0.7 C
Rome
sabato 11 Gennaio 2025
Home Blog Page 162

Licenziamento collettivo e criteri di scelta: Cassazione sezione lavoro 12 novembre 2012 n. 19644

0

In caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda… 

Licenziamento collettivo: Criteri di scelta

In caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo 
alla riduzione di personale.

Nota – La sentenza in esame trae spunto dal caso di un lavoratore licenziato all’esito di una procedura collettiva di riduzione del personale. Sia il Tribunale del lavoro sia la Corte d’appello, ai quali il lavoratore si era rivolto, impugnando il licenziamento intimatogli, rigettavano le domande del ricorrente, ritenendo legittimo il licenziamento.

In particolare, la Corte territoriale aveva osservato che la legge n. 223/1991 non precludeva al datore di lavoro, nella valutazione delle esigenze tecnico-produttive, di individuare uno stabilimento o comunque un’unità produttiva della quale si rendesse necessaria la chiusura e di concentrare solo su tale unità la scelta dei dipendenti da licenziare, così come era avvenuto nel caso di specie, in cui era stata chiusa la sede alla quale era addetto il lavoratore, ed erano stati licenziati tutti i dipendenti addetti alla stessa sede e già posti in Cassa integrazione.

Avverso la sentenza di secondo grado il lavoratore ricorreva per Cassazione, ritenendo sostanzialmente che la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, dovesse interessare necessariamente l’intera azienda anche quando il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisse in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, conformandosi all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo il quale “in caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze  organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale” (cfr. Ex plurimis Cass. N. 26376/2008, Cass. N. 14612/2006, Cass. N.  13783/2006, Cass. N. 11034/2006, Cass. N. 10590/2005, Cass. N. 13182/2003, Cass. N. 12711/2000 e, da ultimo, Cass. N. 2429/2012).

Al riguardo, è stato osservato che “. La delimitazione del personale a rischio si opera in relazione a quelle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all’art. 4, comma 3; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo  risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare” (cfr. In motivazione Cass. N. 25353/2009, nonché, nello stesso senso, Cass. N. 9711/2011).
Nel caso in esame la Suprema Corte ha rilevato che dalla sentenza impugnata risultava che la procedura di mobilità era stata preceduta da una crisi settoriale che aveva determinato la chiusura dell’unità produttiva alla quale era addetto il lavoratore, e la successiva sospensione, con ricorso alla Cigs dei dipendenti della stessa sede.

L’individuazione dei lavoratori interessati al provvedimento di sospensione era così avvenuta sulla base dei criteri concordati con le Organizzazioni sindacali, e cioè con riferimento alla situazione delle singole unità produttive e “sulla base delle effettive esigenze tecnicoproduttive derivanti dalle attività eseguibili e dalle professionalità impiegabili in dette attività”.

Al termine del periodo di Cigs, la società datrice di lavoro, non avendo la possibilità di garantire il reimpiego dei lavoratori sospesi dal lavoro, aveva, quindi, avviato la procedura di mobilità nei confronti di tutti i dipendenti rimasti nella sede interessata.

Nel contesto sopra indicato, il collegamento con l’ammissione alla Cigs del personale addetto alla sede e con l’impossibilità del suo reimpiego aveva giustificato, pertanto, secondo la Suprema Corte, l’avvio della procedura di mobilità, legittimando la decisione del datore di lavoro di limitare l’ambito di selezione ad una singola unità produttiva.  

PARRUCCHIERA: VADEMECUM PER AVVIARE ATTIVITÀ DI PARRUCCHIERA COME DITTA INDIVIDUALE

0

Per le autorizzazioni sanitarie dei locali in cui si intende svolgere l’attività, delle attrezzature, e per il rispetto delle norme urbanistiche è competente il Comune dove ha sede l’attività. Le persone che intendono svolgere l’attività di barbiere o parrucchiere, devono aver ottenuto il riconoscimento della qualifica professionale rilasciata dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato, presso la Camera di Commercio, che accerta il possesso dei necessari requisiti e qualifiche professionali

Parrucchiera: Vademecum per avviare attività di parrucchiera come Ditta individuale

1.       Autorizzazioni locale e requisiti

Per le autorizzazioni sanitarie dei locali in cui si intende svolgere l’attività, delle attrezzature, e per il rispetto delle norme urbanistiche è competente il Comune dove ha sede l’attività. Le persone che intendono svolgere l’attività di barbiere o parrucchiere, devono aver ottenuto il riconoscimento della qualifica professionale rilasciata dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato, presso la Camera di Commercio, che accerta il possesso dei necessari requisiti e qualifiche professionali

2.       Richiesta di partita IVA

La richiesta di partita IVA deve essere inoltrata all’Agenzia delle Entrate competente per il territorio in cui viene aperta l’attività. Il numero di partita IVA deve essere indicato in tutte le dichiarazioni, i documenti e i versamenti indirizzati all’Ufficio delle Entrate.

3.       Iscrizione alla Camera di Commercio

Entro 30 giorni dall’inizio dell’attività la ditta deve presentare richiesta di iscrizione al Registro delle Imprese. Se l’impresa è considerata artigiana la richiesta va presentata all’Albo delle Imprese Artigiane (che provvederà ad inoltrare copia al Registro delle Imprese).

4.       Iscrizione INPS

Trattandosi di attività artigianale l’Albo Artigiani trasferirà i dati del titolare all’INPS per la posizione contributiva.

5.       Iscrizione INAIL

Per chi svolge lavori che comportano un rischio di infortunio (per sé o per i dipendenti) è obbligatoria la comunicazione all’INAIL, 5 giorni prima dell’inizio dell’attività (in casi particolari può essere fatta entro i 5 giorni successivi, purché venga motivato il ritardo).

6.       Comunicazione al Comune

L’imprenditore deve presentare al Comune dove ha sede l’attività la denuncia di inizio dell’attività.

CONTRIBUTI PREVIDENZIALI ED ASSISTENZIALI: CONGUAGLIO DI FINE ANNO 2012

0

L’approssimarsi della fine dell’anno solare segna, in genere, il momento in cui i datori di lavoro sono chiamati ad effettuare alcune operazioni di conguaglio riferite ai contributi previdenziali e assistenziali. Per effetto di talune normative particolari… 

Conguaglio di fine anno 2012 dei contributi previdenziali e assistenziali.
SOMMARIO: Chiarimenti e precisazioni sulle operazioni di conguaglio di fine anno per i datori di lavoro che operano con il flusso UniEmens.
L’approssimarsi della fine dell’anno solare segna, in genere, il momento in cui i datori di lavoro sono chiamati a effettuare alcune operazioni di conguaglio riferite ai contributi previdenziali e assistenziali. Per effetto di talune normative particolari, infatti, può essere necessario:
– pervenire a una precisa quantificazione dell’imponibile contributivo (art. 6 del D. Lgs n. 314/1997);
– applicare con esattezza le aliquote correlate all’imponibile stesso;
– imputare, all’anno di competenza, gli elementi variabili della retribuzione imponibile per i quali gli adempimenti contributivi vengono assolti con la successiva denuncia del mese di gennaio 2013.
Di seguito si elencano le singole fattispecie:
1)   variabili della retribuzione (D. M. 7 ottobre 1993);
2)   massimale contributivo e pensionabile art. 2, c. 18 della legge n. 335/1995;
3)   contributo aggiuntivo IVS 1%, art. 3-ter della legge n. 438/1992;
4)   conguagli sui contributi versati sui compensi ferie a seguito fruizione delle stesse;
5)    “fringe benefits” esenti non superiori al limite di € 258,23 nel periodo d’imposta (art. 51, c. 3 del T. U. I. R. );
6)   auto aziendali;
7)   prestiti ai dipendenti;
8)   conguagli per versamenti di quote di TFR al Fondo di Tesoreria;
9)   rivalutazione annuale del TFR conferito al Fondo di Tesoreria;
10) operazioni societarie.

Termine per l’effettuazione del conguaglio.
In attuazione di quanto contenuto dalla deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 5 del 26. 3. 1993, approvata con D. M. 7. 10. 1993, i datori di lavoro potranno effettuare le operazioni di conguaglio in argomento, oltre che con la denuncia di competenza del mese di “dicembre 2012” (scadenza 16/1/2013), anche con quella di competenza del mese di “gennaio 2013” (scadenza 18/2/2013), attenendosi alle modalità indicate con riferimento alle singole fattispecie.
Considerato, peraltro, che – dal 2007 – i conguagli possono riguardare anche il TFR al Fondo di Tesoreria e le misure compensative, si fa presente che le relative operazioni potranno essere inserite anche nella denuncia di “febbraio 2013” (scadenza 18 marzo 2013), senza aggravio di oneri accessori. Resta fermo l’obbligo del versamento o del recupero dei contributi dovuti sulle componenti variabili della retribuzione nel mese di gennaio 2013.
Riguardo ad alcune categorie di dipendenti pubblici, ovvero al personale iscritto al Fondo Pensioni per le Ferrovie dello Stato e al Fondo di quiescenza ex Ipost, la sistemazione della maggiorazione del 18 per cento prevista dall’art. 22 della legge n. 177/1976 potrà avvenire anche con la denuncia del mese di “febbraio 2013”.
 1. Elementi variabili della retribuzione (DM 7/10/1993).
La citata delibera del Consiglio di Amministrazione n. 5 del 26/3/1993 ha stabilito che, qualora nel corso del mese intervengano elementi o eventi che comportino variazioni nella retribuzione imponibile, può essere consentito ai datori di lavoro di tenere conto delle variazioni in occasione degli adempimenti e del connesso versamento dei contributi relativi al mese successivo a quello interessato dall’intervento di tali fattori, fatta salva, nell’ambito di ciascun anno solare, la corrispondenza fra la retribuzione di competenza dell’anno stesso e quella soggetta a contribuzione. Gli eventi o elementi considerati sono:
compensi per lavoro straordinario;
indennità di trasferta o missione;
indennità economica di malattia o maternità anticipate dal datore di lavoro per contodell’INPS;
indennità riposi per allattamento;
giornate retribuite per donatori sangue;
riduzioni delle retribuzioni per infortuni sul lavoro indennizzabili dall’INAIL;
permessi non retribuiti;
astensioni dal lavoro;
indennità per ferie non godute;
congedi matrimoniali;
integrazioni salariali (non a zero ore).
Agli eventi di cui sopra possono considerarsi assimilabili anche l’indennità di cassa, i prestiti ai dipendenti e i congedi parentali in genere.
Tra le variabili retributive l’Istituto ha, altresì, ricompreso i ratei di retribuzione del mese precedente (per effetto di assunzione intervenuta nel corso del mese) successivi alla elaborazione delle buste paga, ferma restando la collocazione temporale dei contributi nel mese in cui è intervenuta l’assunzione stessa.
Mentre, quindi, non occorre operare alcun accorgimento se l’assunzione è intervenuta nei mesi da gennaio a novembre, se la stessa avviene a dicembre e i ratei si corrispondono nella retribuzione di gennaio, occorre evidenziare l’evento nel flusso UniEmens.
Gli eventi o elementi che hanno determinato l’aumento o la diminuzione delle retribuzioni imponibili, di competenza del mese di dicembre 2012, i cui adempimenti contributivi sono assolti nel mese di gennaio 2013, vanno evidenziati nel flusso UniEmens valorizzando l’elemento di , per gestire le variabili retributive e contributive in aumento e in diminuzione ed anche gli “imponibili negativi” con il conseguente recupero delle contribuzioni non dovute.
Si ricorda che, ai fini dell’imputazione nella posizione assicurativa e contributiva del lavoratore, gli elementi variabili della retribuzione sopra indicati si considerano secondo il principio della competenza (dicembre 2012), mentre, ai fini dell’assoggettamento al regime contributivo (aliquote, massimali, agevolazioni, ecc. ), si considerano retribuzione del mese di gennaio 2013, salvo il caso di imponibile negativo in relazione al quale la contribuzione non dovuta va recuperata nel suo effettivo ammontare.
Anche ai fini della certificazione CUD/2013 e della dichiarazione 770/2013, i datori di lavoro terranno conto delle predette variabili retributive, nel computo dell’imponibile dell’anno 2012.
Si ribadisce che la sistemazione contributiva degli elementi variabili della retribuzione (salvo quanto precisato per la maggiorazione del 18% ex art. 22 L. 177/1976), deve avvenire entro il mese successivo a quello cui gli stessi si riferiscono.
 1. 1 Compilazione flusso Uniemens.
Per gestire le variabili retributive e contributive in aumento e in diminuzione nonché per gli imponibili negativi, con il conseguente recupero delle contribuzioni non dovute – a livello individuale – deve essere compilato l’elemento   di , secondo le modalità contenute nel documento tecnico, cui – quindi – si rimanda.
 2. Massimale art. 2, comma 18 della legge 8/8/1995, n. 335.
Come noto, l’art. 2, comma 18 della legge n. 335/1995, ha stabilito un massimale annuo perla base contributiva e pensionabile degli iscritti successivamente al 31. 12. 1995 a forme pensionistiche obbligatorie privi di anzianità contributiva ovvero per coloro che optano per il calcolo della pensione con il sistema contributivo, ai sensi dell’art. 1, comma 23 della legge n.  335/95, così come interpretato dall’art. 2 del decreto legge 28 settembre 2001, n. 355, convertito con legge 27/11/2001, n. 417.  
Tale massimale – pari, l’anno 2012, a € 96. 149,00 – deve essere rivalutato ogni anno in base all’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT.
Lo stesso trova applicazione per la sola aliquota di contribuzione ai fini pensionistici (IVS), ivi compresa l’aliquota aggiuntiva dell’1% di cui all’art. 3-ter della legge n. 438/1992.  
Si rammenta che:
il massimale non è frazionabile a mese e ad esso occorre fare riferimento anche se l’anno solare risulti retribuito solo in parte; nell’ipotesi di rapporti di lavoro successivi, le retribuzioni percepite in costanza dei precedenti rapporti, si cumulano ai fini dell’applicazione del massimale. Il dipendente è, quindi, tenuto a esibire ai datori di lavoro successivi al primo la certificazione CUD rilasciata dal precedente datore di lavoro ovvero presentare una dichiarazione sostitutiva;
in caso di rapporti simultanei le retribuzioni derivanti dai due rapporti si cumulano agli effetti del massimale. Ciascun datore di lavoro, sulla base degli elementi che il lavoratore è tenuto a fornire, provvederà a sottoporre a contribuzione la retribuzione corrisposta mensilmente, sino a quando, tenuto conto del cumulo, venga raggiunto il massimale. Nel corso del mese in cui si verifica il superamento del tetto, la quota di retribuzione imponibile ai fini pensionistici sarà calcolata per i due rapporti di lavoro in misura proporzionalmente ridotta; ove coesistano nell’anno rapporti di lavoro subordinato e rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o similari, che comportano l’iscrizione alla Gestione Separata ex lege n. 335/1995, ai fini dell’applicazione del massimale, le retribuzioni derivanti da rapporti di lavoro subordinato non si cumulano con i compensi percepiti a titolo di collaborazione coordinata e continuativa.
 2. 1 Modalità operative per la gestione del massimale ex lege n. 335/95.
Per i lavoratori dipendenti soggetti alle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 18, della Legge n. 335/1995,  nel mese in cui si verifica il superamento del massimale, l’elemento  di , , deve essere valorizzato nel limite del massimale stesso, mentre la parte eccedente deve essere indicata nell’elemento  di   con la relativa contribuzione minore. Nei mesi successivi al superamento del massimale, l’imponibile sarà pari a zero, mentre continuerà ad essere valorizzato l’elemento.
Nel caso in cui, nel corso dell’anno, vi sia stata un’inesatta determinazione dell’imponibile, che abbia causato un versamento di contributo IVS anche sulla parte eccedente il massimale (con necessità di procedere al recupero in sede di conguaglio) o, viceversa, un mancato versamento di contributo IVS (con esigenza di provvedere alla relativa sistemazione in sede di conguaglio), si procederà  con l’utilizzo delle specifiche di  .
Ai fini della compilazione del flusso, si rinvia a quanto illustrato nel documento tecnico.
 3. Contributo aggiuntivo IVS 1% (art. 3-ter della legge 14/11/1992 n. 438). L’art. 3-ter della legge n. 438/1992 ha istituito, in favore di quei regimi pensionistici che
prevedano aliquote contributive a carico dei lavoratori inferiori al 10%, un contributo nella misura dell’1% (a carico del lavoratore) eccedente il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile determinata ai fini dell’applicazione dell’art. 21, c. 6 della legge 11. 3. 1988 n. 67.  
Per l’anno 2012, tale limite è risultato pari a € 44. 204,00 annui, corrispondenti a € 3. 684,00 mensili.
Come noto, ai fini del versamento del contributo in trattazione, deve essere osservato il metodo della mensilizzazione del limite della retribuzione; tale criterio, può rendere necessario procedere ad operazioni di conguaglio, a credito o a debito del lavoratore, degli importi dovuti a detto titolo.
Le operazioni di conguaglio si rendono, altresì, necessarie nel caso di rapporti di lavoro simultanei, ovvero che si susseguono nell’anno. In tale ultimo caso, le retribuzioni percepite in costanza di ciascun rapporto si cumulano ai fini del superamento della prima fascia di retribuzione pensionabile.
Il dipendente è, quindi, tenuto ad esibire ai datori di lavoro successivi al primo la prevista certificazione CUD (o dichiarazione sostitutiva) delle retribuzioni già percepite. I datori di lavoro provvederanno al conguaglio a fine anno (ovvero nel mese in cui si risolve il rapporto di lavoro) cumulando anche le retribuzioni relative al precedente (o ai precedenti rapporti di lavoro), tenendo conto di quanto già trattenuto al lavoratore a titolo di contributo aggiuntivo.  Nel caso di rapporti simultanei, in linea di massima, sarà il datore di lavoro che corrisponde la retribuzione più elevata, sulla base della dichiarazione esibita dal lavoratore, ad effettuare le operazioni di conguaglio a credito o a debito del lavoratore stesso.  
Qualora a dicembre 2012 il rapporto di lavoro sia in essere con un solo datore, sarà quest’ultimo a procedere all’eventuale conguaglio, sulla base dei dati retributivi risultanti dalle certificazioni rilasciate dai lavoratori interessati.
 3. 1 Modalità operative per la gestione del contributo aggiuntivo 1%.
Ai fini delle operazioni di conguaglio, si precisa che, ove gli adempimenti contributivi vengano assolti con la denuncia del mese di gennaio 2013, gli elementi variabili della retribuzione non incidono sulla determinazione del tetto 2012 di € 44. 204,00. Ai fini del regime contributivo, infatti, dette componenti vengono considerate retribuzione di gennaio 2013.
Per gestire la contribuzione aggiuntiva di 1% ex lege n. 438/92, a livello individuale, deve essere compilato l’elemento di , secondo le modalità illustrate nel documento tecnico.
 4. Monetizzazione  delle ferie e imposizione contributiva.
Nel rimandare a quanto già reso noto in materia, si ricorda che l’ipotesi di assoggettamento a contribuzione del compenso per ferie non godute, ancorché non corrisposto, rientra nelle fattispecie contemplate dalla Deliberazione del Consiglio di Amministrazione INPS n. 5 del 26. 3. 1993, approvata con D. M. 7. 10. 1993, i cui adempimenti contributivi possono essere assolti nel mese successivo a quello in cui maturano i compensi.  L’individuazione del momento in cui sorge l’obbligo contributivo sul compenso ferie non costituisce limite temporale al diritto del lavoratore di fruire effettivamente delle stesse.  Può, quindi, verificarsi il caso in cui queste vengano effettivamente godute in un periodo successivo a quello dell’assoggettamento contributivo. In tale ipotesi il contributo versato sulla parte di retribuzione corrispondente al “compenso ferie” non è più dovuto e deve essere recuperato a cura del datore di lavoro ed il relativo compenso deve essere portato in diminuzione dell’imponibile dell’anno (ovvero del mese, dal 1° gennaio 2005) al quale era stato imputato.
 4. 1. Modalità operative per il recupero dei contributi sul compenso ferie non godute.
Il flusso UniEmens consente di gestire il recupero della contribuzione versata sull’indennità per il compenso ferie dal 1° gennaio 2005.
Conseguentemente, la procedura per il recupero della contribuzione è stata notevolmente semplificata, in quanto – attraverso una specifica  variabile retributiva con la causale FERIE – si consente al datore di lavoro, al momento della eventuale fruizione delle ferie da parte del lavoratore, di modificare in diminuzione l’imponibile dell’anno e mese nel quale è stato assoggettato a contribuzione il compenso per ferie non godute e, contemporaneamente, di recuperare una quota o tutta la contribuzione già versata.
Per le modalità di compilazione del flusso, si rinvia a quanto all’uopo illustrato nel documento tecnico.
5. Fringe benefits (art. 51, comma 3 del T. U. I. R. ).
L’art. 51 c. 3 del TUIR n. 917/1986 stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se, complessivamente, di importo non superiore, nel periodo di imposta, a € 258,23 e che, se il valore in questione è superiore a detto limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.  Nel caso in cui, in sede di conguaglio, il valore dei beni o dei servizi prestati risulti superiore al predetto limite l’azienda dovrà provvedere ad assoggettare a contribuzione il valore complessivo e non solo la quota eccedente.
Per la determinazione del predetto limite si dovrà tener conto anche di quei beni o servizi ceduti da eventuali precedenti datori di lavoro.  Ai soli fini previdenziali, in caso di superamento del limite di € 258,23, il datore di lavoro che opera il conguaglio provvederà al versamento dei contributi solo sul valore dei fringe benefit
da lui erogati (ciò, diversamente da quanto avviene ai fini fiscali, dove sarà trattenuta anche l’IRPEF sul fringe benefit erogato dal precedente datore di lavoro).
Per le operazioni di conguaglio i datori di lavoro si atterranno alle seguenti modalità: 
porteranno in aumento della retribuzione imponibile del mese cui si riferisce la denuncia
l’importo dei fringe benefit dagli stessi corrisposti qualora, anche a seguito di cumulo con quanto erogato dal precedente datore di lavoro, risulti complessivamente superiore a € 258,23 nel periodo d’imposta e non sia stato assoggettato a contribuzione nel corso dell’anno;
provvederanno a trattenere al lavoratore la differenza dell’importo della quota del contributo a carico dello stesso non trattenuta nel corso dell’anno.
 6. Auto aziendali ad uso promiscuo (art. 51, c. 4, lett. A) del T. U. I. R.
Ai fini della quantificazione forfetaria dell’utilizzo in forma privata dell’autovettura – di proprietà del datore di lavoro (o committente) e assegnata in uso promiscuo al lavoratore – il TUIR (art.  51, c. 4, lettera a) dispone che tale calcolo sia effettuato sulla base di una percorrenza annua totale dell’auto di 15. 000 km e riferendone una parte di essi all’uso privato; la percentuale prevista dalla norma è 30% (15. 000 x 30% = 4. 500 x valore km tariffe  ACI = misura delfringe benefit).
 7. Prestiti ai dipendenti (art. 51, c. 4, lett. B) del T. U. I. R.
Si rammenta che ai fini della determinazione in denaro del compenso in natura relativo ai prestiti erogati ai dipendenti (art. 51, c. 4, lett. B) del T. U. I. R. ) si deve assumere il 50 per cento della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi.
Al riguardo si fa presente che, attualmente, il tasso  ufficiale di riferimento (TUR) vigente é pari a 0,75%.
 8. Conguagli per versamenti di quote di TFR al Fondo di Tesoreria.
Con circolare n. 70 del 3 aprile 2007, è stata illustrata la funzionalità del Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile (Fondo Tesoreria) e sono state altresì fornite le istruzioni operative per il versamento delle quote di TFR dovute dalle aziende destinatarie dalle disposizioni di cui ai commi 755 e successivi della legge n. 296/2006.
Nel rispetto della previsione di cui all’articolo 1, c. 4 del Decreto 30 gennaio 2007 – attuativo delle citate disposizioni – è stato in particolare chiarito che il versamento delle quote di TFR va effettuato mensilmente, salvo conguaglio a fine anno o alla cessazione del rapporto di lavoro.  In occasione delle operazioni di conguaglio, quindi, le aziende devono provvedere alla sistemazione delle differenze a debito o a credito eventualmente determinatesi in relazione alle somme mensilmente versate al Fondo di Tesoreria e alla regolarizzazione delle connesse misure compensative.
 8. 1. Conguaglio del contributo aggiuntivo IVS  0,50% nella restituzione dello sgravio contributivo sulle retribuzioni di secondo livello.
Come noto, la quota di TFR che le aziende destinatarie delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 755 e successivi della legge n. 296/2006 versano mensilmente al Fondo di Tesoreria affluisce al netto dell’ammontare corrispondente all’importo del contributo di cui all’articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (0,50%), calcolato sull’imponibile previdenziale.
Le aziende di cui trattasi – che sono anche state ammesse alla fruizione dello sgravio contributivo sulle retribuzioni di secondo livello ex lege n. 247/2007 e successive modifiche ed integrazioni – all’atto del recupero della percentuale di incentivo spettante (al massimo 25 punti percentuali),  ricomprendono anche il citato contributo aggiuntivo IVS dello 0,50%.
Una volta restituito ai datori di lavoro, detto contributo riassume la sua natura originaria di TFR e, di conseguenza, concorre a implementare la quota che le aziende sono tenute a versare al Fondo di Tesoreria.
Ai fini del versamento delle citate differenze, le aziende provvederanno a riportare i relativi importi valorizzando, nella denuncia individuale, il nuovo codice CF03 a tal fine aggiunto in “TipoImpPregCMT” di di   di   di di.
 8. 2 Aziende costituite dopo il 31 dicembre 2006. Nella citata circolare n. 70/2007 è stato chiarito che per le aziende che iniziano l’attività dopo il
31 dicembre 2006, gli obblighi nei riguardi del Fondo di Tesoreria scattano se, alla fine dell’anno solare (1° gennaio – 31 dicembre), la media dei dipendenti occupati raggiunge il limite dei 50 addetti.
In tal caso le aziende sono tenute al versamento delle quote dovute anche per i mesi pregressi, a far tempo da quello di inizio dell’attività.
è stato, altresì, precisato che le aziende interessate devono effettuare il versamento di quanto dovuto in sede di conguaglio di fine anno, maggiorando l’importo da versare del tasso di rivalutazione, che – per l’anno 2012 – è pari al 3,88% calcolato fino alla data di effettivo versamento.
Le aziende costituitesi durante l’anno in corso che, al 31. 12. 2012, hanno raggiunto il limite dei 50 addetti,  devono trasmettere l’apposita dichiarazione entro il termine di trasmissione della denuncia UniEmens relativa al mese di febbraio 2013 (31 marzo 2013).
 8. 3. Rivalutazione del TFR al Fondo di Tesoreria e imposta sostitutiva.
Come noto, l’articolo 2120 del c. C. Stabilisce che le quote annuali di trattamento di fine rapporto – ad eccezione di quella maturata nell’anno – devono essere incrementate, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Anche il TFR versato al Fondo di Tesoreria deve essere rivalutato alla fine di ciascun anno, ovvero alla data di cessazione del rapporto di lavoro e tale incremento – al netto dell’imposta sostitutiva – deve essere imputato alla posizione del singolo lavoratore.  
Il costo della rivalutazione resta a carico del Fondo di Tesoreria.  Sulle somme oggetto di rivalutazione, va versata all’Erario l’imposta sostitutiva del 11% ex D.
Lgs. N. 47/2000, che grava sul lavoratore.
Entro il mese di “dicembre 2012” – salvo conguaglio da eseguirsi entro “febbraio 2013” – i datori di lavoro possono conguagliare l’importo dell’imposta versato con riferimento alla rivalutazione della quota di accantonamento maturato presso il Fondo di Tesoreria.
Per individuarne l’ammontare, i datori di lavoro potranno calcolare una presunta rivalutazione delle quote di TFR trasferite alla Tesoreria, avvalendosi dell’ultimo (o del penultimo)  indice ISTAT. A tale riguardo, si fa presente che il coefficiente valido per il mese di novembre 2012 è 2,961538.  
 8. 3. 1. Adempimenti a carico del datore di lavoro.
Con riferimento ai lavoratori per i quali nell’anno 2012 sono state versate quote di TFR al Fondo di Tesoreria, i datori di lavoro dovranno determinare la rivalutazione ex art. 2120 c. C.  (separatamente da quella spettante sul TFR accantonato in azienda)  e calcolare sulla stessa, con le modalità previste dall’Agenzia delle Entrate, l’imposta sostitutiva dell’11%.  
L’importo di quest’ultima sarà recuperato in sede di conguaglio con i contributi dovuti all’INPS.  Le somme eventualmente conguagliate in eccedenza a titolo di imposta sostitutiva – sia all’atto del versamento dell’acconto che in altre ipotesi – potranno in ogni caso essere restituite (vedi successivo punto 9). 9. Modalità operative per la  gestione del TFR al Fondo di Tesoreria.  
La gestione del TFR al Fondo di Tesoreria sul flusso UniEmens, avviene attraverso la compilazione delle sezioni DENUNCIA INDIVIDUALE e DENUNCIA AZIENDALE, secondo le modalità descritte nel documento tecnico.
 10. Operazioni societarie. Riflessi in materia di conguaglio.
Nelle ipotesi di operazioni societarie,  che comportano il passaggio di lavoratori ai sensi dell’art. 2112 c. C. , e nei casi di cessione del contratto di lavoro, le operazioni di conguaglio dei contributi previdenziali dovranno essere effettuate dal datore di lavoro subentrante, tenuto al rilascio della certificazione CUD,  con riferimento alla retribuzione complessivamente percepita nell’anno, ivi incluse le quote retributive da assoggettare allo sgravio sul II livello contrattuale, le erogazioni liberali ed i fringe benefit.
Si richiama l’attenzione dei datori di lavoro ad utilizzare – nel caso di passaggio di lavoratori da una matricola all’altra (anche per effetto di operazioni societarie) – gli appositi codici  e   “2” e “2T”, con l’indicazione della matricola di provenienza.
Come indicato al precedente punto 1. 1. , dal 1° gennaio 2010, il datore di lavoro subentrante potrà gestire correttamente le variabili retributive utilizzando il nuovo elemento di , , valorizzando l’elemento  con il codice dell’azienda di provenienza.
11. Recupero del contributo di solidarietà del 10% ex lege n. 166/1991 su contributi e somme accantonate a favore dei dipendenti per le finalità di previdenza
complementare.
Come noto, sulle contribuzioni o somme a carico del datore di lavoro destinate a realizzare le finalità di previdenza pensionistica complementare, è dovuto il contributo di solidarietà previsto, nella misura del 10 per cento, dall’articolo 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n.  103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n. 166.  Si ricorda – con l’occasione – che, ai sensi di quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 16 del D. Lgs. N. 252/2005, una percentuale pari all’1% del gettito del predetto contributo di solidarietà confluisce presso l’apposito Fondo di garanzia – ex articolo 5 del D. Lgs. N. 80/1992 – istituito mediante evidenza contabile nell’ambito della gestione delle prestazioni temporanee dell’INPS – apprestato contro il rischio derivante dall’omesso o insufficiente versamento da
parte dei datori di lavoro sottoposti a procedura di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa ovvero di amministrazione controllata.
Nelle ipotesi in cui, sia in occasione delle operazioni di conguaglio che nel corso dell’anno, si rendesse necessario effettuare recuperi su detta contribuzione, i datori di lavoro possono avvalersi dei codici causale:
Codice Significato
L938 Rec. “contr. Solidarietà 10% ex art. 16 Dlgs n. 252/2005” per i lavoratori iscritti al F. P. L. D nonché a tutti gli altri Fondi gestiti dall’INPS.
L939 Rec. Di “contr. Solidarietà 10% ex art. 16 Dlgs n. 252/2005 dirigenti industriali già iscritti all’ex Inpdai”,  per i dirigenti iscritti all’ex INPDAI al 31. 12. 2002. Istituiti nell’Elemento  ,  , , del flusso UniEmens

ESCORT: REDDITOMETRO, AVVISO DI ACCERTAMENTO SINTETICO INDUTTIVO AI FINI IRPEF ED IVA, DA UNO A DIECI ANNI DI ANNUALITÀ ACCERTATE CON COMMISSIONE DI REATO TRIBUTARIO

0

L’attività di Escort accertata dal giudice di merito è assoggettabile ad Iva, pertanto a seguito di avviso di accertamento sintetico induttivo ai fini Irpef, oggi chi non pianifica da punto di vista fiscale la propria posizione, subirà attraverso il Redditometro rettifiche ai fini Irpef ed Iva per l’anno in oggetto, con il rischio di estensione dei controlli per gli anni non prescritti.  

 

Escort: Redditometro, Avviso di accertamento sintetico induttivo ai fini Irpef ed Iva, da uno ad dieci annualità accertate con commissione di reato tributario

L’attività di Escort accertata dal giudice di merito è assoggettabile ad Iva, pertanto a seguito di avviso di accertamento sintetico induttivo ai fini Irpef, oggi chi non pianifica da punto di vista fiscale la propria posizione, subirà attraverso il Redditometro rettifiche ai fini Irpef ed Iva per l’anno in oggetto ed almeno i quattro a seguire. Nell’ipotesi altamente probabile che fosse superata la soglia dei 30. 000 (Irpef, ma anche: omesso versamento, omessa dichiarazione, etc. ) per singola annualità si configura facilmente il reato tributario con raddoppio dei termini a dieci anni in capo alla Agenzia delle Entrate per emettere avviso di accertamento avverso il contribuente, onde poi attaccarne il patrimonio (appartamenti e beni mobili) attraverso misure cautelari (sequestro conservativo ed ipoteche).

In presenza di accertamenti bancari, è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione o perché egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni o perché non sono fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

Sezione Tributaria

Sentenza 2 marzo – 13 maggio 2011, n. 10578

(Presidente D’Alonzo – Relatore Sambito)

Svolgimento del processo

Con avviso di accertamento relativo ad IVA ed IRPEF per l’anno d’imposta del 1999, è stata contestata a M. A. Z. La mancata contabilizzazione e dichiarazione dei ricavi da lavoro autonomo, in aggiunta ai redditi da lavoro dipendente, da lei svolto presso alcuni locali notturni, quale ballerina. La CTP di Sondrio ha accolto il ricorso della contribuente e l’appello dell’Ufficio e stato rigettato dalla CTR della Lombardia, con sentenza n. 35/31/05, depositata il 31. 3. 2006, sul rilievo che competeva all’Amministrazione finanziaria di provare la ricorrenza dell’attività lavorativa autonoma, prova che non poteva esser desunta dagli accrediti annoiati nei conti correnti della contribuente, la quale aveva, ad ogni modo, giustificato la percezione del denaro in riferimento a rapporti amicali o sentimentali, da lei intrattenuti. La CTR ha, inoltre, affermato che i proventi derivanti dall’esercizio della prostituzione non costituiscono reddito assoggettabile a tassazione.

Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di due motivi, cui l’intimata resiste, con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate, deducendo violazione e falsa applicazione del D. P. R. N. 600 del 1973, artt. 32, 38 e 39, nonché del D. P. R. N. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c. P. C. , comma 1, n. 3, afferma che la ripresa a tassazione è avvenuta in base agli accertamenti dalla Guardia di Finanza, da cui era emerso un notevole divano tra le retribuzioni da lavoro dipendente della contribuente ed i versamenti dalla stessa effettuati sui propri conti correnti, versamenti che dovevano considerarsi ricavi, in assenza di prova contraria da parte della stessa.

La ricorrente sottopone, dunque, alla Corte il seguente quesito di diritto: “se, ai sensi del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, e del D. P. R. N. 633 del 1972, art. 51, i singoli dati ed elementi risultanti dai conti correnti bancari, dei quali il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, possono essere ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile”.

Col secondo motivo, l’Agenzia, deducendo violazione e falsa applicazione del D. P. R. N. 917 del 1986, artt. 1, 3 e 6 e della L. N. 537 del 1993, art. 14, comma 4, in relazione all’art. 360 c. P. C. , comma 1, n. 3, afferma che la sentenza non ha considerato che, in base a tali disposizioni, ogni corrispettivo, anche derivante da attività illecite, concorre a formare l’imponibile e formula il seguente quesito di diritto: “se, ai sensi delle disposizioni del TUIR e della L. N. 537 del 1993, artt. 14, 4, qualsivoglia corrispettivo, percepito a qualsiasi titolo, ove non espressamente escluso, contribuisce a formare il reddito complessivo del contribuente, sul quale si deve determinare l’imposta dovuta”.

Procedendo alla valutazione congiunta dei motivi, tra loro connessi, va, anzitutto, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del secondo motivo, sollevata dalla controricorrente per supposta violazione dell’art. 366 c. P. C. Per essere il “thema decidendum” pienamente individuabile, nonostante i refusi dattilografici su cui si basa l’eccezione.

Nel merito, i motivi sono fondati. In tema d’accertamento dell’imposta sui redditi, la giurisprudenza di legittimità (Cass. N. 18081 del 2010; n. 7766 del 2008) ha, già, affermato il principio, che qui si condivide, secondo cui, quando l’accertamento, effettuato dall’ufficio finanziario, si fonda su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, e si determina un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili. Questa Corte ha, inoltre, precisato (Cass. N. 18111/2009; n. 9573/2007), con indirizzo al quale si intende dare continuità, che quando sussistono flussi finanziari che non trovano corrispondenza nella dichiarazione dei redditi, il recupero fiscale non è subordinato alla prova preventiva che il contribuente eserciti una specifica attività; in assenza di contestazione sulla legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i dati medesimi possono, infatti, essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari, che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni, non sono fiscalmente rilevanti.

Tale principio non soffre eccezioni se il reddito da assoggettare a tassazione costituisca provento di “tatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo” tenuto conto del disposto di cui al D. L. N. 223 del 2006, art. 36, comma 34 – bis, (inserito dalla L. N. 248 del 2006, art. 1, di conversione) secondo il quale “in deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, la disposizione di cui della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono comunque considerati come redditi diversi”.

Con tale disposizione, alla quale va attribuita efficacia retroattiva (Cass. N. 13213/2007, n. 18111/2009, n. 37/2010), per esser stata emanata in espressa deroga al principio di irretroattività delle disposizioni tributarie, sancito dalla L. N. 212 del 2000, art. 3, è stato introdotto nell’ordinamento il principio, di carattere generale, della tassabilità dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, a prescindere dalla loro provenienza, e, dunque, dalla sussumibilità della relativa fonte in una delle specifiche categorie reddituali di cui al D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, essendo normativamente considerati, in via residuale, come redditi diversi, da ascriversi, appunto, alla lettera f) di detto art. 6.

Ne consegue che il reddito tratto dalla controricorrente dall’esercizio dell’attività di prostituzione – tale natura va riconosciuta a quello derivante “da donativi e regali relativi a rapporti di natura “affettuosa”, secondo l’accertamento contenuto nell’impugnata sentenza – va assoggettato all’imposta diretta, dovendo condividersi l’orientamento espresso da questa Corte, con la sentenza n. 20528/2010 – emessa, proprio, nei confronti della controricorrente per gli anni d’imposta 1996, 1997 e 1998 -, secondo cui la risposta del Ministero delle Finanze all’interrogazione parlamentare (del 31. 7. 1990), invocata dalla contribuente, risalente a tempo antecedente l’emanazione delle disposizioni legislative, sopra menzionate, non vincola, in alcun modo, i giudici tributari e, ovviamente, questa Corte nell’interpretazione delle disposizioni normative applicabili al caso in esame. Deve, dunque, affermarsi il principio secondo cui i singoli dati ed elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività, e dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa.

La natura dell’attività svolta è rilevante, invece, ai fini dell’ IVA, che, in base al D. P. R. N. 633 del 1972, art. 1 “si applica sulle cessioni dei beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio d’imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuale”. In base al D. P. R. N. 633, art. 3, comma 1, in esame, “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratto d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, non fare e di permettere quale ne sia la fonte”; laddove il successivo art. 5, comma 1, specifica che “per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse”.

A tale stregua, deve affermarsi l’assoggettabilità ad IVA dell’attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore, con carattere di abitualità: seppur contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo, l’attività predetta non costituisce reato, e consiste, appunto, in una prestazione di servizio verso corrispettivo, inquadrabile nell’ampia previsione contenuta nel secondo periodo del citato D. P. R. N. 633 del 1972, art. 3, comma 1. La qualificazione della prostituzione in termini di “prestazione di servizi retribuita” risulta, peraltro, già, affermata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nella sentenza n. 268 del 20. 11. 2001, in causa C-268/99, in cui la Corte muovendo dalla giurisprudenza, costante, secondo la quale una prestazione di lavoro subordinato o una prestazione di servizi retribuita dev’essere considerata come attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 2 CE), purché le attività esercitate siano reali ed effettive e non tali da presentarsi come puramente marginali e accessorie, ha affermato che “la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita”, che rientra nella nozione di “attività economiche”, demandando al giudice nazionale di “accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo, ossia: senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilità, e a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente”.

Posto, dunque, che i proventi tratti dalla controricorrente, dall’attività di prostituzione, quale accertata dal giudice del merito, vanno assoggettati ad IVA, deve, qui, ribadirsi in relazione al D. P. R. N. 633 del 1972, art. 51, quanto sopra si è esposto per l’omologo D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, in tema d’imposta sul reddito, e, cioè, che (Cass. N. 8041/2008; 4589/2009, 18081/2010), in presenza di accertamenti bancari, condotti ex art. 51 cit. è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione o perché egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni o perché (cfr. Pure Cass. N. 9573/2007, n. 1739/07, n. 28324/07) non sono fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili.

L’impugnata sentenza, che non si è attenuta ai predetti principi, va cassata ed, in assenza di ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, col rigetto del ricorso della contribuente.

Si ravvisano giusti motivi, in considerazione della novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P. Q. M.

Accoglie il ricorso, cassa e decidendo nel merito, rigetta il ricorso della contribuente. Compensa le spese del giudizio.

 WELCOME%20WOMEN%203. Jpg  

PER RICHIEDERE ASSISTENZA SULLA GESTIONE DI AVVISI DI ACCERTAMENTO CONTATTACI

REDIGIAMO FAC SIMILI DI RICORSI PRONTI DA FIRMARE E SPEDIRE

SIAMO ESPERTI NEL GESTIRE LE FASI ANTE RICORSO, EVINTANDOLO, ED  OTTENTENDO SGRAVI PARZIALI E/O TOTALI.

CLICCA QUI

O CHIAMATE IL NUMERO VERDE 800. 19. 27. 52

CUBATURA: DIRITTO DI RILOCALIZZAZIONE TRATTAMENTO FISCALE

0

Il proprietario di un edificio che dovrà essere demolito o la cui esistenza è incompatibile  con  la  realizzazione  di  opere  pubbliche,  potrà  ricostruirlo  in un’altra zona di sua proprietà nell’ambito dello stesso comune, anche in deroga alle limitazioni derivanti dal piano regolatore generale. Laddove il cittadino non voglia o non possa esercitare il diritto di rilocalizzazione potrà, con il consenso del Comune, trasferirlo a terzi.  

RISOLUZIONE N. 233/E Roma, 20 agosto 2009 Direzione Centrale Normativa e Contenzioso

OGGETTO:    Richiesta di consulenza giuridica – Redditi diversi – Cessione del diritto di rilocalizzazione previsto dalla legge regionale dell’Emilia Romagna n. 38 del 1 dicembre 1998 – art. 67  del TUIR

QUESITO

L’ordine dei dottori commercialisti di … ha chiesto chiarimenti in merito al trattamento fiscale applicabile, ai fini delle imposte sui redditi, alla somma incassata da una persona fisica a seguito della cessione del diritto di rilocalizzazione previsto dalla legge regionale dell’Emilia Romagna n. 38 del 1 dicembre 1998. In sintesi, la normativa regionale citata prevede che il cittadino, proprietario di un edificio che dovrà essere demolito o la cui esistenza è incompatibile  con  la  realizzazione  di  opere  pubbliche,  potrà  ricostruirlo  in un’altra zona di sua proprietà nell’ambito dello stesso comune, anche in deroga alle limitazioni derivanti dal piano regolatore generale. Laddove il cittadino non voglia o non possa esercitare il diritto di rilocalizzazione potrà, con il consenso del Comune, trasferirlo a terzi.

In tal caso, il terzo acquirente potrà ricostruire l’edificio demolito/impattato  ovvero  utilizzare  la   relativa  superficie  edificabile  per ampliare altri fabbricati in un’altra zona di sua proprietà nell’ambito dello stesso Comune.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

 L’istante ritiene che il provento percepito per la cessione del diritto di rilocalizzazione non è riconducibile in nessuna delle categorie reddituali contemplate dall’art. 6 del TUIR e, pertanto, non è assoggettabile a tassazione ai fini dell’IRPEF. In particolare, l’importo percepito non può essere ricondotto nell’ambito della categoria dei redditi diversi di cui all’art. 67 del Tuir, in quanto le ipotesi ivi previste   sono   da   ritenersi   tassative   e   non   ricomprendono  la   fattispecie prospettata. Oggetto del trasferimento non è, infatti, né l’immobile né l’area edificabile.  

Inoltre,  non  si  verifica  alcun  trasferimento  di  diritto  reale  di godimento e non si costituisce una servitù a non edificare come nel caso della cessione di cubatura.

Tale circostanza è confermata dal fatto che gli atti concernenti i trasferimenti dei diritti di rilocalizzazione non vengono ricevuti dai notai, ma sono perfezionati esclusivamente a mezzo di scrittura privata registrata In via residuale, qualora si volesse individuare una fattispecie impositiva, è opportuno sottolineare come il trasferimento del diritto dovrebbe ricondursi alla fattispecie di cessione dell’immobile originario, tassabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera b) del TUIR, come plusvalenza nel caso di cessione entro cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione.   

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE 

La legge regionale n. 38 del 1998, recante norme per la rilocalizzazione degli edifici interessati dalla realizzazione di opere pubbliche stradali, ferroviarie e idrauliche, ha previsto quanto segue: –    gli   edifici  funzionali  all’agricoltura  e   ricadenti  in   zone  territoriali omogenee   E   che   debbano   essere   demoliti   in   conseguenza   di provvedimenti espropriativi connessi alla realizzazione di opere pubbliche stradali, ferroviarie o idrauliche possono essere ricostruiti al di fuori delle      zone di rispetto, in aree contigue e della medesima proprietà anche in deroga alle limitazioni derivanti dal P. R. G. (art. 1, comma 1); –    il comune provvede alla rilocalizzazione degli edifici da demolire diversi da quelli di cui al comma 1 o che non siano stati ricostruiti ai sensi del medesimo comma, anche se ricadenti al di fuori delle zone territoriali omogenee E, a mezzo di variante del P. R. G (art. 1, comma 2) –    per  gli  edifici,  le  cui  destinazioni  d’uso  sono  incompatibili  con  la costruzione delle opere pubbliche, il Consiglio Comunale provvederà alle modifiche delle previsioni urbanistiche al fine di garantire la funzionalità degli immobili interessati (art. 1, comma 3); –    le concessioni relative agli edifici ricostruiti con la stessa potenzialità edificatoria sono rilasciate a titolo gratuito (art. 1, comma 4); –  gli edifici residenziali il cui uso abitativo è incompatibile con la realizzazione delle infrastrutture pubbliche possono essere ricostruiti al di fuori delle zone di rispetto.

In tale ipotesi, il proprietario dell’edificio in base alla convenzione cede l’immobile all’ente che realizza l’opera, il quale non può destinarlo a finalità abitative. La relativa concessione edilizia è soggetta alla corresponsione del contributo secondo la normativa vigente (art. 2).

La normativa richiamata prevede, in sostanza, che ai proprietari degli immobili sia attribuita una potenzialità edificatoria (c. D. Ius aedificandi) pari, per superficie, volume e destinazione, a quella dell’edificio  preesistente, demolito in seguito al provvedimento di esproprio o ceduto, in base a convenzione, all’ente che realizza l’opera.

Attraverso  la  concessione  del  diritto  di  localizzazione  gli  enti  locali attuano  la  ricostruzione  di  siti  urbani  e  rurali,  non  compatibili  con  la realizzazione delle grandi opere, in un’altra zona del territorio comunale, adeguando gli strumenti urbanistici ove necessario, in modo da mantenere in vita il tessuto sociale, abitativo e produttivo, della comunità locale che diversamente verrebbe a disintegrarsi.

La concessione dello ius aedificandi, suscettibile di essere ceduto al proprietario di un altro terreno, nel caso in esame, si ritiene che non abbia la funzione di ristorare la perdita fisica o funzionale dell’immobile divenuto inagibile, che viene ristorata attraverso l’indennità di esproprio o il prezzo corrisposto dall’ente che acquisisce il fabbricato, bensì quella di mantenere inalterata la potenzialità edificatoria del terreno sul quale l’edificio insisteva.

Non si condivide, pertanto la tesi prospettata dall’associazione istante che ravvisa, peraltro solo in via residuale,  nella cessione del diritto di localizzazione la cessione di un diritto sostitutivo dell’immobile preesistente.

La connessione ravvisabile tra il diritto di localizzazione e la potenzialità edificatoria del terreno porta, invece, a ritenere che la cessione a titolo oneroso di tale diritto configuri un’ipotesi negoziale analoga alla c. D. Cessione di cubatura, la cui rilevanza reddituale, in assenza di una specifica qualificazione normativa, deve essere valutata alla luce dell’inquadramento giurisprudenziale dell’istituto. Secondo il prevalente orientamento della Corte di Cassazione (tra tutte si segnala Cass. N. 6807/1988), la cessione di cubatura è “quell’atto, a titolo oneroso  attraverso  il   quale  il  proprietario  del  fondo,  cui  inerisce  una determinata cubatura, distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura concessagli dal piano regolatore e, formando un diritto a sé   stante, lo trasferisce definitivamente all’acquirente, a beneficio del fondo di costui”. Più di recente, la stessa Suprema Corte ha confermato le caratteristiche di realità della cessione di cubatura, affermando che essa “non è definibile altrimenti che quale facoltà inerente al diritto di proprietà” (Cass. N. 10979/2007). Sulla base delle suesposte considerazioni, la scrivente, conformemente all’interpretazione già  sostenuta con  la  risoluzione del  17  agosto  1976 prot. 250948, ritiene che anche in materia di imposte dirette, il contratto di cessione di cubatura e, conseguentemente la cessione dei diritti di rilocalizzazione, concluso da privati produce un effetto analogo a quello proprio dei trasferimenti di diritti reali immobiliari.

Infatti, nell’operazione di cessione prospettata, attraverso il consenso del comune si verifica l’acquisto di un diritto strutturalmente assimilabile alla categoria dei diritti reali di godimento, in quanto la volontà dei privati contraenti, nel porre in essere il trasferimento di una delle facoltà in cui si estrinseca il diritto di proprietà, e cioè quella di costruire, modifica il limite di edificabilità fissato dal piano regolatore per i singoli appezzamenti, con la conseguente compressione del diritto di proprietà del cedente e il correlativo aumento dell’edificabilità sull’area del cessionario. L’art. 9, comma 5, del TUIR dispone che, “ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento”.

In relazione a quanto sopra, tenuto conto che nella fattispecie in esame viene a configurarsi il trasferimento di una posizione giuridica assimilabile ad un diritto reale di godimento, per la quale si rendono applicabili le regole fiscali stabilite in relazione alle cessioni della proprietà, ne consegue che la cessione dei diritti di rilocalizzazione è produttiva di plusvalenze tassabili ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera b), del TUIR.

In particolare, la cessione di diritti di rilocalizzazione che insistono su terreni agricoli realizza plusvalenza se il terreno è stato acquistato da meno di cinque anni e se non è pervenuto per successione mentre se detti diritti insistono su terreni edificabili la relativa cessione genera comunque plusvalenza ai sensi della richiamata lett. B), ultima parte, del citato articolo 67 del TUIR.

Nell’ipotesi in cui la cessione del diritto di rilocalizzazione genera plusvalenza, occorre individuare le modalità di determinazione della stessa. In linea generale, ai sensi dell’art. 68, comma 1, del Tuir, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra i “corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo”.

Nel   caso   di   specie,   mentre   il   valore   finale   è   certo,   in   quanto corrispondente  al  corrispettivo  del  cessione  del  diritto  di  rilocalizzazione, contrattualmente  determinato,  più  complessa  è  l’individuazione  del  valore iniziale del diritto ceduto. Al riguardo, la scrivente ritiene possibile ricorrere ad una perizia di stima dell’immobile che  stabilisca il  valore della  volumetria edificabile rispetto al valore del terreno.

In tal caso, i costi sostenuti per la relazione di stima, qualora siano stati effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente possono essere portati in aumento del valore iniziale da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza, in quanto costituiscono costo inerente al bene.  

 Dottor Alessio Ferretti

Dott. Alessio Ferretti

 

per assisterti o collaborare con il tuo Consulente chiamaci al

NUMERO%20VERDE. Png? Ver=2016-04-17-165008-940

PERDITA SISTEMATICA: CAUSE DI DISAPPLICAZIONE AUTOMATICA DELLA DISCIPLINA SULLE SOCIETÀ IN PERDITA SISTEMATICA (MARGINE OPERATIVO LORDO – CONTRATTI DI LEASING)

0

Ai  fini  della  disciplina  sulle  società  in  perdita  sistematica  di  cui all’articolo 2, commi 36-decies e ss. , del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella legge 14 settembre 2011, n. 148, la società ALFA s. R. L. (d’ora in poi solo Società istante) dichiara di conseguire un margine operativo lordo (mol) negativo secondo quanto indicato nel paragrafo 1, lettera f), del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012, prot. N. 2012/87956.  

RISOLUZIONE N. 107/E      Direzione Centrale Normativa    Roma, 11 dicembre 2012       

OGGETTO:   Interpello presentato ai sensi dell’articolo 11 legge 27 luglio 2000, n. 212 – cause di disapplicazione automatica della disciplina sulle società in perdita sistematica – Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012 – margine operativo lordo (mol) – contratti di leasing.        

FATTISPECIE RAPPRESENTATA  

Ai  fini  della  disciplina  sulle  società  in  perdita  sistematica  di  cui all’articolo 2, commi 36-decies e ss. , del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella legge 14 settembre 2011, n. 148, la società ALFA s. R. L. (d’ora in poi solo Società istante) dichiara di conseguire un margine operativo lordo (mol) negativo secondo quanto indicato nel paragrafo 1, lettera f), del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012, prot. N. 2012/87956. Pertanto, nei confronti della stessa Società istante non si  verificherebbe alcuna  causa  oggettiva  di  disapplicazione automatica  della disciplina  in  esame  ai  sensi  dell’articolo  30,  comma  4-ter,  della  legge  23 dicembre 1994, n. 724, prevista nel citato Provvedimento (nello specifico, non si verificherebbe la  condizione prevista  dalla  citata  lettera  f)  rappresentata dal conseguimento di un mol positivo).

Da quanto si evince dall’istanza, il mol risulterebbe negativo esclusivamente a causa della sussistenza in capo alla Società istante di costi per l’acquisto di immobili (acquisto uffici) effettuati attraverso contratti di leasing. Equiparando l’acquisto di beni materiali strumentali a mezzo leasing all’acquisto di beni in proprietà e, quindi, eliminando i costi afferenti ai contratti di leasing dal costo della produzione di cui alla voce B) del conto economico rilevante ai fini della determinazione del mol – al pari di quanto previsto per gli ammortamenti di cui alla voce 10) dei costi della produzione di cui alla lettera B) dell’articolo 2425 del codice civile – la stessa Società istante otterrebbe un mol positivo; ciò configurerebbe la condizione “oggettiva” prevista dalla richiamata lettera f) del Provvedimento a cui conseguirebbe la disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica senza l’onere della preventiva presentazione dell’istanza di disapplicazione delle disposizioni antielusive di cui all’articolo 30, comma 4-bis, del legge n. 724 del 1994.

Con nota dell’11 ottobre 2012, la Società istante ha spontaneamente integrato l’istanza presentata evidenziando il quadro normativo di riferimento della disciplina sulle società in perdita sistematica oggetto del presente interpello.   

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE  

La Società istante ritiene che ai fini dell’individuazione delle situazioni oggettive in presenza delle quali è consentito disapplicare automaticamente la disciplina sulle società in perdita sistematica, il mol indicato nella richiamata lettera f) del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate debba essere determinato senza considerare i costi afferenti ai contratti di leasing.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE  

Occorre premettere che il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012, prot. N. 2012/87956, ha individuato, tra le cause oggettive di disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica senza  l’onere  di  presentare  preventiva  istanza  di  disapplicazione  di  cui all’articolo 30, comma 4-bis, della legge n. 724 del 1994, il conseguimento di un margine operativo lordo positivo (ossia, mol > 0). Nel citato provvedimento è stata anche indicata la modalità di determinazione del mol come “la differenza tra il valore ed i costi della produzione di cui alla lettere A) e B) dell’articolo 2425 del codice civile. A tale fine i costi della produzione rilevano al netto delle voci relative ad ammortamenti, svalutazioni ed accantonamenti di cui ai numeri 10), 12) e 13) della citata lettera B). ” (così la lettera f) del paragrafo 1).   Una stretta applicazione di tale modalità di determinazione porterebbe, ai fini fiscali, a discriminare gli acquisti di beni immobilizzati fatti attraverso la stipulazione di contratti di leasing rispetto alle acquisizioni di beni propri. I primi, infatti, verrebbero ad essere penalizzati rispetto ai secondi perché, come nel caso in esame, i canoni di leasing rileverebbero integralmente tra i costi della produzione di cui alla lettera B) del conto economico, mentre gli ammortamenti relativi ai beni propri ne verrebbero esclusi.

Un simile differente trattamento non sarebbe conciliabile con il principio di sostanziale equivalenza tra l’acquisizione e/o la realizzazione di un bene in proprio e quella effettuata tramite contratti di leasing a cui si ispira l’articolo 102, comma 7, del Tuir. L’esistenza di un’equivalenza sostanziale tra l’acquisizione del bene proprio e l’acquisizione attraverso contratti di locazione finanziaria è stata anche ribadita nella Risoluzione n. 19/E del 23 febbraio 2004 e, recentemente, nella Circolare n. 28/E del 21 giugno 2011 (paragrafo 9. 1. ).

Pertanto, al fine di assicurare un paritario trattamento tra le due modalità di  “acquisizione” dei  beni immobili strumentali all’esercizio d’impresa ed  a   prescindere dalle scelte contabili effettuate dal soggetto interessato nonché dalla data di sottoscrizione e/o dalla durata del contratto di leasing, il mol rilevante per la disapplicazione automatica della disciplina sulle società in perdita sistematica non può che essere determinato escludendo dai costi della produzione, di cui alla lettera B) del conto economico, l’ammontare dei canoni di leasing indicati in bilancio.  

APS – ASD- SSD: MODELLO EAS CHIARIMENTI IN MERITO ALL’APPLICABILITÀ DELL’ISTITUTO DELLA REMISSIONE IN BONIS

0

Sono pervenute alla scrivente, da parte del Forum del terzo settore, richieste di chiarimenti in merito all’applicabilità dell’istituto della remissione in bonis: 1)   agli enti che non abbiano provveduto ad inviare il Modello EAS;  2)  agli enti che abbiano inviato il Modello EAS oltre i termini previsti.   

RISOLUZIONE N.   110/E     Direzione Centrale Normativa  Roma, 12 DICEMBRE 2012           

OGGETTO: Modello EAS – Chiarimenti in merito all’applicabilità dell’istituto della remissione in bonis.      

Sono pervenute alla scrivente, da parte del Forum del terzo settore, richieste di chiarimenti in merito all’applicabilità dell’istituto della remissione in bonis:

1)   agli enti che non abbiano provveduto ad inviare il Modello EAS; 

2)  agli enti che abbiano inviato il Modello EAS oltre i termini previsti.  

L’articolo 30, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, al fine di consentire gli opportuni controlli, ha introdotto per gli enti privati non commerciali di tipo associativo che applicano, in presenza dei requisiti richiesti, le disposizioni di cui all’articolo 148 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente  della  Repubblica  22  dicembre  1986,  n.   917,  e  all’articolo  4,  quarto comma,  secondo  periodo,  e  sesto  comma,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l’onere di comunicare all’Agenzia delle entrate dati e notizie rilevanti ai fini fiscali, mediante un apposito modello (Modello EAS) approvato  con  provvedimento  del  Direttore  dell’Agenzia  delle  entrate  del  2 settembre 2009. 2      

Il comma 2 dello stesso articolo 30 ha previsto che con il medesimo provvedimento fossero stabiliti “i tempi e le modalità di trasmissione del modello”. Con specifico riferimento ai termini di presentazione del Modello EAS, il richiamato  provvedimento  del  2  settembre  2009  aveva  stabilito  che  il  modello avrebbe dovuto essere presentato: – per gli enti già costituiti alla data di entrata in vigore del citato D. L. N. 185 del 2008, entro il 30 ottobre 2009; – per gli enti costituitisi dopo l’entrata in vigore del citato D. L. N. 185, entro sessanta  giorni  dalla  data  di costituzione  e,  qualora  il  termine  del  sessantesimo giorno fosse scaduto prima del 30 ottobre 2009, entro quest’ultima data.

In forza dell’articolo 1, comma 1, del decreto–legge 29 dicembre 2010, n.   225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 e della tabella allegata allo stesso decreto-legge, i termini per la presentazione del modello EAS, stabiliti dal provvedimento del 2 settembre 2009 e modificati dai successivi provvedimenti del 29 ottobre 2009 e del 21 dicembre 2009, sono stati ulteriormente prorogati al 31 marzo 2011.

Con circolare n. 6/E del 24 febbraio 2011, par. 2. 1, è stato precisato che, per effetto dell’anzidetta proroga, i nuovi termini per la presentazione del modello EAS sono i seguenti: –    entro il 31 marzo 2011, per gli enti già costituiti alla data di entrata in vigore del D. L. N. 185 del 2008 (29 novembre 2008); –    entro il 31 marzo 2011, per gli enti costituitisi dopo l’entrata in vigore dello stesso D. L. N. 185 del 2008, qualora il sessantesimo giorno dalla data di costituzione fosse scaduto prima del 31 marzo 2011; –    entro sessanta giorni dalla data di costituzione, per gli enti per i quali il termine di sessanta giorni dalla costituzione scada a decorrere dal 31 marzo 2011, cioè in data 31 marzo 2011 o in data successiva.

L’articolo 2, comma 1, del decreto–legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni  dalla  legge  26  aprile  2012,  n.   44,  ha  introdotto  l’istituto  della remissione   in   bonis,   al   fine   di   evitare   che   mere   dimenticanze   relative   a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali. Ai sensi dell’anzidetta disposizione, infatti, “la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione  ovvero  ad  altro  adempimento  di  natura  formale  non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente:

a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento; 

b) effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;

c) versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, secondo le modalità stabilite dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista”.

La relazione  illustrativa  al D. L.   n. 16 del  2012, nell’individuare,  a titolo esemplificativo,  alcune  fattispecie  alle  quali  l’istituto  della  remissione  in  bonis risulta applicabile, ha espressamente richiamato l’omesso invio del Modello EAS.

Tanto premesso, in ordine alle questioni sollevate, si formulano le seguenti risposte.   

1) Enti che  non hanno inviato il Modello EAS  La circolare n. 38/E del 28 settembre 2012, recante i primi chiarimenti in merito alla remissione in bonis, al paragrafo 1. 3. 1, ha precisato che per beneficiare di tale istituto gli enti associativi in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, che non hanno inviato il Modello EAS entro i termini previsti, possono fruire comunque dei benefici fiscali ad essi riservati, inoltrando il suddetto modello entro il termine   di   presentazione   della   prima   dichiarazione   utile   (ossia,   la   prima dichiarazione dei redditi il cui termine di presentazione scade successivamente al termine previsto per effettuare la comunicazione) e versando contestualmente una sanzione (pari a euro 258,00). La stessa circolare n. 38, al successivo paragrafo 1. 4. , ha chiarito che l’istituto in commento trova applicazione anche con riferimento alle irregolarità per le quali al 2 marzo 2012 (data di entrata in vigore del D. L. N. 16 del 2012) fosse scaduto il termine  di  presentazione  della  prima  dichiarazione  utile,  ma  non  fosse  ancora scaduto quello di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo di imposta nel quale l’adempimento è stato omesso (per i soggetti con il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, tale termine era quello del 30 settembre 2012).

Tuttavia, la circolare n. 38 del 2012, al medesimo paragrafo 1. 4, ha precisato che, in considerazione dell’incertezza interpretativa in merito all’individuazione del termine  entro  il  quale  sanare  l’adempimento  omesso  nonché  in  attuazione  dei principi di tutela dell’affidamento e della buona fede, in sede di prima applicazione della norma, il termine entro cui regolarizzare gli adempimenti omessi è quello del 31 dicembre 2012.   Pertanto, conformemente all’indirizzo interpretativo fornito con la citata circolare n. 38, si conferma che gli enti che non abbiano ancora provveduto all’invio   del Modello EAS possano adempiere all’onere della trasmissione di detto modello entro il 31 dicembre 2012, versando contestualmente la sanzione pari a euro 258,00, fermo restando il possesso dei requisiti previsti dal citato articolo 2, comma 1, del D. L. N. 16 del 2012.

Si vedano gli esempi riportati nella seguente tabella, in cui sono illustrate, con riferimento ad enti costituiti in epoche diverse, le scadenze  per fruire della remissione in bonis (mediante la presentazione del Modello EAS e il contestuale versamento della sanzione prevista).  

2) Enti che hanno inviato il Modello EAS oltre i termini  Relativamente  al  quesito  sub  2),  si fa  presente  che  i  soggetti  che  hanno inviato il Modello EAS oltre i termini previsti e vogliano sanare la propria posizione fruendo dell’istituto della remissione in bonis non sono tenuti a presentare nuovamente detto modello di comunicazione – fatti salvi i casi di variazione dei dati precedentemente  comunicati  (v. Punto 3. 3 del provvedimento 2 settembre  2009, 6    citato) – ma, fermo restando il possesso dei requisiti previsti dal citato articolo 2, comma 1, del D. L. N. 16 del 2012, devono versare unicamente la sanzione pari a euro 258,00 entro i termini individuati, secondo i criteri precedentemente illustrati. Si vedano gli esempi riportati nella seguente tabella, in cui sono illustrate, in relazione ad enti costituiti in epoche diverse che hanno provveduto a presentare tardivamente il Modello Eas, i relativi termini per fruire della remissione in bonis.  

Da ultimo, si ricorda che, come precisato con la risoluzione n. 46/E dell’11 maggio 2012, il versamento della sanzione in parola va effettuato mediante Modello F24 utilizzando  il codice tributo 8114. Il codice tributo è esposto nella sezione “Erario” del Modello F24, esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “Importi a debito versati” con indicazione nel campo “Anno di riferimento” dell’anno per cui si effettua il versamento nel formato “AAAA” (ad esempio, nel caso n. 2, andrà indicato “2011”).

SCARICA IL DOWNLOAD ED ACCEDI AI CASI

IMU: COMPROPRIETÀ DELL’IMMOBILE, INTESTATO AI FIGLI, IN USO AI GENITORI-FRATELLI-NONNI, COME EVITARE IMU DA SECONDA CASA

0

Siamo tre fratelli (un fratello e due sorelle) proprietari di una casa per una quota del 33% ciascuno, nostro fratello vi ha la residenza anagrafica e la usa  come abitazione principale, io e mia sorella no, come possiamo evitare di pagare l’IMU  da seconda casa (per le due sorelle che non godono della detrazione ad abitazione principale e della aliquota agevolata) che è un salasso economico?

Imu: comproprietà dell’immobile, intestato ai figli, in uso ai genitori-fratelli-nonni, come evitare imu da seconda casa

 

Siamo tre fratelli (un fratello e due sorelle) proprietari di una casa per una quota del 33% ciascuno, nostro fratello vi ha la residenza anagrafica e la usa  come abitazione principale, io e mia sorella no, come possiamo evitare di pagare l’IMU  da seconda casa (per le due sorelle che non godono della detrazione ad abitazione principale e della aliquota agevolata) che è un salasso economico?

Come purtroppo è evidente le agevolazioni per abitazione principale possono essere usufruite soltanto dal proprietario che dimora abitualmente e risiede anagraficamente nell’immobile. Nel caso oggetto del quesito, solo il fratello che ha adibito la casa ad abitazione principale e vi ha trasferito la residenza potrà usufruire dell’aliquota ridotta e della intera detrazione pari a 200 euro prevista. Poiché per l’Imu non è prevista la possibilità da parte dei Comuni di assimilare ad abitazione principale l’immobile dato in uso gratuito a parenti, le due sorelle, pur essendo comproprietarie, non possono allo stato attuale usufruire di alcuna agevolazione. Saranno pertanto tenute al pagamento del tributo come “altro fabbricato”, utilizzando l’aliquota relativa a immobili diversi dall’abitazione principale. La soluzione, per evitare questo salasso economico può essere di due tipi:

1)     Dove i regolamenti comunali sull’imposta municipale lo prevedono, è possibile usufruire di una alIquota ridotta per gli immobili concessi in comodato d’uso gratuito a parenti fino al primo grado. Questa ipotesi è consentita solo in alcuni Comuni e con aliquote non sempre molto convenienti (ad esempio a Gaeta (LT) si usufruirebbe di una aloquota dello 096% in luogo dello 1. 06% ;

2)     L’ipotesi migliore in termini di convenienza economica, consiste nel concedere in usufrutto l’immobile (usufrutto a titolo gratuito) sostenendo le spese notarili e le imposte relative, ma consentendo alle due sorelle di non versare l’IMU per la durata del contratto. Infatti con l’usufrutto, regolarmente registrato, è solo il fratello che ha l’usufrutto/possesso dell’immobile ad essere soggetto passivo dell’imposta municipale. In tal modo in pochi anni (2/3) già si è nelle condizioni di rientrare delle spese sostenute.

Infatti, una delle novità più rilevanti introdotte con l’Imu, rispetto all’Ici, è la previsione che l’aliquota agevolata per la prima casa si applica non più al singolo contribuente, ma al nucleo familiare. Di conseguenza sono stati trasferiti nell’ambito delle seconde case molti alloggi che, in precedenza, non pagavano nulla, in forza dell’esenzione da Ici che era prevista per le prime case. è successo, ad esempio, per il caso di due appartamenti contigui, resi comunicanti, ma intestati l’uno al marito e l’altro alla moglie. Ora uno dei due non sarà più prima casa. Lo stesso vale per la prassi, sconsigliata dai professionisti più responsabili, ma in passato abbastanza praticata, di considerare prima casa per uno dei coniugi l’alloggio in località turistica, facendovi trasferire la residenza al coniuge intestatario. In queste circostanze non resta che fare buon viso a cattivo gioco e rinunciare allo sconto.  
Ma ci sono altre situazioni, messe in atto in passato senza l’intento di sottrarsi al carico fiscale, che oggi possono essere riconsiderate a seguito dell’introduzione dell’Imu. Si pensi al caso in cui persone non più giovanissime, venute nella determinazione di acquistare una casa per sé, l’hanno intestata ai figli, nell’intento di risparmiare sulle future imposte di successione. Spesso la posizione dei genitori veniva tutelata con un semplice contratto di comodato. Ora questo non è più sufficiente e per i figli l’alloggio, anche se in uso gratuito ai genitori, viene tassato con l’aliquota della seconda casa.

La Soluzione

Consiste in un atto con il quale i figli, titolari della piena proprietà, costituiscono a favore dei genitori il diritto di usufrutto a titolo gratuito. In questo modo l’alloggio risulta abitato dall’usufruttuario, che è l’unico soggetto tenuto al pagamento dell’Imu, con l’aliquota agevolata prevista per l’abitazione principale (nel caso in oggetto il fratello paga imposta e le sorelle sono esentate). Negli studi notarili questo tipo di atto comincia già ad essere richiesto il costo non è eccessivo, poichè se si tratta di un immobile di un certo pregio, a fronte di imposte di trasferimento inferiori ai mille euro e spese calcolate in base al valore dell’alloggio, l’operazione viene ammortizzata con il risparmio fiscale di un paio d’anni. L’aliquota Imu per la seconda casa, infatti, risulta più che doppia rispetto a quella per la prima, ma è importante ricordare che l’imu è su base mensile, pertanto chi è interessato per l’anno 2013 deve attivarsi fin da subito per attivarsi con il contratto di usufrutto a titolo gratuito.

Può dunque valere la pena di recarsi presso uno studio notarile, al fine di verificare se ci sono i presupposti per l’operazione e chiedere un preventivo per imposte e spese. Il tutto dopo aver calcolato, se necessario con l’aiuto del Caaf o di un commercialista, il carico Imu dell’alloggio, sia come prima sia come seconda casa. Si tratta, è opportuno sottolinearlo, di un’operazione del tutto lecita, che l’amministrazione finanziaria non può qualificare come elusiva o strumentale, in quanto mira a riconoscere un diritto reale sull’alloggio in capo al soggetto che lo occupa e che, nella maggior parte dei casi, ha pagato a suo tempo il prezzo dell’acquisto.

 

CONTRIBUTI ALLE IMPRESE “VOUCHER” MILIONI DI EURO PER L’ACQUISTO DI SERVIZI INNOVATIVI DELLE MICRO E PICCOLE IMPRESE DELL’UNIONE EUROPEA

0

Obiettivo: sostenere l’acquisto di servizi utili allo sviluppo, alla realizzazione e alla diffusione di idee innovative proposte da micro e piccole imprese e rendere più trasparente l’offerta di tali servizi da parte di soggetti qualificati.    

Contributi alle Imprese “Voucher”   milioni di euro per l’acquisto di servizi innovativi delle micro e piccole imprese dell’Unione europea            

Obiettivo: sostenere l’acquisto di servizi utili allo sviluppo, alla realizzazione e alla diffusione di idee innovative proposte da micro e piccole imprese e rendere più trasparente l’offerta di tali servizi da parte di soggetti qualificati.   

Possono partecipare micro e piccole imprese di produzione e/o di servizi alla produzione con un minimo di complessità organizzativa, localizzate nell’intero territorio della Regione Lazio.   

Voucher:  Finanziamento totale 4 milioni di Euro Contributo massimo 29. 000,00 Euro

Presentazione domande: entro il 30 giugno 2013

Durata massima: 12 mesi

Ente attuatore: Filas spa

Requisito di accesso: Media ponderata imponibile IRAP degli ultimi 3 anni: 15. 000,00 Euro

Sono finanziabili le seguenti tipologie di servizi:

A.     servizi di gestione della proprietà intellettuale;

B.     servizi tecnologici;

C.     servizi di supporto all’utilizzo del design;

D.    Servizi per l’aggiornamento organizzativo, la crescita dimensionale e la ricerca di nuovi mercati.  

I servizi potranno essere oggetto di agevolazione solo ed esclusivamente se forniti da:

·        Organismi di Ricerca, così come definiti dalla normativa comunitaria (regolamento CE 800/2008), compresi gli incubatori di impresa, che abbiano acquisito un livello adeguato di specializzazione nelle discipline oggetto del servizio;

·        Imprese o liberi professionisti, iscritti agli Albi professionali di riferimento, con un elevato livello di specializzazione nella fornitura dei servizi in oggetto, con un fatturato annuo pari almeno ad f 150. 000,00 per i servizi alle lettere A, B e C, e pari ad almeno f 300. 000,00 per i servizi alla lettera D.

Si può richiedere un contributo nel rispetto del regime di aiuto de minimis, pari al 70% delle spese ritenute congrue ed ammissibili.

Le domande si presentano esclusivamente per via telematica utilizzando il modulo predisposto e disponibile sul sito internet filas. It, sezione “Bandi”. L’inoltro on-line del formulario potrà avere luogo, secondo il sistema a sportello, a partire dal giorno successivo alla data di pubblicazione del formulario stesso sul BURL, fino al 30 giugno 2013, salvo esaurimento del fondo nel corso del periodo indicato.  

NAVI ADIBITE AD OPERAZIONI DI SALVATAGGIO O DI ASSISTENZA IN MARE NON IMPONIBILITÀ IVA

0

Istanza di interpello: Regime di non imponibilità IVA applicabile alle navi adibite ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare –  art. 8-bis del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633. Con la richiesta di interpello specificata in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 8-bis del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stato esposto il seguente…

Navi adibite ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare non imponibilità IVA

Istanza di interpello: Regime di non imponibilità IVA applicabile alle navi adibite ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare –  art. 8-bis del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633

Con la richiesta di interpello specificata in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 8-bis del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stato esposto il seguente:

QUESITO

Il  Corpo  forestale  dello  Stato  dispone  di  alcune  motovedette,  in  via  di iscrizione al Registro delle navi e galleggianti in servizio governativo non commerciale, e di altri mezzi minori, iscritti in un proprio registro, per il pattugliamento degli ecosistemi marini e delle acque interne. Il personale nautico è formato presso la Scuola della Marina Militare.

Si osserva che il Corpo Forestale dello Stato impiega le proprie unità nautiche in tutti i compiti di istituto, come le attività di pubblico soccorso e gli interventi di protezione  civile.   L’art.   1  della  Legge  n.   36  del  2004  specifica  che  il  Corpo Forestale dello Stato è una struttura operativa nazionale di protezione civile. La stessa Legge, all’art. 2, ribadisce la competenza in materia di pubblico soccorso e interventi di rilievo nazionale di protezione civile su tutto il territorio nazionale.

Inoltre, il Corpo Forestale dello Stato intrattiene rapporti di collaborazione con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto, formalizzati da un protocollo d’intesa. Con riferimento al Piano Nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare, approvato in data 25 novembre 1996, tale collaborazione ha portato alla definizione di un nuovo documento di programmazione di missioni congiunte, con equipaggi misti formati da personale sia del Corpo Forestale dello Stato che del Corpo delle Capitanerie di Porto. Ciò anche per ottimizzare le risorse umane ed economiche nell’espletamento del servizio di vigilanza e soccorso in mare.

Tutto ciò premesso, l’istante chiede se, in seguito alla riformulazione dell’art. 8-bis del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, da parte dalla Legge 15 Dicembre 2011, n. 217 (Legge Comunitaria per il 2010), sia venuta meno la possibilità di godere del regime di non imponibilità in relazione alle spese inerenti i propri mezzi navali, compresa la fornitura di carburanti e lubrificanti.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’ISTANTE

Il Corpo Forestale dello Stato ritiene che i mezzi nautici che impiega nei propri compiti istituzionali ricadano nell’ambito di applicazione del primo comma, lett. A), dell’art. 8-bis del D. P. R. N. 633 del 1972, in quanto adibiti ad “operazioni di salvataggio o di assistenza in mare”.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

L’articolo  8  della  legge  15  dicembre  2011,  n.   217  (di  seguito  Legge Comunitaria 2010), rubricato “Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2010/24/UE, sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure, nonché disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto”, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina dell’Imposta sul Valore Aggiunto,  adeguando la normativa interna a quella comunitaria nonché ai principi interpretativi della Corte di giustizia.

In  particolare,  il  comma  2,  lettera  e),  n.   4,  del  citato  articolo  8,  con riferimento al regime di non imponibilità delle operazioni nel settore aeronavale, ha modificato l’articolo 8-bis del DPR n. 633 del 1972, che nella novellata versione dispone testualmente: “Sono assimilate alle cessioni all’esportazione, se non comprese nell’articolo 8:

a) le cessioni di navi adibite alla navigazione in alto mare e destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca nonché le cessioni di navi adibite alla pesca costiera o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unità da diporto di cui alla legge 11 febbraio 1971, n. 50;

a-bis) le cessioni di navi di cui agli articoli 239 e 243 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;

b)  le  cessioni  di  aeromobili,  compresi  i  satelliti,  ad  organi  dello  Stato ancorché dotati di personalità giuridica;

c) le cessioni di aeromobili destinati a imprese di navigazione aerea che effettuano prevalentemente trasporti internazionali;

d) le cessioni di apparati motori e loro componenti e di parti di ricambio degli stessi e delle navi e degli aeromobili di cui alle lettere precedenti, le cessioni di  beni  destinati  a  loro  dotazione  di  bordo  e  le  forniture  destinate  al  loro rifornimento e   vettovagliamento, comprese le somministrazioni di alimenti e di bevande a bordo ed escluse, per  le  navi adibite alla pesca costiera, le provviste di bordo;

e) le prestazioni di servizi, compreso l’uso di bacini di carenaggio, relativi alla    costruzione, manutenzione, riparazione, modificazione, trasformazione, assiemaggio, allestimento,  arredamento, locazione e noleggio delle  navi e degli aeromobili  di  cui  alle  lettere  a),  a-bis),  b)  e  c),  degli  apparati  motori  e  loro componenti e ricambi e delle dotazioni di bordo, nonché le prestazioni di servizi relativi alla demolizione  delle navi di cui alle lettere a), a-bis) e b);

e-bis) le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alla lettera e) direttamente destinate a sopperire ai bisogni delle navi e degli aeromobili di cui alle lettere a), a-bis) e c) e del loro carico.

Le disposizioni del secondo e terzo comma dell’art. 8 si applicano, con riferimento  all’ammontare  complessivo  dei  corrispettivi delle operazioni indicate nel precedente comma, anche per gli acquisti di beni, diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e di servizi fatti dai soggetti che effettuano le operazioni stesse nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa”.

Il regime di non imponibilità resta quindi applicabile, anche a seguito delle modifiche  normative   in  esame,   alle   imbarcazioni   adibite   alle   operazioni   di salvataggio o di assistenza in mare.

In relazione alla norma in commento, il Dipartimento delle finanze ha osservato, in risposta alla richiesta di parere formulata dall’Agenzia delle Entrate, che la modifica normativa di cui all’articolo 8 della legge 15 dicembre 2011, n. 217, si è resa necessaria per superare le incompatibilità con l’ordinamento comunitario della norma previgente, che esplicitamente accordava il regime di non imponibilità a tutte “le cessioni di navi (. ) ad organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica” e che, pertanto, l’estensione del regime di non imponibilità a tutte le imbarcazioni utilizzate dallo Stato per fini istituzionali reintrodurrebbe nell’ordinamento interno una delle previsioni già contestate dagli organi comunitari con la procedura d’infrazione n. 2008/4219.

Tenuto conto di quanto osservato dal Dipartimento delle finanze nel citato parere con riferimento al caso in esame, la scrivente ritiene che le unità nautiche in dotazione del Corpo forestale dello Stato, impiegate prevalentemente “per il pattugliamento degli ecosistemi marini e delle acque interne”, non siano istituzionalmente adibite ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare e, di conseguenza, non possano beneficiare del regime di non imponibilità IVA, ai sensi del primo comma, lett. A), dell’articolo 8-bis del D. P. R. N. 633 del 1972.

Potranno beneficiare, invece, del suddetto regime di non imponibilità le unità nautiche del Corpo forestale dello Stato che siano utilizzate  nell’espletamento di un servizio di pubblica utilità riconducibile ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare.

Articoli più letti

Iscriviti

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sul mondo delle normative e legge per il fisco e tributi!

No grazie!