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giovedì 16 Gennaio 2025
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Perché registrare un marchio collettivo e tabella dei costi.

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Analogamente agli altri tipi di marchio, ma in primis per il marchio collettivo, assume rilevanza fondamentale ai fini di un suo proficuo sfruttamento economico  e per godere dei benefits fiscali, la sua  registrazione presso l’UIBM (ufficio italiano brevetti e marchi), in mancanza della quale si rischierebbe di compromettere totalmente gli investimenti fatti per promuovere il brand. Con questa  guida pratica, illustriamo in sintesi la tutela conseguente alla registrazione, i vantaggi di natura commerciale e tributaria e i costi previsti.  

Perché registrare il marchio collettivo?

Analogamente agli altri tipi di marchio, ma in primis per il marchio collettivo, assume rilevanza fondamentale ai fini della sua tutela sul mercato, di un proficuo sfruttamento economico e per godere dei relativi benefits fiscali, la sua registrazione presso l’UIBM (ufficio italiano brevetti e marchi), in mancanza della quale si rischierebbe di compromettere totalmente gli investimenti fatti per promuovere il brand.

Un marchio registrato infatti, attribuisce diritti esclusivi che consentono di impedire l’uso non autorizzato, da parte di altre imprese, dello stesso marchio o di un marchio simile.

Dunque un’impresa concorrente, adottando un marchio simile ad uno non registrato, potrebbe utilizzarlo in modo da confondere i consumatori, incanalando così la domanda del mercato verso i propri prodotti/servizi e deviando la clientela dai beni contraddistinti dal marchio collettivo del produttore originario; con l’ovvia conseguenza che quest’ultimo vedrebbe diminuire progressivamente i propri profitti, esponendosi ad un enorme danno in termini di reputazione e di immagine, soprattutto nell’ipotesi in cui il prodotto del concorrente sia di qualità inferiore rispetto al proprio.

Questi effetti dannosi si produrrebbero con un effetto a cascata rispetto al marchio collettivo che ha come funzione preminente quella di garantire non solo la provenienza di un determinato prodotto ma anche “cosa c’è dentro quel determinato marchio” (origine, qualità, natura del prodotto).

Inoltre, la mancata registrazione non consentirebbe al titolare-concedente del marchio collettivo di controllare efficacemente che l’utilizzatore-concessionario si conformi al regolamento d’uso nell’utilizzo del marchio licenziato, esponendosi così al rischio di decadenza del marchio.

Secondo l’orientamento dominante inoltre, non sarebbe configurabile un marchio collettivo di fatto, in quanto non vi sarebbe certezza del regolamento d’uso.

Cosa può essere registrato come marchio collettivo?

Potranno essere oggetto di registrazione come marchio collettivo parole, segni grafici, disegni, simboli, immagini, lettere cifre, e loro combinazioni, forme, e anche segni percepiti attraverso i sensi (sonori, olfattivi, gustativi e tattili) e loro combinazioni.

Diritti derivanti dalla registrazione del marchio collettivo

La registrazione del marchio attribuisce, al rispettivo titolare, i seguenti vantaggi:

• Diritti di esclusiva e di pretendere l’osservanza del regolamento d’uso;

• Diritto di impedire a terzi non autorizzati di utilizzare un marchio identico o simile;

• Diritti di ottenere la riassegnazione di un nome a dominio Internet identico al proprio marchio;

• Diritto di impedire a terzi l’uso del proprio marchio come parola chiave nei motori di ricerca Internet;

• Diritto di bloccare la merce contraffatta presso le dogane;

• Utilizzo legale del simbolo ®;

• Aumento del valore economico del marchio;

• Possibilità di ottenere i bonus fiscali del “Patent Box” per l’utilizzo diretto e indiretto (come precisato dall’Agenzia delle Entrate, deve trattarsi di marchi registrati, in corso di registrazione o per i quali pende procedimento di opposizione);

• Garanzia di tutela negli accordi di licenza, franchising, contratti di produzione/distribuzione.

Rischi derivanti dall’uso di un marchio collettivo non registrato

L’utilizzo sul mercato di un marchio non preventivamente registrato (marchio di fatto) può implicare

Incertezza e non opponibilità del regolamento d’uso;

Il divieto di utilizzare il marchio nel mercato e decadenza del marchio;

L’impossibilità di impedire a terzi di utilizzare un marchio identico/simile al proprio.

Riportiamo qui di seguito a titolo esemplificativo una tabella sintetica che illustra i costi relativi ai marchi d’impresa e collettivi in fase di registrazione.

TABELLA DEI COSTI PER LA REGISTRAZIONE DEI MARCHI

Euro

Registrazione di Marchi d’impresa e collettivi

101,00

domanda di primo deposito (tassa di registrazione comprensiva di una classe)

34,00

per ogni classe in più

67,00

domanda di rinnovazione (comprensiva di unaclasse)

34,00

per ogni classe in più

337,00

domanda di primo deposito di Marchio Collettivo (per una o più classi)

202,00

domanda di rinnovazione di Marchio Collettivo (per una o più classi)

135,00

domanda di registrazione di Marchio Internazionale o di rinnovazione

34,00

lettera d’incarico

34,00

per il ritardo della rinnovazione (entro il semestre)

81,00

per la trascrizione di atto di trasferimento

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Un ente no profit che vuole intestarsi un marchio deve pagare l’imposta di registro?

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Una ONLUS operante nel settore socio-educativo e ludico è tenuta al versamento dell’imposta di registro e di bollo? Illustriamo una breve guida tributaria che possa consentire alle associazioni operanti nei settori di utilità sociale senza scopo di lucro, di conoscere i benefits fiscali spettanti e disporre di un valido strumento per l’esercizio dei propri diritti nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, in sede di registrazione di atti costitutivi, modifiche e atti connessi alle attività istituzionali espletate.

Il caso

Una ONLUS operante nel settore socio-educativo e ludico per bambini con disabilità neuromotorie, decide di registrare un marchio per tutelare la propria attività no profit e valorizzarla per la diffusione sul territorio.

In tal caso dovrà versare l’imposta di registro e gli agli oneri accessori previsti a livello fiscale?

Prima di provare a rispondere al quesito, forniamo alle associazioni interessate una guida pratica per conoscere i propri benefits fiscali sul punto e tutelarsi verso l’Agenzia delle Entrate.

Una guida tributaria per il no profit sull’imposta di registro, di bollo e tasse di concessione governativa, utile a “difendersi” dal Fisco

La legge sul volontariato 266/1991 prevede con riferimento all’imposta di registro, un particolare regime agevolativo rivolto alle associazioni di volontariato regolarmente iscritte nei registri regionali e provinciali, fermo restando che le OdV iscritte sono considerate in ogni caso ONLUS ai sensi dell’articolo 10, comma 8, DLgs. N. 460/97.

Illustriamo quindi una breve guida che possa consentire alle associazioni operanti nei settori di utilità sociale senza scopo di lucro, di conoscere i benefits fiscali spettanti in punto di imposta di registro e di bollo e disporre di un valido strumento per l’esercizio dei propri diritti nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, a fronte di eventuali rifiuti opposti dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate in sede di registrazione di atti costitutivi , modifiche e atti connessi alle attività istituzionali espletate.

Le leggi e i documenti da indicare per dissipare i “dubbi” degli uffici fiscali

Il comma 1, articolo 8, della legge 266/91 prevede che gli atti costitutivi delle suddette organizzazioni e quelli relativi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall’imposta di bollo e di registro. Quindi, l’agevolazione concerne non solo la registrazione dell’atto costitutivo e lo statuto, ma tutti gli atti riguardanti lo specifico esercizio dell’attività tipica dell’associazione di volontariato;

successivamente, su tale argomento, l’Amministrazione Finanziaria si è espressa con Circolare del Ministero delle Finanze n. 3 del 25 febbraio 1992 confermando tale esenzione e in particolare che nelle ipotesi previste, la formalità della registrazione, agli effetti dell’imposta di registro, dovrà essere eseguita senza il pagamento dell’imposta”;

la Risoluzione Ministeriale del Ministero delle Finanze n. Di protocollo 300028 del 29 maggio 1993 è successivamente intervenuta, sempre sul merito di tale questione, in risposta a un preciso quesito di un’associazione di volontariato si espressa nei medesimi termini di cui sopra;

Inoltre su tale agevolazione, riguardante l’imposta di registro, incidentalmente, la Risoluzione Ministeriale n. 194/E del 21 dicembre 2000 ha stabilito che : “. Il legislatore per le associazioni di volontariato d cui alla legge 266 del 1991, ha previsto l’esenzione dell’imposta in funzione delle finalità dell’atto e quindi. Conferma la specialità del regime agevolativi previsto per gli organismi di volontariato e, quindi, dei principi che lo governano”;

ancora, anche la Corte Costituzionale con ordinanza n. 181 del 4 maggio 2005, ha ribadito nell’estensione dell’ordinanza (in margine ad altro argomento) il diritto per le associazioni di volontariato all’esenzione da imposta di registro.

L’agevolazione fiscale si può chiedere prima dell’iscrizione al Registro di volontariato?

La circolare 38 -2011 dell’Agenzia delle Entrate ad ulteriore supporto dell’esenzione dall’imposta di registro per le ONLUS, al paragrafo 1, pagine 3 e 4, ha definitivamente chiarito, ponendosi come importante documento di prassi, che l’agevolazione va concessa immediatamente alla costituzione dell’organizzazione di volontariato anche se, ovviamente, all’atto di costituzione la stessa non è ancor iscritta al Registro del Volontariato. L’esonero dall’imposta di registro è quindi usufruibile prima dell’iscrizione negli appositi registri ma occorrerà la tempestiva comunicazione all’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate che ha provveduto alla registrazione dell’atto costitutivo, circa l’avvenuta iscrizione nel registro delle organizzazioni di volontariato”.

Imposta di bollo

Quanto sopra descritto sopra vale anche rispetto all’imposta di bollo che non dovrà essere pagata.

Documenti di riferimento a supporto dell’agevolazione fiscale

Risoluzione Ministeriale del 7 ottobre 1994 numero di Prot. 10-218;

La Risoluzione Ministeriale del 5 giugno 1995 protocollo 138;

Articolo 17 del D. Lvo 460/97;

Nella Tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, relativa agli atti, documenti e registri esenti dall’imposta di bollo in modo assoluto, dopo l’articolo 27, è aggiunto in fine, il seguente: “Art. 27-bis – 1. Atti, documenti, istanze contratti, nonché copie anche se dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)”.

Esempio: l’imposta di bollo non sarà dovuta da una ONLUS in caso di apertura di un conto corrente bancario intestato all’associazione

Esonero dal pagamento delle Tasse di CC. GG. (tasse di concessione governativa) e dei bolli per le domande di marchio da parte degli enti no profit

Le agevolazioni relative all’esonero dal pagamento di tasse di concessione governativa e bolli si applicano alle:

ONLUS – Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, così come definite dal dlgs. N. 460/1997, articolo 10, iscritte, ai sensi dell’art. 11 dello stesso decreto,  nell’anagrafe delle Onlus, tenuta dal Ministero delle Finanze – Agenzia Regionale delle Entrate;

Federazioni Sportive ed Enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI, oltre a società ed associazioni sportive dilettantistiche;

Sono equiparate alle Onlus, e quindi rientrano nel regime di esenzione, le Associazioni di Volontariato e le Cooperative sociali, che siano iscritte nell’apposito registro tenuto dalla Regione.

Ratio delle agevolazioni fiscali in punto di marchi

Nella ordinanza collegiale del Tribunale di Roma 19/12/2014 che si è pronunciata sulla legittimità del marchio di un’associazione e sulla qualificazione giuridica delle Associazioni/Fondazioni sotto il profilo della tutela dei segni distintivi, si afferma che “tali funzioni risiedono nell’esigenza che, in un’economia di mercato concorrenziale, siano resi possibili l’individuazione e il riconoscimento delle realtà imprenditoriali presso tutti coloro che vi operano, anche a diverso livello” dunque anche non lucrativo.

Nel caso di specie si tratta di un brand non connesso ad erogazione di servizi tipicamente aziendali, ma ad un’attività di utilità sociale (socio educativo e ludica per bambini affetti da disabilità) dunque intrecciata funzionalmente ai fini statutari: quindi, il valore dell’atto di registrazione del marchio risulta privo di quel valore negoziale – economico o di affari incorporato nel documento che l’imposta di registro mira tipicamente a percuotere

E’ quindi configurabile una palese asimmetria tra il trattamento del marchio ai fini commerciali e le implicazioni di ordine economico, finanziario e fiscali di un brand registrato da una ONLUS.

Spunti per l’autotutela tributaria.

Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura la risoluzione del 6 giugno 1994 numero prot. 166 e la risoluzione n. 164 del 23 luglio 1996 che ribadiscono l’esenzione dalle imposte di registro e di bollo per gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato e per quelli connessi allo svolgimento delle loro attività.

Conclusione

Dunque tornando al nostro caso, la registrazione del marchio dell’ONLUS potrebbe essere logicamente inquadrato come atto relativo allo svolgimento dell’attività di solidarietà sociale che caratterizza lo scopo istituzionale dell’ente, dunque lo stesso dovrebbe essere fuori dall’ambito di applicazione dell’imposta di registro a norma dell’art 8 L 266/1991.

Quindi la ONLUS non dovrebbe essere tenuta al pagamento dell’imposta di registro.

Al massimo l’onere che potrebbe essere eventualmente richiesto, corrisponderebbe ad una imposta di registro in misura fissa.

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Cessione del marchio d’impresa senza azienda: Iva e/o imposta di registro, quali imposte si pagano?

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La Srl Beta, titolare di un marchio d’impresa “A”, nella prospettiva di una rinnovazione e ristrutturazione strategica aziendale, per potenziare la propria visibilità sul mercato decide di vendere l’originario Brand alla società Gamma e deliberare una trasformazione eterogenea ex art 2500 septies codice civile della Srl in società consortile, per poi creare e intestarsi il marchio collettivo “B” che le consentirà di raggiungere un volume d’affari elevatissimo grazie all’incasso di royalties relative ad un brand di alta qualità e garanzia, da parte delle società licenziatarie e utilizzatrici di tale marchio.  Qual è il corretto trattamento fiscale quando il marchio d’impresa sia venduto autonomamente come singolo asset immateriale? In altre parole quali imposte indirette si devono pagare?

Il caso

La Srl Beta, titolare di un marchio d’impresa “A”, nella prospettiva di una rinnovazione e ristrutturazione strategica aziendale, per potenziare la propria visibilità sul mercato decide di vendere l’originario Brand alla società Gamma e deliberare una trasformazione eterogenea ex art 2500 septies codice civile della Srl in società consortile, per poi creare e intestarsi il marchio collettivo “B” che le consentirà di raggiungere un volume d’affari elevatissimo grazie all’incasso di royalties relative ad un brand di alta qualità e garanzia, da parte delle società licenziatarie e utilizzatrici di tale marchio.

Quesito

Qual è il corretto trattamento fiscale nei casi in cui il marchio sia venduto autonomamente come singolo asset immateriale? In altre parole quali imposte indirette si devono pagare?

Cenni storici e civilistici

Il marchio d’impresa rappresenta il segno distintivo di prodotti e merci commercializzati da un’impresa che, in base all’originaria disciplina, di cui al regio decreto del 1942, non poteva essere ceduto separatamente dall’azienda o da un suo ramo.

La funzione distintiva del marchio veniva enfatizzata al punto che la domanda di registrazione poteva essere depositata solo dall’imprenditore che lo utilizzasse nella propria impresa quindi, in caso di cessazione definitiva dell’impresa, il marchio si estingueva contestualmente.

Tale funzione distintiva, però, a seguito del Dlgs 480/92 è stata ridimensionata

Il decreto ha, da un lato riconosciuto la legittimità del trasferimento del marchio separatamente dall’azienda (sostituendo a tal fine il primo comma dell’articolo 2573 del codice civile, che ora prevede espressamente tale possibilità) e, dall’altro, ha previsto l’ipotesi del contemporaneo utilizzo dello stesso marchio da parte di più imprenditori, sulla base di una licenza non esclusiva concessa dal titolare dello stesso.

La soluzione

L’operazione in esame si configura indubbiamente come un’autonoma prestazione di servizi rilevante ai fini Iva – imponibile ai sensi dell’articolo 3, comma secondo, n. 2), del Dpr 633/72 – in quanto la cessione del brand avverrebbe al di fuori della eventuale cessione o conferimento di una azienda o di un suo ramo.

Questo principio risulta confermato con la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 48/E del 3/4/2006 suffragata anche da una nota resa dall’Avvocatura dello Stato, che ha ritenuto che la disposizione di cui all’articolo 2, comma 3, del Dpr 633/72, in quanto norma speciale, trova applicazione in tutti i casi in cui si realizza il trasferimento di un’azienda o di un ramo della stessa, con conseguente applicazione dell’imposta di registro proporzionale, a prescindere dai beni che la compongono.

Da ciò si ricava a contrario che nell’ipotesi in esame in cui la cessione ha ad oggetto solo il marchio senza l’azienda, l’operazione genera fiscalmente valore aggiunto.

Conclusione

Quindi, se il marchio venga ceduto a titolo oneroso, in modo separato o distinto dal complesso aziendale,come nel caso di specie, si verifica, per l’impresa cedente Srl Beta, il presupposto per l’assoggettamento dell’operazione ad Iva perché il trasferimento del brand interverrebbe in modo disgiunto dal complesso aziendale (cioe ` con cessione separata). In tal casi dunque, in virtù del principio di alternatività,Iva/Imposta di registro,oltre al versamento dell’imposta sul valore aggiunto, troverebbe applicazione l’imposta di registro in misura fissa.

In sintesi

Nel caso di trasferimento di un marchio nell’ambito di attività d’impresa , a norma dell’art. 3, secondo comma, n. 2), del D. P. R. N. 633 del 1972, sia che la cessione avvenga a titolo definitivo quindi negoziando sia la proprietà che la licenza, sia che si tratti di una concessione di licenza d’uso, essa configura un’operazione rilevante ai fini IVA con conseguente obbligo tributario di versamento della stessa, sussistendone tutti i requisiti.

La registrazione degli atti medesimi presso gli uffici fiscali prevede quindi l’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 168,00 euro (principio di alternatività IVA – registro) e non l’ imposta di registro proporzionale commisurata al valore dell’affare incorporato nell’atto, circoscritta invece alle operazioni fuori campo Iva.

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Come indicare il prezzo di vendita d’azienda comprensiva di marchio e beni immobili per risparmiare notevolmente sull’imposta di registro

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La Srl Alfa decide di vendere il proprio marchio d’impresa (asset immateriale) unitamente all’azienda, alla società Beta e nel trasferimento sono compresi anche altri beni immobili e mobili. Come va stabilito il prezzo di vendita per non pagare una imposta di registro troppo onerosa? Con questa breve guida illustriamo le modalità operative per evitare di incorrere in dispendiosi, eccessivi e inutili versamenti fiscali, nelle ipotesi di cessione contestuale di azienda, marchio d’impresa e beni immobili, conseguendo un notevole risparmio lecito d’imposta.

Il caso

La Srl Alfa decide di vendere il proprio marchio d’impresa (asset immateriale) unitamente all’azienda, alla società Beta e nel trasferimento sono compresi anche altri beni immobili e mobili. Come va stabilito il prezzo di vendita per non pagare una imposta di registro troppo onerosa? Con questa breve guida illustriamo le modalità operative per evitare di incorrere in dispendiosi, eccessivi e inutili versamenti di imposte nelle ipotesi di cessione contestuale di azienda, marchio d’impresa e beni immobili, conseguendo un notevole risparmio lecito d’imposta.

Come si applica l’imposta di registro proporzionale in caso di cessione d’azienda?

L’azienda, ai sensi dell’articolo 2555 del codice civile, è costituita da un insieme di singoli beni che, nel contesto di una cessione d’azienda, vengono trasferiti a terzi con un medesimo atto.

Per individuare le aliquote dell’imposta di registro applicabili alle diverse componenti dell’azienda (mobiliare ed immobiliare), si deve aver riguardo all’articolo 1 della tariffa, parte I, allegata al D. P. R. N. 131/1986 per i beni immobili, ed agli articoli 2 e 9 della medesima tariffa per la componente mobiliare.

Quindi, a seconda del caso in esame, è opportuno procedere al computo delle imposte onde determinare la strada conveniente da adottare, perchè, in merito alla prima ipotesi ai fini dell’imposta di registro le aliquote variane in funzione della tipologia dei beni  che compongono l’azienda e trovano per ognuno di essi, autonoma e distinta applicazione.

Tuttavia la questione non è così semplice : questo principio non opera automaticamente 

Analizziamo il perché e la disciplina applicabile.  

Base imponibile dell’imposta di registro. Quale aliquota si applica?

L’articolo 51 comma 4 del DPR n. 131/86 (Testo Unico sull’Imposta di Registro) stabilisce che, nell’ipotesi di cessione d’azienda a titolo oneroso, la base imponibile ai fini dell’imposta di registro venga determinata con riferimento al valore complessivo dei beni materiali e immateriali che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, al netto delle passività esistenti al momento del trasferimento, risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa anteriori alla cessione. A questa norma fa da pendant l’ 23 del citato decreto il quale stabilisce che quando un atto ha per oggetto più beni o diritti si applica sull’intero valore dell’atto, l’aliquota più elevata tra quelle applicabili ai singoli beni o diritti in esso racchiusi, a meno che nell’attivo non vengano previsti corrispettivi distinti per i singoli beni, nel qual caso è possibile applicare in corrispondenza di ciascuno di essi l’aliquota espressamente prevista.

In sintesi quindi, posto il principio di alternatività Iva-registro l’applicazione dell’imposta di registro nelle cessioni d’azienda nel caso di atti relativi a beni soggetti ad aliquote diverse (comparti mobiliare,immateriale ed immobiliare), occorre distinguere tra i due seguenti casi:

nell’atto sono stati distinti i corrispettivi con riferimento ai singoli beni aziendali ad ognuno dei quali si applicherà l’aliquota “propria” dell’imposta di registro;

nell’atto è stato previsto un unico corrispettivo indistinto, sia per la parte mobiliare che per quella immobiliare dell’azienda, con conseguente applicazione prevalente dell’aliquota più elevata tra quelle previste per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda.

Si ricava quindi che in linea di principio le aliquote saranno applicate effettivamente in modo variabile e distinto a seconda della tipologia dei beni che compongono l’azienda e non secondo il criterio “fisso” dell’aliquota più elevata prevalente in automatico su tutte le altre , nelle sole ipotesi in cui i corrispettivi nell’atto di cessione vengano differenziati per ciascun bene trasferito.

Per comprendere meglio quanto sopra spiegato, riportiamo a titolo esemplificativo uno schema riepilogativo delle aliquote applicabili secondo le due modalità:

IMPOSTA REGISTRO CESSIONE D’AZIENDA

Atto con indicazione differenziata del corrispettivo pattuito per ciascuna categoria

3%

Avviamento d’azienda

9%

Fabbricati e relative pertinenze

2%

Fabbricati abitativi non di lusso

9%

Terreni edificabili

12%

Terreni agricoli (acquirente non IAP)

9%

Terreni agricoli (acquirente IAP)

Atto senza indicazione differenziata del corrispettivo pattuito per ciascuna categoria

3%

Se nel complesso ceduto non vi fanno parte beni immobili

9%

Se nel complesso ceduto vi è almeno un fabbricato cui non si applica l’aliquota del 2%

12%

Se nel complesso aziendale ceduto è compreso un terreno agricolo ceduto a soggetto diverso da IAP

Cosa accadrebbe in caso di indicazione unitaria del prezzo di vendita?

Quindi, nel caso in esame , nell’ipotesi in cui l’imprenditore non provvedesse a indicazione separata, anziché applicare al trasferimento del marchio con l’azienda l’aliquota del 3%, anche questa operazione sarebbe soggetta insieme agli altri trasferimenti, all’aliquota del 9% considerando che viene ceduto anche un fabbricato – al quale non si applica l’aliquota del 2% – o addirittura all’aliquota più elevata del 12% se la vendita comprendesse anche un terreno agricolo. Ne conseguirebbe un dispendioso esborso fiscale che avrebbe potuto essere evitato procedendo come ut sopra correttamente e diligentemente alla specificazione differenziata dei prezzi nell’atto di vendita.

Conclusione

Per effettuare l’operazione di cessione dell’azienda conseguendo tax saving pro norma dunque, sarà opportuno che nel contratto di cessione di azienda, nel caso in siano compresi oltre agli asset immateriali come il marchio, anche uno o più beni o diritti immobiliari, il prezzo non venga quantificato e indicato come importo unico. In pratica risulta opportuno redigere l’atto di vendita evidenziando separatamente la parte di corrispettivo pattuita riferibile, se non ai singoli beni o diritti, quanto meno alle categorie di beni raggruppate in funzione dell’aliquota d’imposta di registro applicabile.

In tal modo ad ogni bene potrà essere applicata l’ aliquota pertinente, evitando che sull’intero prezzo pattuito sia applicata l’aliquota più elevata in funzione dei singoli beni trasferiti.

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Spese di manutenzione: guida alla piena deducibilità nell’anno di sostenimento

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Le spese di manutenzione sono classificate in interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Nel primo caso si tratta di manutenzioni e riparazioni di natura ricorrente (pulizia, verniciatura, riparazione, sostituzione di parti deteriorate dall’uso, etc. ) finalizzati a mantenere i beni ad utilità pluriennale (assets, cespiti, fattori produttivi di proprietà o in possesso) in un buono stato di funzionamento.  

Spese di manutenzione: guida alla piena deducibilità nell’anno di sostenimento

Le spese di manutenzione sono classificate in interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Nel primo caso si tratta di manutenzioni e riparazioni di natura ricorrente (pulizia, verniciatura, riparazione, sostituzione di parti deteriorate dall’uso, etc. ) finalizzati a mantenere i beni ad utilità pluriennale (assets, cespiti, fattori produttivi di proprietà o in possesso) in un buono stato di funzionamento.  Sono sostenute per mantenere in efficienza le immobilizzazioni materiali, per assicurarne la vita utile prevista, nonché la capacità e la produttività originarie. Tali costi sono di competenza dell’esercizio in cui sono sostenuti. Nel secondo caso si rientra negli interventi di manutenzione tali da produrre un aumento significativo e tangibile di produttività o di vita utile del cespite. Si sostanziano, in ampliamenti, modifiche, sostituzioni e altri miglioramenti riferibili al bene. Tali costi di manutenzione straordinaria rientrano tra i costi capitalizzabili, ossia da iscrivere ad incremento del valore del cespite e non vengono imputati direttamente in conto economico (solo indirettamente attraverso la quota di ammortamento annuale del cespite a cui di riferiscono).

Secondo i principi contabili italiani, documento n. 16, in presenza di tali spese, il redattore del bilancio dovrà:

·        capitalizzare i costi di ampliamento, ammodernamento o di miglioramento degli elementi strutturali delle immobilizzazioni, incluse le modifiche e le ristrutturazioni effettuate in modo da aumentarne la rispondenza agli scopi per cui il bene era stato acquisito, se ritiene che gli stessi comportino un aumento significativo e misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza o di vita utile (Spese di manutenzione straordinarie);

·        addebitare detti costi al conto economico qualora non producano i predetti effetti (Spese di manutenzione ordinarie).

 

Deducibilità delle spese di manutenzione ordinarie: norma generale

Ai sensi dell’art. 102, comma 6 del D. P. R. N. 917 del 1986 T. U. I. R. , le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio di esercizio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni ammortizzabili, quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili (fa eccezione il primo anno di attività il cui limite del 5%  viene conteggiato sul valore delle immobilizzazioni alla fine dell’esercizio). L’eccedenza è deducibile in quote costanti nei 5 esercizi successivi.

Manutenzioni e riparazioni ordinarie su beni propri

Tali costi vanno imputati al conto economico dell’esercizio di sostenimento. Sono deducibili cumulativamente entro il limite massimo del 5% del valore (lordo) dei beni materiali ammortizzabili quale risulta dall’apposito registro all’inizio dell’esercizio, comprendendo i beni, per i quali è prevista una deducibilità parziale della quota di ammortamento, solo per il loro valore deducibile.

Al fine del calcolo del plafond, non vengono considerati i beni assistiti da canone di manutenzione, i terreni, ed i terreni su cui insistono i fabbricati strumentali o che ne costituiscono pertinenza a norma della legge 248 del2006. Per le imprese di nuova costituzione il limite percentuale si calcola, per il primo esercizio, sul costo complessivo dei beni ammortizzabili quale risulta alla fine dell’esercizio.

Ai sensi dell’articolo del D. P. R n. 42 del 1988 i beni acquistati o ceduti nel corso dell’esercizio, la deduzione spetta in proporzione alla durata del possesso ed è commisurata, per l’acquirente, al costo di acquisto.

I beni strumentali ammortizzabili acquisiti mediante contratto di leasing finanziario concorrono alla determinazione della base del 5% solo se risultano iscritti nell’attivo del bilancio e nel registro dei beni ammortizzabili all’inizio dell’esercizio.

Quando superano il 5% l’eccedenza non è deducibile e la rettifica va fatta sull’Unico. L’eccedenza (deducibile in quote costanti nei successivi 5 esercizi) non va mai iscritta in bilancio ma annotata sul libro beni ammortizzabili per memoria; le quote di ammortamento degli esercizi successivi si deducono mediante variazione in diminuzione sull’Unico generando imposte anticipate.

Focus 1: Contratti di manutenzione periodica deducibilità integrale nell’esercizio in cui sono sostenuti

Sono invece interamente deducibili, per competenza, i compensi periodici dovuti a terzi per contratti di manutenzione periodica di determinati beni (ad esempio: personal computer, stampanti, fotocopiatrici); in tal caso il bene per il quale è stato stipulato il contratto non concorre alla determinazione del plafond.  

Focus 2: Manutenzioni ordinarie effettuate su beni di terzi

Per quanto riguarda le manutenzioni ordinarie effettuate su beni di terzi in forza di contratti di locazione, affitto, comodato, leasing, ecc, il limite di deducibilità imposto dal comma 6, dell’articolo 102 deL T. U. I. R. , non si applica, con la conseguenza che dette spese risultano completamente deducibili nell’esercizio secondo le regole generali. Risulteranno pertanto interamente deducibili qualora riguardanti spese sostenute su beni che non subiscono limitazioni oggettive o soggettive di deducibilità. In caso contrario, come avviene ad esempio per le autovetture, anche le spese di manutenzione subiranno le limitazioni previste per il cespite cui afferiscono.

Focus 3: Beni di interesse storico, artistico e culturale;

Non sono soggetti alla percentuale di deducibilità del 5%. L’articolo 15, comma primo, lettera g) del richiamato T. U. I. R. , disciplina la deducibilità dal reddito delle spese di manutenzione, conservazione e restauro di beni architettonici dei quali sia stato riconosciuto l’interesse di bene culturale; le spese ammesse possono essere indicate nella dichiarazione dei redditi (sia delle persone fisiche che degli “enti commerciali”).
Il D. P. R. 917 del 1986, riconosce il diritto agli enti commerciali una deduzione dall’imponibile, relativamente alle spese sostenute ed effettivamente rimaste a carico, in via integrale nell’anno in cui sono sostenute.

Qualora le spese per la manutenzione, protezione o restauro non siano obbligatorie per legge, la necessità di sostenerle deve risultare da apposita certificazione rilasciata dalla Soprintendenza, previo accertamento della congruità, effettuato d’intesa con il competente Ufficio del Territorio.

La detrazione non spetta in caso di mutamento di destinazione dei beni senza la preventiva autorizzazione della Soprintendenza, oppure in caso di mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili vincolati.

 Dottor Alessio Ferretti

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Cessione azienda con marchio: IVA o imposta di registro? Guida aggiornata alla tassazione

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La Srl Alfa decide di vendere il proprio marchio d’impresa unitamente all’azienda, alla società Beta. Questa operazione è soggetta ad IVA, ad imposta di registro oppure sono dovute entrambe? Individuiamo quindi il corretto trattamento fiscale nei casi in cui il brand sia ceduto insieme all’azienda che ingloba il segno distintivo, fornendo una utile guida per evitare di incorrere in errati versamenti di imposte.  

Il caso

La Srl Alfa decide di vendere il proprio marchio d’impresa unitamente all’azienda, alla società Beta.

Quesito

Questa operazione nella misura in cui comprende anche il trasferimento del bene “marchio” è soggetta ad IVA?

Individuiamo quindi il corretto trattamento fiscale nei casi in cui il brand sia ceduto insieme all’azienda che ingloba il segno distintivo.

Al riguardo, è pacifico che esso, in tale fattispecie, costituisca giuridicamente un bene aziendale di tipo strumentale, più esattamente un “intangible asset” iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale come immobilizzazione immateriale. Occorre quindi verificare se il suo inserimento nell’operazione di cessione determini o meno una deroga all’ordinario sistema di tassazione della cessione d’azienda che, sulla scorta della facoltà riconosciuta agli Stati membri dall’articolo 5, n. 8, della direttiva n. 77/388/Cee, la sottrae ad IVA, assogettandola all’imposta di registro in misura proporzionale.

Analisi fiscale della cessione di marchio con azienda

Ai fini dell’imposizione indiretta, posto il principio di alternatività IVA/Imposta di registro, per inquadrare il corretto trattamento fiscale del trasferimento d’azienda, occorre in primo luogo verificare se tale fattispecie rientri nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.

Ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera b, del D. P. R. N. 633 del 1972, non sono considerate cessioni di beni “le cessioni e i conferimenti in società o altri enti compresi i consorzi e le assicurazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda”.  Pertanto in questo caso è cristallina l’esclusione del negozio traslativo dell’azienda dall’imposta sul valore aggiunto.

Cio premesso, accertiamo se questo principio si applichi altresì al caso di specie in cui ad essere trasferito è anche il marchio.

In passato, la Corte di Cassazione con le sentenze n. 4974 del 1º aprile 2003 e n. 4452 del 26 marzo 2003 aveva stabilito che l’operazione di trasferimento del marchio con l’azienda, sotto il profilo fiscale, generasse una duplice e distinta tassazione cioè applicazione dell’imposta di registro per la cessione di azienda o di un suo ramo e dell’IVA per l’alienazione del marchio, la quale doveva, invece, considerarsi una prestazione di servizio, indipendentemente dalla contestualità o meno delle due operazioni di vendita.

Duplice tassazione (IVA + Imposta di registro) oppure no?

Tale iniziale orientamento (ormai superato) differisce dall’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE, nella sentenza 27 novembre 2003, nella causa C497/01 e anche da quanto sostenuto dall’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano, con la norma di comportamento n. 158, approvata nel mese di novembre 2004, le quali hanno contestato l’interpretazione giurisprudenziale della Suprema Corte, ritenendo più corretto ai fini delle imposte indirette, in caso di cessione di azienda, comprensiva di marchio, escludere quest’ultimo corrispettivo da IVA ed assoggettarlo, in modo unitario al complesso aziendale, ad imposta di registro, in misura proporzionale, in quanto l’operazione di vendita del marchio non è effettuata separatamente dal complesso aziendale.

Alla base di tale indirizzo ermeneutico c’è la prevalenza del principio di unitarietà, per cui la nozione di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di un’universalità totale o parziale di beni deve essere interpretata nel senso che in essa rientri anche il trasferimento di un’azienda o di una parte autonoma di un’impresa, “compresi” gli elementi materiali ed, eventualmente, immateriali che la compongono.

L’Agenzia delle entrate, pertanto, suffragata anche da una nota resa dall’Avvocatura dello Stato, ha stabilito che la disposizione di cui all’articolo 2, comma 3, del Dpr 633/72, in quanto norma speciale, trova applicazione in tutti i casi in cui si realizza il trasferimento di un’azienda o di un ramo della stessa, a prescindere dai beni che la compongono.

Conclusione

La cessione d’azienda, contestuale a quella del marchio rileva come “assorbente” rispetto a quella del segno distintivo, che deve considerarsi un bene immateriale della stessa azienda e, pertanto, seguire, nella cessione, la sua disciplina fiscale, ragione per la quale lo stesso non si considera produttivo di valore aggiunto.

Non trova dunque applicazione l’ormai vetusto e superato principio che qualificava la cessione unitaria e contestuale dell’azienda e del marchio come un negozio complesso da assoggettare ad un duplice regime di imposizione (cessione dell’azienda all’imposta di registro e la cessione del marchio ad IVA).

Dall’esclusione della rilevanza ai fini IVA consegue che il trasferimento dell’azienda o di rami della stessa (un ramo d’azienda è una universalità di beni, organicamente coordinati, in funzione dello svolgimento di una attività di impresa) debba essere assoggettato all’imposta di registro in misura proporzionale.

La Srl Alfa in conclusione sarà tenuta in solido con la cessionaria società Beta al pagamento dell’imposta di registro da versare telematicamente con il modello F24 Elementi Identificativi”.

Per essere assistiti nelle operazioni di cessione di marchi congiuntamente o disgiuntamente dalla vostra azienda e godere di tutte le relative agevolazioni fiscali,

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IRPEF, IVA e ritenuta d’acconto in caso di concessione in licenza di un marchio da privato a società di capitali. Ma l’IVA è dovuta o no? Il caso pratico

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Tizio impiegato in un’azienda, per conseguire un’entrata reddituale addizionale, decide di registrare e intestarsi un marchio d’impresa e successivamente, da soggetto privato, stipulare un contratto di licenza esclusiva del brand in favore della Srl Gamma incassando royalties. Su tali guadagni, Tizio dovrà pagare imposte dirette? Il contratto in oggetto è ex lege operazione soggetta ad IVA? E’ dovuta la ritenuta d’acconto e se si come si paga? Analizziamo il caso pratico e rispondiamo ai quesiti posti.

Il caso

Tizio impiegato in un’azienda, per conseguire un’ entrata reddituale addizionale, decide di registrare e intestarsi un marchio d’impresa e successivamente, da soggetto privato, stipulare un contratto di licenza esclusiva del brand in favore della Srl Gamma incassando royalties.

Quesiti

Sulle royaltyes incassate Tizio dovrà pagare imposte dirette?

Il contratto in oggetto è ex lege operazione soggetta ad IVA?

E’ dovuta la ritenuta d’acconto?  Se si come va pagata e in quale misura?

Focus del caso

La fattispecie in esame è riconducibile all’ipotesi di “utilizzo indiretto” del brand cioè concessione in uso del diritto, esclusivo in questo caso, cioè attribuito unicamente alla società Gamma, all’utilizzo del marchio (operazione negoziale conosciuta anche come “licensing”).

In pratica, riguarda un contratto di concessione in licenza di marchio da privato (titolare-licenziante) ad una srl (licenziataria), che potrà utilizzarlo ai fini commerciali corrispondendo in cambio canoni periodici.

Viene quindi a determinarsi una dissociazione tra la proprietà del bene immateriale che resta in capo a Tizio, il quale continuerà a figurare formalmente come titolare e il suo utilizzo a fini commerciali spostato sulla società Gamma.

Trattamento fiscale delle royalty: IRPEF?

Supponiamo che, nel caso concreto la Srl sia una società che intende affermarsi sul mercato internazionale, quindi il corrispettivo sarebbe costituito da una percentuale variabile sul fatturato, altrimenti nota come royalty, computando a tal fine anche gli introiti che la società licenziataria riuscisse ad incassare per effetto di successivi accordi di sub-licenza sottoscritti con operatori esteri.

Il soggetto, tuttavia, pone in essere questa operazione negoziale “occasionalmente”, senza agire come imprenditore, cioè senza ricollegare la concessione in licenza ad un’attività economica professionale organizzata, diretta alla produzione e scambio di beni e servizi, (art 2082 c. C. ). Inoltre ipotizziamo che non sussista nel caso esaminato un coordinamento di mezzi finanziari nell’ambito di un’operazione di rilevante entità economica, sebbene riferita ad un singolo affare: risulterebbe quindi esclusa la configurazione dell’attività come imprenditoriale ai fini fiscali.

Ora, posto che il licenziante è nel nostro caso un privato non agente, sotto il duplice profilo soggettivo ed oggettivo, né come libero professionista, né come imprenditore, occorre in primis inquadrare sotto il profilo reddituale ai fini fiscali delle imposte dirette il corrispettivo da erogare.

In mancanza di una norma specifica, esistono sul punto due opzioni interpretative:

a) irrilevanza fiscale in quanto “nessun reddito”(relazione governativa articolo 49 ora 53 TUIR);

b) rilevanza fiscale come “redditi diversi” ex articolo 67 TUIR comma 1 lettera l) quale “obbligazione di permettere” (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 30/E 2006).

N. B.  Quanto alle due opzioni interpretative, a fronte di questo vuoto normativo in materia si auspica un intervento legislativo di interpretazione autentica o intervento chiarificatore dell’amministrazione finanziaria riferito a fattispecie analoga.

Ma la prestazione di Tizio è soggetta ad IVA?

Per quanto riguarda le imposte indirette, la prestazione resa da Tizio persona fisica non dà valore aggiunto cioè è operazione esclusa dall’IVA per difetto del requisito soggettivo in quanto non resa nell’esercizio di impresa o di arti e professioni (manca il presupposto cardine di applicazione ex art 1 del citato decreto ai fini dell’imponibilità), sebbene astrattamente sussumibile, sotto il profilo oggettivo nella norma che configura la concessione in licenza di marchi come prestazione di servizi ex articolo 3 comma 2 n. 2) del citato Decreto.

Dunque, anche ammettendo che tali entrate economiche costituiscano per Tizio redditi diversi ex articolo 67, comma 1, lettera l) del TUIR, (superato l’orientamento che li qualificava come redditi di lavoro autonomo di cui all’articolo 53, comma 2, lettera b) del TUIR) essi rileverebbero sotto il profilo fiscale delle imposte indirette come operazione non soggetta a IVA quindi non rientrante nel campo di applicazione dell’art 3 comma 2 n. 2) trattandosi di corrispettivi derivanti da concessioni in licenza di marchio non conseguiti nell’esercizio di attività ex articoli 4 e 5 del Dpr 633/72.

Sarebbero assoggettate invece al versamento della ritenuta d’acconto del 20% da parte della società licenziataria Gamma, rilevando quest’ultima quale sostituto di imposta, come previsto dall’articolo 25 del Dpr 600 del 29 settembre 1973 anche per prestazioni occasionali.

Ora, applicando al caso le coordinate sopra individuate, premesso che non ci sarà fatturazione in senso tecnico da parte di Tizio, si perviene alle seguenti conclusioni:

a) Se si accede alla prima opzione – nessun reddito – il privato non pagherà imposte dirette sui corrispettivi e verrà emessa una ricevuta generica senza l’indicazione né di IVA, né di ritenuta d’acconto;

b) se si opta per la seconda soluzione – reddito diverso – come cautelativamente accade nella prassi, la ricevuta dovrà indicare la ritenuta pari al 20% a titolo d’acconto e i redditi dovranno essere dichiarati da Tizio in Unico persone quadro RL sezione II A (applicazione dell’aliquota prevista per lo scaglione reddituale di riferimento).

Conclusione

La risposta al quesito formulato nell’incipit non può che essere negativa.

L’operazione negoziale posta in essere dal privato è un’operazione fuori campo IVA In tal caso, a differenza dell’IVA esente, l’operazione non è soggetta agli adempimenti formali tipici dell’imposta pertanto non sussiste l’ obbligo di inserimento della stessa nella comunicazione di cui all’articolo 21 del D. L. 78/2010.

La società Gamma non dovrà pagare l’IVA per ottenere la concessione in licenza del brand, (sia che le royalty costituiscano per Tizio entrata occasionale qualificabile come “non reddito” quindi fiscalmente irrilevante, sia che le stesse siano configurabili per Tizio come reddito diverso da dichiarare in Unico) ma dovrà, qualificando le royalty come redditi diversi solo versare telematicamente la ritenuta d’acconto tramite f24 in qualità di sostituto d’imposta di Tizio.

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Associazioni e Società Sportivo Dilettantistiche e culturali: limite all’utilizzo del contante

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Tra le novità introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 vi è la modifica alla disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti. Il limite per la circolazione del contante è stato innalzato, con decorrenza 1. 1. 2016, ad € 3. 000,00 sostituendo il precedente limite fissato in € 1. 000,00.

ASSOCIAZIONI E SOCIETA’ SPORTIVO DILETTANTISTICHE E CULTURALI: LIMITE ALL’UTILIZZO DEL CONTANTE

 

Tra le novità introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 vi è la modifica alla disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti. Il limite per la circolazione del contante è stato innalzato, con decorrenza 1. 1. 2016, ad € 3. 000,00 sostituendo il precedente limite fissato in € 1. 000,00.

 

A seguito di quanto disposto dall’art. 19 del D. L. G. 158/2015 sulla revisione del sistema sanzionatorio (la cui applicazione era in origine fissata al 1. 1. 2017 e successivamente anticipata dalla Legge di Stabilità 2016 al 1. 1. 2016), l’ inosservanza dell’obbligo di tracciabilità degli incassi e dei pagamenti non causerà più la decadenza dal regime agevolato opzionale previsto dalla L. 398/1991 per le associazioni e società sportive dilettantistiche e per gli enti non lucrativi in genere. Ciò si traduce in un effetto certamente positivo sulle contestazioni non definitive, per le quali gli uffici finanziari non si sono ancora ritirati,  basate sulla violazione dell’obbligo di tracciabilità, che in fase contenziosa troveranno molto probabilmente una soluzione a favore delle associazioni, società sportive dilettantistiche e di ogni altro ente non profit. Infatti è già di per sè quest’ultimo un elemento che rafforza il recente comunicato da parte della Agenzia delle Entrate, con cui si invitano gli uffici a ritirarsi dagli accertamenti pendenti ed inerenti basi imponibili rettificate e sanzioni comminate causa mancato rispetto del vecchio limite sulla tracciabilità dei flussi finanziari € 516,46 (poi portato ad € 1. 000). Tale disposizione, nel testo precedentemente in vigore, stabiliva che i pagamenti a favore di società, enti o associazioni sportive dilettantistiche e i versamenti da questi effettuati, se di importo pari o superiore ad € 1. 000,00 (oggi € 3. 000,00), dovevano essere eseguiti tramite conti correnti bancari o postali a loro intestati ovvero secondo altre modalità idonee a consentire all’Amministrazione Finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, pena la decadenza dalle agevolazioni di cui alla L. 398/1991 e l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 11 del D. L. G. 471/1997. Disposizioni, queste, che permangono ancora oggi salvo che per la parte relativa alla violazione dell’obbligo in esame, che era causa di decadenza dal regime fiscale di favore previsto dalla L. 398/1991, per cui l’Amministrazione, constatata l’infrazione in sede di accertamento, assoggettava a tassazione l’imponibile (ai fini delle imposte dirette e dell’Iva) secondo quanto previsto dalle regole ordinarie.

 

Le regole sulla tracciabilità dei pagamenti non trovano applicazione qualora vengano effettuati prelevamenti e versamenti sul conto corrente postale o bancario. Dunque, vi è libertà di prelevare dal proprio conto denaro contante per somme superiori ad € 3. 000,00 e di versare importi che superino detto limite, senza necessità di ricorrere allo strumento del bonifico. Analogamente, vi è libertà di incassare assegni circolari per importi superiori al nuovo limite a condizione, però, che si tratti di assegni non trasferibili.

 

Altro caso di esonero dall’applicazione delle regole sulla circolazione del contante è rappresentato dai bollettini postali, che possono essere pagati in contanti per un importo pari o superiore ad € 3. 000,00 in quanto trattasi di pagamenti che avvengono attraverso un intermediario (Poste italiane) e che, quindi, sono tracciati.

Si ricorda che non è possibile eludere la normativa sul divieto di pagamenti in contanti frazionando il debito in tante rate, ciascuna di importo inferiore ad € 3. 000,00, al solo fine di evitare gli strumenti tracciabili. Anche i pagamenti rateizzati devono, infatti, sottostare alle regole sul divieto di contante se l’ammontare complessivo dell’affare supera il limite legale. In altre parole, se cliente e fornitore si accordano per un corrispettivo di € 5. 000,00, il pagamento non può avvenire in contanti con due pagamenti rateali di € 2. 500,00 l’uno. Per stabilire quale strumento di pagamento occorre utilizzare, bisogna prendere in esame l’intera operazione e non la singola rata. Tuttavia, si può procedere a tanti pagamenti in contanti di importo inferiore al limite legale, e quindi evitare gli obblighi di legge indicati, a condizione che il frazionamento risulti da un accordo intercorso tra i contraenti e che sia previsto dalla natura stessa dell’operazione.

Anche l’affitto si può pagare in contanti, purché ogni singolo canone sia di importo inferiore al limite di € 3. 000,00. Gli importi superiori, invece, dovranno essere versati con strumenti tracciabili.

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 Dottor Alessio Ferretti

 

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Come si paga l’imposta di registro in caso di concessione in licenza di un marchio da privato a società di capitali e chi deve versarla ?

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Imposta registratro marchio registrato

Tizio, titolare di un marchio d’impresa in qualità di privato e la Srl Beta stipulano un contratto di licenza del brand.

Come si paga in tal caso l’imposta di registro e chi deve versarla?

Il caso

Tizio, operante come soggetto  privato, non titolare di redditi d’impresa, né di partita IVA e la Srl  Beta, stipulano un contratto di licenza di un marchio d’impresa, in base al quale il primo, in qualità di licenziante, attribuisce  alla seconda l’utilizzo economico dei diritti di licenza del Brand  e, in cambio, corrisponde a Tizio  royalties calcolate a percentuale sul fatturato.

Quesito

Posto che, ai fini dell’imposta di registro, il contratto di licenza andrà registrato con assoggettamento a imposta proporzionale del 3% e in termine fisso previsto ex lege (articolo 9, Tariffa – parte I del Dpr 131 del 26 aprile 1986), ci si chiede come materialmente vada assolto tale obbligo tributario e se il relativo importo debba necessariamente essere pagato dalla società licenziataria.

Per approfondimenti sulla tipologia di imposta di registro applicabile in tal caso, leggete subito la nostra guida dedicata all’imposta di registro in caso di concessione di licenza di marchio da privato!

Focus della disciplina applicabile

Per procedere correttamente e con esatta cognizione di causa al pagamento dell’imposta di registro, occorre sgombrare il campo da errori applicativi relativi alla disciplina di questo tipo di imposta e chiarire pertanto i principi che realmente ne sono alla base.

Deve pagarla sempre il licenziatario come il compratore ex articolo 1475 del codice civile?

Il principio civilistico ex articolo 1475 codice civile  pone a carico dell’acquirente il pagamento delle spese afferenti al contratto e di quelle accessorie, ricomprendendo in queste anche tutti quegli esborsi che sono collegati direttamente o indirettamente alla stipulazione, dunque anche imposta di registro. Ne consegue che il venditore che avesse dovuto corrispondere al Fisco somme di spettanza del compratore, vanterebbe successivamente il diritto di rivalersi su costui (Cass. Civ. Sez. II, 4714/77 ).

Se applicassimo per analogia questo principio anche all’ipotesi di licenza del marchio, ne deriverebbe che la società licenziataria avente causa dal privato che ha “acquistato” la licenza (ma non il marchio stesso) deve sempre e comunque provvedere  al pagamento dell’imposta di registro al 3% sul valore del negozio quindi, nell’ipotesi di inadempimento, il licenziante che eventualmente avesse pagato al suo posto, avrebbe diritto di pretendere ex post dal primo le somme corrisposte.

Spesso è stato questo l’errore che ha determinato conseguenze non previste derivanti dalla prassi commerciale relativa al versamento dell’imposta di registro.

Il principio tributario di solidarietà passiva

Focalizziamo quindi la disciplina tributaria di questo particolare tipo di imposta. In materia di imposta di registro, la responsabilità per il versamento del tributo, risulta  regolata dall’articolo 57 del DPR 131/1986 sulla base del quale, oltre ai pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto ed ai soggetti nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta di registro i contraenti, le parti in causa, e coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere gli atti e le denunce.

Cosa dice in proposito la Cassazione Tributaria?

La stessa Corte di Cassazione Tributaria ha statuito con sentenza n°9126/2014 che l’articolo 57 DPR 131/1986, prevede una mera coobligazione solidale per la quale obbligati al pagamento dell’imposta sono le parti contraenti e, di conseguenza, l’amministrazione non è vincolata né al beneficio dell’ordine né a quello di escussione.  Quindi l’Agenzia delle Entrate potrà esigere l’adempimento totale da ambo le parti a propria scelta con possibilità di agire anche separatamente nei loro confronti.  La solidarietà, quindi, è la regola e non esistono deroghe diverse da quelle espressamente previste dal legislatore.

N. B.  Le deroghe alla regola della solidarietà riguardano atti soggetti a registrazione in caso d’uso o volontariamente (dal momento che l’obbligo di versare l’imposta grava esclusivamente su chi ha richiesto la registrazione) e chiaramente non vi rientra il caso di specie che configura un’ipotesi di atto soggetto a registrazione in termine fisso.

Soluzione

Quindi, ridimensioniamo il problema alla luce di questo principio, peraltro anche confermato dalla Suprema Corte, senza fare confusioni di sorta  ma comprendendo  ciò che può realmente accadere nelle ipotesi di inadempimento rispetto al versamento di questo tipo di imposta: anche se l’imposta di registro sia posta all’interno di una clausola contrattuale a carico della società licenziataria Beta,  così come da prassi commerciale, nell’ipotesi di mancato assolvimento dell’obbligo tributario, l’Agenzia delle Entrate potrà esigere l’assolvimento totale e solidale nei confronti  di entrambe le parti oppure, indifferentemente, senza vincolo della preventiva escussione del licenziatario, anche dal licenziante Tizio.

Come versare l’imposta di registro sulla licenza del marchio

Le modalità alternative di versamento sono due:

con il modello F24 “Elementi identificativi”, che deve essere presentato nel caso  in cui a versarlo sia la società Beta  (titolare di partita IVA), esclusivamente con modalità telematiche, direttamente o per mezzo di intermediari abilitati, utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate e del sistema bancario e postale. Nel caso in cui la prima sia inadempiente, data la “responsabilità solidale” per questo tipo di imposta potrà essere chiamato a pagarla  Tizio soggetto privato  (non titolare di partita IVA)  attraverso  presentazione del modello anche presso banche o uffici postali;
richiedendo all’Ufficio delle Entrate l’addebito dell’importo sul proprio conto corrente, utilizzando il modello richiesta di addebito su conto corrente, disponibile anche on-line.

Se desiderate essere assistiti con cortesia e professionalità in tutte le fasi di concessione in licenza del vostro marchio o per registrare il vostro marchio d’impresa o collettivo,

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Guida ” Incentivo Occupazione Sud “

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A partire dal 1 Gennaio 2017 è in vigore l’incentivo Occupazione Sud per le assunzioni e lavoratori disoccupati; l’agevolazione riguarda le assunzioni a tempo indeterminato , anche a scopo di somministrazione, effettuate dal 1 Gennaio 2017 al 31 Dicembre 2017, nelle regioni Basilicata , Calabria, Puglia, Sicilia , Abruzzo , Molise e Sardegna.

A partire dal 1 Gennaio 2017 è in vigore l’incentivo Occupazione Sud per le assunzioni e lavoratori disoccupati ; l’agevolazione riguarda le assunzioni a tempo indeterminato , anche a scopo di somministrazione, effettuate dal 1 Gennaio 2017 al 31 Dicembre 2017, nelle regioni Basilicata , Calabria, Puglia, Sicilia , Abruzzo , Molise e Sardegna.

E’ importante sottolineare che l’agevolazione riguarda la sede operativa dell’azienda, a prescindere dalla residenza del lavoratore; il lavoratore dovrà svolgere attività lavorativa presso una delle regioni interessate dall’incentivo.

Qualora, a seguito di cambio di sede lavorativa, il lavoratore venga trasferito presso un’altra sede aziendale fuori dalle regioni sopra indicate, verrà meno il riconoscimento all’incentivo.

La misura dell’incentivo, della durata di un anno, da usufruire entro il 28 Febbraio 2019 è pari all’esonero totale dei contributi a carico delle aziende entro il limite massimo di 8060 euro annui, da riproporzionare in caso di assunzioni part-time , verrà direttamente utilizzato a conguaglio nell’uniemens di competenza; tale agevolazione non è cumulabile con altre agevolazioni di natura contributiva o economica e dovrà rispettare le regole Europee in materia di aiuti di Stato ( Regolamento UE n. 1407 del 18 Dicembre 2013).

Le risorse dedicate alla presente agevolazione contributiva sono le seguenti :

500 milioni di euro destinate alle regioni Basilicata , Calabria, Puglia e Sicilia ;

30 milioni di euro destinate alle regioni Abruzzo , Molise e Sardegna ).

L’agevolazione contributiva sarà riconosciuta tramite autorizzazione direttamente dall’Inps previa richiesta preventiva l’assunzione del datore di lavoro.

Per poter usufruire dell’agevolazione contributiva il datore deve:

rispettare gli obblighi di legge e di contratto collettivo applicato dall’azienda al rapporto di lavoro agevolato;

essere in regola con il D. U. R. C;

rispettare eventuali diritti di precedenza;

non avere in corso sospensioni di rapporti di lavoro per crisi o riorganizzazione aziendale.

L’agevolazione viene riconosciuta per i contratti di lavoro a tempo indeterminato,

a scopo di somministrazione , e in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine, purchè non deve essere effettuare in virtù di un obbligo legale o contrattuale.

Tale agevolazione non riguarda invece i contratti di lavoro domestico, i contratti di lavoro intermittente  e di lavoro accessorio.

Per poter usufruire di tale agevolazione i destinatari dell’incentivo devono:

essere soggetti disoccupari , cosi come previsto dall’art. 19 del D. Lgs. 150/2015 ovvero” Sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego”;

Inoltre i beneficiari devono avere una delle seguenti condizioni:

Giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni;

Lavoratori con almeno 25 anni, privo di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ai sensi del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 20 Marzo 2013;

Non aver avuto un rapporti di lavoro negli ultimi 6 mesi con lo stesso datore di lavoro che procede all’assunzione; 

questa condizione viene meno in caso di trasformazione a tempo             indeterminato di un contratto a tempo determinato.

L’agevolazione quindi riguarda anche le trasformazioni a tempo indeterminato di un rapporto a tempo determinato cosi come previsto dalle modifiche apportate dal decreto n. 367/II/2016 del 16 Novembre 2016 apportate dal decreto prot. 39/0018719 del 15 Dicembre 2016.

Per poter usufruire dell’agevolazione contributiva il datore di lavoro dovrà inoltrare all’Inps, esclusivamente in via telematica un’istanza preliminare di ammissione al beneficio indicando i dati dell’assunzione già effettuata o che intende effettuare.

L’Inps verificata la disponibilità residua delle risorse comunicherà all’azienda l’esito di tale verifica e nel caso provvederà a prenotare l’importo per tale assunzione.

Ricevuto l’esito positivo dall’Inps il datore di lavoro dovrà:

provvedere, qualora non abbia ancora provveduto, entro n. 7 giorni dal ricevimento della comunicazione dell ‘Inps all’assunzione del lavoratore indicato nella comunicazione preventiva;

provvedere entro n. 10 giorni dal ricevimento della comunicazione dell’Inps l’avvenuta assunzione e chiedere la conferma della prenotazione effettuata.

Avv. Giovanni Di Corrado

Consulente del Lavoro

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