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Omesso versamento delle ritenute

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Il Tribunale di Sassari, con ordinanza del 7. 4. 2014, ha revocato, in accoglimento del proposto riesame, l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale, in data 14. 3. 2014, era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente – fino alla concorrenza della somma di euro 82. 788,00 – in danno di Q. Sottoposto ad indagini per il reato di omesso versamento, entro il termine per la presentazione della dichiarazione modello 770/10, per l’anno 2009, delle ritenute risultanti dalla certificazione dei sostituti di imposta.

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2014, n. 51436

1. Il Tribunale di Sassari, con ordinanza del 7. 4. 2014, ha revocato, in accoglimento del proposto riesame, l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale, in data 14. 3. 2014, era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente – fino alla concorrenza della somma di euro 82. 788,00 – in danno di Q. Sottoposto ad indagini per il reato di omesso versamento, entro il termine per la presentazione della dichiarazione modello 770/10, per l’anno 2009, delle ritenute risultanti dalla certificazione dei sostituti di imposta.

Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 45 cod. Pen. Che i giudici del riesame avrebbero erroneamente applicato ritenendo che l’inadempimento fosse collegato alla mancata riscossione di crediti vantati dalla società dell’indagato nei confronti di terzi e che l’aver concordato con l’Agenzia delle Entrate un piano di rateizzazione del dovuto a distanza di tre anni fosse indice di una condotta non realizzabile se non a discapito dei dipendenti.

Aggiunge che le conclusioni cui è giunto il Tribunale sarebbero in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, non adeguatamente considerata dal Tribunale e che la volontarietà della scelta di non effettuare i versamenti sarebbe chiaramente desumibile dai contenuti della memoria difensiva prodotta in sede di riesame ed allegata al ricorso, dalla quale emergerebbe anche che la rateizzazione del debito con l’Agenzia delle Entrate sarebbe avvenuta non spontaneamente, bensì a seguito di avviso bonario.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

3. In data 16. 11. 2014 la difesa dell’indagato ha depositato in cancelleria una memoria difensiva con la quale richiedeva il rigetto del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.

Il reato in esame, come è noto, si consuma con il mancato versamento, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila, delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale.

La condotta comporta, sostanzialmente, la indebita appropriazione di somme altrui di cui si ha la detenzione e tale evenienza, come pure si è ricordato ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame per asserito contrasto con l’art. 3 Cost. (Sez. IlI n. 10120, 11 marzo 2011), rende del tutto irrilevanti eventuali difficoltà economiche impreviste, o la circostanza che non sia stata rilasciata al sostituto alcuna certificazione o quella del rilascio di certificazione mendace.

Inoltre, quanto all’elemento soggettivo, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il reato è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva (sez. IlI n. 25875, 7 luglio 2010. V. Anche SS. UU n. 37425, 12 settembre 2013). La prova del dolo, secondo la citata pronuncia delle Sezioni Unite, è insita, in genere, nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi.

Sempre nella medesima decisione, le Sezioni Unite hanno posto in evidenza il collegamento intercorrente tra il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute e l’erogazione degli emolumenti ai collaboratori, con la conseguenza che, quando queste ultime vengono effettuate dal sostituto d’imposta, insorge a suo carico un obbligo di accantonamento delle somme dovute all’Erario e di organizzazione, su scala annuale, delle risorse disponibili, in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

2. Ciò premesso, si osserva che il Tribunale, nel ritenere insussistente il fumus del reato ipotizzato, ha ritenuto configura bile, nella fattispecie, una causa di forza maggiore, individuata in una sopravvenuta illiquidità conseguente alla mancata riscossione di crediti vantati dall’indagato verso soggetti terzi e che la volontarietà della condotta omissiva attribuitagli sarebbe esclusa anche dall’accordo intervenuto con l’Agenzia delle Entrate.

Tale assunto, tuttavia, si pone in contrasto con i principi ripetutamente affermati da questa Corte che risultano anche, come pure evidenziato dal Pubblico Ministero ricorrente, non richiamati del tutto correttamente.

3. Va rilevato, in linea generale, come la forza maggiore sia individuabile in un evento di origine naturale o umana imprevedibile o, anche se preveduto, inevitabile.

Conseguentemente, essa non è invocabile nel caso in cui l’agente stesso si sia posto in condizioni di illegittimità, ponendo in essere una condotta non conforme alla legge o alle regole generali di prudenza e diligenza (v. Ad es. , Sez. IV n. 10823, 19 marzo 2010; Sez. IV n. 5548, 19 novembre 2009 ed altre prec. E succ. Conf. ).

Inoltre incombe, su colui che invoca l’applicazione dell’esimente, un onere di allegazione di elementi precisi e specifici che consentano al giudice di verificare la sussistenza della forza maggiore o del caso fortuito (Cass. Sez. Il n. 20171, 10 maggio 2013).

4. Con specifico riferimento alla rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’art. 45 cod. Pen. , delle difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente, si è affermato che esse non possono essere ricondotte al concetto di forza maggiore, il quale, presupponendo la sussistenza di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, tanto da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non può conseguentemente ricollegarsi ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente medesimo (Sez. I n. 18402, 24 aprile 2013, citata anche dal ricorrente).

Tali principi sono stati enunciati anche in tema di omesso versamento delle ritenute fiscali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e la questione è stata nuovamente affrontata dopo la pronuncia delle Sezioni Unite di cui si è detto in precedenza (SS. UU n. 37425, 12 settembre 2013).

5. In particolare (Sez. IlI n. 20266, 15 maggio 2014), dopo aver richiamato le affermazioni del supremo organo nomofilattico ed i precedenti arresti di questa Sezione (Sez. IlI n. 15416, 4 febbraio 2014, non massimata; Sez. IlI n. 5467, 4 febbraio 2014; Sez. IlI n. 37528, 13 settembre 2013) sono state ritenute non rilevanti, ai fini dell‘applicabilità della forza maggiore o dello stato di necessità, le diverse ipotesi in cui si ritenga di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti per evitare licenziamenti, si sia dovuto pagare i debiti ai fornitori, pena il fallimento della società, ovvero si sia verificata la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato (V. Anche, in tema di crisi di liquidità, Sez. IlI n. 39880, 26 settembre 2014 non massimata; Sez. III n. 30595, 11 luglio 2014, non massimata; Sez. IlI n. 28549, 3 luglio 2014, non massimata; Sez. IlI n. 24341, 10 giugno 2014; Sez. IlI 23532, 5 giugno 2014; Sez. IlI 23531, 5 giugno 2014; Sez. IlI n. 28459, 29 maggio 2014, Sez. IlI n. 19426, 12 maggio 2014, Sez. IlI n. 13019, 20 marzo 2014 non massimate).

Si rilevava, inoltre, che tale orientamento non si pone in contrasto con altre decisioni (Sez. IlI n. 10813, 6 marzo 2014, non massimata; Sez. IlI n. 5467, 4 febbraio 2014. V. Anche Sez. IlI n. 3124, 23 gennaio 2014) nelle quali si ammette la possibilità, in astratto, di casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, a condizione, però, che l’imputato dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non avrebbero potuto essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.

6. Da tali principi non si discosta neppure la sentenza che il Tribunale menziona a sostegno delle propria decisione (Sez. IlI n. 5905, 7 febbraio 2014).

Tale pronuncia, dopo ampi richiami ai principi giurisprudenziali elaborati in materia di forza maggiore, evidenzia che anche con riferimento al reato di cui all’articolo 10-bis d. Lgs. 74/2000 non può escludersi in assoluto che la omissione dei versamenti possa derivare in toto «da una causa di forza maggiore, la quale, tenuto conto della conformazione del reato, ragionevolmente può anche configurarsi, a seconda dei casi concreti, in una imprevista e imprevedibile indisponibilità del necessario denaro non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell’imprenditore».

Riguardo all’elemento soggettivo si osserva, poi, che «. Pur non avendo l’imputato onere probatorio, si esige il suo adempimento di uno specifico onere allegatorio qualora eserciti il suo diritto di difesa adducendo la carenza dell’elemento soggettivo. Invero, non essendo possibile dimostrare un elemento negativo se non è convertibile in specifici elementi positivi da cui desumerlo (e quindi la dimostrazione dell’assenza del dolo direttamente quale prova negativa sarebbe probatio diabolica) in un caso del genere l’imputato ha onere di allegare indicando all’ufficio gli elementi necessari all’accertamento di fatti ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (così, da ultimo Cass. Sez. Il, 7 febbraio 2013 n. 20171 e prec. Conformi)».

La decisione in esame, tuttavia, non manca di ricordare come la configurabilità della forza maggiore sia correlata ad ipotesi in cui la causa della condotta criminosa non sia attribuibile a chi materialmente la pone in essere e, data tale necessaria premessa, non esclude la possibilità, in astratto, che ciò possa avvenire anche per contingenti difficoltà economiche opportunamente documentate.

Le conclusioni cui giunge la citata sentenza sono, dunque, del tutto coincidenti con le altre decisioni in precedenza menzionate, i cui contenuti sono pienamente condivisi dal Collegio.

7. Ciò posto, pare evidente che il mero verificarsi di una situazione di crisi finanziaria non comporta automaticamente la sussistenza di una condizione riconducibile a quella contemplata dall’art. 45 cod. Pen. , assumendo rilevanza le cause e la tempistica di una tale evenienza, nonché le scelte in concreto operate dal soggetto agente.

8. A tale proposito paiono pienamente pertinenti le osservazioni formulate dal Pubblico Ministero ricorrente, laddove osserva che l’inadempimento dei propri debitori è un’eventualità insita nel rischio di impresa, così come la utilizzazione degli importi relativi alle ritenute per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale o il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti costituisce una deliberata scelta dell’imprenditore.

Nondimeno, assume rilievo anche [‘imprevedibilità della crisi finanziaria, a differenza di ciò che avverrebbe se la mancanza di liquidità fosse nota all’imprenditore, difettando così un necessario presupposto per la configurabilità della forza maggiore.

Si tratta, dunque, di dati fattuali non indifferenti ai fini della valutazione sulla sussistenza in concreto di una ipotesi di forza maggiore, valutazione che, nella fattispecie, il Tribunale non ha effettuato.

9. I giudici del riesame, invero, tenendo conto delle condizioni di difficoltà dell’impresa conseguenti alla mancata riscossione di crediti, danno pacificamente atto del fatto che, a fronte di tale situazione, l’indagato aveva «privilegiato la scelta» di corrispondere le retribuzioni ai propri dipendenti, circostanza che, come rileva il ricorrente, lo stesso indagato aveva esplicitato negli stessi termini in una memoria difensiva prodotta in sede di riesame. Nella stessa memoria, osserva sempre il P. M, ricorrente, si afferma testualmente che l’accordo con l’Agenzia delle Entrate era avvenuto «in adesione all’avviso bonario» allegato in copia (analoghe considerazioni vengono svolte nella memoria difensiva depositata il 16. 11. 2014).

Tali evenienze non consentivano, dunque, di porre in diretta correlazione la crisi finanziaria con l’impossibilità, determinata da forza maggiore, di effettuare o dovuti versamenti, ostando, come si è detto, all’applicazione dell’art. 45 cod. Pen. , né permettevano di escludere comunque la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

10. Vanno conseguentemente ribaditi i principi dianzi ricordati, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sassari, che ad essi dovrà attenersi procedendo ad un nuovo esame della vicenda sottoposta al suo giudizio.

Cubatura: riaperti i termini per la rivalutazione fino al 30 giugno 2015

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La legge di stabilità ha riaperto fino al 30 giugno 2015  i termini per l’affrancamento delle plusvalenze relative ai diritti di cubatura  purché siano posseduti alla data del 1° gennaio 2015 da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività di impresa, oppure da società semplici ed enti non commerciali, anche non residenti.

CUBATURA: riaperti i termini per la rivalutazione e l’affrancamento al 8%

La legge di stabilità ha riaperto fino al 30 giugno 2015  i termini per l’affrancamento delle plusvalenze relative ai diritti di cubatura  purché siano posseduti alla data del 1° gennaio 2015 da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività di impresa, oppure da società semplici ed enti non commerciali, anche non residenti.

La plusvalenza da cessione ed il risparmio di imposta conseguito

La facoltà di rivalutare il diritto di cubatura è vantaggiosa ai fini della riduzione o dell’annullamento della plusvalenza tassabile ai sensi dell’articolo 67 del Tuir (DPR 917/86) in occasione di una cessione a titolo oneroso. Pertanto in tal modo a fronte di un gettito  medio di imposta sulla plusvalenza da cessione pari al 43% (ad eccezione della tassazione separata che può essere mediamente inferiore di un 8%), il cedente sconta un affrancamento secco del 8% (pagabile in tre comode rate o in unica soluzione).  

Consigliato, tramite l’acconto incassato con preliminare di cessione antecedente al rogito (entro 30. 06. 2015), il cedente può pacificamente versare l’imposta sostitutiva in unica rata e chiudere la partita con il Fisco.

L’Aliquota

L’affrancamento può essere effettuato dietro pagamento di una imposta sostitutiva che va calcolata applicando una aliquota del 8% rispetto al valore attribuito ai diritti di cubatura tramite perizia asseverata in tribunale da tecnico iscritto all’albo (requisito della certificazione) o dal notaio (maggiormente onerosa). Nell’ipotesi in cui il terreno fosse ceduto prima del 30 giugno 2015, la perizia dovrà essere esposta prima del rogito dal momento che il valore periziato costituisce il valore minimo di riferimento anche ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute in occasione dell’atto di vendita.

Le rate

La norma prevede due ipotesi per il versamento dell’imposta da affrancamento:

1.       unica soluzione con F24 (codice 8056) entro il 30. 06. 2015;

2.       tre rate con quota capitale di pari importo con scadenze:

a.         30. 06. 2015;

b.      30. 06. 2016 maggiorata di interessi del 3% (codice unico 8056);

c.       30. 06. 2017 maggiorata di interessi del 3% (codice unico 8056).

Resta salvo il diritto in capo al contribuente (garantito da prassi, giurisprudenza e dottrina) che volesse avvalersi nuovamente della rivalutazione, di non versare l’8% per intero ma limitarsi alla differenza.

Per info o conferimento di incarichi potete contattarci al  

Numero Verde 800. 19. 27. 52  

oppure inviando mail a:  rivalutazioni@networkfiscale. Com

Rivalutazione di Terreni Edificabili: riaperti i termini fino al 30 giugno 2015

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La legge di stabilità 2015 ha riaperto fino al 30 giugno 2015 i termini per l’affrancamento delle plusvalenze relative a terreni edificabili o agricoli (in tal senso anche la cessione di cubatura) purché siano posseduti alla data del 1° gennaio 2015 da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività di impresa, oppure da società semplici ed enti non commerciali, anche non residenti.

Rivalutazione terreni edificabili: riaperti i termini per l’affrancamento

La legge di stabilità 2015 ha riaperto fino al 30 giugno 2015  i termini per l’affrancamento delle plusvalenze relative a terreni edificabili o agricoli (in tal senso anche la cessione di cubatura) purché siano posseduti alla data del 1° gennaio 2015 da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività di impresa, oppure da società semplici ed enti non commerciali, anche non residenti.

La plusvalenza da cessione ed il risparmio di imposta conseguito

La facoltà di rivalutare il valore d’acquisto delle aree edificabili è vantaggiosa ai fini della riduzione o dell’annullamento della plusvalenza tassabile ai sensi dell’articolo 67 del Tuir (DPR 917/86) in occasione di una cessione a titolo oneroso (in tal senso anche la permuta del terreno in cambio di immobili) delle aree in questione. Pertanto in tal modo a fronte di un gettito  medio di imposta sulla plusvalenza da cessione pari al 40% (ad eccezione della tassazione separata che può essere mediamente inferiore di un 5%), il cedente sconta un affrancamento secco del 8% (pagabile in tre comode rate o in unica soluzione).  Consigliato, tramite l’acconto incassato con preliminare di cessione antecedente al rogito (entro 30. 06. 2015), il cedente può pacificamente versare l’imposta sostitutiva in unica rata e chiudere la partita con il Fisco.

L’Aliquota

L’affrancamento può essere effettuato dietro pagamento di una imposta sostitutiva che va calcolata applicando una aliquota del 8% rispetto al valore attribuito all’area tramite perizia asseverata in tribunale da tecnico iscritto all’albo (requisito della certificazione) o dal notaio (maggiormente onerosa). Nell’ipotesi in cui il terreno fosse ceduto prima del 30 giugno 2015, la perizia dovrà essere esposta prima del rogito dal momento che il valore periziato costituisce il valore minimo di riferimento anche ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute in occasione dell’atto di vendita.

Le rate

La norma prevede due ipotesi per il versamento dell’imposta da affrancamento:

1.       unica soluzione con F24 (codice 8056) entro il 30. 06. 2015;

2.       tre rate con quota capitale di pari importo con scadenze:

a.         30. 06. 2015;

b.      30. 06. 2016 maggiorata di interessi del 3% (codice unico 8056);

c.       30. 06. 2017 maggiorata di interessi del 3% (codice unico 8056).

Resta salvo il diritto in capo al contribuente (garantito da prassi, giurisprudenza e dottrina) che volesse avvalersi nuovamente della rivalutazione per un’area già rivalutata in passato, di non versare il 8% per intero ma limitarsi alla differenza.

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Duediligence.it: Acquisito dominio

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Continua la crescita del portale Networkfiscale. Com, portata a termine con successo la trattativa di acquisizione con una azienda di Piacenza del dominio duediligence. It durata tredici mesi.

Duediligence. It: Acquisito dominio dopo 13 mesi di trattive

Continua la crescita del portale NF. Com, portata a termine con successo la trattativa di acquisizione con una azienda di Piacenza del dominio duediligence. It durata tredici mesi.

Dominio che completa la presenza ed il posizionamento in Italia per i servizi di due diligence alle imprese e che conterà a breve su di un proprio sito dedicato.

Dopo l’invito a Riccione nel 2013 da parte della Passepartout Spa, in qualità di special guest per il tema “Cloud”, nel 2014 Network Fiscale S. R. L. è cresciuta promuovendo il servizio di assistenza contabile e tributario in tutta Italia, con clienti nel Lazio, Sardegna, Umbria, Toscana e Lombardia ed ottenendo un incremento del fatturato dell’80% rispetto al precedente esercizio.

Nel 2015 l’azienda è proiettata a concretizzare le trattative in corso per l’acquisizione di nuovi clienti, un portale internet ed un dominio di primario livello, consolidando posizionamento internet e trend di crescita del fatturato.  

Legge di stabilità 2015: sintesi

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Pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2014 la Legge 23. 12. 2014 n° 190 , G. U. 29. 12. 2014 (Legge di Stabilità 2015), norma strutturata da un unico articolo e 735 commi.

Legge di stabilità 2015: sintesi

 

Pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2014 la Legge 23. 12. 2014 n° 190 , G. U. 29. 12. 2014

(Legge di Stabilità 2015), norma strutturata da un unico articolo e 735 commi.

Sintesi dei principali elementi:

·         rivalutazione quote sociali, terreni e cubatura: riaperti i termini fino al 30. 06. 2015;

·         Irap: eliminato il cuneo fiscale irap;

·         buoni pasto: aumenta da 5,29 euro a 7 euro l’importo dei ticket elettronici non sottoposo a tassazione (dal 1° luglio 2015);

·         80 euro in busta paga: la misura diventa definitiva;

·         ebook: aliquota IVA dal 22% al 4%;

·         regime dei minimi: il vecchio regime fiscale (5%) è sostituito da un nuovo regime a forfait variabile da attività ad attività, con una aliquota d’imposta del 15% da calcolare, in base all’attività, non più sulla differenza ricavi/costi ma in base ad uno specifico coefficiente;

·         bollo auto storiche: abrogata l’esenzione per le auto comprese tra 20 e 30 anni di età mentre resta quella per le auto con più di 30 anni;

·         bonus bebè: 80 euro al mese per 3 anni per bambini nati o adottati entro il 31 dicembre 2015 riservato a famiglie con tetto Isee pari a 25mila euro annui. L’importo mensile raddoppia (cioè 160 euro al mese per 3 anni) in caso di famiglia in condizioni di povertà assoluta (valore Isee sotto i 7mila euro);

·         canone Rai 2015: importo congelato, identico ammontare del 2014 (113,50 euro);

·         ecobonus: prorogate di un anno (2015) le aliquote massime degli sconti fiscali su ristrutturazioni edilizie (50% che scenderà al 36% nel 2016) e riqualificazione energetica delle abitazioni (65%, esteso anche alle caldaie a biomasse);

·         evasione: nuove misure di contrasto e quota riconosciuta ai Comuni pari al 55% per la compartecipazione al recupero nel triennio 2015/2017;

·         Imu-Tasi: bloccato per il 2015 il tetto massimo (2,5 per mille) fino al quale i comuni possono aumentare l’imposizione fiscale sulla prima casa con un aumento extra limitato allo 0,8 per mille (quindi in totale 3,3 per mille) che scongiura quindi l’iniziale intenzione di innalzare la tassa fino al 6 per mille;

·         pellet: l’Iva sale dal 10 al 22%;

·         TFR in busta paga su base volontaria (con tassazione ordinaria) e senza costi per le imprese (buste paga comprese tra il 1° marzo 2015 e il 30 giugno 2018);

·         mobili: prorogato fino al 31 dicembre 2015 il bonus per detrarre il 50% sull’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici (10 rate annuali e importo massimo pari a 10mila euro) in abbinamento a ristrutturazione edilizia;

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Inventario – Magazzino: adempimenti contabili, civilistici e fiscali

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La redazione dell’inventario è  adempimento  obbligatorio  dettato  dalle  norme  civilistiche  e  fiscali,  che  rappresenta  un momento importante per ciascuna azienda. Una corretta predisposizione dell’inventario è indispensabile per avere la chiara ed esatta conoscenza delle giacenze di magazzino dell’impresa, anche presso terzi (in conto deposito, conto lavorazione, conto installazione, ecc. ) alla fine dell’esercizio.

Inventario – Magazzino: adempimenti contabili, civilistici e fiscali

La redazione dell’inventario è  adempimento  obbligatorio  dettato  dalle  norme  civilistiche  e  fiscali,  che  rappresenta  un momento importante per ciascuna azienda. Una corretta predisposizione dell’inventario è indispensabile per avere la chiara ed esatta conoscenza delle giacenze di magazzino dell’impresa, anche presso terzi (in conto deposito, conto lavorazione, conto installazione, ecc. ) alla fine dell’esercizio.

Il dettaglio delle rimanenze con l’indicazione dei criteri di valutazione utilizzati dovrà infatti essere stampato nel libro inventari ed essere conservato ed esibito nel caso di richiesta da parte degli organi verificatori dell’amministrazione finanziaria. Le  imprese  che  adottano  la contabilità semplificata,  pur  essendo obbligate alla redazione dell’inventario, sono esonerate dalla tenuta del libro inventari.

CONSIGLIATO: tutte le imprese devono  elaborare  analiticamente all’inventario  di tutti i beni in giacenza a fine anno.

Il libro inventari (laddove obbligatorio) deve essere stampato e sottoscritto dall’imprenditore entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette.

Le aziende che hanno affidato al proprio consulente la tenuta dei libri contabili obbligatori sono tenute a consegnargli  una versione dell’inventario.

In allegato prospetto da compilare ed inviare allo Studio

GUIDA E VADEMECUM PER LA  VALUTAZIONE DEL MAGAZZINO

Ai sensi dell’art. 2426 punto 9 del Codice civile, le rimanenze vanno iscritte in bilancio al costo d’acquisto o di produzione, oppure, se minore, al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato. Oltre al metodo puntuale, dal quale sono valutati singolarmente tutti i beni, è possibile calcolare il costo dei beni fungibili (cioè beni identici anche se acquistati in momenti diversi) utilizzando le metodologie Fifo, Lifo e Costo Medio Ponderato. Queste ultime metodologie vengono generalmente utilizzate dalle aziende che dispongono di un programma informatico dedicato alla gestione del magazzino.

 

*Le  società  di  capitali  dovranno  fornire  allo  Studio  entrambe  le  valutazioni  (civilistico  e  fiscali), verificando che i propri programmi gestionali prevedano la possibilità di tali informazioni, infatti qualora la valutazione civilistica produca valori inferiori a quelli accettati dal fisco, il maggior valore verrà ripreso a tassazione in dichiarazione. Qualora ad esempio la valutazione a costo ultimo delle rimanenze portasse ad una valutazione del magazzino sensibilmente inferiore rispetto a quella raggiungibile utilizzando il metodo del FIFO, (metodologia che più si avvicina al metodo del costo ultimo), allora in dichiarazione sarebbe necessario procedere alla variazione in aumento per la differenza.

Pertanto, l’impresa dovrà redigere l’inventario analitico del magazzino con riferimento alla situazione esistente a fine anno,  nel quale dovranno essere indicate le giacenze secondo i seguenti criteri:

Merci:  distinta analitica di tutte le merci raggruppate secondo categorie omogenee (per natura e valore) con l’indicazione del criterio valutativo adottato (costo specifico, Lifo, Fifo, Costo medio ponderato).

Materie prime: distinta  analitica  di  tutte  le  materie  prime  raggruppate  secondo  categorie omogenee con l’indicazione del criterio valutativo adottato(costo specifico, Lifo, Fifo, Costo medio ponderato).

Prodotti in corso di lavorazione:  distinta analitica dei prodotti in corso di lavorazione con l’indicazione dei costi di produzione sostenuti fino a fine anno. Devono essere imputati anche i costi indiretti di produzione per la quota ragionevolmente attribuibile, ad es. Ammortamenti degli impianti, costo della manodopera indiretta, manutenzioni ed assicurazioni degli impianti, ecc. NON vanno imputati gli oneri finanziari.

Lavori e servizi in corso su ordinazione: distinta analitica di tutti i lavori e servizi su ordinazione in corso d’esecuzione a fine esercizio   con   l’indicazione   del   criterio   valutativo   adottato   (costo   di produzione  se  non  di  durata  ultrannuale  o  corrispettivo  pattuito  in  caso  di durata ultrannuale). Va quindi indicato nel primo caso il costo sostenuto fino alla  data  di fine anno  o  il  corrispettivo  ragionevolmente  maturato  nel secondo. N. B. Si ricorda che, nel caso di commesse di durata ultrannuale, sarà anche necessario predisporre un prospetto illustrativo dei criteri di calcolo adottati, da esibire in caso di richiesta. In questo caso le rimanenze finali devono essere valutate tenendo conto dei corrispettivi pattuiti (art. 93 del TUIR) al fine di ripartire nei vari esercizi il margine complessivo della commessa.

Prodotti finiti: (Beni che formano oggetto dell’attività dell’impresa) distinta analitica di tutti i prodotti   finiti   con   l’indicazione   dei   costi   di   produzione   sostenuti   per l’ottenimento dei prodotti stessi.

Concorrono alla formazione delle rimanenze di fine esercizio tutti i beni di cui l’impresa è proprietaria, indipendentemente che essi siano:

  • fisicamente esistenti nei magazzini dell’impresa;
  • in viaggio (merci o materie acquistate e non ancora ricevute);
  • presso terzi (ad es. In c. To deposito, visione, lavorazione ecc. );
  • merci o materie ricevute, la cui fattura non è ancora stata ricevuta (fatture da ricevere).

Devono invece essere esclusi i beni esistenti presso la società ma giuridicamente di proprietà di terzi, per esempio ricevuti in deposito, lavorazione o visione, che troveranno opportuna indicazione tra i conti d’ordine del bilancio. Anche per i beni propri presso terzi, al fine della corretta indicazione in bilancio, è opportuna la rilevazione anche tra i conti d’ordine.

Ai sensi dell’art. 92 del Testo Unico delle Imposte sui redditi, le rimanenze devono essere indicate in inventario raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e valore. Raggruppare le rimanenze in categorie omogenee per natura significa distinguere i beni sotto il profilo merceologico (filati, tessuti, lana, ecc. , ferro quadro, tondo,. Oppure: acciaio, laminato,. O ancora nel caso di elettrodomestici: frigoriferi, televisori, cucine).   Raggruppare  le  rimanenze,  già suddivise per natura,  in  categorie  omogenee  per valore  significa distinguere  i  beni  sotto  il  profilo del costo di acquisto, mettendo insieme quelli i cui costi unitari oscillino nell’arco di un 10 o 20%, con riferimento al costo unitario inferiore del bene compreso nel raggruppamento. (Esempio: è consentito raggruppare in una categoria omogenea beni di costo unitario medio ponderato, compreso fra il valore 1. 000 e 1. 200, essendo il costo di 1. 200 non superiore al 20% del costo inferiore di 1. 000).

L’Amministrazione Finanziaria riconosce libertà nell’adozione del criterio di valutazione delle rimanenze, ma questo non può significare che i criteri di valutazione cambino da un esercizio all’altro, solo sulla base di mere convenienze di ordine fiscale. Una volta adottato un criterio di valutazione questo non potrà essere mutato negli esercizi successivi, se non in casi eccezionali che andranno adeguatamente   motivati e comunicati all’Agenzia delle Entrate competente.

In ogni caso, i criteri di valutazione delle rimanenze devono comunque essere indicati nel Libro degli inventari e nella Nota integrativa (per le società di capitali). La mancanza di tale indicazione comporta la possibilità per il Fisco di considerare inattendibile la contabilità ordinaria delle imprese e di procedere ad accertamento secondo criteri presuntivi.

Il comma 5 dell’art. 92 D. P. R. 917/86 prevede un valore minimo per la valutazione delle rimanenze di merci, materie prime, semilavorati e prodotti finiti. Tale criterio prevede che se il valore medio dei beni valutati con i criteri del Fifo, Lifo o Costo Medio Ponderato è superiore al valore normale medio di  tali  beni  relativo  all’ultimo  mese  dell’esercizio,  il  valore  minimo  è  determinato  moltiplicando l’intera quantità per il  valore normale (prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stato di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni e servizi sono stati acquistati o prestati o, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi).

VALUTAZIONE PER IL COMMERCIO AL DETTAGLIO

Ai sensi dell’ articolo  92 comma 8 del  D. P. R. 917/86 “Tuir”, un particolare criterio di valutazione è previsto per i commercianti al minuto (qualora trattino un numero elevato di prodotti). Viene data la possibilità al commerciante di utilizzare il cosiddetto “prezzo al dettaglio”: consiste nel rilevare i beni entrati e usciti dal magazzino in base al valore e non alla quantità. Pertanto è necessaria una particolare contabilità di magazzino. La valorizzazione delle rimanenze finali, infatti, avviene scorporando dal prezzo di vendita la percentuale di ricarico; la normativa prevede la compilazione di un prospetto (da conservare) nel quale devono essere illustrati i criteri e le modalità d’applicazione del metodo.

IMPOSTA DI BOLLO: i libri contabili obbligatori secondo il codice civile sono soggetti all’imposta di bollo. Essa è dovuta nella seguente misura differenziata: –   società di capitali ed enti commerciali: 16,00 Euro per cento pagine o frazione di esse; –   altri soggetti: 32,00 Euro per 100 pagine o frazione di esse.

OBBLIGO TENUTA CONTABILITA’ DI MAGAZZINO (per le imprese di maggiori dimensioni)

Ai sensi dell’articolo  14, comma. 1, lettera. D) del D. P. R. 600/73 “Decreto Iva” prevede che la tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino diviene obbligatoria qualora il contribuente superi determinati valori dei ricavi e delle rimanenze; in particolare:

  •  i ricavi sono superiori ad euro 5. 164. 568,99 (qualora il periodo di imposta sia diverso dall’anno solare, i ricavi devono essere ragguagliati ad anno);
  • le rimanenze sono superiori ad euro 1. 032. 913,80;

Se tali limiti sono stati superati contemporaneamente per due esercizi consecutivi, l’azienda ha l’obbligo di istituire la contabilità di magazzino.

Le scritture devono essere tenute a partire dal secondo periodo d’imposta successivo a quello nel quale, per la seconda volta, entrambi i limiti sono stati superati.   L’obbligo di tenuta cessa dal 1° periodo d’imposta successivo a quello in cui, per la seconda volta consecutivamente, l’ammontare dei ricavi o il valore delle rimanenze è inferiore ai limiti previsti.   L’imposta di bollo per il registro delle scritture ausiliarie di magazzino non è dovuta considerato che tali scritture sono previste specificatamente dalla normativa fiscale.   L’omessa tenuta o la mancata esibizione della contabilità di magazzino rende applicabile l’accertamento induttivo.

CENTRI SPORTIVI & CIRCOLI: METODOLOGIE DI CONTROLLO DA PARTE DELLA AGENZIA DELLE ENTRATE

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Pubblicate sul sito della Agenzia delle Entrate le presenti istruzioni finalizzate all’esecuzione dei controlli nei confronti dei gestori di impianti sportivi (Palestre, Circoli di Canottaggio, Cloub di Golf, etc. ).  

Centri Sportivi: Metodologie di Controllo da parte della Agenzia delle Entrate

Pubblicate sul sito della Agenzia delle Entrate le presenti istruzioni finalizzate all’esecuzione dei controlli nei confronti dei gestori di impianti sportivi (Palestre, Circoli di Canottaggio, Cloub di Golf, etc. ).

Le istruzioni consentono di comprendere dal un lato come i punti in chiaro scuro del settore sportivo dilettantistico, sia per quanto concerne la gestione amministrativa e fiscale delle aziende meritevoli, sia di quelle elusive delle norme in vigore. Contestualmente consentono di comprendere appieno come vengono effettuati controlli da parte degli uffici finanziari.  

Sovente attività di questi centri sportivi  consiste  nell’affitto  di  spazi  (campi  da  tennis,  calcetto,  golf,  etc. ),  nell’organizzazione  di  corsi  di apprendimento di discipline sportive e nella messa a disposizione di impianti (piscine, palestre).

A tale attività principale  non  di  rado  si  affianca  la  vendita  di  indumenti  sportivi  e  la  fornitura  di  servizi  accessori  (sauna, estetica, bar).  Gli  operatori  del  settore  assumono  spesso  una  veste  giuridica  associativa  al  fine  di  fruire  del  particolare regime di tassazione riservato agli enti non commerciali.

Lo schema dell’associazione dissimula talvolta attività commerciali vere e proprie svolte da soggetti che con qualche espediente detengono in realtà l’effettivo controllo economico dell’impresa.  

 

Effettua Download della metodologia di controllo della Agenzia delle Entrate

 

MESSAGGIO INPS N. 9674 15/12/2014

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MESSAGGIO INPS N. 9674
OGGETTO: RIMBORSO SPESE PER AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE AI MEDICI ISCRITTI NELLE LISTE SPECIALI ISTITUITE PRESSO L’INPS – ARTICOLO 3, COMMA 5, DEL DECRETO MINISTERIALE 8 MAGGIO 2008 – ANNO 2014.

MESSAGGIO N. 9674
OGGETTO: RIMBORSO SPESE PER AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE AI MEDICI ISCRITTI NELLE LISTE SPECIALI ISTITUITE PRESSO L’INPS – ARTICOLO 3, COMMA 5, DEL DECRETO MINISTERIALE 8 MAGGIO 2008 – ANNO 2014.

CON LA CIRCOLARE N. 86 DEL 12 SETTEMBRE 2008 (PARAGRAFO 5), SONO STATE FORNITE INDICAZIONI IN MERITO ALL’EROGAZIONE DEL CONTRIBUTO ANNUO PREVISTO DAL COMMA 5, DELL’ART. 3 DEL DECRETO MINISTERIALE 8 MAGGIO 2008 CHE RICONOSCE A TITOLO DI RIMBORSO SPESE DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE, A CIASCUN MEDICO ISCRITTO NELLE LISTE SPECIALI (ISTITUITE AI SENSI DEL COMMA 12 DEL DECRETO LEGGE 12 SETTEMBRE 1983, N. 463, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA LEGGE 11 NOVEMBRE 1983, N. 638), UN CONTRIBUTO PARI A EURO 500,00.
COME è NOTO, TRA I REQUISITI RICHIESTI, è PREVISTO CHE IL MEDICO ABBIA EFFETTUATO ALMENO 40 VISITE MENSILI NEL CORSO DELL’ANNO DI INTERESSE. CIÒ AL FINE DI RICONOSCERE IL CONTRIBUTO A QUEI MEDICI CHE GARANTISCONO UNA MAGGIORE DISPONIBILITà NEL RAPPORTO DI COLLABORAZIONE INSTAURATO CON L’ISTITUTO.
TUTTAVIA, CON RIFERIMENTO ALLA VERIFICA DI TALE REQUISITO, IN RELAZIONE ALLA CONTRAZIONE DEL BUDGET
ANNUALE, A SEGUITO DEI NOTI INTERVENTI DI RAZIONALIZZAZIONE DISPOSTI DAL LEGISLATORE IN OTTICA DI
SPENDING REWIEV, SI è RITENUTO OPPORTUNO RIDETERMINARE IL REQUISITO RIFERITO AL NUMERO MINIMO DI VISITE MENSILI NECESSARIO PER IL RICONOSCIMENTO DEL CONTRIBUTO IN OGGETTO, SULLA BASE DELL’ATTIVITà ESPLETATA DAI MEDICI DI LISTA NELL’ANNO IN CORSO.
PERTANTO, LIMITATAMENTE ALL’ANNO 2014, IL CONTRIBUTO VERRà RICONOSCIUTO A CIASCUN MEDICO CHE
ABBIA EFFETTUATO ALMENO 21 VISITE MEDICHE DI CONTROLLO AL MESE E, A TAL FINE, SI PROCEDERà ALLE
CONSEGUENTI MODIFICHE PROCEDURALI.
RIMANE CONFERMATO IL REQUISITO RICHIESTO RELATIVAMENTE AGLI EVENTI FORMATIVI UTILI AL CONSEGUIMENTO DEL CONTRIBUTO (COSì COME SPECIFICATO AL CITATO PARAGRAFO 5 DELLA CIRCOLARE N. 86
DEL 2008), OVVERO DUE CORSI DI CUI UNO OBBLIGATORIAMENTE IN MEDICINA LEGALE E DELLE ASSICURAZIONI E L’ALTRO A SCELTA MA SU ARGOMENTI DI INTERESSE PER L’ISTITUTO.
SI RICORDA, INFINE, CHE LA DOMANDA, COMPLETA DELLA DOCUMENTAZIONE NECESSARIA, DOVRà ESSEREPRESENTATA ALLA STRUTTURA TERRITORIALE DI COMPETENZA ALLO SCADERE DELL’ANNO SOLARE PER
L’EROGAZIONE DEL CONTRIBUTO DA EFFETTUARSI A CONSUNTIVO ENTRO E NON OLTRE IL MESE DI GENNAIO 2015, IMPUTANDO LA SPESA IN CONTO RESIDUI 2014.
IL DIRETTORE GENERALE
NORI

Annullamento delle dimissioni e pretesa delle retribuzioni

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Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni maturate dalla sentenza e non anche dall’epoca delle dimissioni.

Annullamento delle dimissioni e pretesa delle retribuzioni

Avv. Almerindo Proietti Semproni

Cassazione, sez. Lav. , 17 ottobre 2014, n. 22063

MASSIMA

Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni maturate dalla sentenza e non anche dall’epoca delle dimissioni.

Notizie

Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni maturate dalla sentenza e non anche dall’epoca delle dimissioni.

Cosı` si e` espressa la Corte di Cassazione con la sentenza del 17 ottobre 2014, n. 22063, che ha escluso il diritto alla retribuzione per il periodo in cui la prestazione lavorativa non e` stata fornita.

Sul ricorso proposto da un lavoratore, i giudici di primo e secondo grado annullavano le dimissioni perchè rassegnate dal lavoratore in stato di incapacita` e riconoscevano il diritto alla continuita` del rapporto ed al risarcimento del danno, quantificato nelle retribuzioni maturate dalla data della sentenza a quella dell’effettivo ripristino del rapporto lavorativo.

Secondo la Corte d’Appello, peraltro, il ricorrente non aveva reiterato con il ricorso o in un momento successivo l’offerta della propria prestazione lavorativa, offerta avutasi solo prima della domanda giudiziale, per cui alla stessa non poteva connettersi l’efficacia della messa in mora del datore di lavoro.

Il lavoratore ricorreva per cassazione richiedendo che fosse riconosciuto il diritto alla retribuzione sin dall’origine, e non solamente a seguito della intervenuta sentenza.

Tanto pretendeva richiamando il precedente n. 8886 del 14 aprile 2010 della Suprema Corte che, contrariamente al diverso orientamento giurisprudenziale di legittimita` seguito dalla Corte territoriale, assumeva che la retrodatazione degli effetti patrimoniali della sentenza di annullamento delle sue dimissioni rappresenterebbe la logica conseguenza di una corretta applicazione del generale principio per il quale la durata del processo non deve andare mai a detrimento della parte vincitrice.

In merito, poi, all’efficacia della costituzione in mora del datore di lavoro, il ricorrente eccepiva che egli aveva offerto la sua prestazione lavorativa prima della proposizione della domanda giudiziale e che proprio tale iniziativa serviva a costituire in mora il datore di lavoro, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito. La Suprema Corte respinge il ricorso per infondatezza dei motivi.

Invero, osserva la Cassazione, il percorso motivazionale logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale si fonda su un preciso orientamento della giurisprudenza di legittimita` che non si deve disattendere in considerazione del fatto che e` stato ribadito con sentenza n. 18844 del 30 agosto 2010, successiva a quella n. 8886 del 14 aprile 2010 invocata dal ricorrente.

Per effetto di tale pronuncia, la conseguenza della continuita` del rapporto di lavoro, non interrotta da un licenziamento affetto da vizi che ne determinano l’annullamento, consiste nel fatto che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, determinabile secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, anche facendo eventualmente riferimento alle retribuzioni perdute, ma sempre considerando che la natura sinallagmatica del rapporto richiede ai fini dell’adempimento del- l’obbligazione retributiva che sia messa a disposizione la prestazione lavorativa.

Cio` in quanto il principio secondo il quale l’annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva che non comporta il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, atteso che la retribuzione presuppone la prestazione dell’attivita` lavorativa, onde il pagamento della prima in mancanza della seconda rappresenta un’eccezione che, come nelle ipotesi di malattia o licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, deve essere espressamente prevista dalla legge, per cui nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara la loro illegittimita` (in tal senso, Cass. N. 14438 del 6 novembre 2000, n. 13045 del 17 giugno 2005 e n. 2261 del 16 febbraio 2012).

Con la sentenza in rassegna la Cassazione conferma l’abbandono di quell’orientamento (pure citato, Cass. N. 8886/2010) che aveva trovato una soluzione al pro- blema dei riflessi dell’annullamento delle dimissioni per incapacita` naturale, riconoscendo il diritto alle retribuzio- ni a decorrere dalla domanda giudiziale (momento di impugnazione delle dimissioni e costituzione in mora credendi del datore di lavoro ex art. 1226 cod. Civ. ). Ora, sembra trovare maggior favore la diversa soluzione che fa decorrere le retribuzioni soltanto dalla sentenza di annullamento delle dimissioni, in applicazione del principio di corrispettivita` in senso stretto, per cui la retribuzione presuppone la prestazione lavorativa, salve le ipotesi in cui e` la legge ad imporre espressamente la corresponsione della retribuzione pur in assenza di una controprestazione (artt. 2108, 2109 e 2110 cod. Civ. ). Si tratta, tuttavia, di ipotesi in cui la corrispettivita` di pre- stazione sussiste comunque perche ́ , anche in mancanza di una prestazione lavorativa, la retribuzione e` collegata all’esistenza di un’obbligazione di lavoro nell’arco com- plessivo del rapporto.

Certo, l’orientamento in esame lascia «scoperto» il periodo intermedio (dalle dimissioni, o quantomeno dalla loro impugnativa in via stragiudiziale o giudiziale, alla sentenza di annullamento), per cui al lavoratore potrebbe spettare solo il risarcimento del danno qualora il comportamento del datore di lavoro costituisca un eventuale illecito penale (dimissioni estorte o frutto di raggiro).

Discriminatorietà della mancata assunzione di lavoratori iscritti a sigla sindacale

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E` discriminatorio non assumere, nell’ambito di una operazione di «riassorbimento» di personale addetto ad uno stabilimento aziendale, soltanto i lavoratori iscritti ad una determinata sigla sindacale.

Discriminatorietà della mancata assunzione di lavoratori iscritti a sigla sindacale

Cassazione, sez. Lav. , 11 marzo 2014, n. 5581

MASSIMA

E` discriminatorio non assumere, nell’ambito di una operazione di «riassorbimento» di personale addetto ad uno stabilimento aziendale, soltanto i lavoratori iscritti ad una determinata sigla sindacale.

COMMENTO

E` discriminatorio non assumere, nell’ambito di una operazione di «riassorbimento» di personale addetto ad uno stabilimento aziendale, soltanto i lavoratori iscritti ad una determinata sigla sindacale.

Questo e` l’effetto determinato dalla sentenza dell’11 marzo 2014, n. 5581, della Corte di Cassazione che, dichiarando inammissibile il ricorso dell’azienda e, quindi, senza entrare nel merito della vicenda, ha di fatto confermato le decisioni rese in primo e secondo grado. Il caso, cui gli organi di informazione continuano a dare particolare rilievo, riguarda il ricorso presentato al Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del lavoro, dalla Fiom – Cgil Nazionale per conto di alcuni lavoratori iscritti, ma anche in nome di altre persone, non individuabili in modo diretto ed immediato.

Il Sindacato chiedeva che fosse accertata la discriminazione collettiva ai sensi del D. Lgs. N. 213/2003, nonchè degli artt. 3 e 4 Cost. E dell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori, posta in essere dalla F. I. P. Spa attraverso l’esclusione dall’assunzione dei 19 lavoratori suoi iscritti e nominativamente indicati, nonche ́ di tutti i lavoratori in atto iscritti alla Fiom, quantomeno in numero tale da ristabilire, e mantenere, tra essi e il totale degli assunti, il rapporto proporzionale preesistente tra gli iscritti alla Fiom e i lavoratori in forza alla F. G. A. Spa nello stabilimento di Pomigliano.

La Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione del Tribunale circa la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione dalle assunzioni dei lavoratori del detto stabilimento iscritti alla Fiom, ordinava alla F. I. P. Di cessare dal comportamento discriminatorio e di rimuoverne gli effetti e, pertanto, di predisporre e attuare nel termine di 180 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza un piano di assunzione di 126 lavoratori da selezionare, secondo i criteri gia` utilizzati per l’assunzione dei lavoratori presso lo stabilimento di Pomigliano, nell’ambito dell’elenco nominativo degli affiliati alla F. I. O. M. Risultante al momento della presentazione del ricorso di primo grado. Nel contempo la Corte territoriale dichiarava la natura di discriminazione individuale dell’esclusione dalle assunzioni presso lo stesso stabilimento dei 19 lavoratori nominativamente indicati, ordinando la loro riassunzione.

Tanto decideva la Corte d’Appello ritenendo che la direttiva 2000/78/CE, tutelando le convinzioni personali avverso le discriminazioni, aveva dato ingresso nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento, seppure nel solo ambito della regolamentazione dei rapporti di lavoro, della cosiddetta libertà ideologica, il cui ampio contenuto poteva essere stabilito anche facendo riferimento all’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea e, quindi, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; se il legislatore comunitario avesse voluto comprendere nelle convinzioni personali solo quelle assimilabili al carattere religioso, come sostenuto dall’azienda, non avrebbe avuto bisogno di differenziare le ipotesi di discriminazioni per motivi religiosi da quelle per convinzioni per motivi diversi; doveva pertanto ritenersi che l’ampia nozione di «convinzioni personali» racchiudeva una serie di categorie di ciò che poteva essere definito il «dover essere» dell’individuo, dall’etica alla filosofia, dalla politica in senso lato alla sfera dei rapporti sociali; il contenuto dell’espressione «convinzioni personali», richiamato dall’art. 4 del D. Lgs. N. 216/2003 non poteva essere percio` interpretato che nel contesto del sistema normativo speciale in cui era inserito, restando irrilevante che in altri testi normativi la medesima espressione potesse essere stata utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o sindacali; l’affiliazione sindacale rappresentava la professione pragmatica di un’ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela, in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati.

Pertanto, secondo i giudici di appello, nell’ambito della categoria generale delle convinzioni personali caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica, poteva essere ricompresa anche la discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente divieto di atti o comportamenti idonei a realizzare una diversità di trattamento o un pregiudizio in ragione dell’affiliazione o della partecipazione del lavoratore ad attività sindacali.

La Corte d’Appello evidenziava anche come fosse del tutto irrilevante il fatto che la F. I. P. Avesse proceduto alle assunzioni dei lavoratori attingendo al bacino di provenienza della F. G. A. Ed ottemperando cos`ı ad un preciso impegno contrattuale, perchè comunque le assunzioni dovevano essere svolte nel pieno rispetto di tutte le disposizioni di legge, ivi comprese quelle relative al divieto di discriminazioni.

Per di più, secondo la Corte territoriale, i ricorrenti avevano assolto l’onere probatorio della discriminazione – alla stregua del disposto del D. Lgs. N. 150/2011, art. 28, in linea con quanto imposto dalle direttive n. 2000/43/CE e n. 2000/78/CE – fornendo in giudizio gli elementi di fatto, da valutare con metodo statistico, dai quali poteva desumersi «prima facie» l’esistenza della discriminazione: ossia, la consistenza dell’organico nello stabilimento al gennaio/lugliodel2011(4. 367dipendenti), il numero degli assunti dalla F. I. P. Provenienti dallo stabilimento al giugno 2012 (1. 893), il numero degli iscritti alla Fiom al gennaio 2011 (382), la circostanza che nessun lavoratore iscritto alla Fiom risultava essere stato assunto dalla F. I. P. Al momento della presentazione del ricorso.

In sostanza, la Fiom aveva dimostrato che, in una selezione casuale, le probabilità che nessuno degli iscritti alla Fiom fosse stato selezionato per l’assunzione ammontava ad una su dieci milioni, il che faceva risaltare maggiormente la percentuale pari a zero di iscritti alla Fiom assunti dalla F. I. P. Nel giugno 2012.

La vicenda perveniva all’esame della Suprema Corte su ricorso della società F. I. P. , la quale proponeva una articolata serie di motivi di impugnativa, riguardanti i diversi aspetti trattati dalla Corte d’Appello.

Tuttavia, la Corte di Cassazione non entra nell’esame degli stessi e respinge il ricorso per inammissibilità, in accoglimento della specifica eccezione sollevata dai controricorrenti di sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire.

In base alla documentazione prodotta dalle parti, osserva la Corte, risulta che, con atto successivo alla notifica del ricorso per cassazione, la F. I. P. Spa ha ceduto alla F. G. A. Spa lo stabilimento interessato alle assunzioni per cui e` causa; nel medesimo atto di cessione e` previsto che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 cod. Civ. , i rapporti di lavoro con i dipendenti sarebbero continuati con la Societa` cessionaria. Risulta inoltre che la F. I. P. Ha comunicato alla Fiom che la medesima F. I. P. Non avrebbe dato corso alle ulteriori assunzioni di cui al provvedimento emesso dalla Corte di Appello di Roma, avendo cessato ogni attivita` produttiva per avere ceduto lo stabilimento alla F. G. A. , società di cui i lavoratori assumendi sono gia` dipendenti.

La Suprema Corte ricorda che la giurisprudenza di legittimita` e` costante nell’affermare che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. Proc. Civ. , va apprezzato in relazione all’utilita` concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame, ossia alla sussistenza di un interesse identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, e non gia` di un mero interesse astratto a una piu` corretta soluzione di una questione giuridica (per tutte, Cass. N. 11844/2006); al contempo e` stato altresı` affermato che l’interesse ad agire (e, quindi, anche ad impugnare)deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutata la sussistenza di tale interesse (Cass. , S. U. , n. 25278/2006).

Quindi, conclude la Corte, la F. I. P. , non essendo più proprietaria dello stabilimento presso il quale avrebbero dovuto essere effettuate le ulteriori assunzioni di affiliati alla Fiom ovvero presso il quale gia` siano state effettuate le assunzioni dei lavoratori nominativamente indicati, non ha piu` alcun concreto ed attuale interesse alla rimozione delle statuizioni rese nell’ordinanza impugnata. Infatti, la Societa` non potra` conseguire in alcun modo un pregiudizio dal mantenimento presso il suddetto stabilimento dei lavoratori assunti (che erano, prima dell’assunzione, dipendenti della F. G. A. E che tali sono tornati ad essere a seguito della cessione), ne ́ potra` procedere ad ulteriori assunzioni presso il medesimo stabilimento di altri dipendenti della F. G. A. Affiliati alla Fiom, ne ́ conseguentemente potra` essere ulteriormente destinataria dell’ordine di cessare dal ritenuto comportamento discriminatorio e di rimuoverne gli effetti.

Come visto, la sentenza in rassegna risolve la vicenda sotto un profilo di «rito», ovvero quello dell’accertato difetto di interesse ad agire della societa` ricorrente, senza entrare nel merito dei motivi di impugnazione lamentati dalla societa` , riguardo ai quali il parere della Suprema Corte poteva assumere grande interesse.

In particolare, la societa` F. I. P. Sosteneva (o meglio, continuava a sostenere, perche ́ la censura era stata gia` sollevata in appello) che la normativa italiana di cui al D. Lgs. N. 216/2003, di attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parita` di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, laddove fa riferimento alle «convinzioni personali», deve essere letta alla luce delle previsioni della predetta direttiva; nell’art. 1 di quest’ultima, il riferimento alle «convinzioni personali», strettamente collegato alla «religione», comporta che la prima locuzione si riferisce non a qualsiasi convinzione di natura ideologica, bensı` a quel credo individuale assimilabile, per la sua particolare cogenza e pervasività, ad una fede religiosa; dal che discende che le «convinzioni personali» non possono essere ritenute diverse da quelle basate su determinate credenze religiose o ad esse assimilabili e non si riferiscono quindi alle opinioni personali di natura politica o di altro genere.

Allo stesso modo, non c’e` stato modo di conoscere l’opinione della Cassazione circa l’utilizzo del modello statistico come mezzo probatorio sul quale i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto fondata la discriminatorietà della condotta tenuta dalla società nella fase di assunzione: considerata una serie di elementi (l’organico nello stabilimento, il numero degli assunti dalla società e provenienti da questo, il numero degli iscritti alla Fiom, la circostanza che nessun lavoratore iscritto alla Fiom risultava essere stato assunto dalla F. I. P. ), il numero degli aventi diritto e` stato individuato in misura percentuale. Resta il fatto che la Cassazione non si e` pronunciata, per cui fa stato quanto ha disposto la Corte d’Appello, con tutto ciò che ne consegue in termini di pratica applicazione.

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