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giovedì 16 Gennaio 2025
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“Free Riding” del marchio collettivo: come fare per prevenirlo?

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Il marchio collettivo ha il vantaggio di creare una premessa vincente per la reputazione comune alle imprese, e il suo livello di redditività sarà direttamente proporzionale alla sua originalità e visibilità sul mercato.  Ciò consentirà di utilizzare, in aggiunta, l’informazione del marchio individuale d’impresa e quindi esaltare l’immagine delle singole aziende e società che si avvalgono anche del marchio collettivo.  Per rendere questa tipologia di marchio uno strumento di comunicazione efficace, sia verso i consumatori, che dal punto di vista delle imprese, occorreadottare una serie di strategie in primis i meccanismi di funzionamento del marchio che prevengano comportamenti di Free Riding. Vediamo insieme come fare!

La reputazione vincente delle imprese sotto il marchio collettivo

Il marchio collettivo ha il vantaggio di creare una premessa vincente per la reputazione comune alle imprese, e il suo livello di redditività sarà direttamente proporzionale alla sua originalità e visibilità sul mercato.  Ciò consentirà di utilizzare, in aggiunta, l’informazione del marchio individuale d’impresa e quindi esaltare l’immagine delle singole aziende e società che si avvalgono anche del marchio collettivo.

La creazione di questa “reputazione associata al marchio collettivo” dipende sia dalla funzione di garanzia svolta concretamente dal soggetto titolare del brand, che sortirà un effetto positivo per la fiducia del consumatore, sia da una media ponderata delle esperienze di qualità che si fanno con i diversi prodotti, all’interno del Brand comune.  Ciascuna delle imprese sotto il marchio collettivo, influenzerà la reputazione del segno stesso. E’ quindi chiaro che tra imprese di diverse dimensioni, quella che produce e vende di più sul mercato, avrà la capacità di influenzare maggiormente l’idea che di quel marchio si fanno i consumatori. E dato che la “comunicazione esterna” del marchio collettivo è una, sebbene le imprese mantengano un margine di autonomia decisionale sempre in conformità ai criteri e vincoli del regolamento d’uso, i benefici generati sul mercato da quella determinata impresa riverberanno i loro effetti positivi a vantaggio di tutte le imprese che lo utilizzano.

Per scoprire subito tutti i vantaggi di questo eccezionale marchio, leggete la nostra guida dedicata a perché il marchio collettivo è vincente sul mercato!

Per ottenere gli straordinari bonus fiscali sui redditi derivanti dall’utilizzo di questo marchio, leggete ora la divulgazione relativa al marchio collettivo con opzione Patent Box!

Attenzione al “Free Rider “!

Per rendere il marchio collettivo uno strumento di comunicazione efficace, sia verso i consumatori, che dal punto di vista delle imprese, occorre adottare una serie di strategie in primis i meccanismi di funzionamento del marchio che prevengano comportamenti di FreeRiding.  Il Free Rider è quell’agente economico che pone in essere un comportamento opportunistico, beneficiando a suo vantaggio esclusivo di una situazione determinata da altri, in questo caso la buona reputazione del marchio collettivo che le altre imprese contribuiscono a costruire, sostenendone i costi, senza contribuire in sostanza agli stessi ma approfittando solo dei benefits.

Come si previene il Free Riding?

Elemento essenziale è, nel contesto attuale, la funzione effettiva svolta dall’ente titolare (impresa, associazione riconosciuta o anche di fatto, privato o pubblico) che deve essere di protezione e garanzia di determinati prodotti o servizi.  Questo è il primo step per bloccare sul nascere il fenomeno dannoso del Free Riding.

Nel marchio collettivo si assiste quindi ad una scissione tra titolarità (concedente) ed utilizzo (concessionario) del brand dove il primo ha l’obbligo di controllare che i prodotti su cui sarà apposto il marchio collettivo, abbiano i giusti requisiti.

E’ in questa cornice che assumono fondamentale importanza sia il regolamento d’uso che regola l’utilizzo del brand da parte dei produttori e dei commercianti utilizzatori con i controlli e sanzioni applicabili nei loro confronti dal soggetto titolare (in genere un consorzio) che lo concede in licenza ed è tenuto a vigilare sulla corretta gestione del Brand, sia il disciplinare di produzione, contenente una serie di regole esplicite che le imprese che partecipano al marchio collettivo devono osservare, riguardanti sia il processo produttivo, che le caratteristiche finali del prodotto. Entrambi devono essere allegati alla domanda di registrazione di un marchio collettivo.

Quindi, le condizioni di funzionamento di un marchio collettivo, devono essere verificate attentamente al momento in cui si decide di creare e registrare questo tipo di brand e di lanciarlo sul mercato.

Gli uffici come l’UIBM o l’EUIPO verificano se sia assicurata o meno l’ obiettiva funzione di garanzia del soggetto cedente e valutano inoltre la congruità e completezza del regolamento allegato ed eventuale disciplinare di produzione.

Il mancato controllo con irrogazione di sanzioni da parte del soggetto titolare rispetto al marchio utilizzato non conformemente al regolamento d’uso (cd. Marchio decettivo) può comportare la decadenza del titolare dal marchio (e di conseguenza l’impossibilità per gli aderenti o concessionari di utilizzarlo) ai sensi dell’articolo 14 del CPI.

E’ quindi importante che sussista una certa omogeneità strutturale delle imprese che decidono di mettersi sotto lo stesso marchio collettivo perché così sarà più facile trovare un accordo in termini di processi produttivi da adottare in concreto e costi di produzione, evitando che si configurino situazioni di potenziale conflittualità e che prevalga l’impresa con il maggiore potere contrattuale .

Se desiderate registrare un marchio collettivo per creare una reputazione comune di successo e ricevere assistenza nella redazione del regolamento d’uso e disciplinare di produzione o per richiedere consulenza legale per tutelarvi dal Free Riding,

contattateci subito al NUMERO VERDE 800. 19. 27. 52!

 

 

Reverse charge, cos’è e campi di applicazione

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Il Reverse charge prende sempre più piede nelle transazioni interne; sono stati infatti modificati i campi relativi alle operazioni con applicazione dell’inversione contabile, includendo anche le cessioni di console da gioco, tablet pc e laptop.

Reverse charge, cos’è e campi di applicazione

Il Dlgs 24/2016 ha esteso il campo di applicazione del Reverse charge.

Il Reverse charge prende sempre più piede nelle transazioni interne; sono stati infatti modificati i campi relativi alle operazioni con applicazione dell’inversione contabile, includendo anche le cessioni di console da gioco, tablet pc e laptop.

Il Reverse charge è una particolare modalità di attuazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) introdotto per ridurre l’evasione fiscale, secondo il quale l’onere dell’imposizione fiscale viene trasferito dal venditore al compratore; il riferimento normativo è rappresentato dall’articolo 17, commi 5 e 6 del dpr 633/1972 (c. D. «decreto IVA»).

Il campo di applicazione dell’inversione contabile riguarda:

–       Le cessioni imponibili di oro da investimento;

–       Le cessioni di materiale d’oro;

–       Le prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili;

–       Le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato;

–       Le cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni alle cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori;

–       Le cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori;

–       Le cessioni di materiali e prodotti lapidei, direttamente provenienti da cave e miniere.

Il settore che utilizza maggiormente il Reverse charge è quello edile, soprattutto in presenza di contratti di subappalto, ed è applicabile alle prestazioni di servizi di manodopera, di pulizia, di demolizione, di installazione impianti e di completamento degli edifici; non è applicabile invece nella preparazione del cantiere, trivellazione e perforazione, realizzazione coperture, noleggio a caldo di attrezzature e macchinari.

Il Reverse charge IVA è applicabile anche sulle cessioni di console da gioco, tablet, pc e laptop nell’ambito dei rapporti B2B cioé business to business (transazioni commerciali elettroniche tra imprese).

In termini pratici, con l’inversione contabile il venditore emette fattura senza l’addebito dell’imposta Iva; l’acquirente integra la fattura ricevuta con l’aliquota di riferimento per il tipo di operazione effettuata e, allo stesso tempo, procede con una duplice annotazione, sia nel registro degli acquisti che nel registro delle vendite.

Il nuovo Reverse charge IVA 2016 ha integrato il d. P. R. 633/1972, modificando la lettera c del comma 6 dell’articolo 17; la nuova normativa prevede l’applicazione dell’inversione contabile a tablet, pc portatili (laptop) e console di gioco: il regime si applica però solamente fino alla fase immediatamente precedente al commercio al dettaglio. In quest’ottica, gli acquisti dei prodotti suddetti saranno soggetti a regime IVA ordinario se acquistati per un utilizzo strumentale in proprio.

La nuova normativa ha però carattere temporaneo, infatti sarà in vigore solamente fino al 31 dicembre 2018. Non è prevista nessuna scadenza, invece, per il Reverse charge IVA edilizia, prestazioni di pulizia, demolizione, installazione impianti e completamento edifici.

Il successo del “Patent Box” nel settore alimentare: progetto d’impresa di una Srl e calcolo del risparmio d’imposta

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Non tutte le aziende che operano nel settore alimentare, titolari di un marchio d’impresa o collettivo o di altri “intangible assets” come know how, brevetti o che desiderano acquistarli in licenza, sanno che per fare della creatività e innovazione sul mercato il proprio punto di forza e ottenere un grossissimo risparmio fiscale, possono puntare sul Patent Box, un nuovo regime opzionale fiscale per lo sfruttamento dei beni immateriali che rappresenta, agli occhi di tanti imprenditori,  una misura strutturale per il rilancio delle aziende, fortemente strategica, che premia anche piccole e medie imprese. Esaminiamo l’esempio di un progetto per una Srl che può consentire di sfruttare al massimo il beneficio fiscale con marchi d’impresa e collettivi e calcoliamo il complessivo risparmio d’imposta ottenibile.  

 

Non tutte le aziende alimentari sanno che. Il “Patent Box”

Non tutte le aziende che operano nel settore alimentare, titolari di un marchio d’impresa o collettivo o di altri “intangible assets” come know how, brevetti o che desiderano acquistarli in licenza, sanno che per fare della creatività e innovazione sul mercato il proprio punto di forza e ottenere un grossissimo risparmio fiscale, possono puntare sul Patent Box.

Si tratta del nuovo regime opzionale fiscale per lo sfruttamento dei beni immateriali, che premia quelle imprese che mettono a frutto tali assets, quella che moltissimi imprenditori, nel corso di convegni e rassegna stampa hanno recentemente definito “una misura strutturale per il rilancio delle imprese, fortemente strategica che permette alle aziende di valorizzare dei beni che prima non erano messi a sistema, come marchi e brevetti, know-how, disegni e modelli, anche per le piccole e medie imprese protagoniste del tessuto industriale”

Quando opera l’agevolazione fiscale?

Le modalità con le quali un’azienda può percepire un reddito da beni immateriali, sul quale applicare i bonus fiscali dell’opzione sono tre:

Utilizzo diretto (commercializzazione di prodotti o servizi che incorporano beni immateriali);
Utilizzo indiretto (concessione in licenza a terzi dell’utilizzo di tali beni);
Cessione (vendita della proprietà e dell’utilizzo dei beni immateriali).

Quanto si risparmia sulle imposte?

Con il Patent Box, il 50% (dal 2017) della quota parte di reddito agevolabile prodotto dal marchio o da altro bene immateriale calcolato anche sulla base delle spese in ricerca e innovazione, viene dedotto dalla base imponibile.

L’opzione consente in pratica di dimezzare la percentuale di tassazione sugli intangible assets, che passa dal 31,4% al 16%.

Con riferimento all’IRES che a decorrere dal 2017 viene ridotta al 24%, si giungerebbe ad un’aliquota d’imposta del 12% .

Questo beneficio fiscale durerà automaticamente per cinque anni (oltre ad essere rinnovabile alla scadenza) se si esercita correttamente l’opzione Patent Box !

Esempio di un progetto d’impresa per sfruttare al meglio i bonus fiscali: la scelta del marchio collettivo

Esaminiamo ora l’esempio di un progetto che consentirebbe all’impresa di ottenere il massimo beneficio fiscale, combinando in modo ottimale le due modalità di utilizzo e i profitti derivanti da due tipologie di Brand.

Un’ impresa che chiamiamo Alfa, operante nel settore del confezionamento di prodotti alimentari, costituita in forma Srl è titolare di due marchi d’impresa e commercializza direttamente i relativi prodotti.

Si tratta di due linee di prodotto, linea “x” pasta, linea “y” formaggi, ciascuna contraddistinta da un Brand specifico, della quale la società è proprietaria. In un secondo momento l’azienda decide di creare e registrare un marchio collettivo relativo al prodotto “salumi” linea “z” che le farà conseguire guadagni elevatissimi derivanti dalle royalty ottenute dalla concessione in licenza alla società utilizzatrice “Delta”, in quanto si tratta di un marchio differenziale di qualità e garanzia che incrementerà anche il feedback positivo dell’immagine imprenditoriale di entrambe le società.

Complessivamente, quindi, le entrate della società Alfa, derivanti dai beni immateriali si realizzano attraverso lo sfruttamento diretto dei due marchi d’impresa dei prodotti messi in vendita e dallo sfruttamento tipicamente indiretto del marchio collettivo.

Per godere dell’agevolazione fiscale del Patent Box, l’azienda svolgerà attività di sviluppo e mantenimento di questi beni immateriali, nel caso specifico potrà commissionare l’attività di research e innovation ad un ente di ricerca e investire in marketing, promozione, sponsorizzazioni eventi fieristici nelle località strategiche per i marchi dei prodotti x, y e z.

Successivamente, per ragioni di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale e per migliorare la performance economica e finanziaria dell’impresa, viene proposta la separazione delle due linee di prodotto relative ai marchi d’impresa in due ragioni sociali distinte e, pertanto viene deliberata una scissione parziale della società Alfa.

Al termine si avrà come risultato finale, da un lato, la società scissa che tuttavia manterrà la proprietà delle prima linea x e quindi continuerà a realizzare e commercializzare prodotti di pasta (marchio d’impresa), conservando anche la proprietà del marchio collettivo dei salumi ,linea z e, dall’altro, la società beneficiaria scorporata “Beta” alla quale sarà concessa in licenza la linea Y (formaggi).

Ne deriva che la società Alfa incasserà da un lato i guadagni relativi al prodotti venduti con il marchio pasta (utilizzo diretto) e dall’altro le royalty relative al marchio collettivo da parte della società Delta, (come in precedenza) alle quali si aggiungeranno le royalty corrisposte dalla  società Beta per la licenza del marchio relativo alla linea y formaggi (utilizzo indiretto).

Affinché l’azienda scissa Alfa possa godere di tutti i bonus fiscali relativi a entrambe le modalità di sfruttamento, dovrà semplicemente continuare ad effettuare le attività di research e innovation dirette al mantenimento ed accrescimento del valore di tutti e tre i marchi, potendole commissionare a enti di ricerca Università o anche a Start up, e sostenere i costi per la comunicazione, la promozione, le sponsorizzazioni e la partecipazione ad eventi e fiere del settore. Quanto all’utilizzo indiretto, è opportuno che il valore delle royalties da corrisponderesia in linea con le medie di mercato nel quadro della libera concorrenza.

Calcoliamo il risparmio fiscale complessivo della società Alfa

Ora, considerando i seguenti dati relativi all’esercizio 2017, proviamo a fare una stima dei bonus fiscali totali dei quali la società Alfa andrà a beneficiare

1) marchio d’impresa linea “x” pasta

reddito agevolabile = contributo economico netto = 100. 000 €
spese qualificate = 4. 000 €
spese complessive = 5. 200 €

2) marchio d’impresa linea “y” formaggi

reddito agevolabile = royalty netta = 200. 000 €;
spese qualificate = 5000 €;
spese complessive = 6500 €.

3) marchio collettivo linea “z” salumi

reddito agevolabile = royalty netta = 600. 000 €;
spese qualificate = 8000 €;
spese complessive = 10. 400 €.

Quota totale reddito da marchi detassata

{[100. 000 x (4. 000 + 30% / 5. 200)] + [200. 000 x ( 5. 000 +30% / 6. 500 )] + [600. 000 x (8000+ 30 % /10. 400)]}x 50% = 450. 000 € sottratti a tassazione = variazione in diminuzione Unico 2018.

Questo significa che nel corso del primo quinquennio di durata dell’opzione la società Alfa risparmierà sui redditi derivanti dai tre marchi un totale € 2. 250. 0000 € a fronte di elevatissimi guadagni e della moltiplicazione delle quote di mercato acquisite.

Per attivare con successo la vostra progettualità d’impresa nel settore alimentare, registrare un marchio d’impresa e/o collettivo e conseguire tutti i possibili bonus fiscali del Patent Box,

contattateci subito al NUMERO VERDE 800192752!  

 

Marchio collettivo geografico (MCG) agroalimentare: flessibilità, redditività e risparmio lecito di imposta. Istruzioni per l’uso.

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Marchio collettivo geografico (MCG) agroalimentare

Siete un’impresa che opera nel settore agroalimentare e desiderate costruire un Business di successo con il marchio collettivo geografico (MCG) collocandovi in modo innovativo sulle vette più alte del mercato e realizzando al contempo un elevatissimo risparmio fiscale?  Scoprite subito come fare con la nostra guida pratica!

Il Boom del marchio collettivo nell’agroalimentare

Per il settore agroalimentare è l’era del “Boom” del marchio collettivo (disciplinato dal combinato disposto degli articoli 2570 codice civile e 11 CPI (Codice della Proprietà Industriale) e dal regolamento 2424/2015), un brand di qualità che presenta mille marce in più rispetto al classico marchio aziendale,garantendo origine, natura e qualità dei prodotti che lo “indossano”.

Marchio collettivo significa in altre parole incrementare la garanzia dei consumatori e creare per le imprese che se ne avvalgono un prezioso valore aggiunto che si converte in profitti elevatissimi, prestigio a livello di immagine imprenditoriale e potente redditività sul mercato. Inoltre, investendo nella innovazione e ricerca, consente di godere degli straordinari bonus fiscali del Patent Box.

Per misurare il risparmio fiscale ottenibile con questa opzione fiscale agevolativa, leggete subito la divulgazione dedicata a come si calcola il Patent Box!

Il prestigio e la redditività del marchio collettivo geografico (MCG) per le vostre imprese: un’opportunità unica

In particolare, la necessità delle aziende in questo settore di rendere “esclusivi” e competitivi i propri prodotti, ha determinato un ricorso massiccio al marchio collettivo geografico (MCG) attraverso il quale si garantisce che più prodotti, appartenenti a produttori differenti, ma comunque accomunati dall’origine territoriale, possiedano delle specifiche e omogenee proprietà organolettiche, in virtù dell’area geografica di provenienza. Questa è una possibilità che, in deroga al Codice della Proprietà Industriale, è concessa al marchio collettivo; infatti, solo questo e non il classico marchio d’impresa, potrebbe consistere in un segno contenente l’indicazione geografica. Lo conferma l’articolo 13 del Codice della Proprietà Industriale che prevede il divieto all’utilizzo del solo toponimo là dove sia meramente descrittivo della provenienza geografica del prodotto o servizio.

Per scoprire tutti i vantaggi ottenibili grazie al marchio collettivo, leggete la guida dedicata a perchè il marchio collettivo è vincente sul mercato.

Elasticità e flessibilità di utilizzo del marchio collettivo geografico rispetto alle denominazioni di origine e medesimo livello di tutela

Da sottolineare quanto sia elastica la spendibilità di questo marchio, dato che la richiesta può provenire da qualunque persona fisica o giuridica, soggetto privato o pubblico, di diritto nazionale o internazionale (associazioni, cooperative o consorzi), quindi non esiste il limite che esso sia di proprietà necessariamente di un imprenditore. Questo perché l’utilizzo del brand è concesso in uso o licenza dal titolare alle imprese produttrici e/o commercianti. (dissociazione permanente tra titolarità e utilizzo nel funzionamento dei marchi collettivi).

Per quanto riguarda i profili di tutela, il D. Lgs. N°131/2010 modificando l’articolo 30 C. P. I., ha attribuito alle denominazioni d’origine e alle indicazioni geografiche un livello di protezione in linea con quello previsto dai Regolamenti comunitari su DOP e IGP. In particolare, la norma citata stabilisce che le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche ricevano tutela anche nelle ipotesi di sfruttamento indebito della loro reputazione. (casi in cui un terzo trae vantaggio dalla reputazione della zona tipica al fine di vendere i propri prodotti più facilmente).

La differenza tra il MC/MCG, da un lato, e la denominazione di origine (DOP) e l’indicazione geografica (IGP), dall’altro, è che mentre qualsiasi soggetto può registrare il MC/MCG, l’istanza di registrazione delle denominazioni può essere presentata soltanto dalle associazioni dei produttori e/o trasformatori e solo in casi eccezionali e a condizioni ben precise da persone fisiche o giuridiche e nel rispetto del disciplinare della denominazione.

Quindi questo rappresenta una eccezionale occasione per tutti i soggetti che desiderano fare business con il marchio collettivo geografico, nel quale il controllo opera a livello privatistico e non pubblicistico, superando le ristrettezze legate ai limiti formali di accesso relative alle affini tipologie di marchi che designano l’origine geografica dei prodotti.

Disciplinare di produzione e vantaggi dei controlli

La domanda di registrazione del MCG, è corredata dal cd. Disciplinare di produzione, contenente il nome del prodotto, la zona di produzione, le caratteristiche del prodotto e le tecniche di produzione. Il rispetto di tale disciplinare costituisce, nel regolamento d’uso, che immancabilmente deve essere allegato alla stessa domanda, una imprescindibile condizione di accesso degli operatori interessati.

è inoltre preferibile che i controlli, indicati nel regolamento, siano effettuati non direttamente dal titolare del marchio, bensì, per ragioni di trasparenza, da un organismo terzo e indipendente che occorre strutturare giuridicamente con molta attenzione.

Utilizzare un MCG equivale quindi a diventare protagonisti nel settore alimentare distinguendosi per unicità e qualità, grazie in primis al costante monitoraggio in termini di controlli sugli standard previsti.

Inoltre questo Brand, creando uno strategico elemento comune nella reputazione delle imprese, aumenta la valorizzazione nei rapporti tra le stesse, perché genera una segmentazione tra prodotti del marchio collettivo e gli altri, aumentandone la competizione interna.

Centralità delle attività di research e innovation e bonus fiscali per gli investimenti

E’ quindi molto importante in questo ambito investire in ricerca e innovazione per ottimizzare i processi di produzione, selezionare le materie prime migliori e implementare gli standard qualitativi dei prodotti ed è qui che corre in aiuto il Patent Box assicurando elevatissimi sgravi fiscali anche alle imprese del settore.

Quindi marchio collettivo geografico equivale a proficui profitti (distinguendosi qualitativamente dai classici marchi) e bonus fiscali previsti dall’opzione agevolativa Patent Box L. 190/2014 legge di Stabilità) come modificata dall’Investment Compact del 2015.

Se operate nel settore agroalimentare e desiderate creare un brand vincente, registrare un marchio collettivo e attivare gli insostituibili bonus fiscali del Patent Box,

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Vi aspettiamo per assistervi con la massima professionalità, cortesia ed efficienza!

Il fisco notificherà solamente tramite PEC

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A partire dal 1° luglio 2017, il fisco provvederà a notificare solamente tramite Posta Elettronica Certificata; i soggetti interessati sono i Professionisti iscritti all’albo, le Aziende (sia individuali che costituite in forma societaria) e le Pubbliche Amministrazioni. La Pec potrà essere utilizzata anche dai soggetti privati, qualora siano interessati ad ottimizzare il proprio tempo.

Il fisco notificherà solamente tramite PEC

Il decreto legge 185/2008 prevede che dal 1° luglio 2017 sarà obbligatorio l’utilizzo della Posta Elettronica Certificata.

A partire dal 1° luglio 2017, il fisco provvederà a notificare solamente tramite Posta Elettronica Certificata; i soggetti interessati sono i Professionisti iscritti all’albo, le Aziende (sia individuali che costituite in forma societaria) e le Pubbliche Amministrazioni. La Pec potrà essere utilizzata anche dai soggetti privati, qualora siano interessati ad ottimizzare il proprio tempo.

Il decreto fiscale prevede dunque una semplificazione nella notificazione degli avvisi e degli atti, che verranno notificati dall’ufficio competente direttamente alle imprese mediante invio di e-mail all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (Ini-Pec).

Se l’indirizzo di posta elettronica risulta pieno, l’ufficio provvederà ad effettuare un secondo tentativo di invio; se anche al secondo tentativo la casella di posta elettronica risulta satura, oppure se l’indirizzo del destinatario risultasse non valido o inattivo, la notificazione si eseguirà tramite deposito telematico dell’atto nell’area riservata del sito informatico di Infocamere e pubblicazione, entro il secondo giorno successivo a quello di deposito del relativo avviso, per una durata di 15 giorni. In quest’ultimo caso, l’ufficio competente provvederà ad informare il destinatario dell’avvenuta notifica tramite lettera raccomandata.

Per l’ufficio competente, la notifica si intende perfezionata nel momento in cui la casella di Pec del destinatario trasmette la ricevuta di accettazione, con relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta trasmissione del messaggio; per il destinatario invece, la notifica si intende perfezionata alla data di avvenuta consegna, contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di Pec del destinatario trasmette all’ufficio.

Anche i soggetti non obbligati potranno comunicare con la Pec: è previsto infatti che, qualora un soggetto non obbligato ne faccia richiesta, la notifica può essere eseguita all’indirizzo di posta elettronica di cui sono intestatari, oppure all’indirizzo Pec dei difensori abilitati all’assistenza tecnica per il contenzioso tributario (come avvocati, commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro), oppure infine ad un indirizzo Pec del coniuge, di un parente o di un affine entro il quarto grado, specificamente incaricati a ricevere le notifiche per conto degli interessati.

L’indirizzo Pec che viene dichiarato dai soggetti non obbligati, ha effetto dal 5° giorno libero successivo a quello in cui l’ufficio attesta la ricezione della richiesta stessa.  

Con la Pec si possono sostituire raccomandate, fax ed altri strumenti normalmente utilizzati per trasmettere documenti alle Pubbliche Amministrazioni, per inviare ordini, preventivi, fatture, inoltro di circolari e direttive, trasmissione protocolli, paghe e stipendi.  

I vantaggi per l’utilizzo della Pec sono numerosi:

– Semplicità: il servizio di Pec si utilizza come un comune indirizzo di posta elettronica;

– Sicurezza: tutte le comunicazioni sono protette, perché crittografate e firmate digitalmente;

– Valore legale: è riconosciuto pieno valore legale, e le ricevute possono essere utilizzate come prova d’invio;

– Nessun Virus ne Spam;

– Risparmio: si ha un risparmio sull’invio di fax e raccomandate, con meno perdite di tempo;

– Costo fisso: la Pec ha un costo fisso annuale, che non prevede ulteriori costi aggiuntivi in base all’utilizzo.

Tutela legale dei marchi: da costo a bonus fiscale con il Patent Box! Come detassare i risarcimenti da contraffazione?

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Un’impresa che necessita di tutelare legalmente il proprio marchio, come potrà conseguire un risparmio lecito d’imposta sulle somme incassate e titolo di risarcimento danni da contraffazione per evitare che le stesse pesino sul Bilancio?

Come tali entrate potrebbero godere di un vantaggioso bonus fiscale che consente di detassarle?

Il caso

Tizio, imprenditore e titolare di un marchio d’impresa (o di un marchio collettivo), subisce una violazione dei propri diritti a seguito della contraffazione, ad opera di Caio, del proprio Brand, che lo espone sia a grosse perdite economiche, (“diluizione” del marchio, perdita di clientela ecc), che a danni relativi all’immagine della propria impresa.

Decide quindi di agire in giudizio contro il contraffattore Caio e, vincendo la causa percepisce notevoli somme a titolo risarcitorio dei pregiudizi subiti e delle mancate opportunità di guadagno.

Quesito

Tizio deve pagare imposte sulle somme ottenute?  E se si, esiste uno strumento di risparmio lecito d’imposta che può consentirgli di sottrarsi a tale adempimento fiscale?

La tutela legale della proprietà intellettuale

Le norme che disciplinano la protezione della proprietà industriale e quindi in primis dei marchi sono:

a) l’articolo 20 CPI, in base al quale i diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio, dal quale deriva che la contraffazione consiste nella violazione dell’ambito di protezione conferito dalla registrazione (ratio: protezione dei titolari di diritti anteriore, ma anche dell’affidamento dei consumatori);

b) l’articolo 125 CPI riguardante il risarcimento del danno e restituzione dei profitti da parte dell’autore della violazione, ai sensi del quale il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.

Tassabili le indennità risarcitorie relative al lucro cessante, con il regime fiscale ordinario

L’articolo 6, comma 2, del TUIR dispone che “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.

Questo significa in pratica che le somme percepite a titolo di risarcimento esattamente come nel caso esaminato, sono assogettate a tassazione ai fini delle imposte sui redditi quindi rileveranno fiscalmente ai fini IRPEF e i IRES e saranno assimilate ai redditi della stessa categoria (del comma 1) di quelli sostituiti o andati perduti (in tal caso come redditi diversi o redditi d’impresa a seconda dei casi).

La tassazione in particolare opera sul “lucro cessante” ovvero su somme che sostituiscono mancati guadagni – redditi, sia presenti che futuri, di chi li percepisce, che rappresenta nel caso esaminato buona parte del quantum risarcitorio ottenuto da Tizio, vittima della contraffazione (tutti gli incassi che avrebbe potuto ottenere e che invece ha perso a causa della condotta illecita del contraffattore).

 

Il Patent Box sottrae alla tassazione le somme risarcitorie rendendole deducibili: ecco il rimedio!

L’articolo 7 comma 4 del decreto attuativo del Patent Box italiano (articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n°190 come modificato dal decreto-legge 24 gennaio 2015, n°3, convertito con legge 24 marzo 2015, n°33) consente di detassare anche le indennità del caso analizzato.

Infatti tale norma fa rientrare nell’area applicativa dell’opzione come redditi “da utilizzo” anche le somme ottenute a titolo di risarcimento per violazione dei diritti sui beni immateriali (oltre alle somme a titolo di restituzione dell’utile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Per inadempimento di contratti aventi ad oggetto gli stessi).

I pratica, tali somme vengono computate come componenti reddituali positive ai fini del calcolo del reddito agevolabile con il Patent Box, sul quale opererà uno sgravio fiscale con aliquota del 50% a decorrere dal 2017, come anche precisato dalla circolare 11 E 7/04/2016 dell’Agenzia delle Entrate.

 

La tutela legale della proprietà intellettuale come obiettivo da raggiungere

Quindi, con il Patent Box, opzione fiscale agevolativa dei redditi prodotti dall’utilizzo e dalla cessione della proprietà intellettuale, introdotto dall’articolo 1 L. 190/2014, la tutela giuridica e processuale degli asset immateriali i quali rappresentano un fulcro insostituibile e carburante strategico per l’innovazione, successo e creatività delle imprese, non costituirà più un costo ma un obiettivo da raggiungere. Il motivo è piuttosto semplice: questa opzione (che dal 2017 va comunicata in Unico) consente di detassare le somme incassate da chi ha subito danni per la violazione della proprietà intellettuale come espressamente confermato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n°11/E del 7/04/2016.

Soluzione

Tizio, beneficiario del risarcimento da contraffazione, per conseguire un notevole risparmio fiscale potrà esercitare l’opzione Patent Box che gli consentirà anche di innovare la propria impresa, incrementando esponenzialmente i propri guadagni e dimezzando le imposte dovute!

 

Se desiderate proteggere la vostra proprietà intellettuale, investire nella creazione e sviluppo di un nuovo brand registrando un marchio d’impresa o collettivo, e ottenere i preziosi bonus fiscali del Patent Box, vi forniremo assistenza fiscale/legale specializzata in tutta serenità e con la massima cortesia ed efficienza!

STREET & FOOD TRUCK: Come aprire e quale regime fiscale e contributivo adottare 1.0

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​Il tempo è poco e le abitudini del pranzo degli italiani convergono con quelle anglosassoni ed asiatiche, sempre maggiori persone consumano uno street food (un pranzo da strada) cucinato e venduto attraverso un furgoncino, o camion convertito,  detto food truck (spesso anche un Apetto Piaggio). Il nostro team di professionisti, a fronte delle richieste ricevute, ha redatto una prima guida per aprire un food truck o uno street food in Italia, dalle norme in vigore alregime fiscale e contributivo da adottare, per risparmiare tempo e denaro.  

​STREET & FOOD TRUCK: Come aprire e quale regime fiscale e contributivo adottare 1. 0

Il tempo è poco e le abitudini del pranzo degli italiani convergono con quelle anglosassoni ed asiatiche, sempre maggiori persone consumano uno street food (un pranzo da strada) cucinato e venduto attraverso un furgoncino, o camion convertito,  detto food truck (spesso anche un Apetto Piaggio). Il nostro team di professionisti, a fronte delle richieste ricevute, ha redatto una prima guida per aprire un food truck o uno street food in Italia, dalle norme in vigore alregime fiscale e contributivo da adottare, per risparmiare tempo e denaro.

In termini di inquadramento normativo e focus sulle pratiche da espletare, parliamo di attività di commercio ambulante (‘commercio al dettaglio su area pubblica’),  attività disciplinata in via primaria dalla norma quadro a carattere nazionale, dagli articoli 27 a 30 del D. Lgs  n. 114 del 31. 03. 1998 (Riforma delle semplificazioni “Bersani”), localmente, dalle singole legislazioni regionali e provinciali, a cui lo stesso decreto rimanda la definizione delle disposizioni particolari e di fatto la stessa attuazione.

Commercio al dettaglio su area pubblica

Per aree pubbliche si intendono le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprietà privata gravate da servitù di pubblico passaggio ed ogni altra area di qualunque natura destinata ad uso pubblico.

Tipologia di attività

Il food street con un food track è un tipo di attività che può essere esercitata su posteggio fisso o in forma itinerante, previo rilascio dal Comune di licenza/autorizzazione amministrativa:

·        licenza di tipo “A” è per il commercio ambulante con posteggio fisso: è concessa per un preciso giorno in un specifico mercato o fiera. Semestralmente (tra marzo-aprile e settembre-ottobre) la Regione pubblica sul Bur l’elenco dei posteggi liberi di ogni Comune;

·        l’autorizzazione viene rilasciata dal municipio in cui si svolgerà l’attività, insieme al contratto di concessione del posteggio. Tale autorizzazione consente anche la vendita in forma itinerante nell’ambito della Regione e la partecipazione alle fiere in tutto il territorio nazionale. Nei Comuni sprovvisti di posteggio, si può ottenere la licenza subentrando nell’autorizzazione con atto notarile di cessione di azienda o di ramo di azienda o tramite scrittura privata legalizzata da un notaio.

Il commercio ambulante in forma itinerante, invece, prevede la licenza di tipo “B” : viene rilasciata, su richiesta dell’interessato, con lettera raccomandata, dal Comune di residenza e consente il commercio in tutto il territorio nazionale, comprese fiere e mercati, limitatamente ai posteggi non assegnati o provvisoriamente non occupati per assenza dei titolari. Si svolge con mezzi mobili e con soste limitate a 120 minuti. Abilita anche alla vendita al domicilio del consumatore.

L’autorizzazione del Comune è sempre gratuita. Per info più approfondite su concessioni di posteggi o trasferimenti rivolgersi al municipio in cui si intende avviare l’attività.

Requisiti e autorizzazioni per ditte individuali e società

Per ottenere le autorizzazioni bisogna essere in possesso dei requisiti soggettivi (anche morali, art 71 – commi da 1 a 5) previsti dalle norme legislative in materia, e dai requisiti oggettivi, a seconda del tipo di commercio che si desidera effettuare.
Per le ditte individuali è richiesta iscrizione al Rec (ex REC ora attestato ri requisiti per somministrazione e gestione generi alimentari), dimostrando la frequenza di un corso riconosciuto dalla Regione. E’ sufficiente anche provare di aver esercitato per 2 anni, nell’ultimo quinquennio, analoga attività, in qualità di titolare, socio, dipendente qualificato o collaboratore. In alternativa, basta il diploma di scuola alberghiera o titoli di studio attinenti.
Per le società (ammesse solo di persone, in nome collettivo, in accomandita semplice) serve indicare un preposto che abbia i requisiti professionali. E’ possibile esercitare tale attività solo come ditta individuale, società in nome collettivo o in accomandita semplice.

Procedure di inizio attività

E’ necessario richiedere l’Autorizzazione amministrativa al Comune, dimostrando di possedere i requisiti morali e soggettivi previsti dalle norme di settore e quelli professionali che servono per il tipo di commercio che si intende intraprendere. Prima dell’autorizzazione amministrativa, occorre richiedere l’apertura della Partita IVA all’Agenzia delle Entrate, aprire una posizione presso INPS e INAIL e procedere all’iscrizione alla Camera di Commercio.

E’ utile ricordare che per il posto fisso, nel mercato settimanale e/o nelle fiere, la non partecipazione regolare e la somma di più assenze comporta la perdita del diritto stesso.

Semplificazione delle procedure per l’avvio di un’attività d’impresa

A partire dal 1/04/2010, a seguito della Legge 40/2007 che ha introdotto la semplificazione per le procedure di avvio delle imprese, tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l’iscrizione al Registro delle Imprese (INPS, INAIL, Agenzia dell’Entrata, etc. ), possono essere assolti attraverso la Comunicazione Unica. La stessa, permette di effettuare in un’unica operazione tutte le formalità necessarie la costituzione d’impresa. Le Camere di Commercio hanno predisposto un sito per i servizi per la Comunicazione Unica.

 Autorizzazione igienico-sanitaria e immatricolazione

I veicoli utilizzati per la vendita dei prodotti alimentari devono rispondere anche ai requisiti indicati dal Ministero della Sanità. La Asl rilascia l’autorizzazione sanitaria. I mezzi sono immatricolati secondo il codice della strada come veicoli speciali per uso negozio.
Ottenuta l’autorizzazione amministrativa e sanitaria, basterà richiedere l’apertura della Partita IVA all’Agenzia delle Entrate, aprire una posizione presso Inps e Inail e procedere all’iscrizione alla Camera di Commercio.

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Franchising del marchio d’impresa e collettivo: come realizzare guadagni elevati con il massimo risparmio fiscale

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Le licenze di marchio nella pratica commerciale sono spesso concesse nel quadro di contratti più vasti, come soprattutto gli accordi di franchising. Simuliamo un caso pratico di franchising del marchio collettivo, per individuare i benefits commerciali e quantificare il risparmio d’imposta ottenibile attraverso l’esercizio dell’opzione del “Patent Box” ex articolo 1 L. 190/2014).  

 

Il licensing nel franchising

Le licenze di marchio, nella pratica commerciale, sono spesso concesse nel quadro di contratti più vasti, come gli accordi di franchising – del quale il licensing rappresenta una componente centrale – nei quali il franchisor (cioè il titolare del marchio licenziato) consente al franchisee/affiliato di utilizzare un “pacchetto” commerciale che include non solo l’utilizzo del brand, con licenza non esclusiva, ma anche know-how, servizi al consumatore, software, decorazione degli interni, ecc. , nel rispetto di una serie di regole e dietro pagamento di un determinato corrispettivo (royalties).

Trattandosi di licenza non esclusiva, il licenziatario deve obbligarsi espressamente a usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato, con lo stesso marchio, dal titolare o da altri licenziatari franchisee.

In genere, in tale tipo di contratti, il grado di controllo del titolare del marchio nei confronti del franchisee-utilizzatore è più elevato di quello previsto dai normali contratti di licenza di marchio.

Questo significa che concedere in franchising un marchio collettivo incrementerebbe ulteriormente i poteri di controllo del titolare già contenuti nel regolamento d’uso, moltiplicando la garanzia e la qualità dei prodotti marchiati e rendendoli ancora più appetibili sul mercato.

Simulazione franchising marchio collettivo 

Un consorzio agrario di carni biologiche “Alfa”, sviluppa un sistema di successo per garantire un particolare target di qualità nella produzione uniforme di questi prodotti con caratteristiche predefinite, nonché ricette e metodi di preparazione, oltre al design delle uniformi degli impiegati, dei locali e delle confezioni ed i sistemi di gestione e contabilità con presentazione di istanza di deposita  e registrazione del marchio collettivo “Agrigood” (denominazione di fantasia a titolo di esempio).  Successivamente, il consorzio trasferisce il proprio know-how e la propria esperienza ai suoi franchisees (previamente e accuratamente individuati attraverso la consulenza di esperti) concedendo in licenza il brand sulla base di un regolamento d’uso e mantiene il diritto di supervisionare e controllare i franchisees locali.  Fondamentale componente del contratto di franchising è l’autorizzazione e l’obbligo dei franchisees di utilizzare il marchio collettivo “Agrigood” e di osservare scrupolosamente le modalità di utilizzo contenute nelle clausole del regolamento d’uso e quelle del contratto di franchising.

Franchising: il business “easy”

Il franchising (Legge 6 maggio 2004, n°129) è una strategica formula di collaborazione tra imprenditori per la distribuzione di servizi e/o beni, adattabile elasticamente ad ogni settore di attività economica (dal food alla moda, alla compravendita dell’usato) indicata per chi desidera avviare una nuova impresa senza investire enormi capitali ma usufruendo di format già sperimentati e consolidati sul mercato dal franchisor, in cambio del versamento di una percentuale sul fatturato (royalty) e del rispetto degli standard e modelli di gestione e produzione stabiliti dall’azienda “madre”.

I vantaggi del franchising

L’alleanza fra singolo imprenditore commerciale e impresa organizzata rappresenta una formula vincente sia per lo sviluppo, sia per la resistenza nelle fasi di crisi economica. In particolare:

a) l’azienda madre in franchising può ottenere una crescita esponenzialmente più rapida rispetto ad una tradizionale diffusione, attraverso il decentramento e la ripartizione degli oneri finanziari e organizzativi sui propri affiliati: infatti la catena fa tutta capo alla stessa società affiliante, ma ogni singolo esercizio in franchising è proprietà di un soggetto diverso dal distributore del marchio;

b) il franchisor mantiene il controllo sui prodotti e sui servizi post-vendita e sulla loro commercializzazione;

c) la riduzione del rischio di fallimento grazie ad un business concept già collaudato e prodotti/servizi già testati sul mercato;

d) lo sfruttamento dei benefici derivanti dalle economie di scala, dato che tutti i franchisee insieme possono comprare a condizioni migliori ed ad un minor costo rispetto ad un business individuale;

e) il supporto dell’azienda madre che trasferisce un know-how già sperimentato nonché l’assistenza nella gestione manageriale ed amministrativa, con corsi di aggiornamento e formazione.

Questo sistema consentirà al network di ottenere una presenza estremamente capillare e al contempo garantirà un notevole risparmio sia per il franchisor che per i franchisee.

Per scoprire subito tutti i vantaggi ottenibili grazie marchio collettivo leggete la guida dedicata a perchè il marchio collettivo è vincente sul mercato.  

Bonus fiscali per il franchising con il Patent Box

Il Patent Box è un regime opzionale di tassazione agevolata delle royalty relative agli intangible asset, al 40% nel 2016 e al 50% nel 2017, che le imprese possono esercitare sui redditi derivanti dallo sfruttamento di beni immateriali.

Per quantificare il vostro risparmio d’imposta sull’utilizzo della proprietà intellettuale leggete subito la divulgazione dedicata a come si calcola il Patent Box!

Questo meccanismo, risulta estremamente interessante nello scenario del franchising dove marchi e know-how sono strumenti privilegiati per la creazione di valore aggiunto.

Il marchio collettivo è infatti un indicatore dinamico di notevole spessore culturale ed economico elevato sotto un profilo di garanzia qualitativa.  Si colloca in primo piano come motore delle vendite, ancora più se oggetto di un contratto di franchising.

Il suo valore viene notevolmente potenziato dalla comunicazione e marketing online su canali come i social media e genera notevoli benefit economici.

L’aspirante franchisor titolare di un marchio collettivo (e successivamente anche il franchisee) dunque, se investe o ha investito in attività di ricerca e innovazione, potrà usufruire di un regime opzionale che abbatte notevolmente l’imponibile fiscale, con la conseguenza di incrementare gli introiti commerciali e neutralizzarli fiscalmente fino alla metà.

Simulazione riprendendo il caso sopra esaminato, se il Consorzio “Alfa” riceve royalties dai vari franchisees per importi complessivi di € 800. 000, sostenendo spese qualificate (attività di ricerca) pari a 150. 000 e spese complessive pari a € 195. 000 (Nexus ratio con applicazione uplift = 1) otterrà con l’applicazione dell’aliquota agevolativa del 50% operante dal 2017, una detassazione pari a € 400. 000 sottratte all’imponibile fiscale.

Per ricevere assistenza contrattuale per licensig e franchising di marchi d’impresa e collettivi  e attivare subito i bonus fiscali del Patent Box,

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Realizzerete con successo la vostra progettualità d’impresa massimizzando il vostro risparmio lecito d’imposta.

 

Termine di prescrizione degli avvisi di accertamento

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Termine di prescrizione degli avvisi di accertamento

E’ utile ribadire quanto disciplinato dalla Legge di Stabilità 2016 in merito ai termini di prescrizione per l’accertamento sulle imposte sui redditi e sull’IVA effettuati dall’Agenzia delle Entrate. La novità principale è che l’Agenzia delle Entrate può accertare i redditi da 730, Unico PF o la dichiarazione IVA entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (e non più quarto anno) a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA.

 

Prescrizione degli accertamenti: nuovi termini dal 2016

La Legge di Stabilità 2016 sono stati introdotti nuovi termini per l’accertamento sulle imposte sui redditi e sull’IVA effettuati dall’Agenzia delle Entrate. La novità principale è che l’Agenzia delle Entrate può accertare i redditi da 730, Unico PF o la dichiarazione IVA entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (e non più quarto anno) a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA.

Le novità introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, saranno operative dal 1° gennaio 2016 e le vivremo dalle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2017. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate potrà inviare un accertamento sul 730/2017 o l’Unico PF 2017, relative all’anno d’imposta 2016, entro il 31 dicembre di cinque anni dopo, quindi il 31/12/2022 (e non più 31/12/2021), in altri termini, le novità si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31/12/2016 e ai periodi successive. Quindi sono da considerarsi operative a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2017.

 

Nuovo termine di prescrizione per l’accertamento delle imposte dirette

A disciplinare il termine per la notifica degli avvisi di accertamento ai fini reddituali è l’art. 43 del D. P. R. N. 600/1973. Tale articolo era stato già modificato dal Decreto Legislativo n. 241 del 1997 e prevede il seguente termine per l’accertamento (valido fino a 31 dicembre 2015): “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi diomessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del titolo I, l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”.

 

Con la Legge di Stabilità 2015 tale disposizione dell’art. 43 ha subito seguenti modifiche.

Il comma 131 della Legge di Stabilità 2016 prevede che “L’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è sostituito dal seguente:

Art. 43. – Termine per l’accertamento – 1. Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l’avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte.

Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi.

Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni”.

 

Il termine per gli accertamenti IVA

A disciplinare il termine per gli accertamenti ai fini IVA è l’art. 57 del D. P. R. N. 633/1972.  Il testo in vigore fino al 31 dicembre 2015 e quindi per le dichiarazione presentate nel 2016 è il seguente:

Art. 57 – Termine per gli accertamenti: “Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell’art.    54 e nel secondo comma dell’art. 55 devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. In caso di omessa presentazione della dichiarazione, l’avviso di accertamento dell’imposta a norma del primo comma dell’art. 55 può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”.

Il comma 130 della Legge di Stabilità 2016 prevede che “L’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è sostituito dal seguente:

«Art. 57. – Termine per gli accertamenti – 1. Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell’articolo 54 e nel secondo comma dell’articolo 55 devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l’avviso di accertamento dell’imposta a norma del primo comma dell’articolo 55 può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Nel caso di richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale, se tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’ufficio e la data della loro consegna intercorre un periodo superiore a quindici giorni, il termine di decadenza, relativo agli anni in cui si è formata l’eccedenza detraibile chiesta a rimborso, è differito di un periodo di tempo pari a quello compreso tra il sedicesimo giorno e la data di consegna.

Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti le rettifiche e gli accertamenti possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali essi sono venuti a conoscenza dell’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto”.

 

Sintesi delle novità della Legge di Stabilità 2016

E’ stata modificata in maniera importante la vigente normative sui termini per l’accertamento delle imposte sui redditi (Irpef, Irap ecc. ) e dell’IVA. Le novità sono le seguenti:

Aumento di un anno dei termini per l’accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi:

  • si passa dal termine del 31/12 del 4° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, al termine del 31/12 del 5° anno successivo a quello in cui è presentata la dichiarazione;
  • è esteso al caso della dichiarazione IVA nulla l’allungamento dei termini per l’accertamento previsto attualmente per la mancata dichiarazione. Anche in tal caso il termine per l’accertamento è fino all’8° anno successivo a quello di dichiarazione;
  • è abrogata la norma che raddoppia i termini per l’accertamento dell’IVA e delle imposta sui redditi nel caso di violazione che comporta obbligo di denuncia.

Deducibiltà marchio d’impresa e collettivo 2017: come vanno contabilizzati e ammortizzati i costi in Bilancio?

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Una società di capitali è cessionaria (acquista la proprietà) o licenziante (acquista la licenza d’uso) di un marchio da persona fisica non agente nell’esercizio dell’impresa. Sono deducibili fiscalmente i costi sostenuti dalla società corrispondenti alle plusvalenze e royalties erogate al privato e dove vanno iscritti in Bilancio?  

Il caso

Una società di capitali è cessionaria (acquista la proprietà) o licenziante (acquista la licenza d’uso) di un marchio da persona fisica non agente nell’esercizio dell’impresa. Ci si chiede dove tali corrispettivi erogati (prezzo di cessione o royalties) dalla società vadano inseriti in bilancio e se e come siano deducibili.

Qualificazione civilistico-contabile dei marchi

Civilisticamente i marchi rientrano tra le immobilizzazioni immateriali ex articolo 2424 del codice civile e costituiscono beni strumentali intangibili di utilità durevole.

Da un punto di vista contabile, in bilancio, i costi che vengono sostenuti dalle imprese per le royalties si classificano nel conto economico tra i costi per il godimento di beni di terzi.

I costi relativi al prezzo di cessione pagato o alle royalties corrisposte sono deducibili?

In linea di principio, per l’utilizzatore della proprietà intellettuale, ai fini della determinazione della base imponibile su cui applicare l’aliquota d’imposta, i costi sono considerati deducibili (principio di competenza). Più precisamente, la decurtazione del costo sarà subordinata alla verifica di inerenza e competenza della proprietà intellettuale con l’attività commerciale svolta.

Dunque, in ogni caso, la società cessionaria o utilizzatrice del marchio è legittimata a dedurre gli importi corrisposti al dante causa del brand, a prescindere dalla fiscalità che si verifica in capo a quest’ultimo (nel caso di specie persona fisica non titolare di reddito d’impresa né di reddito di lavoro autonomo, né, eccetto il caso di marchio collettivo, di reddito diverso, per la quale i compensi incassati saranno fiscalmente non imponibili)

Deducibilità ai fini IVA delle royalties: arriva la conferma della Cassazione

Con sentenza n°15997 del 29/07/2015, la Cassazione civile ha sancito la deducibilità ai fini IVA delle royalties pagate a titolo di licenza d’uso di marchio.

L’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla Crown Italcaps S. R. L. , ai fini IRPEG, la deduzione nell’anno 2002 di royalties perché ritenute non inerenti ed aveva emesso, nei confronti della stessa, avviso di recupero dell’IVA relativa alle fatture delle royalties, emesse nell’anno 2003, perché ritenuta indebitamente detratta.

Il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’atto impositivo veniva accolto dalla Commissione Tributaria di prima istanza e la decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, confermata dalla Commissione Tributaria del Lazio-sezione staccata di Latina con la sentenza indicata in epigrafe.  Il Giudice di appello, nel condividere la decisione dei primi Giudici con riguardo alla deduzione delle royalties, in merito all’I. V. A. Riteneva che la Società avesse invocato correttamente il meccanismo di imposta per cui i committenti si rendono nello stesso tempo debitori e creditori di imposta, sicché la pretesa erariale era infondata e non condivisibile.

Con la sentenza citata la Cassazione ha confermato la sentenza d’appello, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Criteri di ammortamento fiscale dei marchi (e brevetti)

A seguito delle modifiche apportate dal D. L. N. 223/2006, convertito dalla Legge n. 248/2006 (“Manovra-bis”), sono cambiati, con effetto già dall’esercizio 2006, i criteri di ammortamento fiscale dei marchi, nonché dei brevetti e degli altri diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno.

Sotto l’aspetto fiscale la deducibilità di quote di ammortamento relative ai marchi è prevista all’articolo 103 del TUIR che nella formulazione modificata dal citato decreto, ha stabilito che la quota massima deducibile nell’esercizio degli ammortamenti dei marchi sia ridotta a 1/18 del costo, rispetto alla precedente misura di 1/10 del costo stesso.

Piena deducibilità del costo delle Royalties

Nel momento in cui, l’azienda non fosse titolare del diritto di proprietà del marchio, ma licenziataria in forza di un contratto di concessione in licenza, le royalties sostenute per poter usufruire dei “diritti di concessione” legati al marchio stesso, saranno deducibili in misura corrispondente alla durata del contratto. Per tale motivo, ove possibile, i contratti sono annuali, rinnovabili, ottenendo la piena deducibilità del costo sostenuto, nell’anno di competenza.

L’ammortamento civilistico invece sarà sistematico in ogni esercizio, in relazione con la residua possibilità di utilizzazione del bene, entro un periodo di 5 anni .

Il nuovo limite di 1/18 del costo ai fini fiscali ha trovato applicazione a partire dal periodo in corso alla data di entrata in vigore del decreto, quindi, per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare, a partire dal 2006.

Tali modifiche sono determinanti in sede di predisposizione del bilancio al fine dello stanziamento della fiscalità corrente e differita.

Dunque, il periodo minimo di ammortamento fiscale dei marchi diventato pari a 18 anni (corrispondente ad un’aliquota massima di ammortamento del 5,56%).

La deduzione si applica tramite delle quote di ammortamento annuali e il costo sarà al termine interamente deducibile.

Simulazione del caso

Supponiamo che la società dell’esempio pratico in esame, a fronte della concessione di licenza di un marchio sostenga dei costi per un importo totale di € 3. 600 (royalties corrisposte). A fronte dei cospicui redditi potenzialmente generabili dall’utilizzo economico del brand, la società affronterà un costo annuale di € 200 interamente deducibile dalla base imponibile e davvero esiguo rispetto al business che potrà produrre grazie al valore economico di un marchio d’impresa e ancor più di un marchio collettivo.

Contabilizzazione fiscale ammortamento marchio

Costo del marchio capitalizzato nel 2016

3. 600

Quota di ammortamento massima dell’esercizio di imposta

3. 600×1/18

200

 

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