo del reddito riferibile all’auto basato sull’applicazione di dati relativi a presunti costi annuali desunti da tabelle pubblicate dall’ACI). (1)
(1) Sentenza non condivisibile. Ben può il contribuente chiedere la disapplicazione dell’atto presupposto, vale a dire del Decreto Ministeriale 10 settembre 1992, laddove si ravvisino i vizi tipici dell’atto amministrativo, quali l’illogicità, la contraddittorietà, il difetto di istruttoria, il travisamento ed erronea valutazione dei fatti, etc. Nel caso di specie, non pare sia infondata la censura della disapplicazione dei consumi attribuibili ad un’auto alla luce delle tariffe ACI. Si pensi alle auto storiche. Vi è l’esenzione dal bollo auto, vi è un’assicurazione di modesto ammontare, il numero di chilometri percorsi è decisamente inferiore a quello generalmente percorso da altre autovetture non storiche.

Svolgimento del processo

Con ricorsi pervenuti in data 11/03/2010 il sig. Sp. Ro. Opponeva gli avvisi di accertamento n. (. ) con i quali l’Agenzia delle Entrate Ufficio di Tortona, in allora competente, accertava a suo carico maggiori redditi, per gli anni di imposta 2004 e 2005. Applicando la metodologia dell’accertamento “sintetico” a norma dell’art. 38 c. 4 del D. P. R. N. 600/1973, tenendo conto dei beni di cui è risultato intestatario il contribuente nelle citate annualità: un’auto alimentata a gasolio di HP 22 immatricolata nel 2004, quota di possesso 100% ed un immobile adibito ad abitazione principale di mq 75, quota di possesso 100%. A motivo dell’opposizione il ricorrente contestava in diritto l’illegittimità e l’inammissibilità della tipologia di accertamento c. D. Sintetico ex art. 38 c. 4 D. P. R. N. 600/73 applicata dall’Ufficio, nonché la presunta carenza di motivazione in relazione al disposto dell’art. 42 stesso DPR. Nel merito, eccepiva il fatto che in sede di accertamento l’Ufficio non avesse tenuto conto della documentazione esibita a seguito di invito al contraddittorio, con specifico riferimento all’acquisto dell’auto “Alfa Romeo 156 2,4 JTD”. Forniva poi un ricalcolo del reddito riferibile alla predetta auto basato sull’applicazione di dati relativi a presunti costi annuali desunti da tabelle pubblicate dall’A. C. I. Resisteva di contro l’Agenzia delle Entrate affermando la piena legittimità nonché la fondatezza dell’applicazione, nel caso in esame, dell’art. 38 c. 4 D. P. R. N. 600/73 supportate peraltro da consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.

Quanto al lamentato difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, l’ufficio ne rilevava la palese infondatezza considerato che la motivazione dell’atto stesso riportava in maniera dettagliata sia i presupposti di fatto sia le ragioni giuridiche, per cui il contribuente è stato messo in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa.

Quanto infine alla richiesta avanzata dal contribuente del riconoscimento del minor reddito accertato, con la proposta di un ricalcolo, l’ufficio rilevava che il reddito derivante dal predetto ricalcolo risultava addirittura superiore a quello accertato.

Concludeva pertanto per il rigetto del ricorso e la conferma dell’avviso impugnato, con la condanna del contribuente alla refusione delle spese di giudizio.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato e merita di essere respinto in ogni sua parte.

A prescindere dall’eccezione in ordine alla pretesa carenza di motivazione dell’avviso impugnato, – cui questa Commissione non ritiene di dover aderire in ossequio ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, poiché è principio incontroverso che la motivazione di un atto debba ritenersi sussistente ed esaustiva in tutti i casi in cui la stessa consenta al contribuente di conoscere la natura e l’entità della pretesa tributaria e, nel caso in esame l’ufficio ha indicato i fatti sui quali ha fondato la pretesa impositiva consentendo al ricorrente di contestarne la rilevanza e concretando in tal caso la “provocatio ad opponendum “che la giurisprudenza di legittimità ed anche di merito è concorde nel ritenere necessaria e sufficiente all’instaurazione del contraddittorìo tra contribuente e fisco, – anche le restanti eccezioni proposte dal ricorrente non sono condivisibili e dovranno essere disattese. In particolare priva di fondatezza risulta la contestazione circa l’illegittimità del metodo accertativo di tipo “sintetico” così come applicato dall’ufficio.

Pare incontestabile infatti, che la rettifica del reddito imponibile mediante il ricorso alla tipologia del metodo sintetico sia perfettamente legittima e più volte confermata dalle sentenze della Suprema Corte di Cassazione che individuando il canone ermeneutico di tale procedimento su presunzioni fondate sull'”id quod plerumque accidit” ha ravvisato l’esistenza di tutte la garanzie in tema di prova dei fatti da parte del contribuente dispensando l’amministrazione finanziaria da ulteriori prove rispetto ai fatti indice di maggiore capacità contributiva individuati dal “redditometro” stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere.

Merita sottolineare che la rettifica del reddito imponibile mediante il ricorso alla tipologia del reddito sintetico si basa unicamente sul confronto tra il reddito dichiarato e quanto determinabile in base al possesso o alla disponibilità di beni o servizi descritti nel D. M. 10/09/1992. Sussiste un automatismo nel calcolo del maggior reddito, attraverso la moltiplicazione tra i beni indice di capacità contributiva ed i coefficienti stabiliti dal citato D. M. E successivi decreti.

Risulta di tutta evidenza che sia posto a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto è costituito in tutto o in parte da redditi esenti già assoggettati ad imposta ovvero che esso non esiste in misura inferiore, – e, poiché non pare che il ricorrente abbia dato le prove che a lui competono per contrastare l’operato dell’ufficio, si deve considerare ulteriormente fondata la pretesa tributaria vantata dall’ufficio. Consegue pertanto, da quanto sopra esposto, che il ricorso va respinto. P. Q. M.

La Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria respinge integralmente il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nella misura di Euro 500,00 (cinquecento).

Somministrazione di lavoro e responsabilità in caso di infortunio

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Somministrazione di lavoro e responsabilità in caso di infortunio

Tribunale di Modena, sez. Lav. , 30 novembre 2011, n. 287

In caso di infortunio subito da lavoratore somministrato è da escludersi la responsabilità della società di somministrazione, ove questa abbia delegato l’obbligo di formazione sui rischi sulla sicurezza all’utilizzatore, a norma dell’art. 23 del Dlgs n. 276/2003.  Il risarcimento a carico dell’utilizzatore è limitato al solo differenziale tra danno biologico calcolato secondo le tabelle Inail e il danno accertato in corso di causa secondo le tabelle del Tribunale.  L’utilizzatore per avere piena copertura dalla propria compagnia di assicurazioni dovrà stipulare apposita appendice di polizza che prevede oltre alla copertura assicurativa dei propri dipendenti anche la copertura di dipendenti somministrati o di terzi.

Somministrazione di lavoro e responsabilità in caso di infortunio

Tribunale di Modena, sez. Lav. , 30 novembre 2011, n. 287

In caso di infortunio subito da lavoratore somministrato è da escludersi la responsabilità della società di somministrazione, ove questa abbia delegato l’obbligo di formazione sui rischi sulla sicurezza all’utilizzatore, a norma dell’art. 23 del Dlgs n. 276/2003.  Il risarcimento a carico dell’utilizzatore è limitato al solo differenziale tra danno biologico calcolato secondo le tabelle Inail e il danno accertato in corso di causa secondo le tabelle del Tribunale.  L’utilizzatore per avere piena copertura dalla propria compagnia di assicurazioni dovrà stipulare apposita appendice di polizza che prevede oltre alla copertura assicurativa dei propri dipendenti anche la copertura di dipendenti somministrati o di terzi.

è stata sottoposta al giudizio del Tribunale di Modena la vicenda di un lavoratore somministrato che subiva grave infortunio nel corso di una missione in somministrazione.

A seguito di detto infortunio veniva aperto procedimento penale a carico dell’amministratore della società utilizzatrice il quale veniva rinviato a giudizio. Il lavoratore, risarcito dall’Inail, in base ad una quantificazione operata dall’Istituto, ritenuta dal ricorrente insufficiente e comunque connessa al risarcimento del solo danno da perdita di capacità lavorativa, intraprendeva azione nei confronti dell’utilizzatore e della società di somministrazione, chiedendo la condanna in solido al pagamento dell’intero danno biologico e del danno personalizzato (ex danno morale).

Si costituiva in giudizio l’Agenzia per il lavoro la quale rilevava che nel contratto di somministrazione le parti avevano concordato che l’espletamento dell’obbligo di formazione ed informazione sui rischi connessi con l’attività lavorativa sarebbe stato a totale carico dell’utilizzatore ciò a norma dell’art. 23, comma 5, Dlgs n. 276/2003.

L’Agenzia per il lavoro, su tali basi, escludeva, pertanto, ogni propria responsabilità evidenziando altresì di non aver preso parte in alcun modo alla dinamica che aveva portato alla causazione dell’infortunio.

Il giudice accogliendo i rilievi formulati dal somministratore rilevava che «Ai sensi dell’art. 23, comma 5,Dlgs n. 276/2003, grava sul somministratore l’obbligo di informare i lavoratori dei rischi per la sicurezza e la salute e di formarli e addestrarli all’uso delle attrezzature di lavoro. Le parti possono tuttavia prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore. Tenuto conto delle disposizioni citate, delle clausole contrattuali, delle modalità dell’infortunio e dei profili di colpa, come di seguito ricostruiti, nessuna responsabilità può addebitarsi a S. E deve pertanto respingersi la domanda proposta nei confronti della stessa».

L’Agenzia per il lavoro nella propria difesa, inoltre, evidenziava che nella determinazione del quantum, il giudice avrebbe dovuto ridurre notevolmente le pretese del lavoratore, anche nei confronti dell’utilizzatore, limitando la responsabilità di questo al solo differenziale tra liquidazione del danno biologico da operarsi secondo il calcolo effettuato dall’Inail e determinazione del danno secondo i normali criteri civilistici.

Il giudice accoglieva i rilievi effettuati dall’Agenzia per il lavoro, rilevando come il Dpr n. 1124/1965 fosse stato modificato dalla novella introdotta dal Dlgs n. 388/2000. La norma infatti ha posto a carico dell’Inail non più solo l’indennità connessa alla perdita di capacità lavorativa, ma anche la liquidazione del danno biologico.

Da ciò ne consegue che l’obbligato alla liquidazione del danno biologico, per effetto delle predette disposizioni, è l’Inail (ovviamente con possibilità di rivalsa da parte di quest’ultima) mentre il lavoratore può richiedere il risarcimento diretto da parte dell’utilizzatore limitatamente al solo differenziale tra danno biologico liquidato dall’Inail (con valore capitalizzato) e la quantificazione operata secondo i criteri civilistici, essendo l’utilizzatore tenuto esclusivamente a colmare tale differenza.

Nel predetto giudizio il giudice accogliendo la predetta tesi difensiva rilevava: «Si ritiene di dover riconoscere la risarcibilità del danno biologico differenziale ciò sulla base di una interpretazione di ordine letterale e sistematica delle disposizioni di cui al Dlgs n. 388/2000 e del Dpr n. 1124/1965. L’art. 10 del Dpr n. 1124/1965 prevede: “l’assicurazione a norma del presente decreto, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro. Nonostante l’assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto del quale l’infortunio è derivato. (…) Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti”. L’art. 13 del Dlgs n. 38/2000 dispone che il nuovo indennizzo debba essere erogato “in luogo della prestazione di cui all’art. 66 comma 1, n. 2 del Testo unico”. Quest’ultima disposizione prevede l’erogazione di una rendita per inabilità permanente. è evidente come l’indennizzo di cui al Dlgs n. 38/2000 sia andato a sostituire la rendita per inabilità permanente prevista dall’art. 66 del Dpr n. 1124/1965. Quindi l’art. 10 Dpr n. 1124/1965, nel momento in cui prevede il risarcimento del danno differenziale «per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti” fa riferimento all’indennità di cui all’art. 66, comma 1 n. 2, ora sostituita dall’indennizzo di cui all’art. 13 Dlgs n. 38/2000. è vero che nella sua versione originaria, l’art. 10 Dpr n. 1124/1965 non poteva riferirsi al danno differenziale biologico, ma è altrettanto vero che per effetto dell’inclusione operata dal Dlgs n. 38/2000 del danno biologico nell’ambito delle prestazioni assicurative Inail, la sfera di applicazione dell’art. 10 ha subito una espansione tale da comprendere nel danno differenziale risarcibile anche quello biologico. Il Dlgs n. 38/2000 si è limitato a sostituire la rendita ex art. 66, comma 1, n. 2 Dpr n. 1124/1965 col nuovo indennizzo, inclusivo del danno biologico, lasciando inalterato tutto il sistema previgente in particolare la funzione indennitaria e non di tutela risarcitoria dell’assicurazione Inail». Ne deriva ovviamente una notevole riduzione del danno a carico del datore di lavoro ed in questo caso dell’utilizzatore, che resta, però, comunque esposto ad azione di rivalsa da parte dell’Inail.

Infine, altra particolarità della predetta sentenza, il giudice ha escluso che l’utilizzatore potesse ottenere, però, manleva dalla propria compagnia di assicurazione, prevedendo la polizza assicurativa di quest’ultimo l’estensione della copertura assicurativa ai soli dipendenti dell’assicurato e non anche ai lavoratori somministrati.

«Non può trovare accoglimento la domanda di manleva proposta da M. Srl nei confronti di A. Spa in ragione della formulazione letterale della polizza, limitata ai prestatori di lavoro dipendenti dell’assicurato, ed atteso che tale non può considerarsi il lavoratore interinale».

Rilievo, quest’ultimo, abbastanza preoccupante per gli utilizzatori che, ove venisse confermato il predetto indirizzo, se vorranno dormire sonni tranquilli, dovranno assicurarsi che nelle appendici di polizza dei propri contratti assicurativi sia prevista estensione della tutela r. C. Per danni ad altri collaboratori dell’impresa e lavoratori somministrati.

LICENZIAMENTO E SOSTITUZIONE DEL DIPENDENTE CON UN CO.CO.PRO.

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LICENZIAMENTO E SOSTITUZIONE DEL DIPENDENTE CON UN CO. CO. PRO.

Cass. , sez. Lav. , 19 gennaio 2012, n. 75

La modesta contrazione dell’attività produttiva, non implicante una sensibile riduzione delle persone e dei mezzi impiegati, rende illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore dipendente ove la datrice di lavoro abbia proceduto, in vista della sua sostituzione, alla stipula di un contratto di collaborazione a progetto con altro soggetto pochi giorni prima di comunicare il recesso.

Il giustificato motivo oggettivo (1)

L’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, espressamente prevede che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. In base al principio di libertà dell’iniziativa economica privata, garantito dall’art. 41 della Costituzione, il datore di lavoro è libero (in seguito a una propria autonoma valutazione) di attuare un riassetto organizzativo al fine di conseguire una più economica gestione dell’impresa: in tal caso algiudice è precluso il sindacato circa la scelta dei criteri di gestione dell’impresa ma gli è invece consentito il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. In altri termini, “. Non è sindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato”. Ma il datore di lavoro è gravato dell’onere di dimostrare anche l’impossibilità di ricollocare diversamente il dipendente nell’ambito dell’organizzazione aziendale: si tratta del cosiddetto obbligo di repechage, obbligo che può anche comportare il dovere di replicare alle allegazioni del lavoratore il quale, invece, rivendichi la possibilità di un suo diverso utilizzo nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

LICENZIAMENTO E SOSTITUZIONE DEL DIPENDENTE CON UN CO. CO. PRO.

Cass. , sez. Lav. , 19 gennaio 2012, n. 75

La modesta contrazione dell’attività produttiva, non implicante una sensibile riduzione delle persone e dei mezzi impiegati, rende illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore dipendente ove la datrice di lavoro abbia proceduto, in vista della sua sostituzione, alla stipula di un contratto di collaborazione a progetto con altro soggetto pochi giorni prima di comunicare il recesso.

Il giustificato motivo oggettivo (1)

L’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, espressamente prevede che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. In base al principio di libertà dell’iniziativa economica privata, garantito dall’art. 41 della Costituzione, il datore di lavoro è libero (in seguito a una propria autonoma valutazione) di attuare un riassetto organizzativo al fine di conseguire una più economica gestione dell’impresa: in tal caso algiudice è precluso il sindacato circa la scelta dei criteri di gestione dell’impresa ma gli è invece consentito il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. In altri termini, “. Non è sindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato”. Ma il datore di lavoro è gravato dell’onere di dimostrare anche l’impossibilità di ricollocare diversamente il dipendente nell’ambito dell’organizzazione aziendale: si tratta del cosiddetto obbligo di repechage, obbligo che può anche comportare il dovere di replicare alle allegazioni del lavoratore il quale, invece, rivendichi la possibilità di un suo diverso utilizzo nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Il fatto

Il Tribunale, su iniziativa di una lavoratrice, accoglieva il ricorso e dichiarava illegittimo il licenziamento comminatole e condannava la società a reintegrarla nel proprio posto di lavoro e a risarcirle il danno. La società ricorreva in secondo grado ma la Corte d’Appello di Torino, con sentenza 30 ottobre 2008, confermava la decisione di primo grado. La società quindi ha proposto ricorso davanti alla Suprema Corte, la quale ha chiuso la vicenda con la sentenza 19 gennaio 2012, n. 755, oggetto del breve commento che segue.

La lavoratrice veniva licenziata con la seguente motivazione:”impossibilità sopravvenuta da diversi mesi a sostenere i notevoli costi di gestione dell’appalto a cui deve far fronte la società con la sua presenza in servizio”,ossia- e almeno in via teorica – una tipica ipotesi di giustificato motivo oggettivo, meglio precisato dalla società con una più modesta quantità di lavoro commissionatole da un’altra società e con l’aver affidato il servizio fino a quel momento svolto dalla lavoratrice licenziata a un collaboratore a progetto già in forza presso la medesima impresa, al fine di ottenere un risparmio sui costi del servizio.

Le valutazioni dei giudici di merito – Ascoltati i testimoni ed esaminati i documenti i giudici di merito hanno ritenuto che fosse stato dimostrato quanto segue:

1) l’azienda non aveva fornito la prova della cessazione del servizio cui era addetta la ricorrente; 2) la stessa era stata immediatamente sostituita da un altro soggetto con contratto di co. Co. Pro. ;

3) infine, l’azienda non aveva assolto la prova circa l’impossibilità di adempiere all’obbligo di repechage.

La Corte d’Appello, nell’esaminare il ricorso, ha parimenti ritenuto non sussistente il giustificato motivo oggettivo, sia sotto il profilo della – assai modesta – riduzione dell’orario (non comportante, tra l’altro, alcuna variazione del numero dei furgoni impiegati nell’esecuzione del contratto di appalto), sia per quanto concerne la sostituzione della lavoratrice dipendente con un collaboratore a progetto, avvenuta una settimana prima del licenziamento dell’appellata.

La Corte di merito ha conclusivamente stabilito il mancato adempimento dell’onere della prova – da parte della società – circa l’effettiva consistenza dell’organico aziendale al fine di stabilire se dovesse (o meno) essere applicata la tutela reale. Tale onere, come peraltro affermato dalle sezioni unite con la decisione 10 gennaio 2006, n. 141, ricade sul datore di lavoro.

I precedenti giurisprudenzial Cass. Sez. Unite, 10 gennaio 2006, n. 141

L’articolo 18, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300, modificato dall’articolo 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, nel subordinare l’ordine giudiziale di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato a determinate dimensioni dell’organizzazione produttiva datrice di lavoro commisurate al numero delle persone occupate, richiede al datore di lavoro convenuto in giudizio la prova negativa del non raggiungimento di tali dimensioni

I motivi della decisione

A fronte del ricorso presentato dalla società, risultata soccombente anche in appello, la Cassazione preliminarmente afferma come fosse compito dei giudici di merito verificare se la motivazione che era stata posta a fondamento del giustificato motivo oggettivo “corrispondesse alla realtà dei fatti”. Analisi che, ad avviso dei giudici della Suprema Corte, si è svolta correttamente e ha permesso di appurare che:

1) la riduzione dell’attività lavorativa vi era stata ma aveva avuto una consistenza solamente “modesta”;

2) pur non risultando controversa la parziale riduzione dell’attività, nulla era mutato quanto all’esigenza di impiegare contemporaneamente i sei mezzi in dotazione alla società, necessità cui si era fatto fronte con la stipula del contratto di collaborazione a progetto.

Quanto a quest’ultimo aspetto, a fronte della difesa della società, che asseriva come il collaboratore fosse già ‘assunto’, il fatto che questi avesse fatto il proprio ingresso solamente una settimana prima del licenziamento della lavoratrice ha costituito prova inequivocabile dell’intento “sostitutivo” posto in essere. In buona sostanza, ad avviso dei giudici della Cassazione, la Corte di merito ha correttamente valutato come la motivazione posta a base del recesso non corrispondesse alla realtà dei fatti e non costituisse, quindi, giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il che ha comportato l’assorbimento della questione relativa all’obbligo di repechage, essendosi già pervenuti alla declaratoria di illegittimità del licenziamento.

Da ultimo, la Suprema Corte – conformandosi al proprio orientamento in materia – stentoreamente afferma che la prova dei requisiti occupazionali, ai fini dell’applicazione della tutela reale ovvero obbligatoria, “grava sulla società”. Incidentalmente, si ricorda che, secondo la giurisprudenza,il requisito numerico deve essere accertato in base alla normale produttività dell’impresa (o della singola sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo), facendo riferimento alla consistenza numerica del personale in un periodo di tempo anteriore (e non successivo) al licenziamento, che deve essere congruo per durata e in relazione all’attività e alla natura dell’impresa. Dal punto di vista pratico, è stato addebitato alla società di non aver fornito alcuna prova in merito, in considerazione della non integrale esibizione dei libri e documenti di tutte le sedi.

In definitiva, la Corte di Cassazione ha confermato le precedenti due sentenze dei gradi di merito e ha proceduto in particolare, con una valutazione tutta di legittimità, peculiare al suo potere decisionale, sia in ordine al mancato rispetto da parte datoriale dell’onere probatorio sui requisiti numerici per la tutela reale, sia sulla mancata dimostrazione della sussistenza del requisito del giustificato motivo oggettivo: entrambi tali aspetti, legati a norme di legge, nonché le indiscusse circostanze il fatto, hanno consentito alla Suprema Corte di respingere il ricorso della società con il definitivo riconoscimento per la lavoratrice del diritto alla reintegrazione.

MEF: Disposizioni in materia di tracciabilità dei flussi finanziari

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MEF: Disposizioni in materia di tracciabilità dei flussi finanziari

L’articolo 49 del decreto legislativo 231/2007, e successive modifiche e integrazioni sino a giungere all’art. 12 del decreto legge 201/2011, convertito con modifiche dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, vieta “il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1. 000 euro”.

Premessa e quadro normativo generale

L’articolo 2, comma 4bis, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, concernente “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” dispone che, a decorrere dal 1° settembre 2011, le sanzioni, di cui all’articolo 58 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono applicate attraverso gli uffici territoriali del Ministero dell’economia e delle finanze (d’ora in poi MEF).

L’articolo 49 del decreto legislativo 231/2007, e successive modifiche e integrazioni sino a giungere all’art. 12 del decreto legge 201/2011, convertito con modifiche dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, vieta “il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1. 000 euro”.

Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S. P. A. Pertanto, i prelievi/versamenti di contante sopra soglia sul proprio conto corrente, o libretto postale nominativo, o effettuati anche con carta di credito, non costituiscono automaticamente violazione dell’art. 49 citato (v. Circolare MEF del 4/11/2011).

L’importo di 1. 000 euro è riferito alla somma complessiva del trasferimento. Pertanto, è vietato anche suddividere “artificiosamente”[1] un unico importo di 1. 000 euro, o superiore, in più pagamenti in contanti di importo singolarmente inferiore al limite previsto, ma relativi alla medesima transazione economica. Il limite dei 1. 000 euro costituisce soglia per infrazione, sanzionabile a partire dal 1° febbraio 2012. Dal 1° settembre 2011 era entrato in vigore un nuovo limite di 2. 500 euro, che sostituiva il precedente limite di 5. 000 euro, effettivo dal 16 giugno 2010; fino a quest’ultima data il limite era pari o superiore a 12. 500 euro.

In presenza del nuovo quadro normativo appena delineato, si ritiene opportuno richiamare alcune preesistenti disposizioni (contenute nell’art. 49) da ritenersi ancora valide :

1)  Il limite di 1. 000 euro si applica al singolo assegno bancario e/o postale. Pertanto, assegni diversi, utilizzati per la medesima transazione, non sono cumulabili ai fini del calcolo dell’importo totale del trasferimento;

2)  Gli assegni bancari e postali, per importi pari o superiori a 1. 000 euro, devono contenere l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità;

3)  Gli assegni emessi all’ordine del traente (c. D. Assegni “a me medesimo”) non possono essere girati da terzi, indipendentemente dall’importo indicato nel titolo. L’unico utilizzo possibile è la “girata” per l’incasso al medesimo nome del traente/beneficiario.

4)  Gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

5)  Il rilascio di assegni circolari, vaglia postali e cambiari di importo inferiore a 1. 000 euro può essere richiesto, per iscritto, dal cliente senza la clausola di non trasferibilità.

6)  Il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore a 1. 000 euro. I libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 1. 000 euro, sono estinti dal portatore ovvero, entro il 31 marzo 2012, il loro saldo deve essere ridotto a una somma non eccedente il predetto importo.

7)  Le banche e Poste Italiane S. P. A. Sono tenute a dare ampia diffusione e informazione a tale disposizione.

8)  In caso di trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore, il cedente comunica, entro 30 giorni, alla banca o a Poste Italiane S. P. A, i dati identificativi del cessionario, l’accettazione di questi e la data del trasferimento.

Sanzioni (art. 58 del decreto legislativo 231/2007)

Si riportano le disposizioni relative all’art. 58 del decreto legislativo 231/2007, facendo presente che, per le violazioni commesse fino al 15 giugno 2010, si applica la normativa allora vigente, che non prevedeva una sanzione minima pari a 3. 000 euro, introdotta dal comma 7 bis aggiunto al predetto articolo dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 20, D. L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010.

a)  Per i trasferimenti effettuati (fino al 15 giugno 2010) in violazione dei commi 1, 5, 6 e 7 dell’art. 49 del decreto legislativo 231/2007, si applica una sanzione compresa tra l’1% e il 40% dell’importo trasferito. Per le violazioni inferiori ai 250. 000 euro, restano valide le percentuali stabilite dalla Commissione consultiva con i pareri di massima forniti in allegato alla presente. Invece, per i trasferimenti avvenuti dal 16 giugno 2010, si fa riferimento al comma 7 bis, il quale dispone che:

1- per le violazioni previste dai precedenti commi (ossia: 1, 5, 6 e 7 – art. 49) la sanzione amministrativa pecuniaria non può comunque essere inferiore nel minimo all’importo di 3. 000 euro. Inoltre, per le violazioni di cui al comma 1, che riguardano importi superiori a cinquantamila euro l’importo della sanzione minima è aumentato di cinque volte rispetto all’1% previsto dal comma 1 dell’art. 58 ossia, è pari al 5% dell’importo trasferito;

2- per le violazioni di cui ai commi 2, 3 e 4 (art. 58), che riguardano importi superiori a cinquantamila euro, le sanzioni minima e massima sono aumentate del cinquanta per cento.

Questa nuova formulazione delle sanzioni si applica alle violazioni commesse dal 16 giugno 2010 e non fa venire meno la possibilità di chiudere i procedimenti oblabili (commi 1, 5, 7 art. 49) al 2% degli importi oggetto di infrazione.

b) Per le violazioni di cui ai commi 1, 5 e 7 dell’articolo 49, qualora trattasi di transazioni di importo non superiore a 250. 000 euro, permane la possibilità di eseguire un pagamento in misura ridotta (cd. Oblazione) pari al 2% dell’importo trasferito (cfr. Articolo 60 del medesimo decreto). Il pagamento va effettuato entro 60 giorni dall’avvenuta notifica della contestazione e chiude definitivamente il procedimento sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 16 della legge 689/1981.

c) Per le violazioni di cui al comma 6 dell’articolo 49, la sanzione si applica anche per importi inferiori a 1. 000 euro, atteso che gli assegni al traente non possono essere trasferiti. Per questa violazione non è prevista la facoltà di “oblare”.

e) Per le violazioni di cui ai commi 12, 13 e 14 dell’articolo 49, le sanzioni minime e massime sono altresì contenute nelle disposizioni dell’articolo 58 e anche per queste violazioni non è ammessa l’oblazione. Si ribadisce che il termine per ricondurre i libretti al portatore sotto la soglia dei 1. 000 euro è il 31 marzo 2012.

Per le violazioni sui libretti al portatore, con saldo inferiore a 3. 000 euro, la sanzione è pari al saldo del libretto stesso (disposizione aggiunta al predetto comma 7 bis con la legge di conversione n. 214 del 22 dicembre 2011).

Le infrazioni ai commi 1, 5, 8, 12, 13 ex art. 49, commesse dopo il 6 dicembre 2011, relativamente al nuovo limite dei 1. 000 euro, non sono sanzionabili fino al 31 gennaio 2012.

Le fasi del procedimento amministrativo sanzionatorio ai sensi della legge 689/1981

a) Contestazione e decadenza ai sensi dell’articolo 14 della legge 689/81

A seguito della comunicazione effettuata, ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 231/2007, da parte di una serie di soggetti obbligati, istituzionali e privati, quali l’Agenzia delle entrate, l’Agenzia delle dogane, Equitalia, gli istituti bancari, Poste Italiane spa, notai e altre categorie di professionisti, l’ufficio ricevente deve valutare se la segnalazione sia completa e procedibile. Nei casi in cui la segnalazione sia di tipo semplice (assegno senza clausola, libretto ricondotto alla soglia oltre i termini, etc. ) e il soggetto segnalante abbia riportato tutti i dati anagrafici della persona fisica e/o giuridica in modo corretto e prodotto copia del titolo irregolare, il termine per notificare all’autore della violazione la contestazione è di 90 giorni dal protocollo di arrivo della segnalazione completa.

Pertanto, se i dati risultino incompleti o illeggibili, si possono interrompere i termini chiedendo elementi ulteriori al segnalante e, dal momento della successiva acquisizione di tutti dati necessari, vanno considerati i nuovi termini di decadenza. Ad es. , nel caso di assegni senza clausola, si possono chiedere alla banca della controparte i dati del traente/beneficiario. Conseguentemente, i termini si riaprono dal momento della ricezione di questi dati. Si ricorda che, sia il traente che il beneficiario, sono responsabili della negoziazione di un assegno senza clausola.

Allo stesso modo, quando l’istruttoria richiede un lasso di tempo congruo per determinare l’accertamento definitivo dell’ipotesi di violazione, come nel caso, ad es. Di scritture contabili inviate dall’Agenzia delle entrate, la decadenza corrisponde al periodo che intercorre tra la data in cui si forma il convincimento definitivo dell’amministrazione (che, a sua volta, può coincidere con il protocollo di arrivo delle ultime notizie utili al completamento dell’istruttoria) e quella di avvenuta notifica alla parte. Si ricorda che i libri e le altre scritture contabili delle imprese fanno prova contro l’imprenditore, ai sensi dell’art. 2709 del codice civile. Dunque la contestazione è ipotizzabile per le società verificate, ma sostenibile verso la società controparte solo se vi sono documenti sottoscritti e prodotti anche da quest’ultima.

La costante giurisprudenza in materia di decadenza ci indica che il tempo necessario per un’istruttoria che superi i 90 giorni deve essere documentato e dimostrato dall’amministrazione che effettua la contestazione.

Quando la contestazione è effettuata e notificata dai Nuclei della Guardia di Finanza (GdF), per l’apertura del conseguente fascicolo vanno considerati alcuni elementi quali: la possibile decadenza della notifica alla parte (se questa non abbia già firmato in pari data il verbale), l’eventuale prescrizione delle violazioni contestate (in caso siano trascorsi più di cinque anni dalla commissione del fatto), la corretta impostazione giuridica delle responsabilità (obbligati principali, concorso e solidarietà ai sensi della legge 689/81), la completezza dell’eventuale documentazione probante allegata al processo verbale (estratti delle scritture societarie, fatture, dichiarazioni delle parti), l’esatta identificazione dell’infrazione contestata, e l’inserimento della possibilità di oblazione, ove previsto.

Questi elementi imprescindibili, ai fini di un corretto ed efficace procedimento amministrativo sanzionatorio, devono chiaramente essere contenuti anche nelle contestazioni che verranno prodotte e notificate dalle sedi RTS in base alle segnalazioni di infrazioni pervenute.

Esiste una modulistica per le varie tipologie di infrazione, già predisposta dalla Direzione V e utilizzata fino al febbraio 2011 dagli Uffici territoriali che erano stati delegati in materia, tuttora valida nella sua struttura e nei suoi elementi fondamentali.

b) Istruttoria

Dopo l’avvenuta contestazione dell’ipotesi di violazione da parte del MEF o della GdF alla parte/i, il soggetto persona fisica o giuridica ha la possibilità di inviare memorie difensive scritte entro i 30 giorni dalla notifica (ma su questi termini si è sempre concessa dilazione per consentire alla parte una piena difesa) e/ o chiedere di essere ricevuto in audizione dalla Ragioneria territoriale competente.

c) Decretazione

Espletate le modalità che garantiscano la piena partecipazione della parte al procedimento, acquisiti gli elementi necessari anche tramite ulteriori contatti con il Nucleo che ha redatto il processo verbale, si procede a decretare la sanzione o il proscioglimento nel merito o l’archiviazione per motivi procedurali (es. Decadenza-prescrizione). La motivazione deve essere congrua ed esaustiva, fornendo elementi di risposta alle eventuali deduzioni prodotte dalla parte. La sanzione è irrogata, secondo i pareri di massima della Commissione consultiva, per le contestazioni relative ad importi per cui sia stata data la possibilità di oblare al momento della contestazione.

La segreteria della Commissione consultiva è incardinata presso l’Ufficio IV della Direzione V del Dipartimento del tesoro. La Commissione, prevista dall’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 114, ha, nel corso della sua attività, formulato alcuni pareri di massima, per categorie di violazioni di importo inferiore a 250. 000 euro, da utilizzarsi come riferimenti per la decretazione, cosiddetta “motivata”, in base alla percentuale indicata in tali pareri, fermo restando il nuovo limite di sanzione minima pari a 3. 000 euro per le violazioni commesse dopo il 15 giugno 2010.

Quando si è in presenza di violazioni contestate singolarmente superiori a 250. 000 euro, il decreto viene redatto dopo l’esame della Commissione consultiva, che si conclude con parere obbligatorio ai sensi dell’art. 60 del decreto legislativo 231/2007.

Le Sedi territoriali RTS, competenti a trattare le contestazioni per le violazioni singolarmente superiori a 250. 000 euro, dovranno inviare alla Direzione V, in fase di decretazione, per ogni posizione, una relazione dettagliata del processo verbale di contestazione, delle prove documentali e delle memorie difensive che fossero pervenute, nonché dell’avvenuta audizione. Queste relazioni saranno presentate alla Commissione, che emetterà un parere obbligatorio, anche se non vincolante, per ciascuna posizione. Il parere, anche se redatto in collaborazione con il funzionario della Sede competente, viene revisionato e firmato dal Segretario e dal Presidente della Commissione, come atto esterno infraprocedimentale, sottoposto a diritto di accesso, secondo le disposizioni vigenti. In seguito, il decreto integrato viene predisposto integrando il testo del parere, che non viene perciò inviato alla parte ma resta agli atti del fascicolo.

d) Notifica

Si sottolinea l’importanza della notifica del provvedimento sanzionatorio alla/e parte/i, entro i termini stabiliti per la prescrizione, che va considerata in cinque anni, ai sensi della legge 689/81, dal momento dell’avvenuta notifica della contestazione agli autori delle violazioni. Questi termini sono opponibili dalla parte e altresì rilevabili d’ufficio, e costituiscono un giustificato motivo di revoca del decreto in sede di eventuale ricorso.

e) Esecuzione

Una volta notificato il decreto, si attendono i termini di impugnabilità da parte dei sanzionati e, ove non fosse presentato ricorso e sospesa dal giudice l’esecuzione, codesti Uffici devono inoltrare una lettera di sollecito di pagamento, prima dell’eventuale iscrizione a ruolo dell’importo della violazione tramite Equitalia. Il procedimento della riscossione segue le vigenti disposizioni di legge applicabili ai crediti erariali e viene richiamato dall’articolo 27 della legge 689/1981. Non vi sono disposizioni specifiche per il fatto che il titolo di credito sottostante sia riferibile a una norma antiriciclaggio.

Indicazioni operative in materia di contenzioso

a) Il ricorso in opposizione avverso il decreto sanzionatorio, ai sensi dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e dell’art. 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 si propone davanti al Tribunale del luogo in cui è stata commessa la violazione, entro 30 giorni dalla notificazione del decreto (il termine è di 60 giorni se l’interessato risiede all’estero).

Ai sensi dell’art. 6, comma 4, lettere e) e f), del decreto legislativo 150/2011 l’autorità giudiziaria competente per le opposizioni in materia valutaria e di antiriciclaggio è il Tribunale e non il giudice di Pace. Quando viene notificato il ricorso, prestare sempre attenzione alla data di deposito dello stesso (il ricorso depositato oltre i termini è inammissibile).

b) Il giudice, con decreto scritto in calce al ricorso, fissa l’udienza di comparizione delle parti e il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, è notificato a cura del cancelliere sia all’opponente, o al suo legale rappresentante, sia al MEF.

c) Il ricorso va notificato all’amministrazione e non all’Avvocatura dello Stato. L’opposizione non determina la sospensione del decreto impugnato, salvo che il giudice, ricorrendo gravi motivi, disponga diversamente.

d) L’amministrazione redige una comparsa di costituzione e risposta, allegando il provvedimento impugnato e (previa redazione di un indice in calce alla comparsa) tutti gli atti presupposti relativi all’accertamento e alla contestazione e notificazione della violazione e, a norma dell’articolo 167 c. P. C. , propone tutte le difese, prendendo posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicando i documenti che offre in comunicazione e formulando le conclusioni.

Il fascicolo depositato in Tribunale deve contenere, oltre alla comparsa e ai documenti prodotti, anche due copie della comparsa per la controparte e per la cancelleria.

Nel giudizio di primo grado l’amministrazione può stare in giudizio personalmente. Tuttavia, nelle fattispecie di maggiore importanza (o per la natura della causa o per l’importo della sanzione) è possibile chiedere il patrocinio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato. A tal fine, si consiglia di inviare comunque anche all’Avvocatura Distrettuale dello Stato competente per territorio una copia del ricorso, della comparsa e dei documenti trasmessi al Tribunale.

Il giudice, dopo una o più udienze, terminata l’istruttoria, invita le parti a precisare in udienza le conclusioni e a procedere nella discussione della causa, salvo che ritenga necessario concedere alle parti un termine per il deposito di note difensive integrative. Quindi pronuncia la sentenza, mediante lettura del dispositivo. Con la sentenza il giudice può rigettare l’opposizione o accoglierla in tutto o in parte, modificando eventualmente l’entità della sanzione e decidendo sulle spese.

Avverso la sentenza sfavorevole la parte soccombente può proporre appello, entro 6 mesi dalla data di deposito della sentenza (prorogabile di 45 giorni se lo stesso cade nel periodo feriale: 1° agosto – 15 settembre) o entro 30 giorni dall’eventuale notificazione della sentenza. Dal secondo grado di giudizio in poi la rappresentanza in giudizio spetta esclusivamente all’Avvocatura dello Stato.

In tali casi avremo che:

i. Se la sentenza è favorevole all’Amministrazione e la controparte la impugna, l’Amministrazione prende contatto tempestivamente con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato competente per territorio, alla quale invia una relazione;

ii. Se la sentenza è sfavorevole, l’Amministrazione trasmette (immediatamente nel caso di notifica della sentenza) all’Avvocatura Distrettuale dello Stato competente per territorio la sentenza adottata e una richiesta di valutazione dell’opportunità di proporre appello, esponendo le ragioni a sostegno del gravame.

Procedimenti all’esame della Commissione consultiva

Le sedi RTS competenti alla trattazione di posizioni, relative a contestazioni della Guardia di Finanza corrispondenti a singoli rilievi ex articolo 49 superiori a 250. 000 euro, non oblabili, sono individuate, allo stato attuale, in numero di sei, come da tabella allegata.

Le sedi indicate (Roma – Milano – Napoli – Genova – Bologna – Bari) trattano altresì le violazioni ex articolo 50 (conti anonimi) e articolo 51 (omessa comunicazione da parte dei soggetti obbligati).

Questi contesti sono sottoposti all’esame della Commissione consultiva, che emette un parere obbligatorio, il cui contenuto, di proscioglimento o sanzionatorio, viene di norma recepito in un decreto, che è l’atto finale del procedimento, espressione del potere decisionale dell’Amministrazione. La Commissione si riunisce settimanalmente presso la Direzione V del Tesoro.

I procedimenti per infrazioni di valore superiore a 250. 000 euro, ma composti da più rilievi, tutti inferiori o pari a 250. 000 euro, per i quali, nel processo verbale di contestazione, sia stata concessa alle parti la possibilità di chiudere il procedimento con oblazione, sono definiti con decreto motivato e dunque possono essere svolti in ogni sede delle 22 RTS.

è importante decretare con la stessa tempistica e in modo equivalente i contesti collegati tra loro, che scaturiscono dalla medesima indagine del Nucleo della Gdf.

Nuclei antiriciclaggio

è fondamentale che il Nucleo dedicato allo svolgimento del procedimento sia coordinato da un responsabile che sia il referente per questa materia nei confronti del Direttore della RTS. Lo stesso dovrebbe rivestire il ruolo di revisore degli atti a valenza esterna tipici del procedimento, quali la contestazione e il decreto, che sono a firma del Direttore o di un sostituto facente funzione.

Nelle grandi sedi si raccomanda di istituire una casella di posta elettronica dedicata ai quesiti e di inserire nei moduli di contestazione i riferimenti del responsabile del procedimento e di un numero telefonico dove sia possibile reperire informazioni sullo stato dell’istruttoria e tramite il quale le parti possano chiedere appuntamento per essere sentiti ai sensi dell’articolo 18 della legge 689/81.

 Fascicoli in carico alle ex DTEF già competenti in materia di procedimenti sanzionatori antiriciclaggio

Al fine di garantire la continuità amministrativa per i procedimenti già avviati precedentemente alla chiusura delle ex DTEF, i fascicoli antiriciclaggio territoriali, esistenti al 28 febbraio 2011, tuttora aperti, la cui istruttoria e lavorazione sia stata sospesa nelle more dell’attribuzione della competenza, sono presi in carico dalle sedi RTS corrispondenti, ad eccezione di Palermo e Catanzaro[2].

 Indirizzo e consulenza della Direzione V

Gli Uffici della Direzione, competenti in materia di antiriciclaggio (II-IV-VII), in particolare l’Ufficio II, costituiscono un nucleo di supporto, al fine di fornire indirizzi omogenei nella trattazione dei procedimenti sanzionatori e dei ricorsi in opposizione ai decreti emessi da parte delle sedi territoriali. è prevista una formazione giuridica iniziale alle sedi e periodici aggiornamenti sulle modifiche normative e sugli indirizzi giurisprudenziali. La pregressa esperienza delle sedi territoriali ex DTEF, già competenti fino al 28 febbraio 2011, sarà altresì prezioso ausilio per le sedi di nuova attribuzione.

Si allegano le circolari della Direzione V – DT del 2010 e del 2011 in materia, alcuni pareri di massima della Commissione consultiva antiriciclaggio nonché l’elenco delle sei sedi aventi competenza per le violazioni superiori a 250. 000 euro (v. Paragrafo n. 5).

 

[1] Se la suddivisione di un importo pari o superiore a 1. 000 euro dipende invece da contratti già stipulati tra le parti, di cui si possa avere contezza o prova, che prevedano ad es. Rateazioni o somministrazioni, in tal caso può interpretarsi la molteplicità dei trasferimenti come prassi commerciale e non elusione della normativa in questione. Si cita un parere del Consiglio di Stato n. 1504/1995 Sez. III, che pone un limite all’ipotesi di cumulo di trasferimenti avvenuti nel medesimo contesto economico, in presenza di scadenze di pagamento pattuite preventivamente, anche se resta impregiudicato il potere discrezionale dell’autorità amministrativa di verificare nelle singole fattispecie se il disposto normativo è stato violato.

[2] Queste Sedi, seguendo le indicazioni fornite via e-mail dall’IGF, trasferiranno i fascicoli presenti negli archivi delle ex DTEF alle nuove sedi secondo la rispettiva competenza territoriale.

Slot Machines: Esenti Iva i compensi corrisposti dal gestore a terzi esercenti incaricati della raccolta delle giocate

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Slot Machines: Esenti Iva i compensi corrisposti dal gestore a terzi esercenti incaricati della raccolta delle giocate

I compensi corrisposti dal gestore a terzi esercenti incaricati per la raccolta delle giocate delle slot machine sono esenti da IVA anche se il compenso unico copre altri servizi aggiuntivi resi dall’esercente.

E’ onere dell’Ufficio provare l’esistenza di una pluralità di obbligazioni di diversa natura rispetto a quella strettamente funzionale alla raccolta delle giocate.

Commissione Tributaria Provinciale Emilia Romagna Bologna Sezione VI, Sentenza 11-04-2011, n. 44 Giuochi e scommesse

IMPOSTA VALORE AGGIUNTO (IVA)

Esenzioni

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI BOLOGNA SESTA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

SUSI LUCIA – Presidente MALFATTI LUCIA – Relatore SCATA’ SALVATORE – Giudice ha emesso la seguente SENTENZA – sul ricorso n. 1084/10 depositato il 29/03/2010 – avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2004 contro AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE BOLOGNA proposto dal ricorrente:  ********

Fatto – Diritto P. Q. M.  Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 29. 03. 2010 il sig.   ******** ricorre contro l’avviso di accertamento relative ad IRPEF, IVA, IRAP e contributi previdenziali anno 2004. Attraverso l’avviso di accertamento impugnato, l’Agenzia delle Entrate determinava una maggior imposta IVA di Euro 653,00, di cui Euro 589,44 relativa a compensi che il ricorrente aveva esposto come corrispettivi esenti ex art. 10 comma 1 n. 6 del D. P. R. 600/1973e quanto a Euro 62,53 per detrazione indebita su fatture considerate non inerenti.

Il ricorrente nulla eccepisce in merito alle situazioni afferenti i costi ritenuti non inerenti, mentre rigetta completamene l’assoggettamento ad IVA dei corrispettivi dichiarati esenti. A seguito di un controllo effettuato nei confronti della società Te. Esercente l’attività di montaggio e riparazione apparecchiature elettriche, l’Ufficio appurava che la stessa aveva installato apparecchi da trattenimento e gioco di abilità di cui all’art. 110, co. 6, del TULPS presso la ditta Co. Esercente attività di bar e caffè.

Il controllo si incentrava sulla qualificazione fiscale, ai fini IVA, dei corrispettivi riconosciuti dal gestore degli apparecchi da gioco (TE. ) all’esercente verificato. Queste prestazioni non sono state fatturate, perché considerate come operazioni relative alla raccolta delle giocate e quindi esenti da IVA ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 6 del D. P. R. 600/1973.

Nella fattispecie i soggetti coinvolti sono tre: – il Concessionario della rete, titolare del nulla osta per la messa in esercizio degli apparecchi da gioco; – il Gestore e proprietario degli apparecchi; – l’esercente ovvero il bar in cui materialmente sono ubicate le c. D. New slot (gli apparecchi da gioco).

La raccolta delle giocate compete al Concessionario che può avvalersi della. Collaborazione del gestore e/o dell’esercente. Il responsabile della raccolta resta il Concessionario e solo in capo a lui ricade l’esenzione dell’imposta.

Quindi l’esenzione si applica ai rapporti in cui è parte il Concessionario, mentre è prevista l’imponibilità per i rapporti tra il gestore degli apparecchi e i servizi prestati dall’esercente e per i rapporti tra il gestore ed i consumatori finali.

Dall’esame della documentazione acquisita da TE. , i rapporti tra gestore ed esercente sono regolati da un accordo commerciale in virtù del quale l’esercente riceve una percentuale del 50% del ricavato netto e si obbliga a mettere a disposizione lo spazio nel proprio esercizio per l’installazione degli apparecchi. A parere dell’Ufficio il 50% del ricavato altro non è che il corrispettivo delle obbligazioni di fare e di non fare assunte dallo stesso nei confronti del gestore.

Quindi la prestazione resa dagli esercenti dei locali è una prestazione di servizi e in quanto tale è assoggettabile alla disciplina dell’imponibilità.

Osserva la parte che l’art.  1 comma 497 della Legge 311/2004 ha stabilito che l’esenzione IVA si applica alla raccolta delle giocate con apparecchi da intrattenimento anche in relazione ai rapporti posti in essere tra i.

Concessionari per la gestione telematica e i terzi incaricati della raccolta delle giocate.

Di conseguenza è applicabile l’art. 10 primo comma punto 6 del DPR 633/1972 che dispone l’esenzione IVA.

La parte rileva che il prelievo unico erariale (PREU) al quale il contribuente ha regolarmente adempiuto sostituisce negli apparecchi che distribuiscono vincite sia l’imposta sugli intrattenimenti che l’IVA; contrariamente a quanto indicato nell’avviso di accertamento, il Concessionario non è l’esclusivo titolare del nulla osta per l’anno 2004, ma, come indicato nella Circolare 21/E del 13/05/2005, per un certo periodo il titolare del nulla osta era il proprietario dei giochi. Per quanto sopra esposto la parte chiede che venga annullato l’accertamento per la parte afferente l’esenzione dei corrispettivi per la raccolta delle giocate. Controdeduce la Direzione Provinciale di Bologna la quale chiede il rigetto del ricorso con vittoria delle spese del giudizio.

L’Ufficio sostiene che, tra il gestore e gli esercenti dei locali, sono in essere dei veri e propri accordi per la prestazione di servizi, il cui compenso è parametrato agli incassi netti dei giochi. Ne deriva che la prestazione resa dagli esercenti dei locali è una mera prestazione di servizi ed, in quanto tale, imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art.  3 del D. P. R. 633/72. Orbene il Collegio, esaminata la documentazione agli atti e la normativa di riferimento, osserva quanto segue.

La tesi dell’Ufficio, secondo cui gli introiti dell’esercente sarebbero il risultato economico dei “corrispettivi delle obbligazioni di fare e di non fare”, va respinta.

L’esercente custodisce le macchinette di proprietà del gestore, ne segnala i guasti, ha il divieto di concessione in sub-utilizzo, si obbliga à non installare, per tutta la durata del contratto, apparecchi propri o di ditte concorrenti, ecc. Effettuate le giocate da parte dei clienti, parte dell’incasso complessivo è versato, in esenzione IVA, dal gestore ai Monopoli di Stato a titolo di Prelievo Erariale Unico (PREU), la parte restante dell’incasso resta al gestore, che ne corrisponde il 50% all’esercente, che registra tale corrispettivo in contabilità come esente IVA. Le obbligazioni assunte dall’esercente nel contratto con il gestore, lungi dall’essere, ulteriori e distinte rispetto alla causa del rapporto asserito come principale, ne costituiscono una componente essenziale: senza la collocazione delle macchinette, di proprietà del gestore, negli esercizi commerciali aperti al pubblico, di proprietà dell’esercente, e senza l’operatività di quest’ultimo, non vi sarebbe alcuna attività di raccolta delle giocate e nulla verrebbe di conseguenza versato ai Monopoli a titolo di PREU.

Secondo la Ctr di Venezia – Mestre con la sentenza n. 38/1/10, i compensi corrisposti dal gestore a terzi esercenti, incaricati per la raccolta delle giocate nelle slot machine, sono esenti da IVA, anche se il compenso unico copre altri servizi aggiuntivi resi dall’esercente. Tale sentenza si è allineata alla giurisprudenza prevalente in materia.

Il contratto che intercorre fra gestore ed esercente viene a configurarsi come uno degli strumenti attraverso i quali si realizza la raccolta delle giocate e ciò a prescindere dallo specifico contenuto dei contratti in essere. Il Collegio rileva inoltre che, nella fattispecie, l’Agenzia non prova l’esistenza della lamentata pluralità di obbligazioni di diversa natura rispetto a quelle strettamente funzionali alla raccolta delle giocate, poste a carico dell’esercente e a giustificazione dei suoi compensi.

Né tantomeno prova che le somme percepite dall’esercente eccedano le soglie riconosciute dalla legge (art. 1 comma 497 L. 331/2004). Per i motivi sopra esposti la Commissione ritiene che i corrispettivi incassati dall’esercente siano esenti da IVA ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 6 del D. P. R. 600/1973, in quanto originati dall’attività di raccolta delle giocate, per la parte che è strumentalmente affidata, all’esercente.

In ordine agli altri rilievi ai fini IRPEF, IRAP e contributi previdenziali contenuti nell’avviso impugnato, il Collegio rileva che la parte ha fatto acquiescenza a tali rilievi e pertanto vengono confermati i recuperi a tassazione. Il Collegio, in relazione alla pluralità dei rilievi e rilevata la difficoltà interpretativa della materia e la diversità di opinioni giurisprudenziali, stabilisce l’equa compensazione delle spese di lite.

La Commissione  P. Q. M.  Accoglie il ricorso e per l’effetto annulla l’accertamento per la parte afferente l’IVA, riconoscendo l’esenzione dei corrispettivi per la raccolta delle giocate. Spese compensate.

 

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