-5.7 C
Rome
giovedì 9 Gennaio 2025
Home Blog Page 169

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE VIA LIBERA ALL’USO DEL PEC NEL PROCESSO TRIBUTARIO

0

E’ stato pubblicato l’11 ottobre 2012 in Gazzetta Ufficiale il decreto che ha esteso l’uso della posta elettronica certificata (PEC) nel processo tributario alle Commissioni tributarie  provinciali e regionali operanti nelle regioni Campania, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Toscana e Valle d’Aosta.  

Ministero dell’Economia e delle Finanze via libera all’uso del PEC nel processo tributario    

E’ stato pubblicato l’11 ottobre 2012 in Gazzetta Ufficiale il decreto che ha esteso l’uso della posta elettronica certificata (PEC) nel processo tributario alle Commissioni tributarie  provinciali e regionali operanti nelle regioni Campania, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Toscana e Valle d’Aosta.

Il decreto, a firma del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi, è entrato in vigore il 18 ottobre 2012.  

Il provvedimento consente alle Commissioni tributarie di effettuare le comunicazioni alle parti processuali,  relative  ai  dispositivi  delle  sentenze  e  agli  avvisi  di  trattazione  delle  udienze, utilizzando la casella postale elettronica delle parti stesse.     

IVA PER CASSA DAL 1° DICEMBRE 2012: RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL MINISTERO (DECRETO CASH ACCOUNTING)

0

Tali disposizioni, emanate in aderenza a quanto previsto dagli articoli 66 e 167-bis della direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, hanno la finalità di non far anticipare il versamento dell’IVA al cedente di beni o prestatore di servizi nell’ipotesi di mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente che sia a sua volta soggetto passivo di imposta.   

Ministero dell’Economia Relazione illustrativa alla applicazione dell’IVA per Cassa dal 1° Dicembre 2012 (IVA CASH ACCOUNTING)   

Lo schema allegato di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze è diretto a dare attuazione alle disposizioni che l’articolo 32-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, detta in materia di liquidazione dell’IVA secondo la contabilità di cassa.

Tali disposizioni, emanate in aderenza a quanto previsto dagli articoli 66 e 167-bis della direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, hanno la finalità di non far anticipare il versamento dell’IVA al cedente di beni o prestatore di servizi nell’ipotesi di mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente che sia a sua volta soggetto passivo di imposta.  

Il citato articolo 32-bis dispone, infatti, che, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro nei confronti di cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, l’IVA diviene esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’imposta diventa, in ogni caso, esigibile dopo il decorso del termine di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione; tale limite annuale non si applica nel caso in cui il cessionario o committente, prima del decorso del termine, sia stato assoggettato a procedure concorsuali.

Per i medesimi soggetti che liquidano l’IVA secondo la contabilità di cassa, il diritto alla detrazione dell’imposta relativa agli acquisti di beni e servizi effettuati sorge con il pagamento dei relativi corrispettivi.

La stessa norma prevede, infine, che, per i cessionari e committenti, il diritto alla detrazione dell’imposta sorge al momento di effettuazione dell’operazione anche se il corrispettivo non è stato ancora pagato.

Il  regime  in  questione  è  applicabile  previo  esercizio  di  un’opzione  da  parte  del soggetto passivo interessato. La predetta opzione è esercitata mediante modalità che saranno definite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

L’articolo  32-bis  rinvia,  infine,  ad  un  decreto  del  Ministro  dell’economia  e  delle finanze la fissazione delle disposizioni attuative e la data di entrata in vigore dello stesso articolo.

In considerazione di quanto precede è stato predisposto lo schema di decreto attuativo che di seguito si illustra.

Art. 1 (Presupposti per l’applicazione della liquidazione IVA per cassa).  

L’articolo ribadisce, in sostanza, quanto già stabilito dall’articolo 32-bis del d. L. N. 83  del 2012. La  disposizione  in  esame  prevede,  infatti,  che  i  soggetti  che  nell’anno  solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività, prevedono di realizzare un volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro possono optare per la liquidazione dell’IVA per cassa.  Per tali soggetti l’IVA  relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di cessionari o committenti soggetti passivi di imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi. L’imposta diviene, comunque, esigibile decorso un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, salvo che il cessionario o committente, prima del decorso di detto termine, sia stato assoggettato a procedure concorsuali. Per i soggetti che esercitano la summenzionata opzione il diritto alla detrazione dell’IVA relativa agli acquisti effettuati sorge al momento del pagamento dei relativi corrispettivi. Al contrario, per i cessionari o committenti delle operazioni effettuate dal soggetto optante, il diritto alla detrazione sorge in ogni caso al momento di effettuazione dell’operazione. Resta fermo che laddove il cessionario o committente dell’operazione abbia, a sua volta, esercitato l’opzione per la liquidazione dell’IVA per cassa, il suo diritto alla detrazione spetterà solo all’atto del pagamento del relativo corrispettivo. Resta inteso che nel calcolo del volume d’affari vanno considerate sia le operazioni che vengono assoggettate al regime dell’IVA per cassa sia le operazioni escluse da tale regime (ad esempio, operazioni soggette ad IVA secondo il meccanismo dell’inversione contabile).

Art. 2 (Operazioni attive escluse dalla liquidazione dell’IVA secondo la contabilità di  cassa)   

La disposizione prevede che sono escluse dalla disciplina dell’IVA per cassa:

a) le  operazioni effettuate dai soggetti nell’ambito di regimi speciali di determinazione dell’imposta sul valore aggiunto;

b) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soggetti che  non  agiscono  nell’esercizio  d’imprese,  arti  o  professioni; 

c)  le  operazioni  effettuate  nei confronti dei soggetti che assolvono l’IVA mediante il meccanismo dell’inversione contabile;

d) le operazioni di cui all’articolo 6, quinto comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

Per  quanto  riguarda  le  operazioni  di  cui  alla  lettera  a),  si  intende  che  il  regime dell’IVA per cassa può essere adottato per le operazioni effettuate, in applicazione delle regole ordinarie dell’IVA, da soggetti che, previa separazione dell’attività ai sensi dell’articolo 36 del d. P. R. N. 633/1972, applicano sia regimi speciali IVA sia il regime ordinario.

Art. 3 (Operazioni passive escluse dal differimento del diritto alla detrazione).  

La disposizione prevede che sono escluse dal differimento del diritto alla detrazione: 

a) gli acquisti di beni o servizi assoggettati all’IVA con il meccanismo dell’inversione contabile;

b) gli acquisti intracomunitari di beni;

c) le importazioni di beni; d) le estrazioni di beni dai depositi  IVA.  

Art. 4 (Adempimenti relativi alle operazioni attive del cedente o prestatore) 

La disposizione stabilisce che per le operazioni alle quali si applica il regime dell’IVA per cassa il cedente o prestatore è tenuto ad adempiere gli obblighi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

Le predette operazioni concorrono a formare il relativo volume d’affari del cedente o prestatore e partecipano alla determinazione della percentuale di detrazione di cui all’articolo 19-bis del DPR n. 633 del 1972, con riferimento all’anno in cui le operazioni stesse sono effettuate, non rilevando il momento in cui l’imposta diventa esigibile.

Le operazioni alle quali si applica il regime dell’IVA per cassa sono computate nella liquidazione periodica relativa al mese o trimestre nel corso del quale è incassato il corrispettivo, ovvero scade il termine di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione.

Nel caso in cui sia effettuato un incasso parziale del corrispettivo, l’imposta diventa esigibile ed è computata nella liquidazione periodica nella proporzione esistente fra la somma incassata ed il corrispettivo complessivo dell’operazione.

La disposizione prevede, infine, che le fatture emesse in sede di applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto recano l’annotazione che si tratta di operazione con “IVA per cassa”, con l’indicazione della relativa norma istitutiva. Resta fermo che l’omessa indicazione di tale dicitura costituirà, ai fini sanzionatori, una violazione formale.

Art. 5 (Adempimenti relativi alle operazioni passive del cedente o prestatore).  

Si prevede che il diritto alla detrazione dell’IVA relativa ai beni acquistati o servizi ricevuti dal soggetto optante possa essere esercitato, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del d. P. R. N. 633 del 1972, solo a partire dal momento in cui i relativi corrispettivi sono pagati, o comunque decorso un anno dal momento in cui l’imposta diviene esigibile secondo le regole ordinarie ed alle condizioni esistenti in tale momento.

Nel caso in cui sia effettuato un pagamento parziale del corrispettivo, il diritto alla detrazione dell’imposta sorge in capo al soggetto che ha esercitato l’opzione di cui all’articolo 1 nella proporzione esistente fra la somma pagata ed il corrispettivo complessivo dell’operazione.

Art. 6 (Esercizio dell’opzione).  

La disposizione stabilisce che l’opzione per l’applicazione del regime dell’IVA per cassa e la revoca della stessa sono esercitate secondo le modalità individuate con apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. L’opzione ha effetto a partire dal 1° gennaio dell’anno in cui è esercitata ovvero, in caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, dalla data di inizio dell’attività. Si prevede, inoltre, che   le operazioni che hanno già partecipato alle liquidazioni periodiche  effettuate  fino  alla  data  del  31  dicembre  precedente  l’esercizio  dell’opzione  non rientrano nella disciplina dell’IVA per cassa.

Art. 7 (Termine dell’opzione) 

Si prevede che, qualora il volume d’affari superi, nel corso dell’anno, la soglia di 2 milioni di euro, il soggetto optante esca dal regime dell’IVA per cassa e riprenda ad applicare le regole ordinarie dell’IVA a partire dal mese successivo a quello in cui la soglia è stata superata. Si intende che, per quanto concerne le operazioni passive, le regole ordinarie si applicheranno  con  riferimento  alle  fatture  ricevute  a  partire  dal  mese  successivo,  ancorché l’acquisto sia stato effettuato nel periodo in cui era applicato il regime dell’IVA per cassa. Per questa ipotesi di uscita dal regime, così come in caso di revoca dell’opzione da parte del soggetto passivo, sono previste disposizioni di semplificazione, volte ad evitare la coesistenza, per la stessa attività, di due regimi di liquidazione dell’imposta.   In  particolare,  è previsto che nella liquidazione relativa all’ultimo mese in cui è stata applicata l’IVA per cassa venga computato a debito l’ammontare complessivo dell’IVA relativa alle operazioni i cui corrispettivi non sono stati ancora incassati. Nella stessa liquidazione, il soggetto passivo potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta relativa agli acquisti i cui corrispettivi non sono stati ancora pagati.

Art. 8 (Efficacia) 

Si  prevede  che  le  disposizioni  del  presente  decreto  si  applicano  alle  operazioni effettuate a decorrere dal 1° dicembre 2012. Pertanto, limitatamente all’anno 2012, primo anno di applicazione del nuovo regime, l’opzione di cui all’articolo 6 ha effetto per le operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012.  

Massofisioterapista: Trattamento IVA per abilitati ante o post entrata in Vigore L.42/99

0

i possessori di un titolo di Massofisioterapista  conseguito dopo l’entrata in vigore della legge n. 42/99, al termine di corsi di durata biennale o  triennale, possono svolgere la propria attività tanto in regime libero professionale,  quanto  come  dipendente  presso  strutture  sanitarie  private  e private  convenzionate,  ma   non  potranno  usufruire,  in  caso  di  emissione  di documentazione fiscale per prestazioni rese in regime libero professionale, dell’esenzione IVA prevista dal citato D. M. 17 maggio 2002

RISOLUZIONE N. 96/E  Roma  OGGETTO:   IVA   –   Esenzione   –   Massofisioterapisti   –   Esclusione   – Consulenza giuridica – D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 10, n. 18)    

Con la richiesta di consulenza giuridica indicata in oggetto, ALFA ha chiesto chiarimenti in merito all’applicazione dell’esenzione IVA di cui all’articolo 10, n. 18), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, alla professione del massofisioterapista.   

Quesito  

ALFA rappresenta che il massaggiatore massofisioterapista è l’operatore sanitario  che  interviene  nei  disagi  della  riduzione  della  mobilità,  eseguendo, dietro prescrizione medica, interventi e trattamenti massoterapici. Più dettagliatamente: “il massofisioterapista è in possesso di una solida cultura di base e di una preparazione professionale che gli consentono sicure competenze operative atte alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione.

La professione sanitaria ausiliaria di massofisioterapista è praticata attraverso il massaggio terapeutico, igienico, connettivale, estetico applicato allo sport, con modalità differenti a seconda della patologia e dell’età dei pazienti” (D. M. 07 marzo 1997, n. 105).

II massofisioterapista è in grado di svolgere tutte le terapie di massaggio e di fisioterapia in ausilio all’opera dei medici sia nel libero esercizio della professione sia nell’impiego in enti pubblici e privati, nell’ambito delle disposizioni di legge. Pertanto, esegue ed applica tutte le tecniche del massaggio e della fisioterapia sull’ammalato secondo le istruzioni del sanitario, a livello di personale sanitario ausiliario e di terapista della riabilitazione (D. M. 7 settembre 1976).   Tanto premesso, attualmente, in base alla risoluzione dell’Agenzia delle entrate 13 aprile 2007, n. 70/E, secondo l’istante, ci sarebbe una disparità di trattamento tra il massofisioterapista con formazione biennale e quello con formazione triennale, in quanto solo a quest’ultimo spetterebbe l’esenzione da IVA di cui all’articolo 10, n. 18), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.

ALFA chiede, pertanto, che anche ai massofisioterapisti biennali sia riconosciuta la predetta esenzione.   

Soluzione prospettata   

A parere dell’istante, l’esenzione da IVA deve essere estesa anche ai massofisioterapisti con formazione biennale, in quanto soggetti alla stessa legge ed aventi lo stesso mansionario dei massofisioterapisti con formazione triennale (Legge 403/1971, D. M. 7/09/1976, D. M. 105/1997). Del resto, sul sito del Ministero della Salute si prende atto della natura sanitaria del massofisioterapista, che  è  collocata  nell’elenco  delle  professioni  sanitarie,  senza  fare  alcuna distinzione tra i massofisioterapisti triennali e quelli biennali.   

Parere dell’Agenzia delle Entrate   

In merito all’applicabilità del regime di esenzione  di cui all’articolo 10, n. 18), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, ai massofisioterapisti con formazione biennale, è stato chiesto un parere al competente Ministero della Salute, che, con la nota 7 agosto 2012, ha chiarito che il D. M. 17 maggio 2002 (concernente l’“Individuazione  delle  prestazioni  sanitarie  esenti  dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto”) ha individuato tra le prestazioni di diagnosi cura e riabilitazione esenti, oltre quelle rese nell’esercizio delle professioni sanitarie indicate all’art. 99 del TULS, quelle rese da biologi, psicologi, odontoiatri e da “operatori abilitati all’esercizio delle professioni elencate nel  decreto ministeriale 29 marzo 2001 che eseguono una prestazione sanitaria prevista dai decreti ministeriali di individuazione dei rispettivi profili”. Il citato D. M. 29 marzo 2001, a sua  volta,  nell’individuare  le  figure professionali del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione che sono assoggettate alla disciplina delle professioni sanitarie ai sensi dalla legge 10 agosto 2000, n. 251, non contempla la figura del massofisioterapista, bensì solo quella del fisioterapista.

La legge 26 febbraio 1999, n. 42, contenente “Disposizioni in materia di professioni   sanitarie”   all’articolo   4,   comma   1,   ha,   tuttavia,   previsto l’equipollenza  di  diplomi  ed  attestati,  conseguiti  in  base  alla  normativa precedente a quella attuativa dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (concernente il “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421”), ai diplomi universitari dell’area sanitaria (ora Lauree triennali), ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base. In forza di tale previsione, osserva il Ministero della Salute, il D. M. 27 luglio 2000 ha equiparato il diploma universitario di fisioterapista al diploma di massofisioterapista conseguito entro la data di entrata in vigore della legge n. 42/99 (17 marzo 1999), a compimento di corsi regionali di formazione specifica di durata triennale [cfr. Sezione B (titoli equipollenti) della tabella allegata al citato D. M. ]. Pertanto, tenuto conto delle disposizioni sopra richiamate, il citato Dicastero   ritiene   che   “il   diploma   di   Massofisioterapista   con   formazione triennale,   conseguito   entro   il   17   marzo   1999,   è   equipollente   al   titolo universitario abilitante all’esercizio della professione sanitaria di Fisioterapista, ai fini dell’esercizio professionale e della formazione post-base; pertanto i possessori di tale titolo rientrano tra gli esercenti le professioni sanitarie di cui al punto c) del comma 1, dell’articolo 1 del DM 17. 05. 2002. Di conseguenza, si evidenzia che i possessori di un titolo di Massofisioterapista  conseguito dopo l’entrata in vigore della legge n. 42/99, al termine di corsi di durata biennale o  triennale, possono svolgere la propria attività tanto in regime libero professionale,  quanto  come  dipendente  presso  strutture  sanitarie  private  e private  convenzionate,  ma   non  potranno  usufruire,  in  caso  di  emissione  di documentazione fiscale per prestazioni rese in regime libero professionale, dell’esenzione IVA prevista dal citato D. M. 17 maggio 2002”. Alla luce dei chiarimenti forniti dal Ministero della Salute devono intendersi confermate le istruzioni fornite con la risoluzione 13 aprile 2007, n. 70/E,  che  indicavano  applicabile  il  regime  di  esenzione  solo  ai massofisioterapisti con formazione triennale, il cui titolo era equiparato a quello di fisioterapista in base al D. M. 27 luglio 2000, e, pertanto, conseguito anteriormente al 17 marzo 1999.    

Cassazione, sezione lavoro, 11 settembre 2012, n. 15169

0

Licenziamento disciplinare ed esame dei documenti aziendali per il diritto di difesa Cassazione, sezione lavoro, 11 settembre 2012, n. 15169

Licenziamento disciplinare ed esame dei documenti aziendali per il diritto di difesa Cassazione, sezione lavoro, 11 settembre 2012, n. 15169

 Seppure l’art. 7 della legge n. 300/1970 non preveda, nell’ambito di un procedimento disciplinare, un obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione disciplinare, la documentazione su cui essa si basa, il datore di lavoro è tenuto, tuttavia, ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali laddove l’esame degli stessi sia necessario al fine di permettere alla controparte un’adeguata difesa.

Nota – Il caso di specie è sorto in seguito all’impugnazione di un licenziamento disciplinare da parte di un dipendente di una banca che, nella sua funzione di preposto di filiale, era stato, a seguito di un controllo ispettivo e in attesa delle giustificazione degli addebiti a lui contestati, in un primo tempo temporaneamente allontanato dal proprio posto di lavoro, ex art. 36 del Ccnl applicabile e successivamente licenziato. Verificata l’effettiva consistenza degli addebiti, sia il Tribunale che la Corte d’appello di Palermo ritenevano fondate e gravi alcune delle contestazioni formulate dalla banca e pertanto respingevano, sia in primo grado che in fase di gravame, la domanda del lavoratore.

Per la cassazione della sentenza ricorreva il lavoratore lamentando il fatto che la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto non provato che al ricorrente fossero state concesse solo due ore di tempo per consultare la gran mole di documenti su cui erano basate le contestazioni disciplinari e aveva inoltre erroneamente ritenuto che il lavoratore avesse avuto modo di analizzare tale documentazione nel corso del giudizio. La Cassazione, ritenendo fondato il motivo di ricorso, ha, anche sulla base della testimonianza di un teste dalla quale era emerso che l’accesso alla documentazione non era avvenuto (il teste infatti era la persona che sarebbe stata incaricata di far accedere il ricorrente alla documentazione ma, non avendo ricevuto la richiesta dai propri superiori gerarchici, si era rifiutato di consentire al ricorrente tale accesso) chiarito che “seppure l’art. 7 della legge n. 300/1970 non prevede, nell’ambito di un procedimento disciplinare, un obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione disciplinare, la documentazione su cui essa si basa, il datore di lavoro è tenuto, tuttavia, ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali laddove l’esame degli stessi sia necessario al fine di permettere alla controparte un’adeguata difesa”.

La Cassazione, nel caso di specie, ha ritenuto pacifica sia la particolare complessità della contestazione, sia la facoltà concessa al dipendente e poi negata, di consultare la documentazione che ne costituiva il presupposto ed ha pertanto cassato la sentenza impugnata e rinviato al medesimo giudice, in diversa composizione, al fine di un nuovo esame della controversia alla luce delle considerazioni esposte.  

Sintesi Circolare Agenzia Entrate Circolare n. 40e: Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore

0

La disposizione, in estrema sintesi, prevede la responsabilità dell’appaltatore e del committente per il  versamento all’Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall’appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del contratto.  

OGGETTO: Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 – Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore – Chiarimenti

premessa

Lo scorso 12 agosto è entrato in vigore l’articolo 13-ter del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (cd. Decreto crescita) – convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,  n.   134  –  che, sostituendo integralmente il  comma 28 dell’articolo 35 del DL n. 223 del 2006, ha modificato la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell’ambito dei contratti d’appalto e subappalto di opere e servizi.

La disposizione, in estrema sintesi, prevede la responsabilità dell’appaltatore e del committente per il  versamento all’Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall’appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del contratto.

La norma esclude tale responsabilità se l’appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore, documentazione che, secondo quanto previsto dalla stessa disposizione, può consistere anche nella asseverazione rilasciata da CAF o da professionisti abilitati.

La disposizione prevede, inoltre, che sia l’appaltatore che il committente possono sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore/appaltatore fino all’esibizione della predetta documentazione.

L’incertezza sull’ambito applicativo della norma sta generando difficoltà applicative. Le associazioni delle categorie interessate hanno, infatti, rappresentato che, in attesa di specifiche istruzioni che consentano la puntuale individuazione  dei  limiti  di  responsabilità  dei  soggetti  coinvolti,  sono  stati sospesi i pagamenti da parte dei committenti/appaltatori a favore di appaltatori e subappaltatori.

In considerazione della necessità di fornire urgenti indicazioni, si forniscono i seguenti chiarimenti in merito agli aspetti maggiormente critici della disposizione, individuati nella decorrenza dei relativi effetti e nella certificazione idonea ad attestare la regolarità dei versamenti delle ritenute e dell’IVA.

Entrata in vigore della disposizione

Una delle questioni maggiormente avvertite attiene all’individuazione del momento di entrata in vigore delle disposizioni dell’articolo 13-ter ed, in particolare, del momento a partire dal quale il committente/appaltatore è tenuto, in  forza delle nuove  disposizioni, a  verificare che  gli  adempimenti fiscali – consistenti nel versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e nel versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta all’Erario in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di appalto/subappalto – scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, siano stati correttamente eseguiti dall’appaltatore/subappaltatore.

Si è dell’avviso che le disposizioni contenute nell’articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 debbano trovare applicazione solo per i contratti di appalto/subappalto stipulati  a  decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  della norma, ossia dal 12 agosto 2012.

Inoltre, considerato che la norma introduce, sia a carico dell’appaltatore che del subappaltatore, un adempimento di natura tributaria, si deve ritenere che, in base all’articolo 3, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), tali adempimenti siano esigibili a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della norma, con la conseguenza che la certificazione deve essere richiesta solamente in relazione ai pagamenti effettuati a partire dall’11 ottobre 2012, in relazione ai contratti stipulati a partire dal 12 agosto 2012.

Tale soluzione si basa sulla considerazione che la disposizione, intervenendo su un elemento fondamentale delle prestazioni contrattuali quale il pagamento del corrispettivo, potrebbe alterare il rapporto sinallagmatico relativo ai contratti già stipulati.

La norma attribuisce, infatti, ad una delle parti (appaltatore/committente) il diritto potestativo di sospendere la propria prestazione (il pagamento) in attesa che l’altra parte (appaltatore/subappaltatore) produca una documentazione attestante la regolarità degli adempimenti fiscali.

Acquisizione della documentazione

Un’altra criticità sollevata con riferimento alla norma in questione attiene alla documentazione che l’appaltatore/subappaltatore deve produrre per dimostrare il regolare versamento dell’IVA e delle ritenute, scaduti alla data del pagamento  del  corrispettivo, al  fine  di  superare  il  vincolo  di  responsabilità solidale del committente/appaltatore.

Poiché la disposizione prevede che l’attestazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi fiscali può essere rilasciata anche attraverso l’asseverazione  di  un  responsabile  del  centro  di  assistenza  fiscale  o  di  un soggetto abilitato ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e dell’articolo 3, comma 3, lettera a), del regolamento di cui al DPR 22 luglio 1998, n. 322, si può ammettere il ricorso ad ulteriori forme di documentazione idonee a tale fine.

In particolare, si ritiene valida, in alternativa alle asseverazioni prestate dai CAF Imprese e dai professionisti abilitati, una dichiarazione sostitutiva – resa ai sensi del DPR n. 445 del 2000 – con cui l’appaltatore/subappaltatore attesta l’avvenuto adempimento degli obblighi richiesti dalla disposizione.

Nello specifico, la dichiarazione sostitutiva deve:

ü indicare il periodo nel quale l’IVA relativa alle fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata, specificando se dalla suddetta liquidazione è scaturito un versamento di imposta, ovvero se in relazione alle fatture oggetto del contratto è stato applicato il regime dell’IVA per cassa (articolo 7 del DL n. 185 del 2008) oppure la disciplina del reverse charge;

ü indicare  il  periodo  nel  quale  le  ritenute  sui  redditi  di  lavoro dipendente sono state versate, mediante scomputo totale o parziale;

ü riportare  gli  estremi  del  modello  F24  con  il  quale  i  versamenti dell’IVA e delle ritenute non scomputate, totalmente o parzialmente, sono stati effettuati;

contenere l’affermazione che l’IVA e le ritenute versate includono quelle  riferibili  al  contratto  di  appalto/subappalto per  il  quale  la dichiarazione viene resa

Cassazione, sezione lavoro, 20 agosto 2012, n. 14573

0

In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo….

In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, deve essere effettuata secondo il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro.

L’esistenza di tale parametro deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il nomen juris utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente. In relazione alla inquadrabilità come autonome o subordinate delle prestazioni rese da un esercente la professione medica, ove le prestazioni necessarie per il perseguimento dei fini aziendali siano organizzate in maniera tale da non richiedere l’esercizio da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini e direttive e nell’esercizio del potere disciplinare, non può farsi ricorso ai criteri distintivi costituiti dall’esercizio dei poteri direttivo e disciplinare, né possono considerarsi indicativi della natura subordinata dal rapporto elementi come la fissazione di un orario per le visite, o eventuali controlli nell’adempimento della prestazione, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro, dovendo, in tali ipotesi, la sussistenza o meno della subordinazione essere verificata in relazione alla intensità della etero-organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del medico con quella dell’impresa, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dell’impresa, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui.

Nota – Con ricorso al Pretore del lavoro di Napoli un lavoratore chiedeva l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo 1962-1990, in cui aveva lavorato presso un istituto medico quale medico addetto al reparto neurologia, con conseguente condanna del datore di lavoro alle differenze retributive ed al trattamento di fine rapporto. La domanda del lavoratore veniva accolta in primo grado, con condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive ed alla regolarizzazione contributiva.

La società soccombente proponeva appello, deducendo la nullità del ricorso introduttivo, l’insussistenza dei requisiti del lavoro subordinato e l’omesso esame dell’eccezione di prescrizione.

Il Tribunale del lavoro di Napoli, pronunziando in grado di appello, con sentenza del 2006 accoglieva parzialmente l’impugnazione, ritenendo: – l’insussistenza della nullità del ricorso introduttivo; – l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che, nel reparto cui era addetto, il medico svolgeva le sue mansioni seguendo esclusivamente le indicazioni del primario; – la fondatezza dell’eccezione di prescrizione quinquennale non esaminata dal primo giudice, atteso che il rapporto di lavoro de quo godeva di tutela reale, risultando dai libri paga e matricola che all’epoca l’azienda occupava un numero di dipendenti superiore a quindici.

Il lavoratore ricorreva per Cassazione impugnando alcuni capi della sentenza di secondo grado e la società rispondeva con controricorso e ricorso incidentale. In particolare, tra i vari motivi di impugnazione, la società deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c. C. Nonché dell’art. 409 c. P. C. , art. 414 c. P. C. , e segg. , sostenendo che la declaratoria del rapporto subordinato, in relazione alla fattispecie di un medico che eseguiva meccanicamente le istruzioni ricevute dal primario, sarebbe stata adottata sulla base di un’insufficiente analisi, non essendo precisato se il lavoratore, oltre a ricevere indicazioni di carattere eminentemente professionale, fosse sottoposto anche al potere direttivo, disciplinare ed organizzatorio del datore, attraverso gli organi a tanto delegati, atteso che le semplici direttive di natura tecnico-sanitaria non implicavano il vincolo di subordinazione, ma erano compatibili anche con il rapporto di lavoro autonomo.

La Suprema Corte, conformandosi ad un orientamento giurisprudenziale consolidato, ha evidenziato che: “In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, deve essere effettuata secondo il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro. L’esistenza di tale parametro deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati attuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il nomen juris utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente”.

La Corte di cassazione ha, inoltre, osservato che, con particolare riferimento a coloro che esercitano la professione medica, la stessa giurisprudenza, proprio per la necessità di considerare la specificità dei casi concreti, in alcune ipotesi ha fatto riferimento agli “ordinari parametri della sottoposizione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore”, ritenendo correttamente motivate le pronunzie di merito che hanno ritenuto subordinato il rapporto dei medici svolto all’interno di una clinica privata sulla base di indici quali il loro inserimento in turni lavorativi predisposti dalla clinica, la sottoposizione a direttive circa lo svolgimento dell’attività, l’obbligo di rimettersi alla pianificazione dell’amministrazione della clinica in ordine alla fruizione delle ferie, oppure l’adempimento esclusivo delle direttive sanitarie emanate dal responsabile sanitario della casa di cura.

In altri casi, continua la Corte, per la peculiarità della professione medica, la stessa giurisprudenza ha, tuttavia, ritenuto insufficiente il ricorso esclusivo ai parametri dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere gerarchico (concretizzantesi in ordini e direttive) e del potere disciplinare, o ad elementi come la fissazione di un orario per le visite, o eventuali controlli nell’adempimento della prestazione, ove gli stessi non si siano tradotti nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro.

In tali ipotesi “la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della eteroorganizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del medico con quella dell’impresa, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dell’impresa, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui”.

La Suprema Corte ha rigettato il suddetto motivo di impugnazione, ritenendo, quindi, che il giudice di merito si fosse correttamente attenuto ai suddetti criteri, rilevando che le mansioni assegnate al medico all’interno della casa di cura non avessero autonomo contenuto professionale, in quanto si riducevano all’esecuzione di operazioni riconducibili alla professione medica per il loro intrinseco contenuto (assistenza nell’espletamento delle pratiche di accettazione dei pazienti del reparto neurologia per i quali il medico di guardia riteneva necessario il ricovero e loro visita secondo le direttive formulate dal primario del reparto e dal suo aiuto, aggiornamento della cartella clinica dei pazienti con la trascrizione delle terapie prescritte e dell’esito delle analisi di laboratorio, nonché delle periodiche misurazioni della pressione), ma erano interamente predeterminate dagli altri sanitari sopraordinati, i quali avevano la responsabilità esclusiva del servizio.

Tale accertamento, secondo la Suprema Corte, dà luogo ad una figura professionale caratterizzata dall’esercizio di attività proprie della professione medica, ma giuridicamente articolata secondo la figura della subordinazione prevista dall’art. 2094 c. C.  

RIVALUTAZIONE TERRENI E PARTECIPAZIONI: SCADE IL 31 OTTOBRE IL TERMINE PER IL VERSAMENTO DELLA SECONDA/TERZA RATA.

0

Scade il 31 ottobre 2012 il termine per il versamento della seconda o terza rata dell’imposta sostitutiva per la rivalutazione di partecipazioni o terreni. I contribuenti che si sono  avvalsi della rideterminazione prevista dalla Legge n. 106 del 2011 e che già in passato hanno usufruito della stessa agevolazione sono chiamati al versamento della rata entro fine mese.  

Rivalutazione Terreni e Partecipazioni: Scade il 31 ottobre il termine per il versamento della seconda/terza rata.

Scade il 31 ottobre 2012 il termine per il versamento della seconda o terza rata dell’imposta sostitutiva per la rivalutazione di partecipazioni o terreni. I contribuenti che si sono  avvalsi della rideterminazione prevista dalla Legge n. 106 del 2011 e che già in passato hanno usufruito della stessa agevolazione sono chiamati al versamento della rata entro fine mese.

Si ricorda che gli stessi possono detrarre le imposte già pagate in precedenza oppure chiederne il rimborso entro 48 mesi dal nuovo pagamento, come sancito e chiarito dalla recente circolare 47/E del 2011 inerente la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e agricoli e delle partecipazioni in società.  

Ricordiamo che il contribuente che in passato avesse già usufruito di una precedente rideterminazione del valore dei beni, avrebbe potuto detrarre l’imposta sostitutiva già versata dall’imposta dovuta.   Per chi non si fosse avvalso della possibilità di detrarre il versato sul dovuto, è possibile chiedere il rimborso, dell’imposta sostitutiva già pagata, entro 48 mesi dalla data di versamento relativa all’ultima rideterminazione. Inoltre, se la richiesta di rimborso fosse presentata entro questo periodo, l’amministrazione finanziaria è tenuta ad abbandonare  l’eventuale contenzioso esistente.               

Per consentire  il  versamento delle predette imposte, relative ai  beni posseduti,  ai sensi dell’articolo 1, comma  91, della  legge  24  dicembre  2007,  n.   244, i codici in parola assumono le  seguenti denominazioni:

Ø “8055”,   denominato   “Imposta   sostitutiva  delle  imposte  sui redditi per    la   rideterminazione   dei   valori   di   acquisto   di  partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati”;     

Ø  “8056”,    denominato   “Imposta  sostitutiva  delle  imposte  sui redditi per  la  rideterminazione  dei  valori  di  acquisto dei terreni        edificabili e con destinazione agricola “.  

In sede  di  compilazione  del  modello  F24  i  suddetti  codici tributo sono  esposti nella   “Sezione   Erario”   con   indicazione   nel  campo  “Anno  di  riferimento” dell’anno  di   possesso  dei  beni  per  i  quali  si  opera  la  rivalutazione, espresso nella forma “AAAA”.     

 

Nuovo credito d’imposta per le imprese che incrementano il numero di lavoratori assunti nel tempo indeterminato

0

Nuovo credito d’imposta per le imprese che incrementano il numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato nelle seguenti regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Molise, Sardegna e Sicilia. Il beneficio è stato previsto dall’articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

Le regioni interessate devono trasmettere all’Agenzia delle Entrate l’elenco dei soggetti ammessi a fruire del credito d’imposta, con i relativi importi concessi, utilizzando il canale Siatelv2. 0-Puntofisco e osservando le specifiche tecniche allegate al provvedimento del 14/09/2012 – pdf. Anche le revoche dei benefici concessi dovranno essere comunicate, dalle Regioni all’Agenzia delle Entrate, con le stesse modalità.

Nota Bene:

il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione mediante il modello di versamento F24. Il modello, inoltre, deve essere presentato all’agente della riscossione presso il quale il beneficiario del credito stesso è intestatario del conto fiscale.

Il codice tributo da indicare è il “3885”.

Beni concessi in godimento a soci o familiari

0

Con circolare del 15 giugno 2012 n. 24/E   l’Agenzia ha fornito i primi chiarimenti sulle modalità applicative dell’articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge  14 settembre 2011, n. 148, che ha introdotto delle disposizioni volte a contrastare il fenomeno della concessione in godimento di beni relativi all’impresa  a soci o familiari dell’imprenditore per fini privati.

Ciò premesso, atteso che sono state poste all’attenzione della scrivente alcune criticità connesse alle modalità di applicazione delle suddette disposizioni, si forniscono ulteriori precisazioni.

1 Certificazione  Al  fine  di  determinare  la  misura  del  reddito  diverso  derivante  dagli accordi tra le parti per la concessione in godimento del bene relativo all’impresa, per esigenze di certezza e di  documentabilità, la circolare del 15 giugno 2012 n. 24/E  ha  ritenuto  opportuno  precisare  che  il  corrispettivo  annuo  e  le  altre  condizioni contrattuali debbano risultare da apposita certificazione scritta di data certa antecedente alla data di inizio dell’utilizzazione del bene.

Detta precisazione è volta a chiarire l’opportunità, in un ottica di correttezza e trasparenza dei rapporti tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria,   che   gli   elementi   essenziali   dell’accordo   tra   concedente   ed utilizzatore, quali il corrispettivo, l’inizio e la durata del godimento del bene, risultino documentati, fin dall’inizio, in modo certo ed oggettivo.  Tale esigenza appare particolarmente rilevante nel caso in esame, in considerazione della correlazione tra le parti interessate.

Peraltro, la predisposizione di adeguata documentazione di data certa, in cui sono evidenziati i contenuti del rapporto, appare utile nel precipuo interesse delle parti, in quanto, idonea ad evidenziare la mancanza di volontà di porre in essere arbitraggi fiscali sulla base di scelte di convenienza economica dell’ultimo momento.

Si precisa, tuttavia, che in assenza della predetta documentazione il contribuente può, comunque, diversamente dimostrare quali sono gli elementi essenziali dell’accordo.

In linea generale, le disposizioni contenute nel citato art. 2, commi da 36- terdecies a 36-duodevicies,  trovano applicazione in relazione a quei beni che vengono utilizzati nell’ambito dell’attività d’impresa a fronte dei quali emergono ordinariamente componenti positivi di reddito e per i quali è riconosciuta la piena deducibilità dei costi. L’applicazione delle nuove disposizioni può determinare, tuttavia, un fenomeno   di   doppia   imposizione   sulla   base   del   medesimo   presupposto impositivo che, in base ai principi generali del nostro ordinamento, deve essere evitato.

Tale  circostanza  si  può  verificare  nell’ipotesi  in  cui  l’utilizzatore coincide con l’imprenditore individuale o con il socio di società di persone e di  società trasparenti per opzione di cui all’articolo 116 del TUIR.

In queste ipotesi si produrrebbe la tassazione di un maggior reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o attribuito al socio per trasparenza, corrispondente all’indeducibilità in capo al concedente dei costi del bene dato in godimento, e la concomitante tassazione di un reddito diverso determinato ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera h-ter) del TUIR.

Al fine di evitare tale fenomeno si ritiene che il reddito diverso da assoggettare a tassazione in capo all’utilizzatore debba essere ridotto del maggior reddito d’impresa imputato allo stesso utilizzatore (imprenditore individuale o socio tassato per trasparenza) a causa dall’indeducibilità dei costi del bene concesso in godimento che ha generato il reddito diverso.

Il reddito diverso da assoggettare a tassazione va, quindi, determinato confrontando la differenza tra il valore normale del diritto di godimento del bene e il corrispettivo pagato, con il reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o la quota parte del reddito attribuito al socio per trasparenza corrispondente all’ammontare dei costi non ammessi in deduzione. Solo l’eventuale eccedenza tra detta differenza e il predetto reddito o quota parte di reddito sarà assoggettata a tassazione come reddito diverso.

Si supponga a titolo di esempio che una società, alla quale partecipino due soci ciascuno per una quota pari al 50 per cento, conceda in godimento ad uno dei soci un bene immobile strumentale ad un corrispettivo inferiore al valore normale del diritto di godimento e che l’impresa abbia sostenuto dei costi in relazione  a  tale  bene.   Il  reddito  diverso  da  assoggettare  a  tassazione  è determinato come segue:

a) valore normale del diritto di godimento: € 10.000,00;

b) corrispettivo pattuito per il godimento: € 5.500,00;

c) costi indeducibili relativi al bene: € 2.000,00;

d) differenza  tra  valore  nomale  del  diritto  di  godimento  e  corrispettivo pattuito: 4.500,00 (10.000,00 – 5.500,00);

e) reddito d’impresa da attribuire al socio che detiene il bene in godimento corrispondente ai costi indeducibili: € 2.000,00;

f) reddito  diverso  da  assoggettare  a  tassazione:  €  2.500,00  (4.500,00  –  2.000,00).

Il medesimo criterio di determinazione del reddito diverso trova applicazione per i beni ad uso promiscuo per i quali il TUIR forfetizza la deducibilità dei relativi costi. Con riferimento a tali beni nella circolare 24/E del 2012 è stato precisato  che:

1.   in capo al concedente trovano applicazione le disposizioni del TUIR che prevedono un regime di limitazione della deducibilità dei relativi costi; 2.  in capo all’utilizzatore si rende applicabile l’articolo 67, comma 1, lettera h- ter) del TUIR a prescindere dalla circostanza che il bene sia assoggettato al predetto regime di limitazione della deducibilità dei relativi costi. Al riguardo si evidenzia che poiché per tali beni restano applicabili le norme previste dal TUIR, nelle ipotesi in cui scatta l’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lettera h-ter) del TUIR, il maggior reddito, derivante dalla indeducibilità dei costi relativi al bene concesso in godimento, è imputato a tutti i soci a prescindere da chi ha l’utilizzo del bene.

Pertanto, il soggetto utilizzatore del bene determina il reddito diverso da assoggettare a tassazione confrontando la differenza tra il valore normale del diritto di godimento del bene e il corrispettivo pagato, con il reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o la quota parte del reddito attribuito al socio per trasparenza.

Solo l’eventuale eccedenza tra detta differenza rispetto al predetto reddito o quota parte di reddito sarà assoggettata a tassazione come reddito diverso.

Si supponga ad esempio che una società, alla quale partecipino due soci ciascuno per una quota pari al 50 per cento, detenga un’autovettura utilizzata gratuitamente da uno di essi e che l’impresa abbia sostenuto dei costi in relazione  a tale bene.

Il reddito diverso da assoggettare a tassazione è determinato come segue:

a) valore normale del diritto di godimento: € 800,00;

b) corrispettivo pattuito per il godimento: € 0;

c) costi relativi al bene: € 1.000,00.

d) differenza  tra  valore  nomale  del  diritto  di  godimento  e  corrispettivo pattuito: 800,00;

e) costi indeducibili relativi al bene € 600 (60% di 1.000,00);

f) reddito d’impresa da attribuire ai due soci a prescindere dall’utilizzo del bene corrispondente ai costi indeducibili: € 600,00;

g) reddito  diverso  da  assoggettare  a  tassazione:  €  500  [€  800  –  €  300 (maggior reddito d’impresa, imputato al socio utilizzatore, relativo a costi indeducibili)].

Nel caso in cui oggetto del godimento sia un autoveicolo, ai fini della determinazione del valore normale, fermo restando quanto già chiarito con la circolare n. 24/E in commento, si ritiene che per esigenze di semplificazione, il valore normale deve essere determinato ai sensi dell’articolo 51, comma 4, del TUIR.

Conseguentemente, in tale circostanza per determinare il reddito diverso da assoggettare a tassazione occorre confrontare il valore normale del diritto di godimento del bene facendo riferimento all’articolo 51, comma 4, del TUIR, al netto del corrispettivo eventualmente pagato, con il reddito imputato all’imprenditore individuale o attribuito al socio utilizzatore per trasparenza corrispondente all’ammontare dei costi non ammessi in deduzione per effetto della percentuale di forfetizzazione prevista dal TUIR.

L’eventuale eccedenza del valore normale rispetto al predetto reddito sarà assoggettata a tassazione come reddito diverso.

Il legislatore fiscale in alcuni casi, per determinati beni, ha riconosciuto l’integrale deducibilità dei relativi costi anche quando gli stessi, per loro natura, possono essere utilizzati promiscuamente.

Più precisamente, si tratta di beni aziendali per i quali lo stesso legislatore, prevedendo l’integrale deducibilità del costo nell’ambito del reddito d’impresa, si disinteressa dell’eventuale uso del bene stesso nella sfera privata.

Si fa riferimento, ad esempio, alle autovetture adibite ad uso pubblico, per le quali l’articolo 164 del TUIR stabilisce la deducibilità dell’intero ammontare dei componenti negativi. In tali ipotesi si ritiene che le disposizioni di cui all’articolo 2, commi da  36-terdecies a 36-duodevicies non possano trovare applicazione.

E’ il caso dei tassisti, che possono dedurre integralmente i costi relativi alle autovetture nonostante l’utilizzo privatistico ad essi riconosciuto dall’art. 14, comma 6, del decreto legislativo del 19 novembre 1997, n. 422 il quale dispone che “ad integrazione dell’articolo 86 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ai veicoli adibiti al servizio di piazza per il trasporto di persone di cui all’articolo 82, comma 5, lettera b), dello stesso decreto, e’ consentito l’uso proprio fuori servizio

Cassazione, sezione lavoro, 3 luglio 2012, n. 11086.

0

Cassazione, sezione lavoro, 3 luglio 2012, n. 11086. Alla stregua di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c. C. , nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine 

PREAVVISO: EFFICACIA OBBLIGATORIA

Cass. , sez. Lav. , 3 luglio 2012, n. 11086. Alla stregua di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c. C. , nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine – ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso. Nota – La sentenza in esame trae spunto dal caso di un dirigente che aveva adìto il Tribunale di Roma, esponendo di versare in stato di malattia e di essere stato licenziato dal proprio datore di lavoro con effetto immediato durante il preavviso con il pagamento dell’indennità sostitutiva per la parte non lavorata. Tale dipendente otteneva, in particolare, in grado di appello, il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni per il periodo di malattia insorta durante il periodo di preavviso. La società datrice di lavoro ricorreva per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c. C. In quanto interpretato ed applicato in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, la ricorrente deduceva che la Corte d’appello avesse errato nell’attribuire efficacia reale al preavviso, ritenendo sussistente il diritto del dirigente al trattamento di malattia durante il periodo di preavviso. Parte ricorrente formulava, quindi, il seguente quesito di diritto: “se il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un dirigente, nell’area della libera recedibilità, si risolva immediatamente per effetto di licenziamento intimato con dispensa dal preavviso e corresponsione dell’indennità sostitutiva, senza necessità di consenso e/o accettazione da parte del lavoratore della dispensa del preavviso”. La Suprema Corte, ritenendo che il preavviso abbia efficacia obbligatoria, ha accolto tale motivo di ricorso, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “alla stregua di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c. C. , nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine – ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso” (Cass. , sentenza n. 22443/2010; Cass. N. 11740/2007; Cass. N. 21216 e n. 13959/2009). Sulla base dei suddetti principi, la Suprema Corte ha, quindi, accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.  

 

Articoli più letti

Iscriviti

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sul mondo delle normative e legge per il fisco e tributi!

No grazie!