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Quando la prostituzione è un “contratto di schiavitù”: il consenso della Escort-vittima esclude il reato ?

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Nel caso in cui venga stipulato tra due soggetti un contratto di schiavitù di una Escort, l’eventuale consenso della donna, giustificherebbe penalmente i comportamenti pattuiti?  In altri termini, gli stipulanti andrebbero lo stesso in galera?  Il caso pratico sul quale si è pronunciata la Corte d’Assise.  

Atti dispositivi del proprio corpo contrari al buon costume ex articolo 5 del codice civile

L’articolo 5 del codice civile si riferisce all’attività dispositiva che un soggetto può svolgere con riferimento a parti del proprio corpo, vietando anche gli atti contrari al buon costume. Secondo la dottrina prevalente i limiti imposti da tale articolo sarebbero applicabili oltre agli atti stricto sensu materiali riguardanti la dimensione fisica, anche quelli dispositivi di diritti della personalità che toccano la sfera psico-emotiva. Inoltre l’operatività di tale norma sarebbe estensibile anche ai negozi giuridici, considerato che gli atti giuridici sono una sotto-categoria dei fatti umani.

Il contratto di schiavitù

Un caso pratico nel quale l’accordo contrattuale ha ad oggetto un contenuto analogo a quello vietato ex articolo 5 c. C.  è il contratto di schiavitù, speculare al reato disegnato dall’art 600 c. P.  la cui ratio incriminatrice si identifica nella tutela della persona umana intesa come persona individuale.

Il caso

Una vicenda analoga è stata sottoposta al vaglio della Corte d’Assise di Trento la quale si è espressa con una importante sentenza, in merito ai principi civilistici e penalistici di tale “contratto”, focalizzando l’analisi sul ruolo scriminante del consenso dell’avente diritto nell’ambito del reato di schiavitù. Nel caso di specie, tale contratto era stato stipulato tra due soggetti a cui era estranea la vittima, la quale secondo le trattative degli stipulanti avrebbe dovuto costituire proprio l’“oggetto” del contratto, costringendola non solo a spostarsi in diverse città italiane – anche al fine di impedirle di crearsi legami stabili o anche soltanto conoscenze nel luogo di residenza – ma anche ad esercitare, contro la sua volontà, l’attività di prostituzione, acquisendone i proventi. L’imputato, dopo aver “acquistato” la ragazza, l’aveva quindi mantenuta, in concorso con altri, in uno stato di soggezione continuativa, approfittando della sua condizione di inferiorità psichica e della situazione di necessità in cui la stessa versava.

N. B.  Le statuizioni elaborate dalla Corte in merito all’efficacia scriminante del presunto consenso della donna, cioè giustificativo ai fini dell’esclusione dell’illecito penale, resterebbero applicabili anche all’ipotesi in cui la contrattazione intervenisse tra vittima e “carnefice”.

La difesa dell’imputato

La difesa al fine di escludere a carico dell’imputato la configurabilità del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù cui all’articolo 600 c. P. , rilevava l’operatività della scriminante del consenso prestato dalla presunta vittima, asserendo che la stessa si sarebbe volontariamente prostituita e sottomessa alla signoria dell’imputato, scegliendo di soggiacere ai sui desideri ed interessi, come in una sorta di sindrome di Stoccolma.

Il consenso della Escort-vittima esclude la rilevanza penale dell’accordo?

La Corte di Assise, rigettando la tesi difensiva, enunciava il seguente principio: “il consenso della persona offesa è irrilevante rispetto ai delitti contro la personalità individuale, non essendo la dignità né la libertà diritti disponibili, pertanto la compartecipazione, da parte della vittima del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, agli utili prodotti dall’attività cui essa è costretta, non esclude la configurabilità del reato; determinante è invece lo stato di soggezione in cui versi la persona offesa, essendo sottoposta all’altrui potere di disposizione, che si estrinseca nell’esigere prestazioni sessuali o lavorative o di accattonaggio ad obblighi di fare.

Conclusione

Nell’ipotesi esaminata quindi, scatta il reato ex articolo 600 c. P. Punito con la reclusione dagli otto a venti anni.

Per approfondimenti: Corte di Assise di Trento 20. 11. 2007, sentenza n°5246

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Gestire siti per annunci Escort, dare un appartamento in affitto o in comodato alle professioniste del sesso e altre situazioni compromettenti: quando scatta il reato?

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Prostituirsi, dal latino “prostituere” che significa “porre davanti/mettere in vendita/collocare”, nel nostro Paese non rileva di per sé come attività illegale o illecita dal punto di vista penale. Per la giurisprudenza infatti, il “commercio del proprio corpo mediante il compimento di atti sessuali in cambio del corrispettivo di una somma di denaro o di altra utilità economica, non è un comportamento ex se perseguibile e incriminabile a titolo di reato. Quando, invece, in presenza di attività di prostituzione si commette reato a titolo di favoreggiamento/sfruttamento di prostituzione o esercizio di casa di prostituzione?

Prostituirsi, dal latino “prostituere” che significa porre davanti”/mettere in vendita/collocare, nel nostro Paese non rileva di per sé come attività illegale o illecita dal punto di vista penale. Per la giurisprudenza infatti, il “commercio del proprio corpo mediante il compimento di atti sessuali in cambio del corrispettivo di una somma di denaro o di altra utilità economica, non è un comportamento ex se perseguibile e incriminabile a titolo di reato”.

Facendo un salto nel passato, la Legge Merlin del 1958 si è limitata a vietare le case di tolleranza e introdotto una serie di illeciti, intesi quali reati penali, come lo sfruttamento, l’induzione e il favoreggiamento della prostituzione quindi il meretricio è fattispecie criminosa se inserita in uno di questi “contesti”.

In particolare, l’articolo 3 n°8, della L. 20 febbraio 1958, n. 75 la legge, infatti, punisce chiunque, in qualsiasi modo, favorisca o sfrutti la prostituzione altrui.

Il reato di favoreggiamento della prostituzione, precisa la giurisprudenza (cfr. , tra le altre sentenza della Cassazione n°6373/2013), si concretizza, sotto il profilo oggettivo, in qualunque attività idonea a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio della prostituzione, mentre sotto il profilo soggettivo è sufficiente la consapevolezza di agevolare il commercio altrui del proprio corpo senza che abbia rilevanza il movente dell’azione.

Ipotesi “comuni” di sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione

Alcune condotte collegate alla prostituzione e molto diffuse nel contesto attuale, sono ritenute illecite dalla giurisprudenza in quanto assimilabili allo sfruttamento o al favoreggiamento della prostituzione. Ne analizzeremo quattro perché attualmente sono le più comuni.

a) Gestire un sito per annunci di Escort: è considerato legale solo se il webmaster si limita a predisporre lo spazio web, lasciando le prostitute e i clienti liberi di incontrarsi e di gestire i propri appuntamenti.  Un sito di annunci, in Italia, non è quindi considerato intermediazione utile a procacciare clienti, penalmente rilevante ai fini del favoreggiamento della prostituzione. Questa attività, invece, diventa illecita nel momento in cui il proprietario del sito internet aiuta le escort a trovare i clienti, magari facendo loro delle foto provocanti o svolgendo altri tipi di servizi per agevolarne gli affari. Insomma, per non commettere reato il webmaster o il proprietario del dominio deve rimanere “neutro” nella gestione del sito;

b) dare in affitto un appartamento ad una Escort: la locazione è legittima: se così non fosse si arriverebbe al paradosso per cui la persona che si prostituisce non avrebbe il diritto di ricevere una casa dove vivere, il che sarebbe anche contrario ai principi costituzionali. Si resta al di fuori dell’illecito penale a condizione che il proprietario non si approfitti della situazione, ad esempio riscuotendo una canone di locazione più elevato rispetto ai prezzi di mercato, e che non fornisca alcun tipo di aiuto per l’esercizio dell’attività di meretricio, come ad esempio mettendo degli annunci per conto della prostituta, fornendole protezione, procacciando clienti. Quindi affittare una casa a una Escort, diventa reato nel momento in cui il canone di locazione è palesemente più alto di quello conforme al tasso di mercato praticato nella stessa zona: ciò infatti sarebbe sintomatico del tentativo del padrone di casa di nascondere la propria partecipazione agli utili della Escort, con ciò facendo scattare il reato di sfruttamento della prostituzione;

N. B.  Non sussiste reato nemmeno se il locatore sia a conoscenza del fatto che all’interno della casa si svolge la prostituzione, a condizione che non vi sia più di una prostituta altrimenti scatta l’illecito di cui al punto successivo;

c) locazione di immobile a scopo di esercizio di casa di prostituzione.  Trattasi di fattispecie delittuosa prevista dal n°2 dell’articolo 3, L. 20 febbraio 1958, n°75, ai sensi del quale si prevede la punibilità di “chiunque, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa o di un altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione”. Sotto il profilo dell’elemento psicologico integrativo del reato, è richiesto il dolo generico, in quanto per la punibilità del colpevole è sufficiente la volontà diretta al possesso, alla gestione ed al controllo di una casa di prostituzione. Non è richiesta alcuna finalità particolare, né di lucro, né di servizio all’altrui libidine;

d) casa in comodato alla prostituta.  Offrire la propria casa in comodato alla prostituta è reato, salvo che si provi che non si era a conoscenza dello svolgimento di tale attività all’interno dell’abitato: ad affermarlo è la Suprema Corte di Cassazione nella Sentenza n°13229/2015, per cui non sussiste più alcun dubbio che in questi casi si verrà puniti anche se il comodato non rientrerebbe prima facie, aderendo ad una interpretazione letterale della norma, alle ipotesi incriminate ax articolo 3 n°2 , L. 20 febbraio 1958, n°75. Ratio: il comodato essendo a titolo gratuito, sottintende la preminente finalità di agevolare l’esercizio della prostituzione altrui e risulta, dunque, pienamente idoneo ad integrare la condotta punita dalla disposizione incriminatrice, che si concretizza in qualunque comportamento che abbia un effetto di facilitazione;

e) gestire un hotel, un bar, un bed & breakfast, una pensione, un centro massaggi o un centro estetico, una discoteca o un night club, ben sapendo che al proprio interno vengono svolte attività di prostituzione, costituisce reato, perché sostanzialmente finisce per essere un favoreggiamento e sfruttamento al pari di chi gestisce una casa di appuntamenti.

 

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Sesso retribuito per contratto: è reato? E se la prestazione sessuale è solo una clausola di un contratto di lavoro?

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E’ reato il contratto avente ad oggetto prestazioni sessuali dietro corrispettivo economico? Sotto il profilo civilistico è valido? E se la prestazione sessuale si inserisse come clausola/postilla all’interno di un contratto più ampio che regola i rapporti lavorativi, come quello tra titolare dell’azienda e segretaria cosa accadrebbe?  

Illiceità della causa contraria al buon costume

Sotto il profilo civilistico l’articolo 1372 codice civile stabilisce che “Il contratto ha forza di legge tra le parti”: tuttavia tra i requisiti essenziali del contratto figura all’articolo 1325 n°2) la causa che nell’accezione recepita dalla prevalente giurisprudenza di “causa in concreto” si identifica, al di là di un inquadramento astratto del prototipo tipico del negozio, con la funzione pratica che racchiude gli interessi economici reali della specifica operazione contrattuale. Tale causa, ai fini della validità del contratto deve essere necessariamente lecita, pena ex articolo 1418 codice civile la nullità del contratto. In particolare, il codice civile, all’articolo 1343, stabilisce che la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, ordine pubblico o al buon costume: tale ultimo concetto, secondo la giurisprudenza di legittimità, va inteso come “il complesso dei principi etici costituenti la morale sociale, in quanto ad essi uniforma il proprio comportamento la generalità delle persone corrette, di buona fede e sani principi, in un determinato momento storico e in un dato ambiente”.

De deriva che assume indubbiamente carattere immorale un contratto che preveda prestazioni a carattere sessuale.

Pertanto, per legge, anche qualora il contratto sia privo di vizi del consenso (errore, violenza o dolo), lo stesso, in presenza di una causa illecita (contraria al buon costume) sarebbe comunque privo di validità giuridica per nullità della causa, quindi a fortiori privo di efficacia ex tunc (cioè retroattivamente a decorrere dalla stipula).

Regola

Sotto il profilo civilistico, il contratto eventualmente stipulato tra etera e cliente dietro compenso economico (anche verbalmente e non per iscritto) con cui la Escort si impegna a eseguire una prestazione (magari a domicilio) dietro pagamento di un corrispettivo è nullo cioè non ha alcun valore per il diritto, perché è caratterizzato da oggetto lecito, giacché il denaro e l’attività sessuale sono prestazioni lecite, ma connotato da causa illecita, atteso che, sotto il profilo sinnallagmatico, lo scambio tra denaro e prestazione sessuale è ritenuto contrario al buon costume. Va dunque considerato come mai stipulato “Tamquam non esset”, senza implicare isolatamente, sanzioni né penali o amministrative.

E’ reato?

L’attività di meretricio non costituisce isolatamente un reato in Italia, a condizione che non si inserisca in una cornice penalmente rilevante e sanzionabile come l’induzione, il favoreggiamento, lo sfruttamento della prostituzione o ancora l’ esercizio di casa di prostituzione: dunque, se non sono integrati i relativi presupposti di incriminazione, non si sarebbe in presenza di un “reato-contratto” Quindi il contratto in oggetto non integrerebbe di per sé reato, oltre ad essere privo di valore sotto il profilo civilistico.

La Escort può citare in giudizio il cliente in caso di mancato pagamento?

Per la legge, dunque, un contratto con una prostituta o con chiunque offra prestazioni sessuali in cambio di denaro è come se non fosse mai stato stipulato e, in caso di inadempimento di una delle due parti, l’altra non potrà ricorrere al giudice per ottenere tutela Trattasi del principio della irripetibilità della prestazione ex articolo 2035 codice civile fatta in conseguenza o in previsione di un negozio turpe od immorale, allorquando della turpitudine siano partecipi tanto colui che ha dato quanto colui che ha ricevuto.  Non sarà quindi possibile ricorrere in giudizio per ottenere l’esecuzione forzata del contratto o il risarcimento del danno o ancora il decreto ingiuntivo da parte della Escort verso il cliente moroso nel pagamento in applicazione del brocardo romano “In pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis”.  Al massimo, la prostituta che non è stata pagata potrebbe sostenere, suo favore, la tesi della violenza sessuale.

Prestazione sessuale per contratto: clausola non essenziale “vitiatur sed non vitiat”

E se invece il “sesso in cambio di soldi” si inserisse, all’interno di altro contratto più ampio, connotato da una causa lecita, sotto forma di “particolare” clausola”?

In altri termini, che accadrebbe se l’accordo per ottenere i “favori carnali” fosse solo una “postilla” inserita all’interno di un normale e valido contratto, come ad esempio quello della prestazione lavorativa di una segretaria?

Il quesito trae spunto dalla nota vicenda di un politico che avrebbe stipulato un contratto scritto con la propria segretaria per ottenere da quest’ultima delle prestazioni sessuali periodiche in cambio di denaro.

In tal caso, di norma, la legge all’articolo 1419 codice civile prevede la nullità della sola clausola non essenziale, mentre resterebbe valido il resto del contratto quindi “vitiatur sed non vitiat” operando la nullità parziale in applicazione del principio di conservazione del contratto.  Tuttavia, se risultasse che, in base alle intenzioni delle parti, la clausola rivestiva un ruolo determinante nell’architettura contrattuale, al punto che questo non sarebbe stato stipulato in assenza di quella clausola, la nullità travolgerebbe l’intero contratto.

Soluzione

Stabilire attraverso un contratto l’obbligo di eseguire una prestazione sessuale, al di fuori delle cornici penalmente rilevanti di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, non è tecnicamente un reato. Ma risulta nullo per la legge e non è possibile agire in giudizio per ottenere le prestazioni economiche non eventualmente corrisposte dal “cliente”.

Il contratto conserverebbe la sua validità se contemplasse come oggetto principale una diversa prestazione – ad esempio lavorativa che contribuirebbe a connotare come lecita la causa – e la prestazione sessuale fosse solo una clausola non essenziale nella struttura e nel funzionamento concreto dell’accordo negoziale che comunque, sarebbe colpita da nullità lasciando in piedi la parte lecita del negozio.

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La ballerina di un “night” che fa saltuariamente la Escort, deve pagare anche l’IVA/IRAP? La guida operativa per difendersi dall’Agenzia delle Entrate.

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La ballerina di un "night" che fa saltuariamente la Escort, deve pagare anche l'IVA/IRAP? La guida operativa per difendersi dall'Agenzia delle Entrate.

Se una donna che lavora come ballerina in un locale notturno, e che dichiara le proprie entrate economiche ai fini dell’imposizione fiscale come redditi di lavoro dipendente, svolgesse anche, con carattere di non abitualità, servizi di natura sessuale a pagamento in favore dei clienti dello stesso night, sarebbe tenuta a dichiarare anche tali redditi ai fini IRPEF/IVA/IRAP?

Quesito

Se una donna che lavora come ballerina in un locale notturno e che dichiara le proprie entrate economiche ai fini dell’imposizione fiscale come redditi di lavoro dipendente, svolgesse anche, con carattere di non abitualità, servizi di natura sessuale a pagamento in favore dei clienti dello stesso night, sarebbe tenuta a dichiarare anche tali redditi ai fini IRPEF/IVA?

La vicenda giudiziale

Con sentenza n°20528 dell’ 1/10/2010, la Cassazione, con riferimento ad una fattispecie analoga a quella sopra prospettata, ha statuito la soggettività tributaria passiva di chi si dedica all’esercizio di un’attività preordinata alla prestazione di servizi sessuali in cambio di una controprestazione in denaro o in natura.
La quaestio ha tratto origine dall’impugnazione di atti impositivi (avvisi di accertamento), notificati dall’Amministrazione finanziaria, ad una donna alla quale “veniva ascritta l’esercitata attività di ballerina in locali notturni”.
Per l’Ufficio fiscale, la predetta attività doveva considerarsi svolta “in modo professionale” in virtù “ . Di una sensibile differenza tra i versamenti eseguiti sui conti bancari ed il reddito di lavoro dipendente percepito presso quei luoghi di ritrovo. ”.
L’accertata, invece, assumeva di essere solo lavoratrice subordinata con la mansione di “. Servire ai tavoli i clienti dei vari locali. ”.
L’Ente impositore accertava l’omessa tassazione di materia imponibile, ai fini IRPEF, IVA ed IRAP, relativa ai periodi d’imposta oggetto di accertamento tributario e rilevava, nell’ambito dell’espletamento delle attività previste dall’articolo 32 del D. P. R. N. 600/73, una evidente discordanza tra il reddito di lavoro dipendente dichiarato e il denaro confluito nei citati conti bancari.

N. B.  Occorre tuttavia verificare l’applicazione dei principi de quibus anche al caso in esame ipotizzando che la ballerina abbia realmente svolto prestazioni sessuali occasionali a pagamento senza configurare questa attività come una professione assimilata al lavoro autonomo.

Disciplina applicabile: presupposti impositivi e inquadramento reddituale dell’attività di prostituzione

In fase istruttoria e di emissione dell’atto impositivo, l’Ufficio dovrà adeguatamente giustificare il proprio operato, conformemente alle disposizioni dettate in materia di accertamento; incomberà sull’Ufficio l’onere di “esternare” le ragioni di fatto e giuridiche che conducono a considerare il difetto ovvero la sussistenza dell’abitualità.
L’abitualità, fondamentale “anello” che consente di stabilire il corretto trattamento tributario da applicare ad ogni singola fattispecie concreta, risiede nell’esercizio dell’attività economica in maniera stabile, sistematica e duratura.
Tale requisito funge da criterio discretivo tra i redditi di lavoro autonomo dai redditi diversi “(a tale categoria appartengono i redditi di lavoro autonomo occasionale)”.
Ne consegue che, mentre nulla quaestio circa la debenza del tributo IRPEF, prescindendo dal suddetto requisito, in capo all’esercente l’attività meretriciale  la soggettività tributaria passiva non scatta , sic et simpliciter, automaticamente in relazione alla debenza dei tributi IRAP e IVA.
Ergo, l’applicazione dei citati tributi presuppone una corretta qualificazione giuridica eseguita dall’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, e sottoposta eventualmente al vaglio giurisdizionale, in sede contenziosa del reddito effettivamente prodotto.

La tassazione del reddito meretriciale, quindi non rileva come illegittima, ma appare conforme ai principi costituzionali ex articoli 2, 3, 23, 53 e 97 della Costituzione.

Il reddito de quo è teoricamente riconducibile alle seguenti ipotesi di tassazione:

1) reddito di lavoro autonomo, ex articolo 53 del T. U. I. R. : rilevante ai fini della imposizione diretta (IRPEF) e in ossequio all’articolo 1del D. P. R. N. 633/72, anche ai fini l’IVA calcolata applicando l’aliquota ordinaria, del 22%, sul compenso (base imponibile) dovuto (id est pattuito).

2) reddito diverso ex articolo 67, lett. L), del D. P. R. N. 617/86, quello derivante “dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”, da indicare nel rigo RN1 della dichiarazione dei redditi.

N. B.  L’attività di prostituzione comporta, a carico dell’esercente l’attività di meretricio, sia l’adempimento di un obbligo di “fare”, eseguire una prestazione sessuale di carattere satisfattorio, che l’adempimento di un obbligo di “permettere” che la controparte ponga in essere una determinata condotta, traendo, così, un “vantaggio” , patrimonialmente valutabile, dall’accordo negoziale.

N. B.  reddito diverso articolo 67 TUIR lettera l) derivante da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente concerne il caso in cui l’attività di prostituzione sia svolta solo“occasionalmente”.
L’occasionalità dell’attività non esclude la tassazione, ma determina solo una differente qualificazione giuridica del reddito prodotto.

Attenzione: il contribuente in presenza di redditi diversi dovrà scrupolosamente conservare tutta la documentazione relativa all’attività occasionale svolta, osservando i termini previsti dalla disciplina tributaria. In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, il contribuente dovrà compilare anche il quadro “RL”.

Ai fini previdenziali, non si esclude l’iscrizione nella Gestione separata dell’I. N. P. S.  ove siano superate determinate soglie di reddito.

N. B.  Quanto al tributo regionale I. R. A. P. , analogamente all’IVA, solo la prima ipotesi potrebbe determinare, l’obbligo impositivo, sussistendo il presupposto oggettivo (l’autonoma organizzazione)

Soluzione del quesito

La protagonista del caso prospettato, anche alla luce delle monumentali sentenze della Cassazione 10578 del 2011 e 22413 del 2016, dovrà continuare a dichiarare i redditi prodotti a seguito di attività di lavoro dipendente come ballerina del night come redditi da lavoro dipendente e dichiarare altresì i proventi prodotti con le prestazioni sessuali saltuarie come redditi diversi ex articolo 67 lettera l) nel quadro RL di Unico PF. Quindi, oltre l’IRPEF con applicazione dell’aliquota propria dello scaglione di riferimento, non sarà tenuta a pagare IVA o IRAP sempre a condizione che non si tratti di attività svolta come professionista del sesso e camuffata dietro quella simulata di ballerina, nel qual caso il corretto inquadramento reddituale sarebbe ex articolo 53 del T. U. I. R con conseguente maturazione della posizione di debenza passiva ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e sull’attività produttiva.

Come difendersi dall’Agenzia delle Entrate

Quid iuris se l’Amministrazione finanziaria accertasse erroneamente nei confronti della ballerina di un night club, l’omessa tassazione di redditi di lavoro autonomo, derivanti dall’esercizio di attività di prostituzione “indipendente”, quando invece la donna si limitasse ad intrattenere rapporti occasionali a pagamento con i clienti del locale senza una propria base organizzativa?

In tal caso la contribuente dovrà:

a) dimostrare il requisito dell’occasionalità in sede di inversione dell’onere probatorio a fronte di accertamenti bancari (mancanza dell’abitualità ex articolo 53 TUIR), al fine di circoscrivere l’obbligo impositivo all’IRPEF;

b) a fronte della pretesa da parte del Fisco, di tutti tributi (IRPEF, IVA E IRAP), potrebbe proporre istanza di accertamento con adesione ex D. Lgs. N°218/97 (la cui proposizione comporta la sospensione, per giorni 90, del termine perentorio entro cui ricorrere al Giudice tributario), nell’ambito del quale proporre eventuale istanza di autotela tributaria e opposizione di compensazione;

c) se lo strumento amministrativo si rivelasse inidoneo a definire il reciproco assetto di interessi, la contribuente potrebbe, in presenza di fondate argomentazioni idonee a confutare la qualificazione del reddito accertato, proporre, come estrema ratio, il ricorso tributario con eventuale istanza cautelare di sospensione dell’atto impugnato.

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Sesso abituale a pagamento più IVA. Quando? La Cassazione risponde.

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I proventi incassati da Escort, accompagnatrici o prostitute, a fronte di prestazioni carnali/intellettuali con il requisito dell’abitualità, sono soggetti ad imposte indirette? In particolare sono realmente “operazioni” economiche rilevanti ai fini IVA?  

 

Quesito

I proventi incassati da Escort o prostitute a fronte di prestazioni carnali/intellettuali con il requisito dell’abitualità, sono soggetti ad imposte indirette? In particolare sono realmente “operazioni” economiche rilevanti ai fini IVA?

La risposta della Cassazione Tributaria

La risposta si trova all’interno della nota sentenza della Cassazione Tributaria, n°10578 del 2011 che, conformemente all’indirizzo della Corte di Giustizia (sentenza n°268 del 20. 11. 2001, in causa C-268/99) qualifica l’attività di “cortigiana” come prestazione di servizi retribuita, a meno che non risulti attività puramente marginale o accessoria, pertanto inquadrabile nell’ampia previsione contenuta nel secondo periodo del citato D. P. R. N° 633 del 1972, articolo 3, comma 1.  Quindi, a prescindere dalla circostanza che si tratti di attività non legalmente regolamentata e moralmente discutibile, la stessa non costituisce reato ed è assoggettabile all’imposta sul valore aggiunto che, come noto, ricade in sostanza sul consumatore finale, nella fattispecie sul cliente della Escort, dell’accompagnatrice o della prostituta.

In particolare, affinché possa dirsi integrato il presupposto IVA, è necessario che l’attività sia autonomamente svolta dalla prestatrice con il carattere della abitualità, ergo attività economica esercitata in maniera stabile, sistematica e duratura. Quindi a tal fine è necessario che venga accertato dal giudice nazionale:  l’assenza di un vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, che le condizioni di lavoro e retributive siano sotto la responsabilità della professionista del sesso, e a fronte di una retribuzione che le sia pagata integralmente e direttamente.

Onere probatorio

Dunque, in presenza di accertamenti bancari, condotti ex articolo 51 primo comma, n. 2), del Dpr 633/1972 scatta l’inversione dell’onere della prova per cui è il contribuente a dover dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione o perché egli/ella ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni o perché (cfr. Pure Cass. N. 9573/2007, n. 1739/07, n. 28324/07) non sono fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Conclusione

L’attività di Escort, prostituta o accompagnatrice, svolta autonomamente con carattere di abitualità, fa quindi scattare oltre all’obbligo tributario di pagare l’IRPEF le addizionali IRPEF sia comunali sia regionali, i contributi previdenziali, anche  l’IVA al 22 % sugli “incassi lordi.

Quanto statuito dalla sentenza in oggetto, ha trovato recente riscontro nella sentenza della Cassazione n°22413 del 2016, la quale dopo aver confermato la tassazione ai fini IRPEF dei redditi prodotti da attività di meretricio come redditi diversi, assimilabili all’attività di lavoro autonomo, ha sottolineato che il requisito dell’abitualità rileva ai fini dell’assoggettamento ad IVA dell’attività in oggetto come esercizio di arti o professioni ex articolo 5 D. P. R. N. 633/1972.

Quindi, traendo le somme da quanto esposto, alle accompagnatrici, Escort, stradali o casalinghe , al fine di tutelare il patrimonio immobiliare ed i risparmi sul conto corrente, è fortemente consigliabile:

aprire la partita IVA con il codice della prestazione di servizi retribuiti;
munirsi di POS (dispositivo elettronico ed il relativo servizio bancario che consentono ad un creditore di accettare e incassare, direttamente sul proprio conto corrente, i pagamenti elettronici mediante moneta elettronica, ovvero tramite carte di credito, di debito e prepagate, da parte dei clienti debitori) o di registratore di cassa;
tenere la contabilità;
dichiarare regolarmente i redditi al Fisco.

NB Pena il rischio di essere inquadrate come evasori fiscali e subire avvisi di accertamento ai fini IRPEF che possono colpire immobili e liquidità sui conti correnti.

Nell’ipotesi altamente probabile che fosse superata la soglia di € 30. 000 di imposta non pagata (IRPEF, ma anche: omesso versamento, omessa dichiarazione, etc. ) per singola annualità si configura facilmente il reato tributario di evasione fiscale con possibilità di raddoppio dei termini di accertamento per le annualità pregresse.

Le professioniste del sesso quindi, al pari degli altri professionisti dovranno emettere fattura o almeno scontrino fiscale e pagare le tasse e anche l’IVA in presenza dei requisiti ex lege, come qualsiasi altra professionista, con il risultato che il cliente vedrà ovviamente rialzato il corrispettivo richiesto per la prestazione.

Attenzione: in caso di accertamento, alle Escort professioniste (non attività occasionale), si attribuisce una partita IVA d’ufficio (ndr codice 93. 29. 90 “Altre attività d’intrattenimento e di divertimento non comuni altrove”) e si calcola il 22% a titolo IVA – l’IRAP è discutibile non trattandosi di attività d’impresa – e sono dovute le imposte sui redditi arretrate.

N. B.  Nell’ipotesi in cui le Escort svolgano anche le attività quali massaggiatrice, hostess e simili ,sarà possibile detrarre le spese e scaricare dalle tasse i costi del materiale utilizzato nell’attività lavorativa “legalmente riconosciuta”.

Attenzione quindi: l’attività di Escort accertata dal giudice di merito è assoggettabile ad IVA, pertanto a seguito di avviso di accertamento sintetico induttivo ai fini IRPEF, oggi chi non pianifica correttamente da punto di vista fiscale la propria posizione, subirà attraverso il Redditometro, rettifiche ai fini IRPEF ed IVA per l’anno in oggetto, con il rischio di estensione dei controlli per gli anni non prescritti.

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L’Escort “occasionale” deve pagare le tasse? Se si, come?

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I proventi dell’attività di meretricio, in una prospettiva di parificazione fiscale rispetto a tutti gli altri contribuenti, sono tassabili, come perentoriamente statuito dalla nota sentenza della Corte di Cassazione n°22413 del 2016, la quale ha chiarito definitivamente in quale categoria reddituale gli stessi debbano essere correttamente inquadrati ai fini IRPEF e se l’occasionalità delle prestazioni escluda o meno l’assoggettamento ad imposta.  

 

I proventi dell’attività di meretricio, in una prospettiva di parificazione fiscale rispetto a tutti gli altri contribuenti, sono tassabili a prescindere dall’abitualità o saltuarietà della stessa. A consacrare perentoriamente tale principio è stata la nota sentenza della Corte di Cassazione emessa dalla V sezione civile n°22413 in data 4 novembre 2016, la quale ha chiarito definitivamente in quale categoria reddituale gli stessi debbano essere correttamente inquadrati ai fini IRPEF.

Il caso

La vicenda al vaglio della Suprema Corte, riguardava una donna che, malgrado versasse in banca somme elevatissime di denaro (negli oltre 10 conti correnti attivi) e fosse intestataria di diverse unità immobiliari locate e autovetture, conducendo un tenore di vita piuttosto lussuoso, si era limitata a presentare la dichiarazione per una sola annualità.

L’accertamento fiscale a fronte della incongruità della dichiarazione fiscale

Ciò faceva scattare l’accertamento d’ufficio ai sensi dell’articolo 41 D. P. R. 29 settembre 1973 n° 600 da parte dell’Agenzia delle Entrate. In base ai versamenti emergenti dalle indagini sulle movimentazioni bancarie, il Fisco emetteva avvisi di accertamento per gli anni di imposta dal 1996 al 2003, attraverso i quali recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, di redditi diversi per importi annuali oscillanti tra circa 40. 000 e 100. 000 €, oltre al reddito da fabbricati.

Vicenda giudiziaria

La Commissione tributaria regionale rigettava l’impugnazione principale della contribuente, confermando che il reddito da meretricio non costituisce reddito esente o non imponibile e neppure provento da attività illecita, bensì risulta compreso tra i cosiddetti redditi diversi, tassabili a norma degli articoli 6 e 67, lett. L), D. P. R. 22 dicembre 1986, n°917, ergo “redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”

Per la V sezione tributaria della Suprema Corte, il giudice della Commissione Tributaria Regionale ha correttamente confermato la qualificazione reddituale dei redditi de quibus da parte della l’Amministrazione Finanziaria.

Il requisito della occasionalità esclude la tassazione?

Il passaggio focale che dissipa i dubbi sussistenti in merito all’inquadramento ai fini IRPEF dei redditi da prostituzione è quello nel quale la Cassazione conferma l’irrilevanza, ai fini della tassazione, della circostanza che la donna svolgesse attività di prostituzione in forma occasionale, pur avendo clienti abituali. Gli Ermellini hanno sentenziato che l’esercizio del meretricio, “occasione o abituale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi in ogni caso di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi prevista dall’articolo 6 comma 1 lett. F) D. P. R. N°917/1986”, motivo determinante ai fini dell’accoglimento del ricorso dell’Amministrazione Finanziaria.

Conclusione

L’attività di prostituzione, astraendo dall’esercizio occasionale ovvero abituale, origina un reddito imponibile ai fini dell’IRPEF atteso che tali introiti sono ricompresi nella categoria residuale dei cosiddetti “redditi diversi”.  La circostanza dell’abitualità rileva per un differente scopo, concernente la sottoposizione di detti proventi anche alle imposte indirette, in conformità al disposto di cui all’art. 5 D. P. R. N. 633/1972, per il quale costituisce esercizio di arti o professioni, soggette all’ IVA (imposta sul valore aggiunto), l’esercizio per professione abituale di qualunque attività di lavoro autonomo.

Quindi il quadro attuale ai fini fiscale è ormai chiaro:

I redditi provenienti da prostituzione non rappresentano:

né reddito esente;
né reddito non imponibile;
neppure provento da attività illecita.

Ma

1) rientrano (salvo prova contraria) tra i “redditi diversi”, assimilabili ai redditi di lavoro autonomo, tassabili ai sensi degli articoli 6 e 67 lettera l) “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”, D. P. R. N. 917/1986;

2) andranno dichiarati quindi nel quadro RL del Modello Unico PF.

Note

Quindi, a prescindere da giudizi etico/morali sull’attività che genera i redditi in oggetto (rilevante come contraria al buon costume), Escort e prostitute devono pagare comunque le tasse, motivo per il quale i giudici hanno parafrasato un’antica espressione attribuita a Vespasiano: “Pecunia non olet”, il denaro non puzza. Pare che l’imperatore romano si sia rivolto in questo modo al figlio che lo accusava di aver messo una tassa sull’urina raccolta nelle latrine gestite dai privati (i “vespasiani” appunto). Una tassazione che generava indubbiamente cospicue entrate per l’Erario.

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Modalità operative Iva per cassa 2017 : i consigli pratici per i commercialisti

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Come noto, a decorrere dal  1° gennaio 2017 le imprese in contabilità semplificata devono adottare i“regime per cassa” in sostituzione di quello della competenza economica vigente fino al periodo d’imposta 2016. Illustriamo una guida operativa utile per i commercialisti e i professionisti che assistono i clienti con questo regime con alcuni suggerimenti pratici.

Come noto, a decorrere dal  1° gennaio 2017 le imprese in contabilità semplificata devono adottare il “regime per cassa” in sostituzione di quello della competenza economica vigente fino al periodo d’imposta 2016.

Il quadro riepilogativo è il seguente:

Regime semplificato delle imprese minori (principio di cassa)

ricavi < 400. 000 euro ( per servizi) < 700. 000 euro ( altre attività)

Regime contabile ordinario ( principio di competenza)

ricavi > 400. 000 euro (per servizi) > 700. 000 euro ( altre attività)

NB Con riferimento al regime applicabile dal 2017, occorre verificare il limite dei ricavi conseguiti nel 2016. Nel caso di inizio attività in corso d’anno, i limiti dei ricavi devono essere ragguagliati all’anno.

I “ricavi” rilevanti sono quelli individuati dagli artt. 57 e 85 del TUIR :

i corrispettivi delle cessioni di beni/servizi alla cui produzione/scambio è diretta l’attività dell’impresa;

i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione;

le assegnazioni dei predetti beni ai soci;

la destinazione dei predetti beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore;

la destinazione dei predetti beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa;

i contributi in c/esercizio a norma di legge.

Nota : contribuenti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi e altre attività, devono fare riferimento all’ammontare dei ricavi dell’attività prevalente. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi, si considerano prevalenti le attività diverse da quelle di servizi.

Si ricorda che per i professionisti il regime della contabilità semplificata è quello naturale, a prescindere dai compensi, tuttavia è consentita l’opzione per il regime ordinario. (al contrario i soggetti Ires sono sempre obbligati alla tenuta della contabilità ordinaria soggetta al principio di competenza)

Attenzione Per evitare salti/duplicazioni di tassazione in caso di passaggio dal principio di cassa al regime ordinario (contabilità ordinaria), e viceversa, “i ricavi, i compensi e le spese che hanno già concorso alla formazione del reddito non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi”.

Il regime di cassa virtuale (opzione comma 5) il contribuente, previa opzione vincolante per almeno un triennio, ha la possibilità di tenere i registri Iva ed essere esonerato dai registri cronologici di incassi e pagamenti, fermo restando l’obbligo della separata annotazione delle operazioni non soggette ad Iva. L’opzione fa presumere che la data di registrazione dei documenti coincida con quella in cui è intervenuto il relativo incasso/pagamento.

Carattere ibrido

Occorre evidenziare che il regime introdotto dalla L. N. 232/2016 è un regime di cassa “ibrido” perchè per alcuni componenti di reddito si applica il principio di cassa (per ricavi, dividendi, interessi attivi, spese sostenute nell’esercizio dell’attività) e per altri si applica il principio di competenza (es. Ammortamenti, plusvalenze, minusvalenze, ricavi da autoconsumo, sopravvenienze, accantonamenti, T. F. R. Ecc. ).

Cosa fare

Gli oneri principali di carattere amministrativo/contabile sono:

obbligo di monitorare incassi e pagamenti, almeno limitatamente ai componenti positivi/negativi di reddito per i quali si rende applicabile il principio di cassa;

opportunità di istituire un apposito conto corrente bancario ;

conservazione della documentazione relativa agli incassi e pagamenti;

Registri

La Legge di Bilancio 2017 ha riscritto integralmente l’art. 18 del DPR 600/73, per allineare gli obblighi contabili alle nuove disposizioni sul principio di cassa introdotte nell’art. 66 del TUIR:

Dunque, i soggetti esonerati dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili ex art 18 avranno :

il registro cronologico degli incassi

il registro cronologico dei pagamenti

Attenzione: i componenti positivi/negativi diversi da quelli sopra indicati, sono annotati nei registri obbligatori entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi;

NB Le registrazioni contabili devono essere eseguite rispettando il criterio cronologico: data incassi e pagamenti, ricevuti od effettuati. Contemporaneamente occorre indicare, per ciascuna operazione, i seguenti dati:

l’importo dell’incasso;

le generalità del soggetto che abbia effettuato il pagamento o a cui sia stato fatto il pagamento;

gli estremi del documento pagato/incassato.

NB Il principio di registrazione cronologica deve considerare la data disponibile, ovvero “la data che indica il giorno dal quale la somma di denaro accreditata può essere effettivamente utilizzata”.

Come determinare correttamente il reddito per cassa in regime semplificato alla luce del nuovo articolo 18 del d. P. R. 600/1973?

Sono teoricamente utilizzabili 3 metodi la cui applicazione deve essere valutata in relazione al singolo caso concreto e “prenderne le misure “ per individuare il “vestito che calzi a pennello”

Registro degli incassi e pagamenti (RIP);

Registri Iva integrati (RII);

Registri Iva con “cassa virtuale” (opzione comma 5)

1) metodo RIP

Si tratta del metodo in linea di principio più complesso implicante la tenuta di due registri ulteriori oltre al registro Iva, poiché aumenta i controlli dei movimenti finanziari, avvicinandosi al regime di contabilità ordinaria, ma potrebbe comunque rivelarsi particolarmente vantaggioso nel singolo caso.

2) metodo RII

Trattasi dello stesso metodo previsto dal DL 695/96 per i professionisti i registri degli incassi e dei pagamenti vengono sostituiti dai registri Iva. Come già avviene, infatti, la contabilità Iva è idonea anche ai fini delle imposte dirette qualora siano annotate separatamente le operazioni non soggette a registrazione ai fini dell’Iva (ad esempio, aggi, interessi passivi, eccetera). In particolare, occorre annotare i costi fuori campo IVA oltre ovviamente alle fatture emesse e ricevute. Alla fine dell’esercizio occorre poi annotare quelle fatture (già registrate ai fini iva) per le quali non è avvenuto il pagamento o la riscossione. Il calcolo del reddito da indicare nel quadro RG della dichiarazione dei redditi avverrà per differenza fra questi ultimi due valori.

3) metodo opzione comma 5

Si tratta della metodo della registrazione, particolarmente vantaggioso per i commercianti al minuto o al dettaglio e agli esercenti pubblici servizi. Consente in sintesi di limitare gli adempimenti contabili alla mera tenuta dei registri IVA, evitando i registri cronologici di incassi e di pagamenti.

Funziona come una sorta di regime di cassa “virtuale”, perché la registrazione contabile del documento equivale in base ad una presunzione assoluta, all’incasso o pagamento

E’ l’unico per il quale deve essere espressa una specifica opzione (nella dichiarazione Iva relativa all’anno 2017) e prevede un vincolo triennale. Ne consegue, quindi, che il volume d’affari rappresenta anche l’ammontare dei ricavi percepiti, mentre le fatture di acquisto registrate rappresentano le spese sostenute

Alcuni consigli operativi

Si suggerisce a chi segue clienti in contabilità semplificata (ditte individuali o società di persone che siano) di applicare lo stesso iter operativo oggi normalmente adottato proprio per i stessi professionisti, (che determinano normalmente il reddito con il regime di cassa) e in particolare, salvo casi particolari e quanto sopra esposto:

adottare il sistema dei registri iva integrati;

al termine del periodo d’imposta di riferimento, stampare l’elenco dei documenti annotati e consegnarlo al cliente per una verifica;

compilazione – da parte del cliente – di un elenco/report barrato con i ricavi ed i costi non incassati/pagati;

acquisire tale documento sottoscritto dal cliente ed effettuare le rettifiche ai fini delle imposte sui redditi.

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Commercianti all’ingrosso e al dettaglio : quando conviene il regime di Iva per cassa 2017 e quando scegliere il metodo “opzione comma 5”? Gli esempi pratici per capirlo.

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Il reddito delle contabilità semplificate per cassa 2017 ex art 18 D. P. R. 600/1973 viene determinato facendo riferimento ai ricavi effettivamente incassati, a prescindere dalla competenza economica ( principio che invece caratterizza il regime contabile ordinario). Ma quando il nuovo regime “ibrido” si rivela utile e conveniente per i commercianti? Distinguiamo tra commercianti all’ingrosso e artigiani da un lato o comunque chi ha clienti “ritardatari” nei pagamenti e commercianti al dettaglio/minuto, in particolare settore abbigliamento, alimentare, bar, ristoranti, parrucchieri e in genere i contribuenti che incassano corrispettivi giornalieri,dall’altro. La soluzione con i casi pratici e l’“opzione semplificata comma 5”.

Il reddito delle contabilità semplificate per cassa 2017 introdotto dall’art 18 D. P. R. 600/1973, viene determinato ai fini della tassazione fiscale, facendo riferimento ai ricavi effettivamente incassati, a prescindere dalla competenza economica, principio quest’ultimo che invece caratterizza il regime contabile ordinario. Ma quando il nuovo regime “ibrido” si rivela utile e conveniente per i commercianti?

Se fosse applicato il criterio della competenza che assoggetta ad imposizione fiscale i redditi a prescindere dai pagamenti incassati, si produrrebbero gravi sfasamenti nel ciclo finanziario di questi contribuenti, soprattutto nel momento in cui i clienti si rivelano ritardatari.

Ed è qui che l’innovativa iva per cassa si rivela vantaggiosa perché in via “rivoluzionaria” i commercianti all’ingrosso e artigiani potranno in sostanza posticipare l’imposizione fiscale rispetto alle fatture emesse con dilazioni temporali molto lunghe.

Il discorso si ribalta invece per i commercianti al minuto, gli esercenti pubblici servizi e per coloro che hanno i corrispettivi giornalieri e cioè per coloro che normalmente incassano subito il corrispettivo (bar, parrucchieri, ecc. ) ma pagano con piccole dilazioni i propri fornitori.

In tali casi è evidente che il regime per cassa in regime semplificato ex art 18 con rilevazione degli incassi e pagamenti non si rivelerebbe particolarmente conveniente in quanto implicante :

maggiori adempimenti e costi amministrativi;

problematiche emergenti a seguito di pagamenti e incassi.

Esempio un ristorante nel mese di dicembre 2017 acquista merce per un importo pari a 30. 000 euro per coprire gli “eventi” relativi alle feste di fine anno. Dato che il pagamento delle fatture d’acquisto avverrà molto probabilmente agli inizi del 2018, ma gli incassi avverranno nel 2017, la tassazione fiscale colpirebbe immediatamente i relativi importi.

Quesito Quale sarebbe in tal caso il regime maggiormente conveniente per questi contribuenti, continuando ad usufruire del criterio iva per cassa (cioè tassazione su ciò che è stato effettivamente pagato o incassato) ma riducendo ulteriormente gli oneri contabili?

La soluzione : Il metodo della registrazione o metodo “opzione comma 5” , la “panacea” per i commercialisti e una soluzione vantaggiosa per bar, ristoranti, commercianti al minuto di alimentari o abbigliamento

Le imprese minori che devono determinare il reddito in base al nuovo regime di cassa di cui all’art. 66 TUIR, (ad es. Soggetti di cui all’art. 22 D. P. R. N. 633/72) aderendo al “regime delle registrazioni” ex art. 18, comma 5, del D. P. R. 600/1973 vincolante almeno per un triennio , potranno limitare gli adempimenti contabili alla mera tenuta dei registri IVA, senza effettuare alcuna annotazione cronologica delle date di incasso e di pagamento.

Trattasi dell’opzione “comma 5” al quale si ricollega la presunzione che la data di registrazione dei documenti coincida con la manifestazione finanziaria delle operazioni. (“ juris et de jure” cioè presunzione assoluta che non ammette prova contraria)

In altre parole , registrazione contabile del documento equivale all’incasso o pagamento dello stesso delineando un regime di cassa “virtuale”

Ratio: semplificare l’attuazione pratica del regime di contabilità semplificata per cassa riducendo gli adempimenti contabili necessari per la sua applicazione e fornire una sorta di “panacea” per i professionisti che devono assistere gli imprenditori titolari di partita IVA nel regime contabile semplificato per cassa.

I contribuenti ai quali giova di più il regime per cassa “virtuale”

I vantaggi maggiori di questo regime riguarda in particolare i contribuenti ex art 22 del D. P. R. N. 633/72 (commercianti al minuto ed attività assimilate) e quindi:

commercianti al minuto;

commercianti ambulanti;

commercianti che effettuano cessioni tramite distributori automatici;

pubblici esercizi (bar);

ristoranti, alberghi ed attività paralberghiere.

NB tale regime potrebbe invece non risultare “particolarmente” vantaggioso per commercianti all’ingrosso ed artigiani ma è comunque necessario valutare caso per caso ,modalità e tempistiche di incasso dei corrispettivi e/o fatture.

 Attenzione salvo diversa interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, tale opzione sembra ridurre i problemi connessi al principio di competenza (es. Competenza delle provvigioni per agenti/rappresentanti di commercio, individuazione del momento di ultimazione dell’operazione nelle prestazioni di servizi, momento di consegna del bene, ratei e risconti).

Esempio pratico sull’opzione comma 5 :

Quesito

Come si produrranno con l’opzione comma 5 le stampe dei registri Iva vendite e acquisti in caso di emissione di una fattura per cessione di beni nel 2017 con incasso nel 2018?

Soluzione L’Iva è dovuta tenendo conto che il regime per cassa segue il momento della registrazione (e non viceversa). La fattura (emessa o ricevuta) registrata nel 2017 si considererà (per presunzione, indipendentemente dalla data dell’effettiva riscossione/pagamento) incassata o pagata nel 2017 per la determinazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette.

Conclusione

Per i contribuenti sopra indicati l’opzione comma 5 sarà più conveniente:

del regime di semplificata “per cassa” (con rilevazione degli incassi e pagamenti);

del regime di contabilità ordinaria (con vincolo annuale), previa opzione che verrà esercitata nella dichiarazione IVA 2018 (relativa all’anno 2017).

Riferimenti normativi:

Legge 11 dicembre 2016, n. 232 ;

D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 66;

D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 18, comma 5.

NB L’ANC (Associazione Nazionale Commercialisti) sollecita un intervento di modifica del nuovo regime Iva per cassa in contabilità semplificata al fine di renderlo opzionale ( e non più una scelta obbligata ).

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Dal 2017 anche le aziende pagano le imposte solo “a fattura incassata” : il regime “ibrido” di IVA per cassa

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La legge di Stabilità 2017 ha configurato come “regime naturale” dei contribuenti in contabilità semplificata, il regime di cassa che tasserà anche i redditi d’impresa sulla base della manifestazione finanziaria (pagamenti versati o incassati) in deroga al criterio della competenza economica, obbligatorio in contabilità ordinaria. Con questa breve guida analizziamo il nuovo regime sia nell’ “area professionisti” sia nell’ “area imprese”, individuandone i vantaggi,come si determina il reddito,quali sono le scritture contabili e l’incidenza ai fini IRAP.

La legge di Stabilità 2017 ha configurato come “regime naturale” dei contribuenti in contabilità semplificata, il regime di cassa che tasserà anche i redditi d’impresa sulla base della manifestazione finanziaria (pagamenti versati o incassati) in deroga al criterio della competenza economica che resta obbligatorio per i soggetti Ires in regime di contabilità ordinaria ( società di capitali e imprese con volume di affari sopra soglie predeterminate ex lege).

A) Regime iva per cassa “ area professionisti”

La riforma trasla quindi alle aziende il criterio fisiologicamente operante per i professionisti in regime della contabilità semplificata ex all’art. 3 del DPR 695/1996 (che si applica a prescindere dal volume di affari conseguito nell’anno precedente, salva l’opzione per il regime ordinario).

In base a tale sistema sono due le modalità alternative di registrazione delle operazioni contabili, disponendo:

a) la tenuta dei registri separati tenuti ai fini Iva e ai fini imposte dirette:

registro cronologico degli incassi e pagamenti di cui all’art. 19, co. 1 e 2, DPR 600/1973

registri Iva acquisti e fatture emesse;

scritture contabili obbligatorie ai fini della legislazione sul lavoro.

b) registri unificati ai fini Iva (acquisti e fatture emesse) e imposte dirette.

Nell’area” professionisti”, tale regime si applica a :

persone fisiche che esercitano arti o professioni cioè che svolgono in modo abituale, ancorché non esclusivo, attività di lavoro autonomo diverse da quelle che originano reddito di impresa;

società o associazioni tra professionisti, individuate dall’art. 13, co. 2 lett. E) ed f) del DPR 600/1973, ossia di associazioni che non acquisiscono la personalità giuridica e costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti o professioni.

B) Regime Iva per cassa: “area Imprese”

Con la riforma in esame, i contribuenti ai quali si applica il principio di cassa oltre ai soggetti ut sopra indicati , sono quelli ammessi al regime di contabilità semplificata ex articolo 18 del Dpr 600/1973, cioè:

le imprese individuali;

le società di persone ( snc e sas) non obbligate alla tenuta della contabilità ordinaria, che determinano il reddito in base all’articolo 66 del Tuir. (imprese minori che non hanno optato per la contabilità ordinaria) ;

gli enti ad esse equiparati.

Limite al volume di affari Tali contribuenti, nel periodo di imposta precedente, devono aver realizzato un ammontare di ricavi non superiore a:

400. 000 euro, per le imprese aventi per oggetto prestazione di servizi;

700. 000 euro, per le altre attività, a condizione che non sia esercitata l’opzione per la contabilità ordinaria.

Attenzione I contribuenti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi e altre attività, devono fare riferimento all’ammontare dei ricavi dell’attività prevalente che, in mancanza della distinta annotazione coincide con le attività diverse dalle prestazioni di servizi (quindi ai fini della individuazione del regime contabile, rileva il limite di 700mila euro)

NB quindi, l’adozione della contabilità semplificata per cassa è il regime naturale per i contribuenti che sono in possesso dei requisiti dimensionali di cui all’art. 18 D. P. R. N. 600/73 e che non sono in possesso dei requisiti per accedere al regime forfetario di cui alla L. N. 190/2014 .

Regime di cassa per le aziende come regime “ibrido”

Il regime introdotto dalla L. N. 232/2016 delinea un regime di cassa “ibrido” dato che per alcuni componenti di reddito assumono rilevanza gli incassi effettivi ( ricavi, dividendi, interessi attivi, spese sostenute nell’esercizio dell’attività) ma restano ferme le regole di determinazione e imputazione temporale per competenza dei componenti positivi e negativi quali plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, ammortamenti e accantonamenti. Ricavi da autoconsumo, T. F. R. Ecc.

Determinazione del reddito d’impresa con il nuovo regime semplificato

Il nuovo comma 2 dell’art. 66 del TUIR prevede che il reddito d’impresa dei soggetti semplificati è pari alla differenza tra i ricavi/altri proventi percepiti, e quello delle spese sostenute. In questo modo si deroga al criterio di competenza sia per i ricavi che per le spese. Rispetto al passato, a tale importo va aggiunto il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore (art. 57 TUIR) oltre ai proventi immobiliari di cui all’articolo 90, delle plusvalenze realizzate ex articolo 86, delle sopravvenienze attive ex articolo 88, mentre è diminuita delle minusvalenze e sopravvenienze passive di cui all’articolo 101.

NB In sostanza, il criterio di cassa non si applica a tutti i componenti di reddito, ma solo alle principali operazioni attive e passive (vendite, prestazioni e acquisti) mentre le altre rilevano ancora secondo il criterio delle competenza configurando in pratica un regime misto.

Vantaggi

Il nuovo regime in sintesi estende il criterio di equità fiscale anche alle imprese minori per le quali il reddito imponibile sarà quello di fatto conseguito. Ciò consente all’imprenditore di :

assoggettare ad imposizione fiscale i redditi solo dopo il relativo incasso;

dedurre un costo nel momento in cui avviene il relativo pagamento;

posticipare l’imposizione fiscale per le contabilità semplificate che incassano le fatture emesse con dilazioni temporali molto lunghe.

Attenzione : gli imprenditori che desiderano continuare ad applicare il principio di competenza dovranno optare per il regime di contabilità ordinaria

NB Per evitare salti/duplicazioni di tassazione in caso di passaggio dal principio di cassa al regime ordinario (contabilità ordinaria), e viceversa, “i ricavi, i compensi e le spese che hanno già concorso alla formazione del reddito non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi”. Ad esempio, un ricavo dichiarato per competenza nel 2016, ma incassato nel 2017, non genererà materia imponibile per il 2017.

Le scritture contabili obbligatorie in contabilità semplificata sono

Registro IVA acquisti;

Registro cronologico degli incassi e dei pagamenti;

 oppure

Registro IVA acquisti e registro IVA vendite integrati con pagamenti ed incassi;

oltre a

Registro beni ammortizzabili nel caso in cui le relative annotazioni non siano fatte sul registro IVA acquisti .

Sarà possibile in alternativa optare per il criterio delle registrazioni, con vincolo triennale. In questo modo per presunzione la data di registrazione dei documenti coinciderà con quella del relativo incasso/pagamento.

Incidenza ai fini IRAP

Il criterio di cassa trova applicazione anche ai fini della determinazione della base imponibile Irap per i soggetti che rientrano nel regime di contabilità semplificata. (comma 1-bis nell’articolo 5-bis del Dlgs 446/1997).

NB anche in tal caso i componenti di reddito che per il periodo d’imposta 2016 hanno già concorso alla formazione del reddito secondo il criterio della competenza, saranno “neutralizzati” fiscalmente nel 2017, sebbene in tale anno avverrà il pagamento o l’incasso.

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Le collaborazioni personali e continuative dopo il Jobs Act

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Dal 25 Giugno 2015, è entrato in vigore uno dei decreti attuativi del Jobs Act, precisamente il decreto legislativo n. 81/2015, che tra le varie cose ha abrogato le disposizioni relative ai contratti a progetto e quelle sulle collaborazioni.
Nello specifico, gli articoli 2, 52 e 54 del suddetto decreto legislativo, effettuano una vera e propria revisione della disciplina dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa; pertanto vengono abrogate (per i nuovi contratti) le disposizioni contenute all’interno degli articoli dal 61 al 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003.

LE COLLABORAZIONI PERSONALI E CONTINUATIVE DOPO IL JOBS ACT

Dal 25 Giugno 2015, è entrato in vigore uno dei decreti attuativi del Jobs Act, precisamente il decreto legislativo n. 81/2015, che tra le varie cose ha abrogato le disposizioni relative ai contratti a progetto e quelle sulle collaborazioni.

Nello specifico, gli articoli 2, 52 e 54 del suddetto decreto legislativo, effettuano una vera e propria revisione della disciplina dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa; pertanto vengono abrogate (per i nuovi contratti) le disposizioni contenute all’interno degli articoli dal 61 al 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003.

Un cambiamento sostanziale è dato anche dal fatto che si assiste alla abrogazione del lavoro a progetto.

In realtà, dalla riforma in oggetto deriva un forte ridimensionamento di quelle che sono le varie possibilità di ricorrere all’utilizzo delle collaborazioni (co. Co. Co. , co. Co. Pro. , mini co. Co. Co. ) che hanno sempre riscosso un forte successo all’interno delle aziende, consentendo a queste ultime di svolgere diverse tipologie di attività lavorative che altrimenti non avrebbero saputo classificare in maniera diversa.

Le novità introdotte dalla riforma legislativa trovano applicazione per i nuovi contratti stipulati a far data dal 25 Giugno 2015; al contrario, rimangono in vigore le disposizioni vigenti in precedenza per i contratti che sono ancora in essere, fino alla loro naturale scadenza.

Con riferimento a quello che è l’aspetto previdenziale INPS, all’iscrizione alla gestione separata ed in merito all’assicurazione INAIL, le regole restano invariate e dunque identiche a quelle applicabili alle collaborazioni coordinate e continuative.

 

Cosa cambia con il Jobs Act

 

Dunque, prima di esaminare nel dettaglio quali modifiche sono state apportate dal decreto legislativo n. 81/2015, occorre ricordare che i co. Co. Co. Sono contratti di lavoro che si collocano più o meno a metà strada tra il lavoro autonomo ed il lavoro subordinato ed in particolare il lavoratore si trova a lavorare all’interno dell’azienda senza che vi sia alcun vincolo di subordinazione, ma operando comunque in rapporto di tipo coordinato e continuativo con il committente.

Confermando una sorta di continuità con il principio che è contenuto nell’articolo 1 del decreto legislativo n. 81 del 2015, secondo il quale il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, l’articolo 2 del medesimo decreto sancisce che, a partire dal 01 Gennaio 2016, è prevista l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche a quei rapporti di collaborazione che sembreranno essere carenti di autonomia operativa in quanto “ si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Pertanto, ben si evince come si applichi adesso la disciplina del lavoro dipendente a tutti quei rapporti di collaborazione che consistono in concreto in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e caratterizzate da modalità di esecuzione che siano organizzate dal committente anche con riferimento a quelli che sono i tempi ed i luoghi di lavoro.

Giova specificare che, malgrado nel testo legislativo non si parli esplicitamente di una conversione in rapporto di lavoro subordinato, ma si parli in maniera alquanto generale dell’applicazione della disciplina di lavoro subordinato al rapporto di lavoro, si può certamente asserire che il significato è ad ogni modo identico.

Dunque se ne deduce chiaramente che, nell’ipotesi in cui il rapporto di collaborazione non risulti essere “genuino”, ma esso sia anzi contraddistinto da elementi tipici del lavoro subordinato, lo stesso rapporto di collaborazione si troverà ad essere disciplinato (e dunque subirà una trasformazione) come un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, sia per quanto concerne l’aspetto contrattuale, che quello previdenziale e fiscale.

I nuovi indicatori dai quali si desumerà quindi l’eventuale applicazione della disciplina del lavoro subordinato sono:

La prestazione dovrà essere svolta in maniera esclusivamente personale, cioè dovrà essere resa dal collaboratore senza che vi sia a monte alcun tipo di organizzazione e senza avvalersi dell’aiuto da parte di altri;

La prestazione dovrà essere eseguita in modo continuativo, cioè la stessa deve perdurare nel tempo e deve comportare un impegno costante e notevolmente lungo da parte del prestatore di lavoro a favore del committente;

Vi deve essere una modalità di svolgimento etero organizzata dal committente, anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro.

Occorre fare una breve riflessione a riguardo, lì dove si evidenzia che l’articolo 2, al comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015, non introduce una grande innovazione.

Infatti, il fatto di dover ricondurre le collaborazioni, contraddistinte dalle predette caratteristiche, a rapporti di lavoro subordinato, è stato fortemente supportato, da un orientamento piuttosto consolidato della giurisprudenza.

Proprio la giurisprudenza inoltre, è ripetutamente intervenuta con numerose pronunce, per dissipare ogni eventuale perplessità nella sussistenza o meno dei requisiti della continuità, della personalità e della coordinazione delle collaborazioni stesse.

In particolare, la suprema Corte di Cassazione, ha affermato che la prestazione non deve essere occasionale, ma deve avere una durata collocabile in un arco temporale abbastanza lungo, tale da comportare una reiterazione della prestazione con un impegno costante a favore del committente (Cass. N. 5698/2002, Cass. N. 3485/2001). La Corte precisa dunque, anche in altre pronunce,  che la collaborazione non deve limitarsi esclusivamente alla realizzazione di una sola opera specifica, ma a più prestazioni che si verificano in un periodo di tempo alquanto lungo, oppure può consistere nel realizzare prestazioni che seppur di breve durata, siano destinate a soddisfare un interesse del committente che duri nel tempo.

In merito al requisito della personalità, lo stesso deve prevalere sugli altri fattori che sono impiegati ai fini della realizzazione dell’obbligazione contrattuale e la sua sussistenza, come si evince anche da orientamento della Cassazione, si desume  dalla molteplicità di incarichi  svolti soprattutto con l’impiego prevalente di attività personale non subordinata.

Con riferimento invece al requisito della coordinazione, la medesima Corte di Cassazione, con diverse pronunce, tra le quali la n. 3485/2001, asserisce che l’attività deve essere collegata, da un punto di vista strutturale e funzionale, a quella che è l’organizzazione produttiva del committente, specificando in particolare che le direttive imprenditoriali in merito alle prestazioni che devono essere svolte, vanno eseguite con il potere del committente che deve limitarsi a chiedere la prestazione dovuta, nonostante le prestazioni stesse debbano essere svolte in maniera sì coordinata, ma comunque del tutto autonoma.

La nuova disciplina normativa prevede la possibilità, in particolare per il datore di lavoro, di chiedere ad apposite Commissioni, la certificazione dell’assenza dei predetti requisiti; in tale situazione il lavoratore può farsi tranquillamente assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o cui conferisce mandato, oppure ancora da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Quanto detto ha la funzione di tutelarsi da ogni qualsivoglia tipologia di eccezione che potrebbe essere sollevata.

Collaborazioni escluse dalla riconduzione al rapporto di lavoro subordinato

Al secondo comma  dell’articolo 2 del decreto legislativo in oggetto, vengono individuate quelle che sono le fattispecie obbligatoriamente escluse dalla riconduzione al rapporto di lavoro subordinato.

Precisamente, sono esclusi:

Quei rapporti di collaborazione che rientrano nel campo di applicazione di determinati contratti collettivi nazionali, che vengono stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che definiscono il trattamento economico e normativo applicabile ai collaboratori e che tengono in considerazione le particolari esigenze di produzione e di organizzazione del settore cui si rivolge l’attività;

Le collaborazioni che vengono prestate durante l’esercizio di professioni di tipo intellettuale che necessitano dell’iscrizione in appositi albi professionali;

Le prestazioni di lavoro che sono rese a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle associazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate o agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C. O. N. I. ;

Le collaborazioni coordinate e continuative con le pubbliche amministrazioni. E’ necessario precisare in merito però, che tale esenzione vale soltanto per il momento, infatti solo fino a che non vi sarà un completo riordino della disciplina inerente l’utilizzo  dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni, non saranno applicati gli indicatori della subordinazione. Ad ogni modo, le stesse pubbliche amministrazioni, dal 01 Gennaio 2017, non potranno più ricorrere a contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Si pensa comunque, anche se ciò non è espressamente previsto dalla norma, che non si possa prescindere dal ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative in determinati settori come ad esempio quello degli enti di formazione, dove spesso vengono coinvolti collaboratori con diverse funzioni, o come quello dei call center in outbound, all’interno del quale molti operatori sono inquadrati come collaboratori a progetto.

 

Stop ai contratti a progetto

 

La normativa disciplinante il contratto di lavoro a progetto, antecedente a quella prevista dal decreto legislativo n. 81/2015, continuerà a trovare applicazione per tutti quei contratti a progetto stipulati anteriormente alla data del 25 Giugno 2015, i quali però, naturalmente, una volta che si è venuto a realizzare il progetto per il quale gli stessi erano stati posti in essere, non possono essere né prorogati e né rinnovati.

Occorre ricordare che il lavoro a progetto fu introdotto dalla Legge Biagi con decreto legislativo n. 276/2003, il quale aveva l’intento di modificare le collaborazioni coordinate e continuative al fine di eliminare ogni sorta di fenomeno che potesse dar luogo ad elusioni legislative nell’ambito del lavoro subordinato.

Gli elementi peculiari del contratto di lavoro a progetto sono sempre stati: la specificità del progetto; la sussistenza di un coordinamento tra il collaboratore ed il committente; il contenuto della prestazione che non poteva prevedere lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; l’autonomia di scelta su quelle che sono le modalità di esecuzione e di svolgimento, purchè vi fosse sempre comunque il collegamento funzionale con la struttura organizzativa del committente; il fatto che il compenso fosse legato sia al tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione, che al risultato del progetto.

Dunque in qualche modo si può dire che con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81/2015, si assiste da un lato all’abrogazione del contratto di lavoro a progetto, e dall’altro ad un ritorno alla situazione preesistente all’emanazione del decreto legislativo n. 276/2003.

Pertanto, allo stato attuale, potranno essere instaurati rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza che si provveda alla individuazione di uno specifico progetto che sia collegato ad un preciso risultato finale, purchè si abbia sempre il rispetto dei requisiti caratterizzanti le collaborazioni e cioè appunto la continuità, la coordinazione, il carattere in prevalenza personale della prestazione di lavoro; l’assenza di un vincolo di subordinazione del collaboratore nei confronti del committente.

 

Stabilizzazione dei collaboratori

 

Dal 01 Gennaio 2016, tutti i datori di lavoro che decidono di assumere il personale prima contrattualizzato con un rapporto di collaborazione, che sia anche a progetto o a partita IVA, se con lavoro autonomo, possono godere di un beneficio di non poca importanza e precisamente possono beneficiare di una sanatoria che permetterà loro di estinguere eventuali illeciti di tipo amministrativo, contributivo e fiscale legati all’erronea qualificazione dei rapporti di lavoro.

Per fruire della stabilizzazione del rapporto, sono necessarie due condizioni:

Che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione siglati in sede sindacale ovvero presso la DTL o ancora dinanzi alle Commissioni di Certificazione (di cui all’articolo 76 del decreto legislativo n. 276/2003);

Che nei 12 mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, almenochè non si tratti di giusta causa ovvero di giustificato motivo soggettivo.

L’adesione alla procedura di stabilizzazione comporta, come innanzi premesso, il beneficio dell’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi appunto alla erronea qualificazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, se la stabilizzazione viene avviata successivamente all’accesso ispettivo, non sarà possibile godere del beneficio della estinzione dei predetti illeciti accertati nel caso all’ esito dell’ispezione.

Al contrario dunque, qualora l’accesso ispettivo si verifichi nel momento in cui la procedura di stabilizzazione sia già in corso, il rispetto delle condizioni di cui all’articolo 54 del decreto legislativo n. 81/2015 potrà comportare l’estinzione degli eventuali illeciti accertati all’esito dell’ispezione.

Alla luce di quanto detto sin qui, si evince come l’applicazione della normativa possa sembrare a tratti alquanto insidiosa.

Infatti, è ben evidente che il vero intento del legislatore sia quello di racchiudere sotto l’ ala del lavoro subordinato tutti quei tipi di collaborazione che presentano i requisiti simili a quelli della subordinazione.

D’altronde, il principio che ispira il Jobs Act è proprio quello che mira ad incentivare e dunque a promuovere il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Tale percorso però, si rivela tortuoso e con non pochi ostacoli dato che, come si può facilmente dedurre, non è sempre così semplice, per tutte quelle che sono le parti coinvolte, riuscire a dimostrare o al contrario, ad escludere, la presenza delle predette caratteristiche in relazione ad un rapporto di collaborazione.

Ad esempio lo stesso requisito del carattere personale che deve avere la collaborazione coordinata e continuativa non è facilmente distinguibile; così come un altro rischio che molto probabilmente si potrebbe correre, è quello che il fatto che il collaboratore si trovi ad essere inserito in un qualsivoglia contesto produttivo, possa essere visto come una manifestazione del potere organizzativo datoriale su quelle che sono le modalità di lavoro, con la conseguente applicazione della disciplina del lavoro subordinato.

Pertanto, indubbiamente si prevede che con la nuova disciplina sulle collaborazioni non sarà difficile inciampare in più di qualche spiacevole contenzioso giudiziario.

 

ABSTRACT

 

Il D. Lgs n. 81/2015 abroga le disposizioni relative ai contratti a progetto e quelle sulle collaborazioni.   In particolare il decreto prevede dal 01 Gennaio 2016 l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche a quei rapporti di collaborazione che sembrerebbero essere carenti di autonomia operativa in quanto si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro. Al secondo comma dell’art. 2 dello stesso decreto vengono poi previste le fattispecie categoricamente escluse dalla riconduzione al rapporto di lavoro subordinato. Non è più ammessa la nuova stipulazione di contratti di lavoro a progetto, mentre è possibile ricorrere ad una procedura di stabilizzazione per i datori di lavoro che decidono di assumere il personale, prima contrattualizzato con un rapporto di collaborazione, anche a progetto o a partita IVA, beneficiando in tal modo dell’estinzione di eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali.

 

Avv. Giovanni Di Corrado

Consulente del lavoro

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