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mercoledì 15 Gennaio 2025
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APS –ASD – SSD: Come difendersi dalle verifiche, ispezioni ed accessi

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Quotidianamente molti centri sportivi sono oggetto di accessi, ispezioni e verifiche, da parte degli uffici finanziari (Agenzia delle Entrate, Inail, Inps, Siae, etc. ), spesso i rappresentanti sono impreparati e pagano a caro prezzo l’improvvisazione. Forniamo un breve guida a titolo di esempio degli obblighi che  incombono sul  rappresentante legale dell’associazione… 

APS –ASD – SSD: Verifiche, ispezioni ed Accessi, i documenti da esibire da parte del legale rappresentante

Quotidianamente molti centri sportivi sono oggetto di accessi, ispezioni e verifiche, da parte degli uffici finanziari (Agenzia delle Entrate, Inail, Inps, Siae, etc. ), spesso i rappresentanti sono impreparati e pagano a caro prezzo l’improvvisazione. Forniamo un breve guida a titolo di esempio degli obblighi che  incombono sul  rappresentante legale dell’associazione sportiva dilettantistica riguardano l’esibizione   all’atto dell’accesso di tutti  i libri, i registri, le  scritture e  i documenti attinenti all’attività esercitata:

ü i libri, i registri, le scritture e i documenti di cui sia rifiutata l’esibizione, non potranno essere presi  in considerazione,  a  suo  favore,  ai  fini dell’accertamento  in sede  amministrativa o contenziosa  (per  “rifiuto  d’esibizione”  si  deve   intendere anche la  dichiarazione  di  non possedere i libri, i registri, i documenti e le scritture e/o la sottrazione di essi al controllo);

ü rifiutare l’esibizione o, in ogni  modo, impedire l’ispezione delle  scritture contabili e  dei documenti la  cui  tenuta e  conservazione sono  obbligatori per  legge, e  dei  quali  risulta l’esistenza, determina l’applicabilità di specifiche sanzioni amministrative;

ü nel  caso  in  cui  si  verifichi  l’omessa  tenuta,  il  rifiuto  di  esibizione o,  in  ogni  modo,  la sottrazione delle  scritture contabili obbligatorie o l’indisponibilità di tali scritture per cause di forza  maggiore, l’Amministrazione finanziaria può  essere validamente legittimata alla determinazione induttiva del reddito e dell’iva.

ü Altra “disposizione qualificante” della riforma  introdotta con lo Statuto dei diritti del contribuente consiste nella   previsione della facoltà, per  lo  stesso, di  richiedere che  l’esame dei  documenti amministrativi  e  contabili sia  svolto  presso l’ufficio  dei  verificatori o,  in  alternativa,  presso  il professionista che lo assiste o che lo rappresenta.

Per la verifica fiscale  nei confronti dell’ASD è importante esibire  agli organi  verificatori la seguente documentazione:

ü atto  costitutivo;

ü statuto aggiornato;

ü codice  fiscale;

ü affiliazione a federazione o ente di promozione e relativo codice e.    iscrizione nel registro delle  SSD e ASD del Coni e relativo codice;

ü libro dei verbali  delle  riunioni delle  Assemblee e del Consiglio direttivo aggiornato;

ü elenco degli  associati e  tesserati  iscritti  (tutte  le  figure,  dirigenti,  atleti,  tecnici,  tutti   i collaboratori);

ü rendiconto economico annuale;

ü giustificativi  delle  uscite (ricevute, quietanze altro);

ü documentazione  di  iscrizione  e  partecipazione  ad   attività  federali  –  promozionali  –giovanili – agonistiche.

 

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Per Assistenza in materia Tributaria, Contabile e del Lavoro per Associazioni Sportivo Dilettantistiche e Società  Sportivo Dilettantistiche Contattateci al Numero Verde 800. 19. 27. 52 o inviateci un quesito a amministrazione@networkfiscale. Com

 

ABITAZIONE PRINCIPALE: Come tutelarla da Equitalia e dagli altri enti di accertamento e riscossione, sia a livello locale che nazionale

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Con il recente Decreto del Fare D. L. 69/2013 è stata ridotta e circoscritta l’azione esecutiva sulle proprietà immobiliari del (contribuente) debitore.   Infatti, Equitalia e tutti gli enti di accertamento e riscossione, sia a livello locale che nazionale, non possono più dare corso  all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore è adibito ad uso abitativo.

Con il recente Decreto del Fare D. L. 69/2013 è stata ridotta e circoscritta l’azione esecutiva sulle proprietà immobiliari del (contribuente) debitore.   Infatti, Equitalia e tutti gli enti di accertamento e riscossione, sia a livello locale che nazionale, non possono più dare corso  all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore è adibito ad uso abitativo.

Requisiti

Come detto il debitore deve avere come unico immobile l’abitazione principale, inoltre,  è basilare che vi abbia stabilito la propria residenza anagrafica.

Estensione del grado di tutela alle pertinenze

La stessa Equitalia con nota mese di luglio 2013 ha chiarito che il grado di tutela di estende anche alle pertinenza della abitazione principale (box, garage, cantina, etc. ) incluse quelle accatastate autonomamente.

Esclusioni

Sono escluse dalla tutela in oggetto le abitazioni di lusso ed i fabbricati con classe catastale A/8 ed A/9.

Negli altri casi (non abitazione prinpale ad unicum del debitore e non appartenenza classe A/8 ed A/9) l’espropriazioni immobiliare è concessa se l’importo complessivo del credito vantato supera la soglia di €. 120. 000 (centoventimilaeuro). Ciodetto, la richiamata azione esecutiva, può essere avviata solo se in precedenza si è scritta ipoteca e siano decorsi almeno sei mesi dalla stessa (iscrizione  ipoteca) senza che il debito sia stato estinto.

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APS – ASD – SSD: ADDIZIONALE IRPEF PER LE ASSOCIAZIONE E LE SOCIETÀ SPORTIVE (ASD – SSD) E LE APS IN REGIME DI 398/91

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Le Associazione e le Società Sportive (ASD – SSD) e le APS in regime di 398/91, eroganti compensi relativi allo svolgimento di attività sportive dilettantistiche, in sede di effettuazione della ritenuta a titolo di addizionale regionale di compartecipazione sono tenute ad individuare l’aliquota deliberata dalla Regione della quale il beneficiario del compenso ha il domicilio fiscale.  

APS – ASD – SSD: Addizionale IRPEF per le Associazione e le Società Sportive (ASD – SSD) e le APS in regime di 398/91

Le Associazione e le Società Sportive (ASD – SSD) e le APS in regime di 398/91, eroganti compensi relativi allo svolgimento di attività sportive dilettantistiche, in sede di effettuazione della ritenuta  a titolo di addizionale regionale di compartecipazione sono tenute ad individuare l’aliquota deliberata dalla Regione della quale il beneficiario del compenso ha il domicilio fiscale.

La mancata emanazione dei decreti interministeriali, previsti dall’articolo 1, comma secondo, D. Lgs n. 360/1998, con i quali l’erario avrebbe dovuto determinare l’aliquota di compartecipazione dell’addizionale IRPEF non impedisce l’applicazione del tributo in esame.

 

RISOLUZIONE N. 106 /E    Roma, 11 dicembre 2012           

OGGETTO: Interpello  –  Articolo  11,  legge  27  luglio  2000,  n.   212  Società Sportiva dilettantistica. Aliquota   delle addizionali, comunali e regionali, di compartecipazione all’IRPEF – Articolo 25, comma 1, legge 13 maggio 1999, n. 133.

 

QUESITO:   ALFA è una società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro, affiliata alla  Federazione  Italiana  Atletica  Leggera  (FIDAL),  iscritta  al  Registro  delle società e associazioni sportive e riconosciuta dal CONI. Con  l’istanza  di  interpello  in  esame,  si  chiede  quale  sia  l’aliquota  delle addizionali,  comunali  e regionali, di compartecipazione all’IRPEF,  da applicare ai compensi, di importo superiore a euro 7. 500, corrisposti per l’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche. La  società  istante  fa  presente  che  la  richiesta  di  chiarimenti  si  è  resa necessaria a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 28 del decreto legge n. 201 del 2011 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che, nell’emendare l’articolo 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011, ha aumentato l’aliquota di base dell’addizionale regionale senza     nulla  disporre  in  relazione  all’aliquota  dell’addizionale  di  compartecipazione all’IRPEF.   

 

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

   

La società istante ritiene che la ritenuta prevista dall’art. 25 della legge n.  133 del 1999 debba essere applicata sulla parte di compenso eccedente l’importo di  euro  7. 500  con  l’aliquota  dell’addizionale  regionale  di  compartecipazione all’IRPEF dello 0,9 per cento, stabilita dall’articolo 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997.  

La società ritiene, invece, che non debba applicare alcuna ritenuta a titolo di addizionale comunale di compartecipazione all’IRPEF, dal momento che l’art. 1,   comma   2,   del   D.    Lgs.    n.    360   del   1998   rinvia,   per   la   determinazione dell’aliquota  di compartecipazione  della  suddetta addizionale,  all’emanazione  di uno o più decreti adottati dal Ministero dell’economia e finanze, di concerto con il Ministero dell’interno, entro il 15 dicembre di ogni anno per l’anno successivo. Non  essendo  stati  emanati  i  suddetti  decreti  ministeriali,  il  riferimento contenuto  nel  citato  articolo  25,  comma  1,  della  legge  n.   133  del  1999,  alle addizionali  di  compartecipazione  all’imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche deve intendersi riferito alla sola addizionale regionale di compartecipazione.

  

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE    

Preliminarmente, si fa presente che «. Le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati, nell’esercizio diretto di attività sportive  dilettantistiche,  dal  CONI,  dalle  Federazioni  sportive  nazionali,  dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che  persegua  finalità  sportive  dilettantistiche  e  che  da  essi  sia  riconosciuto. » costituiscono  redditi  diversi,  ai  sensi  dell’articolo  67,  comma  1,  lett.   m),  del TUIR.     A  tali  emolumenti,  l’articolo  69,  comma  2,  del  TUIR,  riconosce  un particolare regime di favore, disponendo che essi «. Non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a  7. 500,00  euro. ».   Inoltre,  l’articolo  25,  comma  1,  della  legge  del  13  maggio 1999, n. 133, stabilisce che, sulla parte imponibile dei redditi di cui all’articolo  67, comma 1, lettera m), del TUIR, «. Le società e gli enti eroganti operano, con obbligo  di  rivalsa,  una  ritenuta  nella  misura  fissata  per  il  primo  scaglione  di reddito  dall’articolo  11.  . »  del  TUIR  «.   maggiorata  delle  addizionali  di compartecipazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche.

La ritenuta è a titolo d’imposta per la parte imponibile dei suddetti redditi compresa fino a lire 40 milioni (euro 20. 658,28) ed è a titolo di acconto per la parte imponibile che eccede il predetto importo. ».

Conseguentemente, sulla parte dei compensi in esame, eccedente l’importo di 7. 500 euro, deve essere applicata l’aliquota IRPEF del 23 per cento (vigente per   il   periodo   di   imposta   2012), l’aliquota   dell’addizionale   comunale   di compartecipazione all’IRPEF e l’aliquota dell’addizionale regionale di compartecipazione all’IRPEF. Al  riguardo,  il  Ministero  dell’Economia  e  delle  Finanze  –  Dipartimento delle   Finanze   –   Direzione   Legislazione   Tributaria   e   Federalismo   Fiscale, interpellato in merito, ha osservato che l’articolo 25, comma 1, della legge del 13 maggio 1999, n. 133 “.  se individua in maniera puntuale l’aliquota da applicare ai  fini  Irpef,  diversamente,  opera  un  generico  rinvio  alle  addizionali,  la  cui misura  dovrebbe  corrispondere  a  quella  concretamente  determinata  dall’ente titolare  del  tributo  e  alle  cui  misure  si  deve  far  rinvio  per  l’applicazione  del tributo regionale. “. Ne consegue, pertanto, che le società e gli enti eroganti compensi relativi allo svolgimento di attività sportive dilettantistiche, in sede di effettuazione della ritenuta   a   titolo   di   addizionale   regionale   di  compartecipazione,   dovranno individuare l’aliquota     deliberata dalla      regione   nella   quale      il beneficiario dell’emolumento ha il domicilio fiscale.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla società interpellante, il medesimo dicastero,  in  relazione  all’addizionale  comunale  all’imposta  sul  reddito  delle persone fisiche (ADDIRPEF), precisa che “. La mancata emanazione dei decreti interministeriali, previsti dal comma 2, dell’articolo 1, del D. Lgs. 28 settembre 1998, n.          360, con i quali  si sarebbe dovuta stabilire l’aliquota di compartecipazione dell’ADDIRPEF non impedisce in alcun modo l’applicazione del tributo in questione.

Il  successivo  comma  3  dell’art.   1,  del  D.   Lgs.   n.   360  del  1998,  infatti, dispone che  « I comuni, con  regolamento  adottato  ai sensi dell’articolo 52  del decreto   legislativo   15   dicembre   1997,   n.    446,   e   successive   modificazioni, possono disporre         la variazione dell’aliquota        di      compartecipazione dell’addizionale  di  cui  al  comma  2  con  deliberazione  da  pubblicare  nel  sito individuato  con  decreto  del  capo  del  Dipartimento  per  le  politiche  fiscali  del Ministero  dell’economia  e  delle  finanze  31  maggio  2002,  pubblicato  nella Gazzetta  Ufficiale  n.   130  del  5  giugno  2002.   L’efficacia  della  deliberazione decorre dalla data di pubblicazione nel predetto sito informatico.

La variazione dell’aliquota di compartecipazione dell’addizionale non può eccedere  complessivamente  0,8  punti  percentuali.  

La  deliberazione  può  essere adottata dai comuni anche in mancanza dei decreti di cui al comma 2. »”. Lo stesso Dipartimento delle Finanze fa presente che “L’art. 1, comma 11, del  D. L.   13  agosto  2001,  n.   138,  convertito  dalla  legge  14  settembre  2011,  n. 148,  inoltre  stabilisce  che  i  comuni  possono  stabilire  aliquote  dell’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche utilizzando esclusivamente gli  stessi  scaglioni  di  reddito  stabiliti,  ai  fini  dell’imposta  sul  reddito  delle persone fisiche, dalla legge statale, nel rispetto del principio di progressività. A ciò va aggiunto che gli enti locali possono introdurre una soglia di esenzione, a norma  del  comma  3-bis,  dell’art.   1  del  D.   Lgs.   n.   360  del  1998,  stabilita unicamente in ragione del possesso di specifici requisiti reddituali. Il citato art. 1,  comma  11,  del  D. L.   n.   138  del  2011,  poi, ha  precisato  che  tale  soglia  di esenzione deve essere intesa come limite di reddito al di sotto del quale il tributo non è dovuto e che, nel caso di superamento del suddetto limite, l’ADDIRPEF si applica al reddito complessivo”.  

 Dottor Alessio Ferretti  

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Guest House e Durata minima del contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale

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Guest House e Durata minima del contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale

Buongiorno, sono titolare di una guest house (affittacamere – bed and breakfast et similia), sto stipulando contratto di locazione di immobile ad uso commerciale, cortesemente potreste chiarirmi un dubbio sulla durata minima? Anni 8+8 è corretta come durata minima?

Legge 27/07/1978 n. 392 capo secondo

Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione

Articolo 27.

Durata della locazione.

La durata delle locazioni e sublocazioni di immobili urbani non può essere inferiore a sei anni se gli immobili sono adibiti ad una delle attività appresso indicate industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico, quali agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno ed altri organismi di promozione turistica e simili [32].

La disposizione di cui al comma precedente si applica anche ai contratti relativi ad immobili adibiti all’esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.

La durata della locazione non può essere inferiore a nove anni se l’immobile urbano, anche se ammobiliato, è adibito ad attività alberghiere, all’esercizio di imprese assimilate ai sensi dell’articolo 1786 del codice civile o all’esercizio di attività teatrali [33].

Se è convenuta una durata inferiore o non è convenuta alcuna durata, la locazione si intende pattuita per la durata rispettivamente prevista nei commi precedenti.

Il contratto di locazione può essere stipulato per un periodo più breve qualora l’attività esercitata o da esercitare nell’immobile abbia, per sua natura, carattere transitorio.

Se la locazione ha carattere stagionale, il locatore è obbligato a locare l’immobile, per la medesima stagione dell’anno successivo, allo stesso conduttore che gliene abbia fatta richiesta con lettera raccomandata prima della scadenza del contratto.

L’obbligo del locatore ha la durata massima di sei anni consecutivi o di nove se si tratta di utilizzazione alberghiera. è in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione.

Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata [34].

note:

[32] Comma così sostituito dal comma 1 dell’art. 52 dell’allegato 1, d. Lgs. 23 maggio 2011, n. 79.

[33] Comma prima modificato dal comma 1 dell’art.  7, l. 8 febbraio 2007, n. 9 e poi così sostituito dal comma 2 dell’art. 52 dell’allegato 1, d. Lgs. 23 maggio 2011, n. 79. Vedi, anche, il comma 2 del citato articolo 7, l. N. 9/2007.

[34] Vedi, anche, l’art. 4, comma 9-bis, D. L. 12 ottobre 2000, n. 279, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

Argomenti e fonti correlati

c. C.  art.  1786.  Stabilimenti e locali assimilati agli alberghi. Le norme di questa sezione si applicano anche agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili.

Indennità di avviamento commerciale

In caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili adibiti ad uso industriale, commerciale, artigianali, e alberghiero, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 , il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai numeri 1) e 2) dell’articolo 27 legge 392/78, ad una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l’indennità è pari a 21 mensilità.

Il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari all’importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.
l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata dall’avvenuta corresponsione dell’indennità di cui al primo comma.

L’indennità deve essere corrisposta all’inizio del nuovo esercizio.

Nel giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell’indennità per la perdita dell’avviamento, le parti hanno l’onere di quantificare specificatamente la entità della somma reclamata o offerta e la corresponsione dell’importo indicato dal conduttore, o, in difetto, offerto dal locatore o comunque risultante dalla sentenza di primo grado, consente, salvo conguaglio all’esito del giudizio, l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile.

CONFERIMENTO D’AZIENDA: GUIDA FISCALE

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 Dal 1° gennaio 2008 il regime fiscale applicabile alle operazioni di conferimento d’azienda è quello della neutralità regolato dall’articolo 176 del DPR 917/86 “Tuir”,  che disciplina come i conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali non costituiscono mai realizzo… 

 

 CONFERIMENTO D’AZIENDA: GUIDA FISCALE  

Dal 1° gennaio 2008 il regime fiscale applicabile alle operazioni di conferimento d’azienda è quello della neutralità regolato dall’articolo 176 del DPR 917/86 “Tuir”,  che disciplina come i conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali non costituiscono mai realizzo di plusvalenze o minusvalenze a condizione che il conferente assuma quale valore della partecipazione ricevuta l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa.

Con tale ultima locuzione si vuole intendere che la conferitaria deve recepire gli stessi valori fiscali del conferente in relazione a ciascun singolo bene dell’azienda conferita.

Si tratta, dunque, di un regime di doppia sospensione d’imposta che consente sia al conferente che alla conferitaria di recepire nelle proprie scritture contabili i maggiori valori civili senza alcuna conseguenza dal punto di vista fiscale. Tuttavia, se è vero che il conferente non subisce alcuna tassazione, simmetricamente, la conferitaria non può riconoscere fiscalmente i maggiori valori contabilizzati a seguito del conferimento.  

L’articolo 176 realizza, dunque, una perfetta successione della conferitaria nei valori fiscali del conferente, in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo che compongono l’azienda trasferita.

Ciò comporta che, relativamente ai beni trasferiti, la conferitaria eredita sia il costo storico fiscalmente riconosciuto in capo al conferente sia il relativo fondo ammortamento, e su tale valore lordo procederà a calcolare le residue quote di ammortamento deducibili. Per quanto riguarda le rimanenze, queste conserveranno l’eventuale stratificazione Lifo esistente presso il conferente.

Naturalmente, qualora nelle rimanenze del conferente e in quelle della conferitaria si trovino beni omogenei, dovrà provvedersi all’unificazione delle stratificazioni Lifo esistenti. Contabilmente, la metodologia che meglio consente di rappresentare l’operazione di conferimento attuata ai sensi del presente articolo 176 è quella cosiddetta a “saldi aperti”.

Ai fini del requisito soggettivo, è sufficiente che la conferitaria eserciti attività di impresa, indipendentemente dalla forma giuridica. Sempre sotto il profilo soggettivo, il comma 46 dell’articolo 1 della Finanziaria 2008 ha esteso l’ambito di applicazione dell’articolo 176 anche ai soggetti non residenti. A tal fine, ne è stato completamente riscritto il comma 2, sulla falsariga dell’abrogato comma 3 dell’articolo 175. Pertanto, attualmente, il regime di neutralità fiscale risulta applicabile anche nelle ipotesi in cui il conferente o la conferitaria siano non residenti, purché oggetto del conferimento sia un’azienda situata nel territorio dello Stato.

E’ stata, inoltre, trasferita nel nuovo comma 2-bis la disposizione antielusiva riguardante la successiva cessione della partecipazione ricevuta dall’imprenditore individuale a seguito del conferimento dell’unica azienda posseduta.  

In merito alla disposizione antielusiva, il comma 2-bis prevede che la successiva cessione della partecipazione ricevuta a seguito del conferimento sia disciplinata dagli articoli 67, comma 1, lettera c), e 68 del Tuir. Il richiamo operato alla lettera c) fa sì che il trattamento riservato a tali trasferimenti sia sempre quello relativo alla cessione di partecipazioni qualificate, anche in mancanza dei requisiti per essere considerate tali. Da ultimo, con l’introduzione nell’articolo 176 del nuovo comma 2-ter viene riconosciuta alla società conferitaria la facoltà di affrancare i maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali (compreso l’avviamento) relativi all’azienda ricevuta, applicando su tali maggiori valori un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e dell’Irap.

Al riguardo, occorre precisare che l’opzione esercitata dalla conferitaria non comporta alcun effetto sul valore fiscale della partecipazione ricevuta dal conferente.  

 

 Dottor Alessio Ferretti

Dott. Alessio Ferretti

 

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Frullati interamente naturali: scontano aliquota Iva agevolata al 10%

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Frullati interamente naturali: scontano aliquota Iva agevolata al 10%

Parere convergente della Agenzia delle Entrate e della Agenzia delle Dogane  sulla cessione di frullati ottenuti solamente con pura frutta applicando l’aliquota IVA agevolata al 10%.

Questa è la risposta fornita dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 272/E del 5 novembre 2009 alla richiesta di un contribuente di conoscere l’aliquota dell’imposta da applicare al prodotto. Per il contribuente, il frullato in questione rientrava all’interno della categoria “frutta commestibile, fresche o secche o temporaneamente conservate; frutta, anche cotte, congelate o surgelate senza aggiunta di zuccheri”, indicata al n. 8) della Tabella A, parte II, allegata al Dpr 633/1972 e, quindi, sconta l’Iva del 4%.

Come spesso accade, in prima battuta, l’Agenzia delle Entrate ha cassato l’interpello motivando che per rispondere all’istanza, così come è successo per altre analoghe, fosse necessario un preliminare accertamento tecnico sulla natura e la composizione merceologica del prodotto. Per questo motivo, l’Agenzia ha trattato la questione solo nell’ambito di una consulenza giuridica, dopo aver acquisito il parere dell’agenzia delle Dogane.

Quest’ultima, in seguito all’analisi chimica del prodotto, ha ritenuto che non fosse possibile considerare un succo di frutta perché costituito non solo da frutta frullata ma anche da “un quantitativo evidente di polpa non finemente suddivisa”. Pertanto, le Dogane hanno chiarito che il prodotto in esame appartiene a una categoria merceologica diversa da quella proposta dal contribuente e che, in particolare, rientri in quella individuata dal punto 74 della Tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972: “frutta ed altre parti commestibili di piante, altrimenti preparate, costituiti da miscugli di frutta, in prevalenza diversa dalla frutta a guscio”.

A fronte della classificazione merceologica della Agenzia delle Dogane, i tecnici delle Entrate, hanno ritenuto valida l’applicazione dell’aliquota del 10 per cento alla cessione di frullati interamente naturali.

OGGETTO: Interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 –  Aliquota IVA applicabile alle cessioni di frullati 100% frutta –  articolo 16 del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633   

Con istanza d’interpello presentata dalla società ALFA S. R. L. è stato  esposto il seguente quesito.    

Quesito 

L’istante chiede quale sia l’aliquota IVA da applicare alle cessioni  riguardanti il prodotto denominato X.   Il prodotto X appartiene alla categoria dei frullati e, come dichiarato  dall’istante, consiste in un frullato di frutta ottenuto solo con pura frutta al  naturale.    

Soluzione interpretativa prospettata dall’istante 

La società istante ritiene che il prodotto X possa, sotto il profilo  merceologico, rientrare nella più generica voce “Frutta commestibile, fresche o  secche o temporaneamente conservate; frutta, anche cotte, congelate o surgelate  senza aggiunta di zuccheri”, di cui al n. 8) della tabella A, parte II, allegata al  DPR n. 633/1972, per cui assoggettabile all’aliquota ridotta del 4%.     

Parere dell’Agenzia delle entrate 

In via preliminare si rileva che la presente istanza è da ritenersi  inammissibile e, come tale, improduttiva degli effetti tipici riconducibili alle  istanze di interpello di cui all’articolo 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 e  successivi provvedimenti d’attuazione.  

Come sottolineato dall’Amministrazione Finanziaria a proposito della  trattazione di casi analoghi a quello in esame non sono ammesse alla procedura  di interpello – di cui al citato articolo 11 della Legge n. 212/2000 – le istanze che  prima ancora di richiedere un’attività diretta a rimuovere “obiettive condizioni di  incertezza sulla corretta interpretazione” di norme tributarie, presuppongono la  necessità di accertamenti tecnici. E, nel caso di specie, l’individuazione  dell’aliquota IVA in concreto applicabile postula la necessità di accertamenti  tecnici sul prodotto al fine di individuarne la complessiva ed effettiva  composizione e qualificazione merceologica, accertamenti che esulano  dall’ambito di competenza della scrivente.  

Pertanto, l’istanza può essere trattata soltanto nell’ambito della consulenza  giuridica generale secondo le modalità illustrate con la circolare n. 99/E del 18  maggio 2000, fornendo un parere non produttivo degli effetti tipici dell’interpello  di cui all’articolo 11, commi 2 e 3, della legge n. 212 del 2000.  

Gli accertamenti tecnici sono stati richiesti all’Agenzia delle dogane che,  con nota n. … del … 2009, ha provveduto a determinare il corretto  inquadramento doganale dei prodotti in esame.  

In particolare la predetta Agenzia, “sulla base della dichiarazione del  produttore, della presentazione e dei risultati dell’analisi chimica della merce in  oggetto”, ritiene “che la stessa, anche se destinata ad essere bevuta, non possa  essere considerata un succo di frutta”.  

Infatti, precisa l’Agenzia delle dogane, “le Note Esplicative al SA, relative  alla voce 2009, prevedono che: ‘I succhi di frutta, di ortaggi o legumi di questa  voce sono generalmente ottenuti dalle spremitura di frutta, ortaggi o legumi   freschi, sani e maturi, sia che questa spremitura consista -come avviene per gli  agrumi- in un’estrazione a mezzo di macchine dette “estrattori” funzionanti con  il principio dello spremilimoni casalingo, sia in una pressatura preceduta o no  da pigiatura o macinazione (specialmente per le mele), sia da un trattamento con  acqua fredda o calda o con vapore (è il caso, in particolare, dei pomodori, del  ribes nero o di alcuni ortaggi come la carota o il sedano).

I liquidi così ottenuti  sono in seguito generalmente sottoposti ai seguenti trattamenti: 

a) Chiarificazione, destinata a separare i succhi dalla maggior parte degli  elementi solidi, mediante precipitazione (con gelatina, albumina, terra  d’infusori, ecc), mediante enzimi o per centrifugazione.  

b) Filtrazione, specialmente con filtri a piastre Kieselgur, di amianto, di  cellulosa, ecc.  

c) Disaerazione, destinata a eliminare l’ossigeno che sarebbe nocivo al  colore e al sapore.  

Grazie a questi vari trattamenti, i succhi di frutta o di ortaggi o di legumi si  presentano sottoforma di liquidi non fermentati, limpidi. Accade tuttavia che  alcuni succhi- soprattutto quelli ricavati da frutti polposi (per esempio,  albicocche, pesche, pomodori)- contengano ancora, in sospensione o sotto forma  di deposito, una parte della “polpa finemente suddivisa”.  

L’Agenzia delle dogane, precisando che i prodotti in oggetto sono  “costituiti da frutta frullata e presentano un quantitativo evidente di polpa non  finemente suddivisa”, ritiene di considerare tali “prodotti come ‘frutta ed altre  parti commestibili di piante, altrimenti preparate’, costituiti da miscugli di frutta,  in prevalenza diversa dalla frutta a guscio, da classificare al codice 2008 92. Il  suddetto codice NC 2008 92 corrisponde alla voce 2006 della Tariffa Doganale  in vigore al 31. 12. 87, riconducibile alla Tabella A, parte III, n. 74 allegata al  DPR n. 633 del 1972”.  

In considerazione della suddetta classificazione doganale, la scrivente  ritiene che alla cessione del prodotto sopra indicato si renda applicabile l’aliquota  IVA del 10 per cento.    

Dottor Alessio Ferretti

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Prestiti e finanziamenti concessi dalla società (srl, spa) a soci e/o amministratori

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Prestiti ad amministratori , direttori generali, sindaci e liquidatori: l’art. 2624 c. C. Stabiliva che gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori che contraevano prestiti sotto qualsiasi forma, sia direttamente sia per interposta persona, con la società che amministravano o con una società controllante o controllata, erano puniti con la reclusione, e ciò anche se il prestito fosse stato retribuito e restituito.  

Prestiti, mutui e finanziamenti ad amministratori e/o soci da parte delle Società di Capitali (SRL – SPA)*

Prestiti, mutui e finanziamenti concessi ad amministratori, direttori generali, soci, sindaci e liquidatori: l’art. 2624 c. C. Stabiliva che gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori che contraevano prestiti sotto qualsiasi forma, sia direttamente sia per interposta persona, con la società che amministravano o con una società controllante o controllata, erano puniti con la reclusione, e ciò anche se il prestito fosse stato retribuito e restituito. L’art. 2624 è stato abrogato con D. Lgs. 61/2002, decorrenza 14. 4. 2002, ma permangono le responsabilità in caso di condotta fraudolenta a danno del patrimonio sociale. Ai fini fiscali vale quanto detto per i prestiti ai soci.  

Il fatto che la fattispecie non sia più penalmente perseguibile direttamente non esclude una possibile contestazione dei reati oggetto della legge fallimentare (bancarotta, bancarotta fraudolenta, etc. ) qualora un domani la società dovesse fallire; nè esclude che gli amministratori possano essere assoggettati ad azione di responsabilità, qualora:

·       non siano nelle condizioni di restituire prestiti ricevuti;

·       espongano la società a danni qualora questa debba rispondere per le garanzie prestate in favore degli amministratori;

·       mettano comunque la società e/o creditori o terzi in difficoltà a causa della carenza di liquidità derivante dai prestiti fatti a loro.

Con l’abrogazione della norma sanzionatoria è stata eliminata la causa ostativa alla concessione dei prestiti ad amministratori  e/o soci. Questi ultimi, (coloro che possono sollevare azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore), possono deliberare il prestito e non vi è alcuna norma che possa perseguire tale attività ritenuta non più illecita. Fermo restando il versamento dell’imposta di registro,  i requisiti statutari, e l’eventuale onerosità del finanziamento in oggetto.

Eventuali danni per responsabilità, peraltro non ravvisabili nel caso di autorizzazione al prestito da parte dell’assemblea dei soci, potrebbero essere contestati solo dai soci stessi. E’ consentito tutto ciò che non è vietato, se la legge non persegue più come reato penalmente perseguibile la concessione di prestiti a soci o amministratori, nulla quaestio. Se i soci decidono di deliberare un prestito, nel rispetto statutario, possono farlo. Purché sussistano condizioni che esulano dalla distrazione di fondi per società in stato di dissesto, con contenzioso tributario in essere, o di natura elusiva. Se così non fosse i soci sarebbero comunque responsabili in solido con l’amministratore nei confronti dei terzi.

In conclusione i prestiti, finanziamenti, mutui concessi agli amministratori sono consentiti, rispettando una serie di adempimenti e contrattualistica collaudati,  diventano illegittimi se ne viene fatto un uso distorto, ma questo vale per qualunque comportamento legittimo.  

*attenzione: l’operazione è consentita ma deve essere attuata con un iter delineato onde evitare di cadere in fattispecie elusive e subire atti di accertamento e/o rettifica ai fini delle imposte dirette e/o indirette.

 

Dottor Alessio Ferretti

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Assegnazione di Azioni a titolo di divendo: Trattamento fiscale

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Assegnazione di Azioni a titolo di divendo: Trattamento fiscale

Caso esaminato a titolo di esempio

RISOLUZIONE N. 12/E  Agenzia Entrate Roma, 07 febbraio 2012 Oggetto

Interpello:   Articolo   11,   legge   27   luglio   2000,   n.    212   – Assegnazione azioni proprie a titolo di dividendo – Articolo 94, comma 5, del DPR 22 dicembre 1986, n. 917

Quesito 

ALFA S. P. A. (di seguito ALFA o Società), premesso che:

·     in sede di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2008, ha deliberato nel marzo del 2009 la distribuzione di un dividendo costituito in parte in denaro – in misura pari a 0,15 euro per ogni azione detenuta – e in parte in natura – nella misura di un’azione ordinaria ogni 25 possedute;

·     l’attribuzione delle  azioni  a  titolo  di  dividendo  è  avvenuta mediante prelievo di azioni proprie detenute in portafoglio acquisite in precedenza sul mercato;

·     ha   considerato  l’assegnazione  delle   azioni   proprie   come dividendo con presumibile tassazione in capo ai soci del valore normale delle azioni assegnate pari a circa [850] milioni di euro;

·     la risoluzione n. 26/E del 07 marzo 2011 ha chiarito che l’assegnazione  di  azioni  proprie  è  assimilabile,  sul  piano fiscale, ad un aumento gratuito di capitale mediante passaggio di riserve a capitale nei limiti in cui le predette riserve trovino capienza nello stesso e, per l’eccedenza, una distribuzione di dividendi;

·     il  principio  enunciato  nella  citata  risoluzione  è  innovativo rispetto ai precedenti di prassi e, ove confermato, determinerebbe la necessità per ALFA di modificare il “Prospetto del capitale e delle riserve” di cui al quadro RF del modello Unico, presentando una dichiarazione dei redditi integrativa nei termini di legge stabiliti;

·      sussistono  obiettive  condizioni  di  incertezza  in  ordine  al principio di cui sopra;

chiede  di  avere  conferma  del  corretto  trattamento  tributario  applicabile  alla fattispecie esaminata.

Soluzione interpretativa prospettata dall’istante

La Società ritiene che l’attribuzione di azioni proprie costituisca un’operazione di natura patrimoniale che non produce alcun effetto sul piano reddituale.

L’operazione in oggetto non determinerebbe infatti per i soci assegnatari né un arricchimento né un impoverimento, atteso che il valore  economico  delle  partecipazioni  detenute  rimarrebbe  invariato,  ripartendosi tuttavia su un maggior numero di titoli, come nell’ipotesi di aumento gratuito di capitale.

Nella specie, ALFA non condivide l’affermazione contenuta nella risoluzione n. 26/E citata, in base alla quale la diminuzione della riserva di utili che non trova capienza nel capitale sociale configurerebbe l’ipotesi di una distribuzione di dividendi. Sul punto, viene osservato come la riduzione del patrimonio sociale si  produrrebbe immediatamente al  momento dell’acquisto delle azioni proprie da parte della Società, mentre la successiva cancellazione della riserva per effetto dell’assegnazione ai soci non determinerebbe alcuna riduzione patrimoniale e tantomeno una distribuzione di dividendi.

In altri termini, l’eliminazione della riserva, quale mera posta rettificativa dell’attivo patrimoniale, non rappresenterebbe mai una distribuzione di utili in     quanto si  tratterebbe di risorse già “consumate” (impiegate) all’atto di acquisto delle azioni da parte della Società.

In definitiva,  a  parere  dell’interpellante,  l’eliminazione  della  riserva azioni proprie, pur mantenendo il capitale sociale invariato, non configurerebbe mai una distribuzione di dividendi.

Tutto ciò premesso, ALFA chiede che venga: 

·      riesaminata  l’interpretazione  resa  nella  risoluzione  n.   26/E  per affermare che l’assegnazione di azioni proprie non costituisce in ogni caso utile per i soci assegnatari;

·      precisato che l’ammontare della riserva azioni proprie da imputare a capitale sociale è costituito esclusivamente dalla quota della stessa corrispondente al valore nominale delle azioni proprie acquistate e successivamente assegnate.

Si tratta, infatti, di somme su cui sono già state assolte le imposte da parte dei soci uscenti che hanno in precedenza  ceduto  le  azioni  alla  Società.

Diversamente argomentando, si produrrebbero effetti di doppia imposizione delle somme in questione, una prima volta in capo ai soci uscenti sotto forma di capital gain e una seconda volta in capo ai soci assegnatari sotto forma di distribuzione di dividendi.

Parere della Direzione

La fattispecie sottoposta all’esame della scrivente investe il corretto trattamento fiscale dell’operazione di assegnazione di azioni proprie da parte della Società ai soci, iscritte in bilancio tra le poste dell’attivo patrimoniale conformemente a quanto prescritto dai principi di cui agli articoli 2357 e seguenti del codice civile.

La questione ha già formato oggetto di una precedente pronuncia da parte dell’amministrazione finanziaria, che si è espressa sul tema con la risoluzione n.      26/E del 2011 a cui, pertanto, occorre fare rinvio precisando, tuttavia, quanto di seguito specificato. Nella specie, ALFA chiede che l’assegnazione di azioni proprie venga, in ogni caso, considerata un’operazione di natura patrimoniale che non produce effetti reddituali in capo ai soci assegnatari.

In via di principio, torna utile ribadire in questa sede che l’acquisto di azioni proprie – operazione prodromica a quella della successiva assegnazione – riverbera effetti sul capitale sociale in termini di restituzione dei conferimenti ai soci che decidono di uscire dalla compagine sociale ovvero di ridurre la loro esposizione al rischio d’impresa.

I  principi  contabili  internazionali  IAS/IFRS  (cfr.   IAS  32,  par.   33) segnalano come l’acquisto di azioni proprie da parte dell’entità determini una riduzione del capitale, da operarsi direttamente sulle singole poste patrimoniali ovvero indistintamente contabilizzando una posta di rettifica con segno negativo nel patrimonio netto.

L’impostazione adottata dai principi contabili nazionali, a cui risulta informato il bilancio della Società, prevede invece che le azioni proprie detenute in portafoglio – che non possono eccedere la quinta parte del capitale sociale ai sensi dell’articolo 2357, comma 3, del codice civile – siano contabilizzate tra gli asset dell’attivo patrimoniale con conseguente iscrizione di una riserva di patrimonio netto di pari importo, resa indisponibile fino al mantenimento dei titoli in portafoglio da parte della società emittente. Come precisato nella risoluzione n. 26/E richiamata dal soggetto istante, la diversa rappresentazione contabile non snatura la sostanza economica del fenomeno quale operazione di natura patrimoniale non produttiva di effetti sul piano reddituale in capo ai soci.

Seppur diverso il trattamento contabile l’operazione  esprime,  tanto  nel  bilancio  IAS  compliant  quanto  nel  bilancio redatto secondo i principi contabili nazionali, un fenomeno tipicamente patrimoniale.

L’effetto di riduzione del patrimonio sociale conseguente all’acquisto di azioni  proprie  si  consolida (rectius formalizza) solo al momento dell’assegnazione ai soci delle azioni detenute in portafoglio con contestuale smobilizzo della riserva patrimoniale   precedentemente  iscritta. In buona sostanza, gli effetti che derivano dall’operazione di specie sono del tutto analoghi a quelli che si produrrebbero se le azioni proprie, anziché essere assegnate, venissero in seguito annullate con la differenza che, in tale seconda ipotesi, la riduzione del patrimonio sociale verrebbe accompagnata anche da una diminuzione dei titoli azionari in circolazione.

Più nello specifico, nell’ipotesi di acquisto e successivo annullamento occorrerebbe, da un lato, ridurre il capitale sociale per un importo pari al valore nominale delle azioni annullate e, dall’altro, abbattere la riserva precedentemente costituita per la quota parte del valore di acquisto eccedente il valore nominale dei titoli partecipativi.

Si ipotizzi, per  semplicità, un capitale sociale pari a diecimila euro, l’acquisto di cento azioni proprie di valore nominale pari a cento [valore nominale di 1 euro per azione] ad un costo di mille euro e conseguente iscrizione di una riserva di utili indisponibile di pari importo [1. 000]. Ne deriva, in sede di annullamento, la riduzione del capitale per un importo pari a euro cento [da 10. 000 a  9. 900] e la cancellazione della riserva iscritta per novecento. Risulta, pertanto, liberata la riserva azioni proprie per una quota pari a cento; quota che torna ad assumere la stessa natura che aveva in origine prima che venisse posto il vincolo civilistico di indisponibilità sulla stessa. Nella diversa ipotesi di acquisto e successiva assegnazione delle azioni proprie, invece, il capitale sociale resta contabilmente invariato e la riserva azioni proprie [nell’esempio pari a 1. 000] è cancellata.

E’ di tutta evidenza che, in questo caso, ai fini fiscali, il capitale sociale si riduce [9. 900] e si ricostituisce, alla stregua di un aumento gratuito di capitale, nella misura precedente l’acquisto delle azioni proprie da parte della Società [nell’esempio pari a 10. 000 euro], in quanto la riserva liberata [i. E. 100] deve considerarsi trasferita nel capitale.

In sostanza, la struttura del capitale sociale risulta modificata rispetto a quella precedente l’operazione di assegnazione delle azioni.

Ciò in considerazione dell’equivalenza degli effetti relativi all’attribuzione di azioni proprie con quelli dell’annullamento in cui, come già evidenziato, a parità di risultato contabile [10. 000] il capitale si riduce e la riserva, nei limiti del valore nominale delle azioni annullate, torna libera. Sulla base di questa ricostruzione, restano valide le considerazioni contenute nella risoluzione n. 26/E laddove si afferma che l’assegnazione delle azioni  proprie risulta  assimilabile, ai  fini  fiscali,  ad  un  aumento gratuito di capitale mediante passaggio di riserve a capitale.

Sul punto, che forma oggetto della prima questione sollevata dalla Società, si ribadisce che, in ipotesi di assegnazione di azioni proprie acquistate sopra la pari (come nell’esemplificazione numerica sopra riportata), la quota di riserva (azioni proprie) impiegata per “finanziare” l’aumento gratuito di capitale è pari al valore nominale del capitale che le azioni assegnate rappresentano.

L’eccedenza costituisce, infatti, una mera posta di rettifica che trova la sua ragion d’essere nell’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo di bilancio ad un costo di acquisto superiore al loro valore nominale.

Ne deriva che, in caso di successiva riduzione del capitale da parte della Società, tale riduzione dovrà essere imputata con precedenza alla quota parte di capitale derivante da passaggi di riserve di utili a capitale determinando, pertanto, ai sensi dell’articolo 47, comma 6, del TUIR, una distribuzione di dividendi per la quota parte di utili (o riserve di utili) in esso precedentemente incorporate.

Quanto alla seconda questione posta da ALFA, relativa all’affermazione contenuta nella risoluzione n. 26/E secondo cui l’eventuale eccedenza degli utili che non trova capienza nel capitale sociale configura l’ipotesi di distribuzione di dividendi, occorre qui precisare che detta eccedenza emerge nell’ipotesi in cui il capitale sociale, per effetto di operazioni poste in essere dalla Società in epoca antecedente, sia già costituito in tutto o in parte da utili pregressi.

Tornando all’esempio precedente, ciò potrebbe verificarsi nel caso in cui il capitale risulti formato da utili per un importo eccedente euro [9. 900].

In tale ipotesi, al fine di determinare la quota parte di riserva di utili “cristallizzata” in via definitiva nel capitale sociale all’atto dell’assegnazione delle azioni, il confronto deve essere operato con il capitale sociale al netto della quota parte dello stesso già formato con utili o riserve di utili. A titolo esemplificativo, se la parte di capitale sociale già costituita con utili ammontasse a euro [9. 960], il trasferimento a capitale della riserva azioni proprie di cento troverebbe capienza solo per un importo pari a euro quaranta, mentre l’eccedenza di sessanta configurerebbe la distribuzione di dividendi.

In definitiva, per quanto sopra argomentato, deve concludersi nel senso che la fattispecie in esame genera in capo ad ALFA una: –  riduzione del patrimonio netto in  misura corrispondente alle  risorse impiegate per l’acquisto delle azioni proprie;

· diversa composizione del patrimonio netto che impone di monitorare, ai fini fiscali, la parte di utile confluita nel capitale sociale per effetto dell’acquisto dei titoli partecipativi;

· eventuale distribuzione di dividendi nella particolare ipotesi in cui la quota  di  capitale  sociale  costituita da apporti risultasse incapiente rispetto alla quota di riserva di utili corrispondente al valore nominale delle azioni.

Tutto quanto sopra precisato, si confermano in questa sede le istruzioni contenute nella risoluzione n. 26/E con le ulteriori specifiche sopra evidenziate.

Super ammortamento cespiti al 140%: Guida alla corretta applicazione fiscale e contabile

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La legge di Stabilità per il 2016, art. 1, comma 91, ha introdotto nel nostro ordinamento la facoltà di operare un “super ammortamento” per gli investimenti in beni materiali strumentali  nuovi, effettuati dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, attraverso una maggiorazione percentuale del 40% del costo, fiscalmente riconosciuto,  spalmata negli anni di durata del piano di ammortamento in relazione all’applicazione del coefficiente di ammortamento relativo al cespite, in via extracontabile direttamente in ogni dichiarazione dei redditi, tramite rettifica in diminuzione della base imponibile IRES o IRPEF,  non rileva, invece,  ai fini  IRAP.

Super ammortamento: Guida alla corretta applicazione fiscale e contabile

La legge di Stabilità per il 2016, art. 1, comma 91, ha introdotto nel nostro ordinamento la facoltà di operare un “super ammortamento” per gli investimenti in beni materiali strumentali  nuovi, effettuati dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, attraverso una maggiorazione percentuale del 40% del costo, fiscalmente riconosciuto,  spalmata negli anni di durata del piano di ammortamento in relazione all’applicazione del coefficiente di ammortamento relativo al cespite[1], in via extracontabile direttamente in ogni dichiarazione dei redditi, tramite rettifica in diminuzione della base imponibile IRES o IRPEF,  non rileva, invece,  ai fini  IRAP.

Chi ne può usufruire

L’agevolazione introdotta dalla legge di Stabilità 2016 sulla disciplina fiscale degli ammortamenti effettuati trova applicazione rispetto agli investimenti effettuati sia dai soggetti titolari di reddito d’impresa, sia dagli esercenti arti e professioni, pertanto una vastissima gamma di soggetti economici.

Come si applica il super ammortamento in termini contabili e fiscali

La Legge di Stabilità 2016  ai fini della deducibilità degli ammortamenti di tali nuovi cespiti disciplina che il costo sostenuto da imprese e professionisti per la loro acquisizione possa essere maggiorato del 40% rispetto a quello imputato (in base ai prescritti coefficienti tabellari) nel conto economico.

Da un punto di vista pratico ciò sta a significare che gli interessati a tale agevolazione dovranno effettuare, in fase di dichiarazione dei redditi in via extracontabile (ossia fuori dal bilancio), una rettifica in diminuzione della base imponibile ai dini IRES o IRPEF del 40% del costo sostenuto, spalmato per il numero di vita utile del bene come da applicazione dei coefficienti ministeriali, pertanto:

·         l’agevolazione in commento determina l’irrilevanza contabile del beneficio fiscale;

·         consentirà al contribuente di effettuare una diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi: essendo le differenze definitive e non temporanee non è necessario stanziare alcuna fiscalità differita;

·         Occorre tener presente che per espressa disposizione di legge la norma può essere applicata in quanto il maggior componente negativo di natura fiscale derivante dal maggior ammortamento rispetto a quello imputato al conto economico risulta deducibile come deroga al principio di imputazione al Conto Economico (art. 109 comma 4 lettera b, del DPR n 917 del 1986). Conseguentemente in virtù della nuova previsione normativa sussiste per le fattispecie in esame la possibilità di dedure i maggiori ammortamenti che non sono stati imputati nel Conto Economico;

·         Godono dell’agevolazione i beni materiali strumentali nuovi;

Per beni “nuovi” si deve intende sia il bene acquistato dal produttore, sia il bene acquistato da un soggetto diverso dal produttore e dal rivenditore purché non sia già stato utilizzato né da parte del cedente né da alcun altro soggetto (circolare n. 90/2001).

SUPER AMMORTAMENTO ESEMPIO 1: se l’azienda Alfa Spa acquistasse BENE NUOVVO MATERIALE AD UTILITA’ PLURIENNALE (in bilancio tra le immobilizzazioni materiali), sostenendo un costo (al netto IVA) pari ad € 10. 000,00 ed il relativo coefficiente di ammortamento fosse pari al 10%, pertanto con un vita residua utile di 10 anni, optando per il super ammortamento questa azienda avrebbe diritto a dedurre fiscalmente il 14% in luogo del 10%. In altri termini in bilancio il cespite deve essere rilevato al costo storico di € 10. 000, le quote di ammortamento in conto economico saranno pari ad € 1. 000 per dieci anni, mentre in unico la base imponibile ai fini IRES, sconterà una rettifica in diminuzione di € 1. 400, con un risparmio fiscale sempre ai fini IRES di € 110 (€ 400*27. 5%). PUTROPPO NON RILEVA AI FINI IRAP.

N. B. FOCUS: 

1.        Il beneficio interessa tanto i beni strumentali acquistati in proprietà quanto quelli acquisiti in leasing;

2.        Sono esclusi dal beneficio, tuttavia, gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi per i quali il D. M. 31 dicembre 1988 stabilisce coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5%, gli investimenti in fabbricati e costruzioni, nonché gli investimenti in beni di cui all’allegato 3 della legge di Stabilità 2016;

3.        Sono esclusi da beneficio sia gli investimenti in beni immateriali che quelli in beni “usati”;

4.        In riferimento al requisito della strumentalità è necessario che i beni siano di uso durevole e atti ad essere impiegati come strumenti di produzione all’interno del processo produttivo dell’impresa. Restano, quindi, esclusi dall’agevolazione i beni merce (o, comunque, trasformati o assemblati per la vendita) e i materiali di consumo;

5.        L’acconto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015 e per quello successivo corrisponde a quello che si sarebbe determinato in assenza delle disposizioni in commento;

6.        In caso di beni complessi, quelli alla cui realizzazione abbiano concorso anche beni usati, per soddisfare il requisito del “bene nuovo” è necessario fare riferimento all’intero bene. In tale evenienza, il requisito di bene nuovo resta soddisfatto purché l’incidenza del costo relativo ai beni usati non prevalga rispetto al costo complessivamente sostenuto;

7.        l’ammortamento si deduce a partire dal momento di entrata in funzione del bene; ciò sta a significare che il momento di effettuazione dell’investimento rileva per capire se il bene rientra nella agevolazione oppure no, ma di fatto il godimento del beneficio comincerà materialmente nell’esercizio in cui risulta possibile dedurre fiscalmente le quote di ammortamento;

8.        poiché il periodo interessato agli acquisti copre anche l’ultima porzione del 2015, già dalla prossima dichiarazione dei redditi (per il bene agevolabile acquistato nel periodo dal 15. 10. 2015 al 31. 12. 2015 – per un soggetto con periodo solare – entrato in funzione nel 2015 ed ammortizzato anche civilisticamente in tale anno) si potrà operare la variazione in diminuzione nel modello Unico 2016;

9.        per i soggetti che producono reddito di impresa, l’ammortamento fiscale per il primo anno di impiego del bene, risulta ridotto al 50%, con la conseguenza che anche il beneficio fiscale dovrebbe subire una pari riduzione per evidente parallelismo;

10.    poiché, nel caso specifico dei beni realizzati in appalto, dovrebbe poter essere agevolabile anche il SAL, risulterà “bene” agevolabile anche lo stato di avanzamento qualora accettato senza riserve da parte del committente, con la ulteriore conseguenza, però, che l’ammortamento potrà decorrere solamente al completamento dell’opera, quando sarà possibile l’entrata in funzione. Anche in questa fattispecie, dunque, individueremo un bene agevolabile ma rinvieremo il godimento materiale della agevolazione al momento di decorrenza del processo di ammortamento;

11.    nelle ipotesi in cui il bene agevolato dovesse poi essere ceduto nel futuro, prima che sia completato il processo di ammortamento, anche l’agevolazione verrebbe a cessare ed, ovviamente, non potrà trasferirsi all’acquirente del bene, in quanto quest’ultimo ha perso il richiesto requisito della novità.

 

Super ammortamento in relazione agli autoveicoli (Automezzi, Autocarri, Auto)

Il super ammortamento al 140 per cento produce effetti fiscali, economici e finanziari diversi sull’acquisto delle auto a seconda che si tratti di auto a deducibilità integrale (automezzi o autocarri), auto concesse in benefit ai dipendenti, auto non assegnate (Autoveicoli ad uso promiscuo) o auto acquistate in leasing.  

Auto a deducibilità integrale

Dal punto di vista fiscale, un auto si considera a deducibilità integrale se qualificabile come automezzo o autocarro o ad uso aziendale in relazione al particolare tipo di attività esercitata (tassisti, noleggiatori, autoscuole…). Il super ammortamento produce effetti identici a quelli prodotti su ogni altro tipo di cespite: l’agevolazione fiscale, intesa come rettifica extracontabili da effettuare come rettifica in diminuzione in Unico, sarà pari al 140% del costo sostenuto da ripartire lungo la durata fiscale prevista per l’ammortamento.

In termini di risparmio di imposte ciò significa che:

·       per i soggetti IRES, fermo restando l’aliquota del 27,50%, ci sarà un risparmio dell’11%;

·       per i soggetti IRPEF il risparmio di imposte potrebbe salire al 18% per i redditi d’impresa più elevati.

Auto concesse in benefit ai dipendenti

In questo fattispecie il super ammortamento è sempre pari al 140% del costo dell’auto ma la deduzione fiscale è fissata dalla lettera b-bis) dell’articolo 164 comma 1° del DPR n. 917 del 1986 al 70% del costo stesso. In termini numerici si avrà quindi un risparmio netto pari al 28% del costo con un’agevolazione IRES pari a circa l’8%.

Auto non assegnate

Il costo delle auto non assegnate (autovetture ad uso promiscuo) ai sensi dell’articolo 164 comma 2°, lettera b) del DPR n. 917 del 1986 nel limite del 20% del tetto fissato ad € 18. 076 (ex 35 mln di lire), limite che sale ad € 25. 823 per gli agenti. Il super ammortamento 2016 alza del 40% il tetto di  € 18. 076 e quello di € 25. 823.

Ciò significa che potrebbero verificarsi due casi:

se il costo dell’auto non assegnata è pari o inferiore ai limiti sopra indicati, allora il super ammortamento sarà pari al 40% di tale ammontare;
se, invece, il costo dell’auto non assegnata è superiore ai limiti sopra indicati, allora il super ammortamento sarà fissato nel limite di questi importi.

Auto acquistate in leasing

Per questa fattispecie è neecssario distinguere le seguenti situazioni:

per le auto a deducibilità integrale e per quelle in benefit ai dipendenti l’effetto prodotto dal super ammortamento è quello di accelerare il recupero dell’agevolazione fiscale in 24 mesi (la metà del periodo di ammortamento);
per le auto a deducibilità limitata non è invece ancora chiaro come si dovrà procedere in ordine al calcolo dei canoni rilevanti fiscalmente. Da questo punto di vista occorrerà obbligatoriamente attendere i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.

 

[1] La maggiorazione produce effetti solo ed esclusivamente ai fini del computo delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria e ciò fino al suo completamento. Restano fermi i coefficienti stabiliti nel D. M. 31 dicembre 1988

IVA nelle Cooperative Agricole ed in particole Vitivinicole

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Con riferimento all’attività di produzione e di trasformazione dei prodotti vitivinicoli, la Tabella A, Parte I, allegata al D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, classifica tra i prodotti agricoli e ittici.

Con riferimento all’attività di produzione e di trasformazione dei prodotti vitivinicoli, la Tabella A, Parte I, allegata al D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, classifica tra i prodotti agricoli e ittici:

c)     i mosti di uve parzialmente fermentati anche mutizzati con metodi diversi dalla aggiunta di alcol e i mosti di uve fresche anche mutizzati con alcol (n. 35, Tab. A, Parte I);

d)    i vini di uve fresche con esclusione di quelli liquorosi ed alcoolizzati e di quelli contenenti più del ventidue per cento in volume di alcol (n. 36, Tab. A, Parte I).

Come si nota, la citata Tabella A, parte prima, non prevede una netta distinzione tra prodotto destinato al consumo (uva da tavola) e prodotto destinato alla vinificazione (uva da vino).

Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria in passato si è espressa chiarendo che l’uva da vino, classificata alla voce doganale 08. 04, rientra tra la frutta commestibile, fresca o secca o temporaneamente conservata di cui al n. 18 della Tabella A, parte prima, e che pertanto il regime speciale dell’agricoltura è applicabile all’uva a prescindere dall’utilizzazione del prodotto.

La distinzione tra uva da tavola e uva da vino, però, ha valenza con riferimento all’aliquota Iva applicabile.

Infatti, mentre per la cessione di uva da tavola si applica l’aliquota del 4% (n. 8 della Tabella A, parte seconda), per la cessione di uva da vino si applica l’aliquota del 10% (n. 22 della Tabella A, parte terza).

La cessione dei prodotti vitivinicoli può essere posta in essere:

a) da imprese agricole che producono e trasformano il prodotto (uva e/o vino);

b) da imprese commerciali che vendono il prodotto (uva e/o vino) acquistato da terzi.

A seconda delle modalità di svolgimento dell’attività, l’IVA sarà applicabile in maniera ordinaria oppure in “regime speciale” (articolo 34 del D. P. R. N. 633/1972).

Dottor Alessio Ferretti

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