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giovedì 16 Gennaio 2025
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Licenza di marchio d’impresa o collettivo da privato a società di capitali. Le royalties sono imponibili?

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Esaminiamo l’ipotesi in cui un soggetto persona fisica incassi delle royalties, da una società di capitali, in cambio dell’attribuzione alla stessa dell’utilizzo economico del marchio (d’impresa o collettivo). Il soggetto pone quindi in essere questa operazione negoziale “occasionalmente”, senza agire come imprenditore, cioè senza ricollegare la concessione in licenza ad un’attività economica professionale organizzata, diretta alla produzione e scambio di beni e servizi (articolo 2082 codice civile).  Cosa succede a livello fiscale?   Per districare la fumosa questione interpretativa relativa al trattamento fiscale delle royalties da parte di soggetto persona fisica, proviamo ad elaborare una ricostruzione interpretativa che terrà conto di diversi elementi e che possa trovare un valido riscontro normativo a livello sistematico.  

Distinzione tra “utilizzo diretto”, “utilizzo indiretto” e “cessione” del marchio

Esaminiamo l’ipotesi in cui un soggetto persona fisica incassi delle royalties, da una società di capitali, in cambio dell’attribuzione alla stessa dell’utilizzo economico del marchio (d’impresa o collettivo). Cosa succede a livello fiscale?

Per rispondere al quesito, occorre in primis evidenziare la differenza tra utilizzo diretto, indiretto e cessione del marchio.

Utilizzo diretto: è l’uso del marchio da parte del titolare, nell’ambito della propria attività economica, per contraddistinguere i propri prodotti o servizi rispetto a quelli dei concorrenti.

Utilizzo indiretto: è la concessione in uso del diritto all’utilizzo del marchio. Trattasi cioè della concessione in licenza del brand, conosciuta anche come “licensing”, dal titolare cioè il licenziante, che ne mantiene la proprietà, ad un altro soggetto, il licenziatario, che potrà utilizzarlo ai fini commerciali corrispondendo in cambio una royalty al titolare.

Cessione: è il trasferimento della proprietà unitamente al diritto di utilizzo economico del marchio dall’originario titolare ad un terzo soggetto, che consente di realizzare plusvalenze in beneficio del cedente.

“Focus” del caso

L’ipotesi che si intende esaminare, è quella dell’utilizzo indiretto del marchio da parte di una persona fisica che concede in licenza il brand alla società di capitali.

Il soggetto pone quindi in essere questa operazione negoziale “occasionalmente”, senza agire come imprenditore, cioè senza ricollegare la concessione in licenza ad un’attività economica professionale organizzata, diretta alla produzione e scambio di beni e servizi (articolo 2082 codice civile)

N. B. Se invece l’attività di licensing del soggetto persona fisica titolare del marchio che percepisce una percentuale sugli incassi dalla società utilizzatrice, fosse calata nel quadro di un’attività economica imprenditoriale, la stessa non sfuggirebbe a tassazione.

L’impasse che non consente automaticamente di considerare esenti da imposizione fiscale i redditi ottenuti dal soggetto nel caso in esame, deriva sotto il profilo giuridico ermeneutico, proprio dall’interpretazione del termine “utilizzazione economica” del marchio

Da un lato, la relazione governativa all’articolo 49 (ora 53 TUIR) nell’usare il termine “utilizzazione”, non distingue tra concessione e cessione del marchio e, pertanto, configurerebbe come certa la non imponibilità dei corrispettivi conseguiti in entrambe le situazioni economico-giuridiche, in un contesto esulante dall’esercizio dell’attività di impresa.

Tuttavia, in contrasto con tale orientamento, la risoluzione 30/E del 16 febbraio 2006 ha ritenuto di attribuire rilevanza impositiva, come reddito diverso, ai corrispettivi citati, limitatamente alla esecuzione del contratto di “concessione” (e non anche di cessione) per l’utilizzo del marchio, in quanto suscettibile di essere annoverato nella più generica e residuale fattispecie giuridica consistente nell’assunzione dell’obbligo di fare, non fare, permettere, ex lettera l, comma 1, dell’articolo 67 del TUIR.

Per l’amministrazione finanziaria quindi le royalties sarebbero tassabili come redditi diversi ma tale assunto non viene esteso alle ipotesi di vendita del marchio.

Una soluzione interpretativa a favore del contribuente: detassazione fiscale delle royalties come “non reddito”

Per districare la fumosa questione interpretativa relativa al trattamento fiscale delle royalties da parte di soggetto persona fisica, proviamo ad elaborare una ricostruzione interpretativa che terrà conto di diversi elementi e che trovi un valido riscontro normativo a livello sistematico.

Efficacia delle risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate

In primis, analizziamo il problema sul piano della gerarchia delle fonti.

Ci si dovrebbe chiedere: le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate sono giuridicamente vincolanti?  La risposta non può che essere negativa perché si tratta di atti amministrativi interni che riportano un’interpretazione legislativa sulla base di specifiche istanze ed esprimono una potestà d’ indirizzo priva di efficacia normativa esterna.  Recentemente, la Corte di Cassazione con sentenza n. 5137/2014 si è pronunciata affermando che le risoluzioni e le circolari non sono fonti del diritto, chiarendo che l’interpretazione della normativa tributaria in esse contenuta, non vincola né i contribuenti né i giudici.  Tali atti quindi, possono dettare agli uffici periferici criteri di comportamento da seguire nella concreta applicazione di norme di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento non previsto dalla legge né, soprattutto, attribuire all’inadempimento del contribuente a tali prescrizioni un effetto non previsto da una norma di legge.  Quindi costituiscono esclusivamente pareri dell’amministrazione non vincolanti per il contribuente, e non sono, quindi, impugnabili neanche innanzi al giudice amministrativo, non essendo atti generali di imposizione (in senso conforme Cassazione Civile, Sezioni Unite. , sentenza 02/11/2007 n° 23031).

Inoltre, anche a voler riconoscere efficacia alla citata risoluzione n. 30/E del 2006 occorre considerare che la stessa si riferisce ad un’ipotesi di concessione in uso con licenza non esclusiva perché comunque il titolare concedente del marchio continuava ad utilizzarlo per la propria attività professionale, ipotesi diversa dal caso in esame dove invece la persona fisica licenziante non spenderebbe economicamente il marchio nell’ambito di un’attività imprenditoriale dopo averlo concesso in licenza alla società di capitali.

Sulla base di queste considerazioni, risulta maggiormente attendibile l’interpretazione favorevole alla detassazione di questi compensi, conformemente alla relazione governativa al TUIR sopra citata.

Inquadramento sistematico delle royalty nel DPR 917/1986

L’interpretazione favorevole alla neutralità fiscale dei proventi derivanti dall’utilizzo “indiretto” del marchio da parte di persona fisica si fonderebbe anche su un dato normativo secondo un’interpretazione “sistematica” di coordinamento ermeneutico delle disposizioni del Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR)

Dal punto di vista civilistico, la nozione di royalty identifica il corrispettivo pattuito nel quadro di un contratto con effetti obbligatori, ed avente ad oggetto un bene immateriale, nel caso in esame, un marchio d’impresa o collettivo.

Il diritto tributario invece, bypassando l’aspetto contrattuale, all’articolo 53 TUIR,  sintetizza l’intera fattispecie attraverso la locuzione “utilizzazione economica” la quale assorbirebbe, insieme all’ipotesi di concessione in licenza, anche la cessione a titolo oneroso) e non configura una definizione unitaria di royalty.

Infatti, con l’entrata in vigore del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917) dal 1°gennaio 1988, è scomparsa la normativa che regolava espressamente la fattispecie in esame. (D. P. R. 29 settembre 1973, n°597) in base alla quale i proventi da concessione in licenza conseguiti da un soggetto privato erano inquadrati e tassati come redditi di lavoro autonomo.

L’attuale TUIR, infatti, ha previsto in relazione ai proventi in questione, costituiti dai redditi derivanti dallo sfruttamento di beni intangibili, un trattamento fiscale differenziato, a seconda di alcune variabili, in primis al soggetto, residente, che li percepisce, estromettendo l’ipotesi del soggetto privato.

In sintesi le royalty:

a) costituiscono redditi d’impresa quindi rientranti nella disciplina dell’articolo 55 del TUIR se conseguiti da soggetti che agiscono nell’esercizio professionale di una attività commerciale e, in ogni caso, se conseguiti da società ed enti commerciali;

b) diversamente, costituiscono redditi “diversi”, ovvero redditi di lavoro autonomo quindi rientranti nella disciplina dell’articolo 53 TUIR se l’utilizzazione economica del bene è effettuata direttamente dall’autore o dall’inventore, non nell’esercizio di imprese commerciali (utilizzo diretto);

Nel caso di specie invece, trattasi di utilizzo indiretto da parte della persona fisica, astratto da attività d’impresa quindi non rientrante né nell’ipotesi sub a), né in quella sub b).

Infatti la persona fisica non utilizza il marchio per un’attività di commercializzazione di prodotti ai quali viene apposto, introitando così direttamente i guadagni a livello imprenditoriale ma ne attribuisce la spendibilità economica alla società di capitali mantenendone solo la titolarità formale.

Ciò a supporto della detassazione fiscale di tali proventi secondo la nostra ricostruzione interpretativa

Si auspica in ogni caso, un intervento chiarificatore a livello legislativo o dell’Amministrazione Finanziaria che definisca la questione della tassazione delle royalties da persona fisica non imprenditore in modo puntuale ed esplicito.

Conclusione

La persona fisica che concede in licenza un marchio ad una società di capitali incasserà delle royalty che, in base alla interpretazione della relazione ministeriale all’articolo 53 non sarebbero tassabili e che invece sulla base della risoluzione 30/E del 16 febbraio 2006 ADE rileverebbero come redditi diversi derivanti da un obbligo di permettere.

Seguendo la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, peraltro non normativamente vincolante per i contribuenti, le royalty così incassate sarebbero dichiarabili nel quadro RL di Unico persone fisiche, sezione II-A

Secondo la nostra soluzione interpretativa in linea con la relazione governativa TUIR, tali redditi sarebbero detassati perché non costituenti né redditi d’impresa (articolo 55 TUIR) né redditi diversi (articolo 67) né redditi autonomi (articolo 53) in quanto generati dall’utilizzo indiretto del marchio da persona fisica privata.

 

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RIVALUTAZIONE IMMOBILI IMPRESE: LE RATE VERSATE IN MODO ERRATO NON SONO SOGGETTE A SANZIONE

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In base alla risoluzione della Agenzia delle Entrate 70/E del 23. 10. 2013 le società e gli enti che hanno optato per la rivalutazione degli  immobili versando l’imposta sostitutiva in modo errato causa dubbia interpretazione della norma istitutiva, sono esenti da sanzioni.

Rivalutazione immobili imprese: le rate versate in modo errato non sono soggette a sanzione

In base alla risoluzione della Agenzia delle Entrate 70/E del 23. 10. 2013 le società e gli enti che hanno optato per la rivalutazione degli  immobili versando l’imposta sostitutiva in modo errato causa dubbia interpretazione della norma istitutiva, sono esenti da sanzioni. La risoluzione n. 70/E del 23 ottobre, riconosce  la difficoltà interpretativa della disposizione che  ruotano intorno al calcolo degli interessi dovuti in caso di scelta per il versamento rateizzato delle somme e al numero di rate. L’articolo 15 del Decreto Anticrisi, commi da 16 a 23 Dl 185/2008 ha concesso alle società, di persone e di capitali, ed a tutti i soggetti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del Tuir, nonché alle società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate, che non adottano i principi contabili internazionali, la possibilità di rivalutare i beni immobili risultanti dal bilancio in corso al 31 dicembre 2007, a esclusione delle aree fabbricabili e degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa, pagando un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali.

Chi si è avvalso di questa chance ha anche potuto optare per il versamento dilazionato in un massimo di tre rate e, a tal proposito, la norma indicava, come scadenza della prima, il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, per le altre due (su cui calcolare gli interessi legali in misura pari al 3% annuo), il termine previsto per il saldo delle imposte sui redditi relative ai periodi d’imposta successivi.

 
Ebbene, il documento di prassi fa notare che parlare di interessi legali al 3% annuo può effettivamente generare confusione, considerato che la misura del saggio degli interessi legali, per sua natura, è variabile e “mal si concilia con l’indicazione di uno specifico tasso di interesse. Pertanto, ove il legislatore avesse voluto far riferimento al saggio degli interessi legali, non ne avrebbe indicato l’esatta misura”. Il dilemma nasce, quindi, dall’uso pleonastico del termine “legali”. Ribadito, dunque, che gli interessi andavano applicati nella misura del 3% annuo, tuttavia, nel rispetto del principio di tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente (articolo 10 della legge 212/2000 – Statuto dei diritti del contribuente), i contribuenti, che hanno frainteso la lettera della disposizione e applicato alle rate successive alla prima interessi minori, saranno esenti da sanzioni. Per analogia interpretativa non saranno punite le imprese che non hanno inteso la tassatività del numero delle tre rate, pensando di potersi comunque avvalere anche dell’ulteriore modalità di versamento dilazionato prevista dall’articolo 20 del Dlgs 241/1997.

 

 

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Cessione di marchio d’impresa o collettivo da privato a società di capitali: sono tassabili le plusvalenze?

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Esaminiamo il caso in cui una persona fisica, nell’esercizio di attività non imprenditoriale, decida di cedere un marchio ad una società di capitali incassando una plusvalenza e analizziamo il trattamento fiscale di tali compensi che non trovano una collocazione espressa e specifica nel Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR). Sono tassabili o no?  

 

Gli strumenti di sfruttamento economico del marchio: cessione e concessione in licenza

Attraverso la cessione del marchio, il soggetto titolare dell’asset immateriale (cedente) lo vende ad un altro soggetto (cessionario) quindi, trasferendogli la proprietà e l’utilizzo economico del bene immateriale, incasserà una plusvalenza derivante dal realizzo positivo tra costo storico (costo d’acquisto) e prezzo di vendita ottenuto a titolo di corrispettivo.

Il contratto di licenza del marchio, rientrante nel cosiddetto “licensing” determina invece una dissociazione tra la proprietà del bene immateriale che resta in capo al licenziante il quale riceve come corrispettivo una royalty, e il suo utilizzo a fini commerciali spostato sul licenziatario. Quindi, tale contratto a differenza del primo, non trasferisce la titolarità del marchio.

Il caso

Esaminiamo ora il caso in cui la persona fisica, nell’esercizio di attività non imprenditoriale, decida di cedere (vendere) un marchio d’impresa o collettivo alla società di capitali cessionaria, incassando quindi una plusvalenza.

Tassazione o detassazione fiscale?

Analizziamo il trattamento tributario dei compensi così ottenuti a titolo di corrispettivo della cessione del brand da un soggetto che non agisce a tal fine come imprenditore, questione che ad oggi non risulta espressamente regolata dal TUIR.

Secondo un orientamento prevalente che colma la lacuna legislativa sul punto, tali redditi sarebbero sottratti a tassazione in quanto, lo sfruttamento economico del marchio da parte di persona fisica non imprenditore, rileverebbe quale elemento patrimoniale fiscalmente non imponibile in capo ai soggetti non esercenti attività d’impresa ed è proprio il caso sopra prospettato (con eccezione di quelli introitati da soggetti non residenti, lettera c, comma 2, articolo 23, Tuir).

Ne costituisce una conferma ormai consolidata la relazione governativa 1986 all’articolo 49 (ora articolo 53) del TUIR in base alla quale, i redditi derivanti a un soggetto privato dall’utilizzazione economica dei marchi di fabbrica e di commercio, non si comprendono più tra i redditi di lavoro autonomo né tra i redditi diversi, “. Nel rilievo che l’utilizzazione dei marchi d’impresa avviene o in sede di trasferimento dell’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa”.

Tale impostazione risulta ormai cristallina con riferimento alle plusvalenze generate da cessione, quindi se, riprendendo il caso pratico indicato, la persona fisica cedesse il marchio d’impresa o collettivo ad una società di capitali, il realizzo positivo della vendita rileverebbe come un “non reddito” e quindi come un provento non fiscalmente imponibile.

Trattasi di un punto fermo che non risulta essere confutabile neanche sulla base della la risoluzione 30/E del 16 febbraio 2006 la quale, nell’attribuire rilevanza impositiva, come reddito diverso ex lettera l, comma 1, dell’articolo 67 del TUIR ai compensi derivanti dall’utilizzo del marchio, riguarda espressamente una ipotesi di concessione in licenza e non di cessione. Il quesito riguardava infatti il trattamento fiscale delle somme corrisposte da un professionista per l’utilizzo di un “marchio” che identificava un noto studio legale al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio associato o associato allo studio titolare del marchio che quindi continuava a mantenerne la proprietà.

Conclusione

La persona fisica che cede un marchio (d’impresa o collettivo) ad una società di capitali otterrà una fonte reddituale addizionale (plusvalenza) ma non dovrà pagare imposte sulla stessa, non incardinandosi l’operazione negoziale nell’ambito dell’attività tipicamente imprenditoriale. Quindi sarà tax free.

Potrebbe configurarsi questo provento come “plusvalenza isolata” relativa all’asset immateriale, cioè posta in essere non nell’esercizio di attività economica continuativa, e comunque non riconducibile alle plusvalenze isolate qualificabili come redditi diversi dall’articolo 67, in quanto queste ultime sono riferibili solo ad alcuni beni immobili (terreni).

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Il licensing del marchio collettivo: un esempio pratico per avere successo sul mercato detassando i redditi della vostra impresa.

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Cosa può ottenere in termini di competitività e risparmio fiscale un’impresa che decide di registrare o di acquistare in licenza un marchio collettivo? Il marchio collettivo è un brand che nasce per essere utilizzato simultaneamente da più imprenditori: il titolare di questo tipo di marchio è un soggetto che non necessariamente svolge attività imprenditoriale lucrativa e che generalmente coincide con un consorzio o un’associazione. Il “licensing” cioè l’accordo di concessione in licenza è ad esso strutturale e forma un connubio indissolubile con il “funzionamento” del  brand, determinando l’acquisizione automatica di un pacchetto strategico di benefits economici e fiscali. Vediamo insieme un esempio pratico per avere successo sul mercato e conseguire un grossissimo risparmio lecito d’imposta.  

 

Licensing e marchio collettivo: un connubio indissolubile

Il marchio collettivo è un brand che nasce per essere utilizzato simultaneamente da più imprenditori.

Come previsto dal combinato disposto degli articoli 2570 codice civile e 11 CPI (codice della Proprietà Industriale) infatti, il titolare di questo tipo di marchio è un soggetto che non necessariamente svolge attività imprenditoriale lucrativa e che, generalmente coincide con un consorzio o un’associazione.

Il suo compito è quello di concedere in uso il marchio al concessionario-utilizzatore che si impegni a rispettare gli obblighi circa provenienza, natura o qualità dei prodotti, come precisati nel regolamento d’uso (che deve essere allegato alla domanda di registrazione).

Il concedente dunque, conservando la proprietà del marchio collettivo, gode di un’ampia funzione di controllo per assicurare che sia garantito il mantenimento di determinati livelli di qualità, origine, natura dei prodotti ai quali lo stesso è apposto: ciò giustifica l’esercizio di poteri sanzionatori nell’ipotesi in cui gli utilizzatori non si conformino alle prescrizioni del regolamento; il che rafforza ulteriormente la valenza garantistica di questo marchio rispetto a quello aziendale classico, nella misura in cui consente di generare guadagni sicuri per prodotti sicuri.

E’ dunque evidente la particolarità che contraddistingue il marchio collettivo rispetto ai marchi d’impresa: il “licensing” cioè l’accordo di concessione in licenza è ad esso strutturale e forma un connubio indissolubile con il “funzionamento” del brand.

Più esattamente con il termine “licensing in” si intende “l’acquisizione dall’esterno di tecnologie” brevettate o non brevettate, cioè del know-how, compreso anche un marchio collettivo, da parte di un’impresa, per integrare le proprie conoscenze e negoziare strumenti di business idonei a raggiungere alti livelli di competitività.

Vantaggi del marchio collettivo per licenziante ed utilizzatore

Nel marchio collettivo, la scissione tra titolarità e utilizzo è permanente.

A) Essere titolare di un marchio collettivo significa automaticamente ottenere una fonte addizionale di reddito rappresentata dalle royalty corrisposte dal partner licenziatario e quindi anche tutti i vantaggi relativi a:

1) monetizzazione efficace del proprio diritto di proprietà intellettuale;

2) acquisizione di quote sempre maggiori di mercato attraverso l’espansione geografica e settoriale del brand;

3) bonus fiscali in relazione alla detassazione delle royalties;

B) Dall’altro lato, l’utilizzatore licenziatario godrà dei seguenti benefits:

1) sfruttamento economico di un marchio pronto a generare liquidità, usufruendo prontamente di conoscenze già sviluppate e consolidate per la produzione di beni e l’utilizzazione di processi, evitando di sobbarcarsi costi per la creazione di un brand ex novo;

2) implementazione dell’immagine imprenditoriale sul mercato grazie surplus di valore economico-qualitativo del prodotto marchiato, che di riflesso contribuirà alla promozione dell’attività del titolare ed al rafforzamento dei suoi diritti sul brand;

3) godere di un trampolino di lancio in caso di piccola e media impresa che singolarmente non riuscirebbe con le proprie risorse ad ottenere una visibilità ottimale sul mercato.

Infatti, il licenziatario di un brand innovativo quale il marchio collettivo, andrebbe a collocare la propria offerta nella fascia “alta” di mercato, quella che copre la domanda di prodotti con determinate caratteristiche di qualità, origine e natura, facendo un salto di qualità a livello imprenditoriale.

Chi intende registrare un marchio collettivo, acquisterà logicamente oltre ad una proprietà intellettuale, un “pacchetto” con tutti i benefits economici sopra elencati, ai quali si sommano successivamente, previo esercizio della relativa opzione, anche quelli operanti a livello fiscale grazie al “Patent box” di cui alla L. 190 /2014, implicante una tassazione agevolata delle royalty derivanti dal suo sfruttamento, sottraendo così all’imponibile una consistente quota di redditi ottenuti attraverso attività di licensing.

Simulazione di un caso pratico per avere successo sul mercato e risparmiare sul Fisco

Facciamo ora un esempio pratico che dimostra concretamente quali vantaggi è possibile ottenere attraverso la concessione in licenza o “licensing” di un marchio collettivo.

Un consorzio leader in un determinato settore, conclude con successo la concessione in licenza di un marchio collettivo e di know How ad una piccola azienda in fase di sviluppo ancora priva di un “concept market”.

Il consorzio titolare del marchio collettivo realizzerà flussi di denaro significativi incassando royalties. Creerà così un Business notevole rafforzando la posizione propria e dell’azienda utilizzatrice del brand sul mercato. Avrà così monetizzato la proprietà intellettuale “esportando le proprie idee” e, optando per il Patent Box otterrà una neutralizzazione fiscale di una fetta considerevole dei propri guadagni e innoverà al contempo la propria impresa.

L’azienda licenziataria, da parte sua, potrà emergere sul mercato ottenendo introiti più sicuri per la commercializzazione di prodotti qualitativamente garantiti sotto il profilo dell’origine, natura, qualità, realizzati attraverso peculiari e non comuni processi di lavorazione.

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Super ammortamento ed Iper ammortamento: novità introdotte Legge Stabilità 2017

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La legge di stabilità 2017 approvata con Legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha prorogato la maggiorazione del 40% delle quote di ammortamento e canoni di locazione introdotta dalla precedente Legge di Stabilità del 2016, articolo 1, comma 91, inerente il “super ammortamento” per gli investimenti in beni materiali strumentali  nuovi, attraverso una maggiorazione percentuale del 40% del costo, fiscalmente riconosciuto,  spalmata negli anni di durata del piano di ammortamento in relazione all’applicazione del coefficiente di ammortamento relativo al cespite, in via extracontabile direttamente in ogni dichiarazione dei redditi, tramite rettifica in diminuzione della base imponibile IRES o IRPEF,  non rileva, invece,  ai fini  IRAP.

Guida alla comprensione delle novità introdotte della Legge di Stabilità 2017.

La legge di stabilità 2017 approvata con Legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha prorogato la maggiorazione del 40% delle quote di ammortamento e canoni di locazione introdotta dalla precedente Legge di Stabilità del 2016, articolo 1, comma 91, inerente il “super ammortamento” per gli investimenti in beni materiali strumentali  nuovi, attraverso una maggiorazione percentuale del 40% del costo, fiscalmente riconosciuto,  spalmata negli anni di durata del piano di ammortamento in relazione all’applicazione del coefficiente di ammortamento relativo al cespite, in via extracontabile direttamente in ogni dichiarazione dei redditi, tramite rettifica in diminuzione della base imponibile IRES o IRPEF,  non rileva, invece,  ai fini  IRAP.

La legge di stabilità 2017 approvata con Legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha prorogato la maggiorazione del 40% delle quote di ammortamento e canoni di locazione effettuate dal 1° Gennaio 2017 e sino al 30 Giugno 2018. Tuttavia, il super ammortamento al 140 per cento perde qualche pezzo: per le auto aziendali, infatti, varrà solo se l’uso aziendale è esclusivo.

Un ulteriore novità introdotta riguarda l’Iper ammortamento per i beni materiali ad alto contenuto tecnologico, consentendo di ammortizzare un valore pari al 250% del costo di acquisto.

Chi ne può usufruire

L’agevolazione sulla disciplina fiscale degli ammortamenti effettuati trova applicazione a «tutte le aziende che investono in beni strumentali strettamente inerenti al core business aziendale», comprendendo in questa definizione tutti i titolari di reddito di impresa, sia dagli esercenti arti e professioni, pertanto una vastissima gamma di soggetti economici.

Come si applica il super ammortamento in termini contabili e fiscali

Nell’applicazione operativa, l’ammortamento al 140 per cento consente di ammortizzare il cespite acquistato secondo le aliquote ordinarie, mentre dal punto di vista fiscale viene effettuata una «variazione in diminuzione della base imponibile» su cui poi verranno calcolate le imposte.

Da un punto di vista pratico ciò sta a significare che gli interessati a tale agevolazione dovranno effettuare, in fase di dichiarazione dei redditi in via extracontabile (ossia fuori dal bilancio), una rettifica in diminuzione della base imponibile ai fini IRES o IRPEF del 40% del costo sostenuto, spalmato per il numero di vita utile del bene come da applicazione dei coefficienti ministeriali, pertanto:

· L’agevolazione in commento determina l’irrilevanza contabile del beneficio fiscale;

· Consentirà al contribuente di effettuare una diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi: essendo le differenze definitive e non temporanee non è necessario stanziare alcuna fiscalità differita;

· Occorre tener presente che per espressa disposizione di legge la norma può essere applicata in quanto il maggior componente negativo di natura fiscale derivante dal maggior ammortamento rispetto a quello imputato al conto economico risulta deducibile come deroga al principio di imputazione al Conto Economico (art. 109 comma 4 lettera b, del DPR n 917 del 1986). Conseguentemente in virtù della nuova previsione normativa sussiste per le fattispecie in esame la possibilità di dedure i maggiori ammortamenti che non sono stati imputati nel Conto Economico;

· Godono dell’agevolazione i beni materiali strumentali nuovi;

Per beni “nuovi” si deve intende sia il bene acquistato dal produttore, sia il bene acquistato da un soggetto diverso dal produttore e dal rivenditore purché non sia già stato utilizzato né da parte del cedente né da alcun altro soggetto (circolare n. 90/2001).

Facendo un esempio numerico.

Si supponga di acquistare e mettere in funzione in data un bene ammortizzabile al costo di 10. 000 euro (imponibile ed al netto Iva) e soggetto ad un coefficiente di ammortamento pari al 20% (ammortamento costante in 5 anni). La quota di ammortamento civilistica sarà pari a 2. 000 euro (20% di 10. 000).

Con il super ammortamento al 140 per cento, nel modello UNICO 2017 (redditi 2016) si potrà effettuare una variazione in diminuzione dalla base imponibile su cui pagare le imposte pari ad euro 800 (40% di 2. 000) con una quota di ammortamento fiscale complessiva pari ad euro 2. 800.

Super Ammortamento anche per i Software

Il super ammortamento al 140 per cento è stato esteso anche ai software. Si tratta di una novità assoluta in quanto la normativa entrata in vigore quest’anno, com’è noto, non prevede il super ammortamento per i beni immateriali.

Dal periodo d’imposta 2017 tra i beni agevolabili vi sono anche i software. Su tali beni immateriali si potrà applicare il super ammortamento al 140 per cento purché i software stessi siano collegati alla “trasformazione tecnologica in chiave Industria 4. 0”.

In altre parole, per beneficiare del super ammortamento al 140 per cento anche sui software imprese e professionisti dovranno preliminarmente effettuare un investimento previsto dal piano Industria 4. 0 ad esempio per:

beni strumentali con funzionamento controllato da sistemi computerizzati e/o gestito tramite opportuni sensori e azionamenti;
sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità;
dispositivi per l’interazione uomo macchina e per il miglioramento dell’ergonomia e della sicurezza del posto di lavoro.

Super ammortamento escluse le auto aziendali ad uso promiscuo e quelle concesse in uso ai dipendenti.

La Legge di bilancio 2017 è intervenuta su questo capitolo del super ammortamento al 140 per cento, eliminando la possibilità di agevolazioni fiscali su:

auto aziendali ad uso promiscuo (cioè non esclusivamente legate all’attività aziendale);
auto concesse in uso a dipendenti.

In questo senso, il super ammortamento auto al 140 per cento rimane applicabile solo per le auto aziendali utilizzate esclusivamente per l’attività imprenditoriale.

Iper Ammortamento: funzionamento e applicabilità

La Legge di Stabilità 2017 ha introdotto l’Iper ammortamento al 250 per cento sugli investimenti rientranti nel piano industria 4. 0

l periodo di riferimento è il 2017, con possibilità di concludere l’acquisto entro il 2018, purché sussistano determinate condizioni (legate per esempio al pagamento degli acconti).

Come previsto per il super ammortamento, anche l’iper ammortamento è esteso agli acquisti effettuati in leasing.
Al fine di fruire dell’Iper ammortamento al 250% in luogo della agevolazione del 140% occorrerà:

produrre autocertificazione ai sensi del Dpr 445/2000;
contattare un professionista per avere una perizia giurata qualora il costo del bene superi 500. 000 euro.

Tale documentazione viene richiesta al fine di accertare le gli investimenti effettuati e per i quali si richiede l’Iper ammortamento al 250 per cento 2017 abbiano caratteristiche conformi a quelle che saranno richieste dalla Legge di Bilancio.

Super ammortamento al 140 per cento: le conferme
Come lo scorso anno l’attuale Legge di Bilancio 2017 ha previsto che il super ammortamento:

non si applichi ai beni immateriali con l’eccezione sopra spiegata dei software;
non si applichi ai beni con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5%;
non rilevi ai fini degli acconti e non sia rilevante ai fini di Irap e studi di settore

Come guadagnare rapidamente con il licensing della proprietà intellettuale. Tagli fiscali fino al 50% premiano l’innovazione della tecnologia anche all’estero

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ll “licensing” che significa “accordo di licenza”, indica l’attività di concedere (licensing out) ovvero di prendere (licensing in) in “locazione” un diritto di Proprietà Industriale o Intellettuale (marchio, brevetto, know-how, diritto d’autore, ecc. ) attraverso un contratto di licenza. Vediamo più da vicino perchè e come questo strumento negoziale rappresenta un’opportunità di slancio e crescita anche per le piccole e medie imprese,  alle quali risulta scarsamente conosciuto, consentendo di realizzare interessanti business anche sui mercati esteri e di godere di straordinari benefici fiscali!

 

Il licensing: un modello di sviluppo flessibile e veloce sul mercato anche per le piccole e medie imprese

Il “licensing” che significa “accordo di licenza”, indica l’attività di concedere (licensing out) ovvero di prendere (licensing in) in “locazione” un diritto di Proprietà Industriale o Intellettuale (marchio, brevetto, know-how, diritto d’autore, ecc. ) attraverso un contratto di licenza.

Con tale accordo dunque, il titolare di un “Intangible asset” (concedente), consente che l’altro contraente (licenziatario) svolga un’attività che, in mancanza di licenza, costituirebbe una violazione dei diritti di esclusiva, concedendogli l’uso del proprio marchio per la produzione e la distribuzione di prodotti, in un preciso territorio, attraverso determinati canali distributivi, per un periodo di tempo prestabilito.

Il licenziatario a sua volta, si impegna a corrispondere al licenziante, un corrispettivo sotto forma di importi fissi garantiti (fat fee)e/o percentuali variabili (royalties) calcolate sul fatturato.

Trattasi di uno strumento che ha trovato un’ampissima diffusione a livello internazionale e che produce numerosi benefits, rivelandosi una preziosa opportunità di slancio e crescita anche per le piccole e medie imprese alle quali risulta scarsamente conosciuto.

Vantaggi derivanti dal licensing di un Brand

Analizziamo ora le ragioni per le quali è consigliabile optare per questo strumento commerciale, esaminando in particolare la concessione in licenza un marchio.

L’attività di licensing, se condotta in modo attento e professionale, sotto il duplice profilo giuridico ed economico, può produrre i seguenti vantaggi:

1) il licenziatario evita di sobbarcarsi i costi derivanti dall’accreditamento ex novo di un brand e quelli per lo sviluppo interno all’azienda del relativo know how, potendo sfruttare economicamente un marchio già pronto a generare liquidità, in cambio dell’erogazione di una percentuale sul fatturato (royalty);

2) sottoscrivendo una licenza, l’apposizione del marchio ai prodotti del concessionario utilizzatore attribuisce agli stessi forte valore aggiunto;

3) il titolare del marchio monetizza efficacemente il proprio diritto di proprietà intellettuale perché, oltre all’introito di una notevole fonte aggiuntiva di reddito, rappresentata dal corrispettivo pagato dal licenziatario, acquisisce quote sempre maggiori di mercato, espandendo il brand in aree geografiche o settori che, per ragioni produttive, finanziarie o di localizzazione, non potrebbe soddisfare così proficuamente;

4) ne deriva un beneficio indiretto che si rivela strategico per il debutto di piccole e medie imprese: un aumento della notorietà e dell’immagine del marchio, contribuendo alla promozione dell’attività del titolare ed al rafforzamento dei suoi diritti sul brand.

Bonus fiscali del Patent Box a sostegno del licensing

La necessità dell’impresa di adattarsi flessibilmente agli oscillamenti del mercato e di ottimizzare l’utilizzo delle proprie risorse in tempi di reazione utili, stimola ogni singola azienda a focalizzare l’attenzione sulla gestione del proprio patrimonio tecnologico, valorizzandolo come fattore strategico e investendo ingenti risorse per mantenerlo, implementarlo e rinnovarlo.

E’ questa la ragione fondamentale per la quale diventa necessario inculcare e sviluppare una cultura della ricerca, sia a livello aziendale che nazionale, premiare e proteggere la ricerca e l’innovazione in primis nell’ambito della proprietà intellettuale, come presupposto necessario dell’affermazione sul mercato dei trasferimenti tecnologici nelle più importanti ed interessanti aree economiche del mondo.

Per soddisfare queste esigenze ed implementarne i vantaggi, la Legge di Stabilità 2015 ha ideato uno strumento ah hoc, il Patent Box, un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzo e/o dalla cessione di opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da design e marchi d’impresa estensibile a certe condizioni anche ai soggetti non residenti.

In sintesi le finalità che rappresentano il leitmotiv di tale opzione fiscale sono:

a) incentivare l’attività research & innovation da parte delle imprese italiane anche sul mercato internazionale riducendone il carico fiscale;

b) abbattere l’elusione fiscale generata dalla pratica di delocalizzazione dei brevetti e marchi in paesi con minore carico fiscale;

c) estensione dell’agevolazione anche ai marchi tutelati in qualsiasi paese estero, in base alle norme vigenti e agli accordi internazionali.

I soggetti titolari di reddito d’impresa intenzionati ad investire in ricerca e innovazione ed affermarsi nel licensing godranno a decorrere dal 2017 di una detassazione del 50% delle royalties dal reddito generato dalla concessione in licenza dei beni immateriali quali i marchi (espressamente compreso il marchio collettivo) brevetti, know how, prodotti da attività di ricerca e sviluppo (comma 42-ter all’articolo 1 della legge 190/2014).

Per sapere subito quanto potreste risparmiare fiscalmente con tale opzione fiscale agevolativa, leggete la divulgazione dedicata a come si calcola il Patent Box!

Attenzione: non tutti sanno che il licensing può consentirvi di moltiplicare in modo esponenziale i vostri guadagni ed essere gli ideatori di un Business di altissima qualità e successo se decidete di registrare un marchio collettivo!  Per scoprire come, leggete subito la divulgazione dedicata al marchio collettivo con opzione Patent Box che vi consentirà di innovare la vostra impresa con potentissimi sgravi fiscali!

Tali bonus fiscali sono secondo la normativa cumulabili con i crediti di imposta in ricerca e innovazione segnando un ulteriore punto a vantaggio del tax saving.

N. B. Considerando che la firma di un accordo di licenza è frutto di una trattativa complessa, che richiede un’imprescindibile competenza sia legale che dei meccanismi relativi al funzionamento del mercato e che l’opzione fiscale del Patent Box se correttamente esercitata, consente di godere di straordinari vantaggi, risulta altamente consigliabile rivolgersi ad esperti del settore per emergere in tale settore così potenzialmente redditizio e soddisfacente.

Se desiderate registrare un marchio collettivo o d’impresa, ottenere assistenza nella redazione di contratti di licenza, attuare con successo la vostra progettualità d’impresa ed al contempo risparmiare serenamente, pro norma dal punto di vista fiscale attivando gli imperdibili bonus Patent Box, 

contattaci subito al NUMERO VERDE 800. 19. 27. 52!

 

Agevolazione ACE per i soggetti Irpef titolari di partita Iva

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Per i redditi conseguiti nel 2016, Unico 2017, ci sono nuove regole di applicazione dell’Ace (Aiuto alla crescita economica) per i soggetti Irpef titolari di partita Iva. La legge di stabilità passata ha modificato la disciplina dell’agevolazione per imprenditori individuali e società di persone, estendendo ai soggetti Irpef le regole che disciplinano le società di capitali.  

Agevolazione ACE per i soggetti Irpef titolari di partita Iva

Per imprese individuali e società di persone agevolazione con criterio incrementale

Per i redditi conseguiti nel 2016, Unico 2017, ci sono nuove regole di applicazione dell’Ace (Aiuto alla crescita economica) per i soggetti Irpef titolari di partita Iva. La legge di stabilità passata ha modificato la disciplina dell’agevolazione per imprenditori individuali e società di persone, estendendo ai soggetti Irpef le regole che disciplinano le società di capitali.

Ante modifica, per imprese individuali e società di persone in contabilità ordinaria è stato preso in considerazione come base agevolabile agli effetti dell’Ace il patrimonio netto risultante al termine di ciascun esercizio, includendo quindi anche l’utile e al netto dei prelevamenti in conto utili; venivano dunque rilevate anche le riserve di utili non realizzati e gli apporti in natura.

Per il periodo di imposta 2016, anche i soggetti Irpef calcoleranno il beneficio Ace secondo il criterio “incrementale”, misurando quindi incrementi e decrementi di capitale proprio, come per le società di capitali.

La norma prevede anche che per i soggetti Irpef, «rileva, come incremento di capitale proprio, anche la differenza fra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010».

Si riconosce dunque ai fini dell’Ace “di partenza” la differenza tra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010, anziché gli incrementi e decrementi di capitale proprio realizzati dall’esercizio 2011 da conteggiarsi analiticamente secondo il nuovo ordine; vuol dire che i soggetti Irpef non devono ricostruire analiticamente le movimentazioni del patrimonio netto dal 1 gennaio 2011, in quanto al calcolo dell’Ace devono essere sommati alla differenza tra patrimonio netto contabile al 31 dicembre 2015 ed al patrimonio netto contabile al 31 dicembre 2010 gli eventuali incrementi registrati nel 2016.

La norma regolamenta sia il passaggio alle nuove modalità di determinazione della base Ace per i soggetti Irpef, sia il passaggio dei soggetti Irpef dal regime di contabilità semplificato a quello ordinario.

Associazioni Culturali o Sportive: Attivo il nuovo servizio di consulenza fiscale una tantum ad ore

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Come avviare un’associazione culturale? Un Centro sportivo?  Quale forma giuridica tutela di più?  Devo aprire partita Iva o no? Conviene farlo o è rischioso?  Come erogare soldi a chi vive l’associazione? A queste e molte altre domande siamo abituati a rispondere ricevendo oltre 200 richieste di assistenza l’anno nel solo settore non profit.  

Associazioni Culturali o Sportive: Attivo il nuovo servizio di consulenza una tantum ad ore

Acquista il pacchetto ore di consulenza, pagando con PayPal o bonifico bancario

 

Dottor Alessio FerrettiCome avviare un’associazione culturale?  

Un Centro sportivo?  

Quale forma giuridica tutela di più?

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Conviene farlo o è rischioso?  

Come erogare soldi a chi vive l’associazione?  

Leader in Italia nel non Profit (A. P. S. – O. D. V – A. S. D. – S. S. D. ) 

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Ti aiutiamo ad impostare la tua realtà nel modo migliore, risparmiando liquidità ed a farlo nel rispetto delle normative fiscali.

I nostri Pacchetti di ore di consulenza immediatamente acquistabili

Se non vuoi aderire ai piani di abbonamento mensile puoi scegliere il pacchetto di consulenza “una tantum” sottostante, acquistando singole ore di consulenza.

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Pacchetto n. 1: scelta della forma giuridica

Essere assistiti nella scelta della forma giuridica da adottare che meglio tutela le persone coinvolte e rappresenta la visione dell’attività.

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Pacchetto n. 2: assistenza nella redazione dello statuto

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tre ore di consulenza  € 270

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Pacchetto n. 3: avviamento completo
 

Acquistare il pacchetto all’inclusive per creare la vostra associazione, dalla consulenza per la scelta della forma giuridica all’assistenza alla stesura dello statuto

Pacchetto avviamento associazione  € 290  per un massimo di quattro ore di consulenza suddivise in due appuntamenti.

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Pacchetto n. 4: consulenza per singole iniziative

Acquista singoli pacchetti di consulenza per singole iniziative nello sport e/o nel non profit, esempio consulenza ad istruttori, ad eventi, manifestazioni, cessione di prodotti et similia

Mezz’ora di consulenza € 79

Un’ora di consulenza € 119

Un’ora e mezza di consulenza € 149

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un’ora e mezza €149,00 EUR

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Marchio con opzione Patent Box: come guadagnare innovando la vostra impresa grazie ad imposte super ridotte

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Il Patent Box, opzione fiscale introdotta dalla Legge di Stabilità 2015 che prevede la tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo della proprietà intellettuale, assume una particolare rilevanza nel marchio collettivo che si qualifica come  potente e accattivante brand, simbolo di garanzia e certificazione qualitativa dei prodotti in un’ottica di incremento delle quote di mercato per l’impresa e di customer satisfaction per  i consumatori. Vediamo insieme quali vantaggi potreste ottenere se decideste di registrare un marchio collettivo ed esercitare l’opzione Patent Box.

 

Il Patent Box applicato al marchio collettivo: innovazione, detassazione e valorizzazione sul mercato

Il Patent Box, opzione fiscale introdotta dalla legge di stabilità 2015 che prevede la tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo della proprietà intellettuale, assume una particolare rilevanza nel marchio collettivo che si qualifica come potente e accattivante brand, simbolo di garanzia e certificazione qualitativa dei prodotti in un’ottica di incremento delle quote di mercato per l’impresa e di customer satisfaction per i consumatori.

Nella logica di un marchio come questo, legato profondamente all’origine, natura e qualità del prodotto sul quale è apposto, è evidente come il “Patent Box” possa moltiplicare in modo esponenziale e agevolato lospazio dedicato alle attività di ricerca ed innovazione che sono essenziali e strategiche per ottimizzare, evolvere ed affinare i particolari product process, trattamenti, quality, materie prime e know how sintetizzati nel prodotto finito marchiato con un “marchio collettivo” amplificando cosi valore, cultura ed emozioni racchiusi e suscitati dal brand.

Il Patent Box quindi, premia moltissimo ed in particolare anche le imprese che investono in Research & Innovation titolari di un marchio collettivo, decretandone il successo nell’ambito della globalizzazione dell’economia mondiali.

Inoltre, i benefits ottenibili grazie ai bonus fiscali del Patent Box rivelano la loro funzionalità anche in relazione alle strategie pubblicitarie e di marketing per la valorizzazione dell’immagine commerciale dell’impresa.

Chi intende avvalersi di un marchio collettivo dunque, oltre ad avvantaggiarsi di un prezioso valore aggiunto in termini di competitività, optando per il Patent Box otterrà una variazione in diminuzione dal reddito d’impresa imponibile ai fini delle imposte IRES e IRAP pari al 50% dal 2017 di una quota parte del reddito agevolabile ed una detassazione notevole in caso di cessione del brand.

N. B. Attualmente l’opzione agevolativa è validamente esercitabile essendo stato prorogato l’originario termine del 30 giugno 2016

 

Quantifichiamo il risparmio fiscale usufruibile con il Patent Box per i titolari di marchio collettivo

Se si decide di presentare domanda di Patent Box, l’impresa titolare di un marchio collettivo (la concedente-licenziante) assisterà all’abbattimento di quasi la metà rispetto al regime ordinario, della tassazione delle royalties.  Questo tipo di redditi, normalmente tassati al 31,4%, sconteranno in pratica una tassazione al 16% sempre a condizione che l’opzione fiscale venga esercitata correttamente e in conformità ai requisiti di legge.

 

Esaminiamo le applicazioni pratiche del Patent Box con riferimento al marchio collettivo

A) Licensing cioè concessione in licenza d’uso (strutturale al funzionamento del marchio collettivo)

In tale ipotesi “ordinaria”, il reddito “netto” agevolabile è costituito dalla differenza tra i canoni (cc. Dd. “royalties”) percepiti e i costi rilevanti; per calcolare il reddito agevolabile effettivo, si applica la seguente formula:  {RPI x [(costi qualificati + eventuale uplift nel massimo del 30%)/costi complessivi]} x 50%.

In sintesi, circa la metà dei redditi derivanti dallo sfruttamento economico del marchio collettivo sarà sottratto a tassazione.

Per determinare il beneficio e la valutazione di convenienza economica occorrerà, in conformità ai chiarimenti contenuti nella circolare 11/E della Agenzia delle Entrate:

calcolare il reddito agevolabile derivante dall’utilizzo del marchio collettivo (canoni di concessione al netto dei costi fiscalmente rilevanti);
moltiplicarlo per il nexus ratio (rapporto tra costi qualificati cioè quelli relativi allo sviluppo, mantenimento e accrescimento del bene immateriale e costi complessivi);
applicare alla quota di reddito agevolabile così ottenuta l’aliquota del 50% dal 2017 quantificando così la detassazione effettiva;
preventivare i costi amministrativi contabili e fiscali eventualmente da abbattere.

 

B) Le plusvalenze derivanti dalla cessione del “collective trademark” agevolabile saranno escluse dal computo del reddito imponibile a condizione che il 90% del corrispettivo (non della plusvalenza) sia reinvestito in attività di manutenzione o sviluppo di altri beni immateriali considerati dal Patent Box, da attuarsi non oltre la chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la cessione. In mancanza, si attiva un meccanismo di recapture del beneficio tramite variazione in diminuzione. Nel caso di cessioni infragruppo con parti correlate è possibile attivare una procedura di ruling. L’obbligo di reinvestimento scatta dal momento di realizzo della plusvalenza, senza che rilevino le modalità di pagamento del corrispettivo.

 

C) Operazioni straordinarie.  In caso di operazioni straordinarie, fiscalmente neutre (la fusione, la scissione, il conferimento di azienda) l’avente causa (e cioè società incorporante, società beneficiaria e società conferitaria) subentra al soggetto dante causa nell’esercizio dell’opzione agevolativa anche rispetto al computo della durata e dei costi.

Se si è titolari di un marchio collettivo quindi, procedere ad una fusione, scissione o acquisizione di azienda consente di conservare la facoltà di esercitare l’opzione agevolativa di “Patent Box” traendo tutti i possibili benefits derivanti brand.

 

Per poter applicare correttamente l’opzione del Patent Box e godere dei suoi benefit fiscali, sono necessarie:

a) delicate operazioni di audit interni o di vere e proprie due diligence, finalizzate ad ottenere una fotografia aggiornata del marchio collettivo e dei profili di reddittività ed efficienza;

b) la consulenza di esperti in materia per verificare la fattibilità pro norma dell’opzione in relazione al caso specifico e la gestione delle procedure burocratiche e del relativo ruling con l’ADE per evitare di decadere da questi imperdibili benefici fiscali.

 

Per registrare il vostro marchio collettivo o marchio d’impresa, ottenere i vantaggiosi bonus fiscali del Patent Box o per ricevere una consulenza tributaria specializzata su altri intangible assets, compilate il nostro Form o contattateci subito al NUMERO VERDE 800192752!  

 

Realizzerete in tutta serenità e con successo la vostra progettualità d’impresa.

Patent Box 2017: come si calcola il bonus fiscale per detassare royalty e plusvalenze sulla proprietà intellettuale

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Il “Patent Box” è un  regime opzionale di tassazione fiscale introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, che punta a rilanciare la produttività del Paese, valorizzando i cosiddetti asset intangibili, tipici di un’economia avanzata e rendendo il mercato nazionale maggiormente attrattivo per gli investitori esteri. Esso consente di escludere dalla base imponibile una quota o tutto il reddito generato dall’utilizzo diretto o indiretto della proprietà intellettuale: in altri termini è la  detassazione dei redditi derivanti da marchi, brevetti e diritti di PI.  Con questa guida pratica illustriamo come funziona, come si calcola e quanto i titolari di reddito d’impresa potranno risparmiare sul Fisco.

Come funziona il “Patent box” e quali vantaggi produce?

Il “Patent Box”, regime opzionale di tassazione fiscale introdotto dall’articolo 1, commi 37-43 della Legge 23 dicembre 2014 n°190 (Legge di Stabilità) e modificato dall’“Investment Compact” 2015, è uno strategico strumento di politica industriale, che punta a rilanciare la produttività del Paese, valorizzando i cosiddetti “asset intangibili”, tipici di un’economia avanzata e rendendo il mercato nazionale maggiormente attrattivo per gli investitori esteri.

Esso consente di escludere dalla base imponibile una quota o tutto il reddito generato dall’utilizzo diretto o indiretto della proprietà intellettuale (PI): in altri termini è la detassazione dei redditi derivanti da marchi, brevetti e diritti di PI.

Nel dettaglio, i beni agevolabili con il Patent box sono le opere dell’ingegno, i software protetti da copyright, i brevetti industriali, i marchi d’impresa compreso il marchio collettivo, i disegni e modelli giuridicamente tutelati e il know how.

Chi può optare per il “Patent Box”?

L’agevolazione riguarda i soggetti titolari di reddito di impresa, aventi diritto allo sfruttamento economico del marchio (o di altro asset immateriale incluso nell’agevolazione), a prescindere dalla forma giuridica (società di capitali e di persone, ditte individuali, enti pubblici e privati diversi dalle società), dalla dimensione, dal regime contabile e dal titolo giuridico in base al quale avviene lo sfruttamento (proprietà o licenza) e a condizione che investano in attività di ricerca e sviluppo.

L’agevolazione è estesa anche ai soggetti non residenti, purché questi siano stabili in paesi con i quali è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni fiscali sia effettivo.

I vantaggi del Patent Box sono:

la detassazione (del 30% nel 2015, del 40% nel 2016 e del 50% dal 2017) delle royalties derivanti dalla concessione in licenza dei beni immateriali quali i marchi (espressamente compreso il marchio collettivo) brevetti, know how, prodotti da attività di ricerca e sviluppo (comma 42-ter dell’articolo 1 della legge 190/2014);
la detassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione degli intangible asset, a condizione che il 90% sia reinvestito entro il secondo periodo d’imposta successivo nello sviluppo di un altro brand o proprietà intellettuale;
la continuità fiscale nelle operazioni straordinarie (fusioni, scissioni e conferimenti di azienda) cioè il trasferimento automatico delle agevolazioni fiscali dell’opzione esercitata dal dante causa (società incorporata, società scissa e società conferente) in capo al soggetto avente causa (cioè società incorporante, società beneficiaria e società conferitaria), sia per il computo degli anni di durata dell’opzione, sia in relazione alla natura e all’anzianità dei costi da indicare nel rapporto tra costi qualificati e complessivi;
la cumulabilità dei benefits del Patent Box con quelli del credito d’imposta “ricerca e sviluppo”, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa.

Misuriamo il risparmio d’imposta del Patent Box!

Se si decide di presentare domanda di Patent Box quindi, l’impresa assisterà all’abbattimento di quasi la metà rispetto al regime ordinario, della tassazione delle royalties.

Questo tipo di redditi, normalmente tassati al 31,4%, sconteranno in pratica una tassazione al 16% sempre a condizione che l’opzione fiscale venga esercitata correttamente e in conformità ai requisiti di legge.

Considerando l’aliquota applicabile nel 2017, la quota di reddito agevolabile non concorrerà a formare il reddito d’impresa per il 50 per cento del relativo ammontare, con il risultato di fatto di una tassazione ai fini IRES del bene immateriale con aliquota pari alla metà di quella ordinaria e, quindi, pari al 12% (tenendo conto della riduzione dell’aliquota IRES al 24% prevista dalla legge di Stabilità 2016 a decorrere dal periodo di imposta 2017)

Nel caso di cessione invece, le imprese vedranno azzerata la tassazione fiscale delle plusvalenze.

Continua il debutto dello delle PMI e delle Startup innovative: via all’opzione agevolata anche dopo il 30 giugno 2016

Quanto alla presunta scadenza del 30 giugno sui marchi e brevetti, il Governo, attuando un cambio di rotta, ha deciso di prorogare la validità del bonus fiscale del Patent Box su queste due categorie di beni immateriali, dato l’enorme spessore strategico degli stessi nello scenario economico, in primis nel food e nella moda.

Il superamento di tale limite temporale deriva dalla differenza tra il Patent Box OCSE, molto legato ad aspetti tecnici e tecnologici dell’impresa e il Patent Box Italiano che valorizza, in una prospettiva di maggiore ampiezza ed elasticità, gli aspetti intangibili ma super vitali dell’azienda e connessi principalmente al profilo estetico, commerciale e culturale.

Il Patent Box ha infatti riscontrato un incredibile successo in termini di adesione che ha toccato già nel corso del primo anno (2015), 3500 richieste di accesso, determinando il debutto sul mercato soprattutto delle piccole e medie imprese e delle startup innovative.

Le attività di Search & Innovation possono essere sia svolte internamente che commissionate a società indipendenti, comprese startup innovative, oppure a Università, Enti di ricerca pubblici o privati e organismi equiparati, per mezzo della stipula di specifico contratto di ricerca.

L’opzione ha una durata di 5 anni, è irrevocabile ed è rinnovabile.

Attenzione: Tale opzione fiscale agevolativa prevista per gli intangible assets, se applicata al marchio collettivo è in grado di produrre vantaggi straordinari che non sono noti a tutti: per scoprirlo leggete subito la divulgazione dedicata al marchio collettivo con opzione Patent Box!

Quali sono gli obiettivi perseguiti dal Patent box?

Le finalità sulle quali punta il Patent Box sono:

incentivare l’attività research & innovation da parte delle imprese italiane anche sul mercato internazionale riducendone il carico fiscale fino al 100%;
abbattere l’elusione fiscale generata dalla pratica di delocalizzazione dei brevetti e marchi in paesi con minore carico fiscale;
l’estensione dell’agevolazione anche ai marchi tutelati in qualsiasi paese estero, in base alle norme vigenti e agli accordi internazionali;
un’ulteriore utilità del patent box riferibile al medio-lungo periodo sarà l’implementazione della tutela del “Made in Italy”, consentendo di evolversi nella lotta alla contraffazione in qualunque settore.

Come si calcola il Patent Box?

Gli elementi da considerare per il calcolo del Patent box sono, conformemente alla Circolare Agenzia delle Entrate n°11/E del 7/04/2016:

A) il reddito derivante dallo sfruttamento del bene cioè il reddito agevolabile “RPI”, coincidente:

nel caso di utilizzo diretto del bene immateriale, con il “contributo economico” apportato dall’ “intangible asset” al reddito complessivo, determinabile tramite procedura di “ruling” con l’agenzia delle entrate;
nel caso di utilizzo indiretto, con i canoni di concessione del bene immateriale, al netto dei costi fiscalmente rilevanti diretti ed indiretti ad esso connessi di competenza del periodo di imposta;

B) il Coefficiente, abbreviato come “coeff”, corrispondente al cosiddetto “nexus ratio”, dato dal rapporto tra costi qualificati cioè quelli sostenuti (direttamente o indirettamente) dall’impresa nell’attività di ricerca e sviluppo del bene immateriale ed i costi complessivi ossia i costi totali per produrre tale beni (costituiti dalla somma delle spese qualificate, dei costi di acquisizione dei beni immateriali e delle spese di ricerca fatturate dalle parti correlate);

C) la quota di reddito agevolabile derivante dal prodotto tra reddito agevolabile e il nexus ratio “RA”=RPI x coeff;

D) la percentuale da applicare al RA, predeterminata secondo un criterio modulare: (30% nel 2015) 40% nel 2016 e 50% nel 2017.

La formula complessiva quindi è la seguente:

{RPI x [(costi qualificati + eventuale uplift nel massimo del 30%)/costi complessivi]} x 40% (50% nel 2017) = reddito agevolato da portare in deduzione che, a decorrere dal 2017, determinerà una variazione in diminuzione IRES /IRAP in Unico. In fase transitoria infatti la pratica è gestita conformemente al provvedimento ADE.

Le spese qualificate possono essere incrementate fino al 30%, limite massimo detto uplift, nel caso in cui si verifichi un’eccedenza dei costi complessivi sulle spese qualificate di ricerca.

A decorrere dal 2018, il reddito agevolabile verrà definito per ciascun bene immateriale. Ciò, al fine di concedere alle organizzazioni aziendali interne, il tempo utile per procurarsi i sistemi adeguati volti ad individuare e documentare i vari costi e i ricavi (criterio “tracking and tracing”).

Nell’elenco delle spese ammesse dal Patent Box rientrano anche quelle dedicate al marketing e a tutte quelle attività di promozione e comunicazione (quindi anche i costi per le campagne pubblicitarie) che rileveranno come costi qualificati ai fini del “Nexus Ratio”, nonché quelli investiti per la protezione della proprietà intellettuale.

NB Occorre in questa sede precisare che, ferma restando la condizione rappresentata dallo svolgimento di effettive e documentabili attività di R&S, non è necessario che le attività di R&S, relative a un determinato intangible asset, siano state poste in essere nel periodo di imposta in cui si fruisce dell’agevolazione dei redditi scaturenti da quel bene, essendo sufficiente che siano state compiute nei periodi di imposta precedenti.  E’ invece fondamentale che vi sia un collegamento diretto tra le attività di R&S e l’asset intangibile . Non è rilevante il luogo di svolgimento di dette attività, che può essere collocato anche fuori dall’Italia.

Per usufruire dei bonus fiscali del “Patent Box” con un tax saving fino al 100%, occorre effettuare un’analisi preliminare circa la fattibilità e convenienza dell’opzione agevolativa nel caso specifico e quindi valutare la redditività degli asset immateriali della propria impresa, al fine di verificarne l’efficienza sotto il duplice profilo industriale e commerciale.

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