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lunedì 20 Gennaio 2025
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Impianto di depurazione delle acque aliquota iva agevolata al 10%

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MR. Luciano, quesito:

ho necessità di conoscere la corretta aliquota iva applicabile su acquisti, lavorazioni ed opere, sia nel privato che nel pubblico, inerenti impianti di depurazione delle acque.

Impianto di Depurazione delle acque aliquota IVA agevolata al 10%

Come drenare liquidità ed applicare aliquota iva ridotta

Quesito:  ho necessità di conoscere la corretta aliquota iva applicabile su acquisti, lavorazioni ed opere, sia nel privato che nel pubblico, inerenti impianti di depurazione delle acque.

Risposta:  per le vendite di impianti di trattamento e depurazione acque di  scarico, si applica ai fini iva l’aliquota al 10% (cfr. Tabella a parte iii art. 127 quinquies dpr 633/72).

Per le prestazioni di servizi quali gestione  e manutenzione di impianti di depurazione, compresa la fornitura di parti di ricambio per le predette prestazioni, si applica sempre ai fini iva l’aliquota al 10% (crf. Rif. Tabella a parte iii art. 127 sexiesdecies dpr 633/72 ultimo comma).

L’aliquota iva 10%  è da considerarsi valida ed applicabile sia a persone fisiche che a società.  

Clicca qui per scaricare fac simile autodichiarazione da esibire per acquisto impianto di depurazione, da presentare simile al soggetto verso il quale si emetterà la correlata fattura.

Reverse Charge: Guida e Vademecum all’uso, come emettere fattura e quando e chi deve applicare il meccanismo dell’inversione contabile

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Reverse Charge: Guida e Vademecum all’uso, come emettere fattura e quando e chi deve applicare il meccanismo dell’inversione contabile

Con questa guida fiscale il meccanismo del reverse charge IVA diventa uno strumento semplice da gestire,   costantemente aggiornata con le ultime modiche normative, tra cui la Legge di Stabilità 2015 che ha modificato l’articolo 17 del D. P. R. N. 633/1972 rendendo il reverse applicabile in toto a subappalti, appalti o contratti d’opera, e con le recenti circolari e risoluzione prodotte dall’Agenzia delle Entrate. Tra cui la Circolare numero 37/E del 22 dicembre 2015 ivi allegata.

Reverse Charge: Guida e Vademecum all’uso,  come emettere fattura e quando e chi deve applicare il meccanismo dell’inversione contabile

 

Guida fiscale e vademecum per gestire in modo autonomo e semplice l’applicazione del meccanismo del “reverse charge dell’IVA” in ogni settore, aggiornata con le ultimissime normative, circolari e risoluzioni.

 

Reverse charge IVA edilizia 2016: il concetto di fabbricato

La circolare numero 37/E dell’Agenzia delle Entrate interviene anche su un altro importante tema legato al reverse charge IVA per il settore dell’edilizia: il concetto di fabbricato.

Nella risposta al quesito numero 6 l’Agenzia delle Entrate precisa che il concetto di fabbricato, ai fini della normativa sul reverse charge IVA in edilizia, non deve essere limitato all’edificio, ma deve ricomprendere tutti gli impianti e le pertinenze esterne che sono funzionali all’edificio medesimo.

In particolare, nel caso in cui un impianto sia esterno al fabbricato, questi rappresenta parte integrante dell’edificio se è funzionale all’utilizzo dello stesso. Pertanto in questa fattispecie, il reverse charge IVA trova applicazione anche per gli impianti esterni.

L’Agenzia delle Entrate fornisce anche alcuni esempi a proposito di impianti esterni che comportano l’applicazione del reverse charge IVA:

·         impianto di videosorveglianza perimetrale;

·         impianto citofonico;

·         impianto di climatizzazione;

·         impianto idraulico di un edificio con tubazioni esterne.

 

Altri elementi utili per inquadrare la definizione di edificio ai fini della corretta applicazione del meccanismo del reverse charge IVA in edilizia:

la Risoluzione n. 46/E/1998, in riferimento alla circolare n. 1820 del 23-7-1960 del Ministero dei Lavori pubblici, nella quale viene precisato che “per edificio e fabbricato si intende qualsiasi costruzione coperta isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto, che disponga di uno o più liberi accessi sulla via, e possa avere una o più scale autonome”;
l’art. 2 del D. Lgs n. 192/2005 (attuazione della Direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia) ove l’edificio “è un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio può confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l’ambiente esterno, il terreno, altri edifici; il termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere utilizzate come unità immobiliari a sé stanti”.

 

Reverse charge IVA edilizia 2016: si applica anche al codice ATECO 43. 29. 09

l’Agenzia delle Entrate, facendo riferimento alle precisazioni fornite dall’ISTAT, ha chiarito che anche le prestazioni di manutenzione e riparazione vengono ricomprese nelle attività di cui al codice ATECO 43. 29. 09 (“altri lavori di costruzione e installazione nca”) e pertanto sono assoggettabili al meccanismo di inversione contabile IVA. In altri termini, anche le prestazioni di manutenzione e riparazione svolte da soggetti titolari del suddetto codice ATECO devono essere assoggettate la meccanismo di inversione contabile.

 

Reverse charge IVA  in edilizia 2016: le manutenzioni straordinarie

Con la circolare numero 37/E del 22 dicembre 2015, l’Agenzia delle Entrate ha fornito diversi chiarimenti in ordine all’applicazione del reverse charge IVA o inversione contabile nel settore dell’edilizia e nei settori ad esso connessi.
Tale circolare appare particolarmente significativa, alla luce soprattutto del metodo adottato ovvero quello di rispondere direttamente ai quesiti posti dalle associazioni professionali di categoria.

La prima questione affrontata dall’Agenzia delle Entrate è quella delle manutenzioni straordinarie.

Nella precedente circolare numero 14/E del 27 marzo 2015 (ivi allegata), l’Agenzia delle Entrate richiedeva di distinguere in fattura:

  • i servizi soggetti al reverse charge IVA;
  • i servizi soggetti al regime ordinario.

Nella circolare numero 37/E/2015, l’Agenzia delle Entrate ritiene che la distinzione tra i due regimi non debba rilevarsi negli interventi di manutenzione straordinaria consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari. In particolare, l’Agenzia delle Entrate precisa che:

“l’attrazione della manutenzione straordinaria alle regole ordinarie può trovare applicazione limitatamente agli interventi edilizi di frazionamento e accorpamento, precedentemente rientranti nella “ristrutturazione edilizia” e ora derubricati a “manutenzione straordinaria” (cfr. Articolo 17, comma 1, del DL n. 133 del 2014). Conseguentemente, in presenza, ad esempio, di un contratto avente ad oggetto il frazionamento di un’unità immobiliare, senza modifica della volumetria complessiva dell’edificio e dell’originaria destinazione d’uso, in cui è prevista anche l’installazione di uno o più impianti, non si dovrà procedere alla scomposizione del contratto, distinguendo l’installazione di impianti dagli interventi edilizi, ma si applicherà l’IVA secondo le modalità ordinarie all’intera fattispecie contrattuale. ”

 

Reverse charge IVA  in edilizia 2016: fornitura con posa in opera o prestazione di servizi

La circolare numero 37/E dell’Agenzia delle Entrate chiarisce come si distingue tra la fornitura con posa in opera e la prestazione di servizi.

A questo proposito l’Agenzia delle Entrate scrive che:

“si ha appalto quando la fornitura della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare al bene consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarlo alle specifiche esigenze del committente della prestazione, ma sono tali da dar luogo ad un servizio che, sotto il profilo qualitativo, assume valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte. ”

Nella precedente circolare numero 14/E/2015 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “devono ritenersi escluse dal reverse charge IVA le forniture di beni con posa in opera in quanto tali operazioni, ai fini IVA, costituiscono cessioni di beni e non prestazioni di servizi, poiché la posa in opera assume una funzione accessoria rispetto alla cessione del bene”.

Tra i criteri interpretativi utili ai fini dell’inquadramento tra servizi accessori e non, per l’Agenzia delle Entrate dobbiamo tenere in considerazione in fase contrattuale e/o di emissione della fattura:

dell’importanza della prestazione di servizi erogata rispetto alla fornitura del bene, con la chiave di lettura che i servizi accessori forniti si limitano alla semplice posa in opera del bene?  Oppure sono diretti a modificare la natura del bene considerato? Del rapporto tra il prezzo del bene e quello dei servizi;
della causa e la volontà contrattuale, inteso, nel senso che prevale l’obbligazione di dare o quella di fare?

 

Reverse charge IVA edilizia 2016: gli impianti fotovoltaici

Con la circolare numero 37/E/2015, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta anche sul tema degli impianti fotovoltaici.
In analogia a quanto esposto sopra in tema di impianti esterni, l’Agenzia delle Entrate richiama ancora una volta il principio di funzionalità per effetto del quale:

“quando l’impianto è funzionale all’edificio esso è soggetto al meccanismo dell’inversione contabile IVA a prescindere dalla sua ubicazione. Viceversa, se l’impianto è autonomamente accatastato è soggetto al regime IVA ordinario”.

Novità introdotte dalla Legge di Stabilità 2015 in materia di Reverse Charge IVA nell’edilizia

Le modifiche all’articolo 17 lettere a) e a-ter) del comma 6 dell’articolo 17, in vigore dal 01. 01. 2015 disciplinano l’applicazione del meccanismo del reverse charge dell’ l’inversione contabile alle seguenti fattispecie.

Le disposizioni di cui al quinto comma si applicano anche:

a) alle prestazioni di servizi, diversi da quelli di cui alla lettera a-ter), compresa la manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore”. La disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori [questa ipotesi è quella già applicata sino al 31. 12. 2014; mediante la parte aggiunta (sottolineata nel testo) risultano sottratte dalla medesima alcune prestazioni di servizi specificamente elencate dalla successiva lettera a-ter];

a-ter) alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici; … omissis …

Quest’ultime, dunque, sono le nuove casistiche di inversione contabile, che ora si tratta di individuare in modo oggettivo a prescindere, si noti, dalla qualifica soggettiva del prestatore e del committente.

Un sicuro aiuto viene dalla lettura della Relazione Tecnica, che spiega il motivo per cui in tali settori si è deciso di ampliare le casistiche di reverse (prima limitate al subappalto nel settore dell’edilizia, oggi allargate ad ogni prestazione di servizi): si è riscontrato che nei settori delle prestazioni di servizi di pulizia (codice ATECO2007: 81. 2) e per le prestazioni di servizi di demolizione, installazione di impianti e completamento di edifici (codice ATECO2007: 43), vi sia una maggiore propensione sia a non dichiarare l’Iva sulle operazioni imponibili sia a non effettuare il versamento dell’imposta dovuta.

I settori interessati e le casistiche di applicazione sono riepilogati nelle tabelle sottostanti:

 

I settori interessati e le casistiche di applicazione sono riepilogati nelle tabelle sottostanti:

Volendo operare un raffronto con la normativa comunitaria, soccorre l’articolo 199 della Direttiva 112, che consente l’applicazione del reverse charge alle “prestazioni di servizi di costruzione, inclusi i servizi di riparazione, pulizia, manutenzione, modifica e demolizione relative a beni immobili” e con quelle del paragrafo 2 che consente agli Stati di definire le operazioni e le categorie di soggetti cui le misure possono applicarsi. Va, infatti, osservato la novella di cui alla nuova lettera a-ter) non ha eliminato tout court le limitazione della lettera a) che circoscrive l’applicazione del reverse charge per le prestazioni edili rese da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. Fuori dalle ipotesi della nova lettera a-ter il reverse continua quindi ad applicarsi limitatamente ai rapporti di subappalto (o sub contratto d’opera) laddove la prestazione sia riconducibile al settore costruzioni da individuare secondo le attività descritte nel settore F dei codici Ateco (in particolare, costruzioni di edifici, ingegneria civile e altri lavori di costruzione specializzati non riconducibili ad edifici e comunque all’elencazione della lettera a-ter).

 

Sanzioni per errato e/o omessa applicazione del meccanismo Reverse Charge IVA in edilizia

Si deve prestare molta attenzione alla corretta applicazione del Reverse Charge IVA nell’edilizia, purtroppo le sanzioni sono elevate e se comminate, sono di entità tali, che possono compromettere e divorare utili e ricavi del lavoro eseguito. Un delirio.

 

Documenti da scaricare

 

 

Spese Telefoniche: percentuale deducibilità dei costi e di detraibilità dell’iva

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Risale alla legge finanziaria del 2008 l’attuale corpus normativo che disciplina le percentuali di deducibilità e detraibilità delle spese di telefonia fissa e mobile in capo ad una azienda e/o ad un professionista. Il concetto chiave appena introdotto è quello del principio dell’inerenza dove in modo nominale e timido si è introdotto che la  percentuale di detraibilità IVA è da determinare in funzione dell’inerenza dell’utilizzo del bene per l’attività (ai sensi dell’art. 19 del D. P. R. 633/72), salvo controllo da parte degli uffici finanziari.

In realtà, si fa riflettere che a riguardo il comma 255, articolo 1 della Finanziaria 2008, stabilisce: “per il quinquennio 2008- 2012, nel fissare i criteri selettivi di cui all’art. 51 del DPR 633/72, gli uffici dovranno concentrare l’attività di controllo sui contribuenti che abbiano computato in detrazione  l’imposta riguardante gli acquisti e le relative prestazioni di gestione dei telefonini in misura superiore al 50%”. Sembra un avvertimento poiché se si effettua una detrazione superiore al 50% bisognerà provare l’utilizzo aziendale o professionale.

 

Detraibilità dell’IVA per le Spese Telefoniche

La richiamata finanziaria ha introdotto modifiche in merito alla detraibilità dell’Iva, ovvero l’IVA pagata per le spese telefoniche, per l’acquisto di apparecchi di telefonia fissa, mobile, ADSL, sostenute nell’esercizio della professione o dell’attività di impresa. Ante 2008, l’IVA pagata era detraibile solo al 50%, ora è detraibile anche fino al 100%.

Condizioni: la condizione necessaria affinché l’IVA possa essere detratta al 100%, é che le spese siano state sostenute ad uso esclusivo della propria attività. L’uso deve quindi essere esclusivo e dimostrabile: nella dichiarazione IVA andremo a dichiarare la detrazione superiore al 50%. L’Agenzia delle Entrate é l’istituto chiamato a controllare le dichiarazioni dei contribuenti che avranno computato in detrazione l’imposta IVA superiore al 50%. Il titolare di partita IVA potrà quindi essere chiamato a dimostrare l’utilizzo ad uso esclusivo professionale.

Nel caso di spese telefoniche ad uso promiscuo  la detraibilità è del 50% ed il contribuente è esonerato a dimostrarne il reale uso all’Agenzia delle Entrate.

 

Deducibilità delle spese di telefonia fissa e mobile

La percentuale che esenta dalla soprarichiamate “ipotesi di rettifiche in sede di accertamento” è pari all’80% sia per i costi di telefonia mobile (prima del 2007 la deducibilità era al 50%) che per quelli di telefonia fissa (prima del 2007 la deducibilità era al 100%).

Questi oneri deducibili possono essere computati ai fini della determinazione della base imponibile Irpef/Ires/Irap. La percentuale dell’80% funziona come norma di “sistema” e non antielusiva specifica. Per cui anche se dimostrassimo l’uso esclusivo a fini aziendali, non é prevista la possibilità di aumentare questa percentuale di deduzione.

La deducibilità si riferisce a tutte le spese inerenti le spese telefoniche impiegate nell’esercizio della propria attività: le quote di ammortamento per l’acquisto di cellulari, canoni di locazione, noleggio, bollette, ricariche telefoniche. Ovviamente occorre conservare scontrini e fatture che comprovino il costo sostenuto.

In conclusione in base a quanto disposto nella Finanziaria 2008 e dall’art. 19 del D. P. R. 633/72 la deducibilità delle spese telefoniche a:

SPESE TELEFONICHE IVA % IRPEF/IRES/IRAP %
TIPOLOGIA DETRAIBILITA’ DEDUCIBILITA’
FISSA 100% 80%
ADSL 100% 80%
MOBILE 50% o 100% 80%
ACCESSORI TELEFONINI 50% o 100% 80%

 

Come annullare le cartelle esattoriali: Nulla la cartella in caso di mancata risposta da Equitalia

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La legge di stabilità n. 228 del 2012, ha introdotto l’annullamento in autotutela delle cartelle esattoriali, disciplinando che il contribuente, raggiunto da una cartella illegittima, possa chiedere in autotutela la sospensione della riscossione nonché l’annullamento in via

amministrativa delle partite iscritte a ruolo, fissando anche un termine perentorio per ottenere lo sgravio in autotutela ovvero 220 giorni.

 

Come annullare le cartelle esattoriali: Nulla la cartella in caso di mancata risposta da Equitalia

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La legge di stabilità n. 228 del 2012, ha introdotto l’annullamento in autotutela delle cartelle esattoriali, disciplinando che il contribuente, raggiunto da una cartella illegittima, possa chiedere in autotutela la sospensione della riscossione nonché l’annullamento in via amministrativa delle partite iscritte a ruolo, fissando anche un termine perentorio per ottenere lo sgravio in autotutela ovvero 220 giorni.

Se la cartella esattoriale o qualsiasi altro atto di Equitalia (o notificato da altro ente di riscossione) è illegittimo, il contribuente può fare una  semplice istanza di sgravio in autotutela e se non ottiene risposta entro 220 giorni il debito si annulla definitivamente.

Il principio trova fondamenta giuridiche proprio nella richiamata Legge n. 228 del 2012 (Legge di Stabilità per il 2013), la quale disciplina che entro novanta giorni dalla notifica di un qualsiasi atto da parte del concessionario della riscossione, il contribuente possa fermare tale azione con una semplice istanza.  Al fine di comprendere meglio la portata della norma, l’articolo 1, comma 537, della legge n. 228 del 2012  prevede espressamente che i “concessionari per la riscossione SONO TENUTI A SOSPENDERE IMMEDIATAMENTE  ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore…”.

A seguito del deposito della dichiarazione da parte del contribuente al concessionario per la riscossione, dunque, quest’ultimo è tenuto ad avvisare l’ente competente di accertamento, quello cioè che vanta il credito e che ha notificato l’atto prodromico da cui è scaturita l’iscrizione al ruolo e la successiva cartella esattoriale.

Il passo successivo, è quello in cui la norma disciplina gli effetti derivanti dalla mancata risposta dell’ente impositore. Infatti, il comma 540 della Legge n. 212 del 2012 prevede che “trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite … SONO ANNULLATE DI DIRITTO…”.

 

Orientamento Giurisprudenziale recente e Massima

Su tale indirizzo sono allineati sia i giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 5667 del 2015, che quelli della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, con la sentenza n. 1955 del 2015, con cui hanno stabilito che “nel caso di specie deve ritenersi annullata di diritto la partita debitoria… un passo importante per la tutela del diritto del contribuente, inoltro dalla lettura delle richiamate sentenze è facile ricostruire una sorta di iter che deve essere attuato e monitorato:

1)    il debitore inoltra l’istanza al concessionario per la riscossione che ha dato inizio alla procedura di riscossione;

2)    il concessionario trasmette l’istanza all’ente creditore (ente di accertamento), il quale, effettuate le valutazioni del caso, ne trasmette i risultati al debitore.

La mancata comunicazione da parte dell’ente di accertamento dei “risultati al debitore”, per la quale è previsto il termine massimo di 220 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del contribuente, ha l’effetto di far ritenere che le partite sono annullate di diritto.

 

Crediti illegittimi: le cartelle esattoriali devono essere esigibili

In altri termini, l’Ente di Riscossione (Equitalia, Soget, Riscossione Sicilia etc. )  tra i propri diritti/doveri correlati a tutto il processo di riscossione e in particolare relativamente alla fase iniziale dello stesso, ha quello di ricevere un elenco di crediti (“il ruolo”) certi, liquidi ed esigibili, ovvero fatti validamente valere nei confronti del debitore – ha l’obbligo di svolgere una specifica attività di verifica e risposta alle istanze presentate dal contribuente che lo porti a concludere che la pretesa di pagamento presa in carico sia legittimamente valida nel contenuto, ovvero che i crediti tributari per i quali si appresta ad emettere le cartelle esattoriali siano esigibili.  In altri termini, che detti crediti non siano decaduti o prescritti ed a tal fine illegittimi.

 

Comportamento dell’ente di riscossione

Nonostante il disposto della Legge di stabilità e l’orientamento giurisprudenziale ivi descritto, l’annullamento in autotutela da parte dell’agenzia della riscossione, non ha avuto e non ha a tutt’oggi l’esito sperato dal Legislatore.  Infatti, nonostante il deposito delle istanze in autotutela gli enti di riscossione (Soget, Riscossione Sicilia, Equitalia, etc. ) hanno posto in essere ugualmente ed ostinatamente anche con azioni esecutive per la riscossione delle poste iscritte a ruolo. Questo è quanto è avvenuto anche ad un imprenditore (cfr la richiamata nella sentenza n. 5667 del 2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano), il quale, sebbene avesse presentato una istanza in autotutela per l’annullamento delle cartelle emesse senza ricevere risposta nei successivi 220 giorni dal deposito (come disciplinato dalla legge di stabilità), riceveva una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria da parte di Equitalia!

L’imprenditore ha proceduto nei tempi utili (90 giorni dalla notifica! ) con l’opposizione dell’atto dinanzi alla Commissione Tributaria, eccependo, appunto, tra gli atri aspetti, l’illegittimità delle cartelle perché sgravate di diritto in base alla legge n. 228 del 2012 e la Commissione Tributaria gli ha dato ragione.

La riflessione è duplice:

A.     l’agente della riscossione non è competente a disporre l’annullamento delle poste iscritte a ruolo, il diritto spetta esclusivamente all’ente di accertamento (quello che vanta il credito, ad esempio l’Agenzia delle Entrate, l’Inps, il Comune, l’Inail, etc. ), in tal senso la richiamata norma è cristallina, il comma 539 della Legge n. 228 del 2012 prevede uno specifico obbligo del concessionario di trasmettere entro dieci giorni all’ente creditore la dichiarazione presentata dal debitore e la documentazione allegata, al fine di avere conferma dell’esistenza delle ragioni indicate e ottenere, “in caso affermativo la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio direttamente sui propri sistemi informativi”, il successivo comma 540 stabilisce che, in caso di mancato invio da parte dell’ente creditore della comunicazione prevista dal comma precedente e di “mancata trasmissione dei conseguenti flussi informativi al concessionario della riscossione, trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite di cui al comma 537 SONO ANNULLATE DI DIRITTO e quest’ultimo è considerato automaticamente discaricato dei relativi ruoli”.

La prima riflessione risiede nel fatto che le inefficienze legate al flusso informativo della pubblica amministrazione (basti pensare alla “fluidità” di dialogo tra l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia) possono ritorcersi contro la p. A. Stessa ed essere elemento a favore del contribuente per ottenere all’annullamento del debito.

Seconda riflessione risiede nel fatto che l’ostinazione del funzionario o dell’Ufficio Legale, sia dell’ente di accertamento che di riscossione, che dovessero ricorrere contro il contribuente deve essere sanzionata con condanna a “lite temeraria” da parte dei giudici, su richiesta del contribuente stesso.

Per valutare se sussistono cause di illegittimità delle tue cartelle esattoriali o ricevere fac simile pronto da firmare e spedire dell’istanza di annullamento

Licenza esclusiva e non esclusiva di marchio da privato: quando non scatta la tassazione?

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Se si opta per l’interpretazione in linea con la relazione ministeriale all’articolo 49 TUIR (ora articolo 53 TUIR), si può sostenere che nel licensing i compensi incassati a titolo di royalties da una persona fisica non agente come imprenditore che concede in licenza un brand registrato ad una società di capitali, costituirebbero un “non reddito”, dunque sarebbero fiscalmente non imponibili. Ma quando esattamente questo accade in relazione al marchio d’impresa? E nel caso di marchio collettivo le royalties vanno dichiarate in Unico? Se si, come?

Concessione in licenza non esclusiva di marchio d’impresa

Se si opta per l’interpretazione in linea con la relazione ministeriale all’art 49 TUIR (ora articolo 53 TUIR) si può sostenere che nel licensing i compensi incassati a titolo di royalties da una persona fisica non agente come imprenditore che concede in licenza un brand registrato ad una società di capitali costituirebbero un “non reddito”.

Secondo la nostra ricostruzione favorevole alla detassazione, a supporto della citata relazione, la risoluzione n°33/E dell’agenzia delle Entrate che configura tali corrispettivi come redditi diversi, contempla un caso diverso dall’ipotesi in esame, cioè una concessione in licenza non esclusiva, invece, nel caso di specie si tratterebbe di concessione esclusiva perché la persona fisica non utilizzerebbe il marchio dopo averlo concesso in uso e lo attribuirebbe unicamente alla società in questione.

Inoltre dalla relazione governativa al TUIR si ricava quale indice sintomatico della attività d’impresa, la concessione non esclusiva, requisito che appunto non sussiste nel nostro caso.

Tale ragionamento fila riguardo all’ipotesi in cui oggetto di licenza appunto esclusiva, sia un marchio d’impresa.

Quindi: in caso di licenza esclusiva, (quando cioè l’uso del marchio per prodotti o servizi è totalmente in capo al licenziatario per cui il titolare del marchio si impegna a non farne più uso in prima persona per tutto il periodo di durata della licenza né a concederlo ad altri) del marchio d’impresa, i compensi ricevuti sarebbero fiscalmente non imponibili, considerando anche che la relazione governativa all’articolo 53 ricollega la licenza non esclusiva (e non quella esclusiva) all’esercizio di attività d’impresa.

Dunque il soggetto persona fisica in questione non dovrebbe pagare imposte nel caso di concessione in licenza esclusiva del marchio d’impresa alla società di capitali.

Cosa accade invece nell’ipotesi di concessione in uso di un marchio collettivo?

Per quanto riguarda il marchio collettivo, occorre evidenziare che per sua natura, tale tipologia di marchio a differenza di quello classico aziendale, si presta ad essere utilizzato simultaneamente da una pluralità di imprenditori autonomi tra loro che, accomunati dai medesimi “product process” o dalla stessa collocazione territoriale, producono beni aventi le stesse caratteristiche. Dunque la sua concessione in uso si inserisce in generale nel quadro di una licenza “non esclusiva” perché nella prassi commerciale più soggetti sono licenziatari dello stesso marchio in relazione agli stessi prodotti e il titolare, si riserva la funzione effettiva di controllo e garanzia al rispetto del regolamento d’uso da parte dei soggetti utilizzatori. Sebbene il titolare possa essere un soggetto non imprenditore, in genere si tratta comunque di enti quindi consorzi e associazioni preposti alla funzione di garanzia e all’organizzazione unitaria e di coordinamento. Quindi si è in genere fuori dall’ipotesi di persona fisica agente al di fuori di attività d’impresa e risulta pertanto difficile configurare una detassazione delle royalty incassate per le stesse caratteristiche del marchio collettivo (lo stesso articolo 2570 codice civile parla di concessione dell’uso a “produttori e commercianti”), mentre sarebbero certamente qualificabili come un “non” reddito imponibile” le plusvalenze realizzate a seguito di cessione del marchio collettivo.

Dunque, la persona fisica che concede il licenza un marchio collettivo alla società di capitali non potrebbe, a rigor di logica, sottrarre alla tassazione le royalties cosi incassate, dovendole quindi dichiarare in Unico come redditi diversi ex lettera l, comma 1, dell’articolo 67 del TUIR nel quadro RL di Unico persone fisiche, sezione II-A.

Sintesi del nostro orientamento giuridico-tributario

Le plusvalenze da cessione del marchio d’impresa e collettivo e le royalties da concessione in licenza esclusiva, ad eccezione di quelle da concessione in licenza del marchio collettivo, percepite dalla persona fisica agente al di fuori di attività di impresa e corrisposte dalla società di capitali (rispettivamente cessionaria e licenziataria), dovrebbero essere fiscalmente non imponibili.

Per pianificare la registrazione e la futura concessione in licenza di un marchio, sia esso di impresa o collettivo e godere del regime di detassazione fiscale,  contattateci subito al NUMERO VERDE 800. 19. 27. 52!

IMU capannoni industriali (D – E): sconto per impianti fissi “imbullonati”

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IMU capannoni industriali (D – E): sconto per impianti fissi “imbullonati”

La legge 28 dicembre 2015, n. 208, con riferimento al tema della determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari urbane a destinazione speciale e particolare, censite in catasto nelle categorie dei gruppi D e E, ha introdotto sostanziali cambiamenti al pregresso quadro normativo di riferimento conferendo il diritto alla rimodulazione delle rendite catastali con effetto il correlato e consistente abbattimento della base imponibile IMU per fabbricati D ed E.

IMU capannoni industriali (D – E): sconto per impianti fissi “imbullonati”

Guida all’ottenimento della riduzione IMU per capannoni industriali.

La legge 28 dicembre 2015, n. 208, con riferimento al tema della determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari urbane a destinazione speciale e particolare, censite in catasto nelle categorie dei gruppi D e E, ha introdotto sostanziali cambiamenti al pregresso quadro normativo di riferimento conferendo il diritto alla rimodulazione delle rendite catastali con effetto il correlato e consistente abbattimento della base imponibile IMU per fabbricati D ed E.

A partire dal 01. 01. 2016 le imprese hanno diritto ad ottenere un consistente sconto (casi esaminati fino all’60%) nel pagamento dell’IMU sui propri capannoni industriali grazie alle disposizioni contenute nella Legge di Stabilità 2016 che ha introdotto e disciplinato il diritto ad aggiornare le rendite catastali per escludere dal calcolo dell’imposta gli impianti fissi (c. D. Imbullonati). Per avere un’idea, possiamo riflettere ad esempio alle aziende di pressofusione allo spazio occupato dai macchinari/impianti/attrezzatura della catena produttiva, stoccaggio automatizzato, logista e controllo di qualità. Alle aziende food, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, (Pasta, Olio, Vino, Acqua, Distillati) allo spazio occupato dagli impianti adibiti, alla estrazione, raccolta, manipolazione, analisi, imbottigliamento della materia prima e o semilavorati. Stesso discorso per impianti destinati ad industrie editoriali, caratterizzate da impianti fissi ed automatizzati.

Requisiti oggettivo e soggettivo

L’agevolazione compete per capannoni industriali  appartenenti alle categorie D ed E (immobili a destinazione d’uso speciale e particolare), e vale sia per proprietari che locatari.

La legge 28 dicembre 2015, n. 208 consolida un orientamento nato con la norma contenuta nella legge n. 190 del 2014 (precedente Legge di Stabilità) che stabiliva come la determinazione della rendita catastale dei capannoni industriali e, più in generale degli immobili a destinazione d’uso particolare, fosse eseguita tramite stima diretta, utilizzando i criteri indicati dalla circolare n. 6/2012 dell’Agenzia del Territorio (in allegato). Secondo tale circolare, la rendita catastale era data dalla “somma” del valore del terreno, dei muri e degli impianti fissi che contribuivano in maniera continuativa all’attività produttiva (gli imbullonati, appunto). La Finanziaria 2016 non abroga la norma precedente, ma stabilisce che ai fini del calcolo dell’IMU, dalla rendita catastale così calcolata vada scorporato il valore degli imbullonati, determinando in pratica una diminuzione del valore imponibile su cui calcolare l’imposta e, dunque, una IMU più leggera. In tal senso è orientata la circolare 2 del 2016 (in allegato) emessa dalla Agenzia delle Entrate

Come procedere: il DOCFA!

L’operazione non è automatica, i proprietari (N. B. Locatari) dei capannoni con dentro impianti e macchinari fissi devono provvedere all’aggiornamento delle rendite catastali di questi immobili (secondo quanto stabilito dal decreto n. 701/1994 tramite procedura DOCFA) alla luce delle novità contenute nella Legge di Stabilità 2016.

Effetti

Decorrono successivamente alla data di presentazione del DOCFA, fermo restando il diritto del contribuente a presentare un’istanza di autotutela al proprio Comune su validi principi tributari per un riconoscimento retroattivo.

Marchio: Cessione da parte di persona fisica esente da imposte tax free

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Contattaci per pianificare la registrazione e/o la futura cessione della proprietà di un marchio, sia esso di impresa e quello collettivo,  affinché sia possibile godere del regime di detassazione fiscale.

 

Marchio: Cessione da parte di persona fisica esente da imposte

 

La cessione della proprietà di un marchio, di impresa e quello collettivo,  assume rilevanza soltanto se effettuata nell’esercizio d’impresa e non anche da parte di una persona fisica che agisca al di fuori tale contesto, è infatti tax free purché non si commettano errori nella fase di registrazione o di cessione.

L’esclusione trova conferma nella relazione governativa all’articolo 49 del D. P. R. 917/86, in cui si motiva che “[…] i redditi derivanti dall’utilizzazione economica dei marchi di fabbrica e di commercio, si è ritenuto di non comprenderli più tra i redditi di lavoro, né tra i “redditi diversi”, nel rilievo che l’utilizzazione dei marchi d’impresa (mediante cessione o concessione in uso) avviene o in sede di trasferimento dell’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa”.

Pertanto, il nostro legislatore qualifica la cessione del marchio come quella di un elemento patrimoniale priva di effetti reddituali in capo ai soggetti non imprenditori, come se non vi fosse intento speculativo,  fatta esclusione per coloro che non sono residenti (lettera c, comma 2, articolo 23, Tuir).

In sintesi,  la cessione della proprietà del marchio di fabbrica o di commercio assume rilevanza reddituale soltanto se effettuata nell’esercizio d’impresa e non anche da parte di una persona fisica che agisca al di fuori tale contesto. Per similitudine si applica la stessa impostazione agli eredi del de cuius.

TARI: errori da parte dei Comuni nel calcolo della parte variabile della tassa, richieste di rimborso ed impugnazione degli atti pervenuti

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Tari:

Errori da parte dei Comuni nel calcolo della parte variabile della tassa, richieste di rimborso ed impugnazione degli atti pervenuti

Diritto:

La quota variabile della tassa sui rifiuti deve essere calcolata una sola volta, sulla sola unità principale e non sulle pertinenze della stessa.

Il fatto:

Molti Comuni in tutta Italia, hanno calcolato la quota variabile della TARI, in modo errato ed a danno dei contribuenti, conteggiandola anche sulle pertinenze.

Il MEF  (Ministero dell’Economia e delle Finanze) con circolare 1/DF del 20. 11. 2017  ha chiarito in modo cristallino l’errore commesso dai Comuni ed Enti di Riscossione nel computo della Tari. «Con riferimento- si legge nella circolare del Mef – alle pertinenze dell’abitazione, appare corretto computare la quota variabile una sola volta in relazione alla superficie totale dell’utenza domestica. Un diverso modus operandi da parte dei comuni non troverebbe alcun supporto normativo, dal momento che condurrebbe a sommare tante volte la quota variabile quante sono le pertinenze, moltiplicando immotivatamente il numero degli occupanti dell’utenza domestica e facendo lievitare conseguentemente l’importo della Tari». è proprio questo l’errore che – a giudizio del governo – è stato commesso da alcuni municipi (Milano e Napoli in primis) in sede di calcolo della tassa. Ovvero la moltiplicazione della quota variabile della tassa sui rifiuti per il numero delle pertinenze, associate all’immobile.

 

Il rimborso

E’ dovuto entro i 5 anni dalla data di versamento. L’iter è quello di richiedere con istanza semplice, il rimborso delle somme pagate in eccesso o chiedere che vengano stornate dalle tasse future. Il Comune ha 180 giorni per rispondere, altrimenti l’istanza, per il principio del silenzio rifiuto, è da considerare rigettata e il contribuente ha 60 giorni per ricorrere alla Commissione tributaria.

Testo Circolare del MED 1/DF del 20 novembre 2017

Prot. N. 41836/2017

OGGETTO:   Chiarimenti sull’applicazione della tassa sui rifiuti (TARI). Calcolo della parte variabile.

A  seguito  della  notevole  risonanza  che  ha  avuto  sui  vari  mezzi  di  informazione la questione concernente il calcolo della parte variabile della tassa sui rifiuti (TARI) relativa alle utenze domestiche, si forniscono i seguenti chiarimenti anche in ordine alle eventuali richieste di rimborso da parte dei contribuenti.

In  particolare,  la  problematica  prende  spunto  dalla  risposta  all’interrogazione  in

Commissione n. 5-10764 dell’On. Le L’Abbate nella quale è stato chiesto se la quota variabile debba essere calcolata una sola volta anche nel caso in cui la superficie di riferimento dell’utenza domestica comprenda quella delle pertinenze dell’abitazione, poiché è emerso che i comuni talvolta computano la quota variabile sia in relazione all’abitazione che alle pertinenze, determinando, in tal modo, una tassa notevolmente più elevata rispetto a quella che risulterebbe considerando la quota variabile una volta sola rispetto alla superficie totale.

Al riguardo, è opportuno, innanzitutto, fare un cenno alla normativa che governa la determinazione delle tariffe della TARI.

L’art. 1, comma 651, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, prevede che “Il comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158”.

In ordine alla determinazione della tariffa il citato D. P. R. Dispone che la stessa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti; la tariffa inoltre è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica.

Quanto alla strutturazione della tariffa, l’art. 5, comma 1  del D. P. R. N. 158 del 1999 prevede che la parte fissa per le utenze domestiche è determinata secondo quanto specificato nel punto 4. 1 dell’allegato 1 allo stesso D. P. R. E, quindi, in base alla superficie e alla composizione del nucleo familiare.

 

La parte variabile della tariffa

Per la parte variabile della tariffa, il comma 2 dell’art. 5 in esame stabilisce che questa “è rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati specificata per kg, prodotta da ciascuna utenza”. Tuttavia, se non è possibile misurare i rifiuti per singola utenza, il comma 4 dello stesso art. 5 stabilisce che la quota variabile della tariffa relativa alla singola utenza viene determinata applicando un coefficiente di adattamento secondo la procedura indicata nel punto 4. 2 dell’allegato 1 al D. P. R. N.  158 del 1999.

In relazione alle problematiche innanzi evidenziate, è essenziale soffermarsi sul contenuto della locuzione di utenza domestica che deve intendersi comprensiva sia delle superfici adibite a civile abitazione sia delle relative pertinenze. In proposito giova richiamare anche quanto riportato nell’art.   16 del Prototipo di Regolamento per l’istituzione e l’applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), i  cui principi possono ritenersi applicabili anche relativamente alla TARI, il quale prevede che  “la  quota  fissa  della tariffa per  le  utenze domestiche è  determinata  applicando alla superficie  dell’alloggio e dei locali che ne costituiscono pertinenza le tariffe per unità di  superficie parametrate al numero degli occupanti…”.

Pertanto, la quota fissa di ciascuna utenza domestica deve essere calcolata moltiplicando la superficie dell’alloggio sommata a quella delle relative pertinenze per la tariffa unitaria corrispondente al numero degli occupanti dell’utenza stessa, mentre la quota variabile è costituita da un valore assoluto, vale a dire da un importo rapportato al numero degli occupanti che non va moltiplicato per i metri quadrati dell’utenza e va sommato come tale alla parte fissa.

Ciò chiarito, con riferimento alle pertinenze dell’abitazione appare corretto computare la quota variabile una sola volta in relazione alla superficie totale dell’utenza domestica.

Un diverso modus operandi da parte dei comuni non troverebbe alcun supporto normativo, dal momento che condurrebbe a sommare tante volte la quota variabile quante sono le pertinenze, moltiplicando immotivatamente il numero degli occupanti dell’utenza domestica e facendo lievitare conseguentemente l’importo della TARI.

A tale proposito, si pensi, ad esempio, al caso di due nuclei familiari, entrambi con 3 componenti, il primo dei quali possiede un’abitazione di 100 mq e il secondo un appartamento di 80 mq e una cantina di 20 mq, che costituisce la pertinenza dell’abitazione. Se si ipotizza che la tariffa per il calcolo della parte fissa determinata dal comune sia pari a € 1,10 mentre la parte variabile sia pari a € 163,27, l’errato procedimento di calcolo della tassa sopra descritto condurrebbe al seguente risultato.

Primo Nucleo Familiare
Mq abitazione Parte fissa Parte variabile TARI Totale
100 mq 100 x € 1,10= € 110 € 163,27 110+163,27= € 273,27
Secondo Nucleo Familiare
Abitazione
Mq Parte fissa Parte variabile Totale
80 mq 80 x € 1,10= € 88 € 163,27 88+163,27= € 251,27
Cantina pertinenziale
Mq Parte fissa Parte variabile Totale
20 mq 20 x € 1,10 = € 22 € 163,27 22+163,27=€ 185,27
TARI Totale = € 436,54

Come appare evidente dall’esempio, se si considera la parte variabile in riferimento sia all’abitazione sia alla pertinenza, a parità di componenti e di superficie, l’importo della TARI risulta molto più elevato rispetto al caso in cui non si disponga della pertinenza.

Si deve ribadire che tale differenza di importi non trova un valido sostegno logico- giuridico soprattutto se si osserva che le pertinenze come le cantine o le autorimesse non possono ragionevolmente essere contraddistinte da una potenzialità di rifiuti superiore a quella che si può attribuire alle abitazioni e che così procedendo il nucleo familiare, che costituisce un parametro per la definizione della parte variabile, verrebbe preso in considerazione due volte.

Conseguentemente, la modalità corretta di calcolo della tassa per il secondo nucleo familiare di cui all’esempio che precede è la seguente.

Secondo Nucleo Familiare
Abitazione e cantina pertinenziale
Mq Parte fissa Parte variabile Totale
80+20=100 mq 100 x € 1,10= € 110 € 163,27 110+163,27= € 273,27

 

Pertanto, laddove il contribuente riscontri un errato computo della parte variabile effettuato dal comune o dal soggetto gestore del servizio rifiuti, lo stesso può richiedere il rimborso del relativo importo, solo relativamente alle annualità a partire dal 2014, anno in cui la TARI è stata istituita dall’art. 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, quale componente dell’imposta unica comunale (IUC) posta a carico dell’utilizzatore per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

E’ possibile chiedere rimborsi?

Non è possibile, quindi, chiedere il rimborso relativamente alla tassa per lo smaltimento dei  rifiuti  solidi  urbani  (TARSU),  governata  da  regole  diverse  da  quelle  della  TARI,  che  non prevedevano, tranne in casi isolati, la ripartizione della stessa in quota fissa e variabile.

Né si può procedere alla richiesta di rimborso laddove i comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, hanno introdotto in luogo della TARI, una tariffa avente natura corrispettiva, in applicazione del comma 668 dell’art. 1 della citata legge n. 147 del 2013.

Per quanto riguarda, in particolare, l’istanza di rimborso in parola, si fa presente che la stessa deve essere proposta, a norma dell’art. 1, comma 164, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento.

L’istanza, che non richiede particolari formalità, deve però contenere tutti i dati necessari a identificare il contribuente, l’importo versato e quello di cui si chiede il rimborso nonché i dati identificativi della pertinenza che è stata computata erroneamente nel calcolo della TARI.

Si precisa, infine, che i regolamenti comunali di disciplina della TARI in molti casi non contengono un’espressa e univoca previsione in ordine alle concrete modalità di calcolo della tassa nell’ipotesi  di  cui  si  tratta,  potendosi  manifestare  l’errore  in  sede  di  applicazione  degli  atti regolamentari ai fini dell’emissione degli inviti di pagamento che specificano le somme dovute per ogni utenza. Qualora, peraltro, i comuni abbiano adottato disposizioni il cui contenuto si riveli difforme rispetto ai criteri di calcolo in questa sede chiariti, si invitano gli stessi a procedere ai necessari adeguamenti delle proprie previsioni regolamentari.

Controlli fiscali a palestre e centri sportivi ASD e SSD: quali cautele osservare e quali documenti tenere pronti per l’esibizione?

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Quando una palestra è oggetto di un’ispezione fiscale, cosa è importante sapere riguardo al personale competente ad effettuarla e ai documenti da esibire e quali errori bisogna evitare di commettere per mettersi a riparo da pesanti sanzioni? Le risposte pratiche per consentire al rappresentante legale di gestire al meglio questa incombenza.

 

Chi può fare i controlli alle associazioni sportive?

I controlli fiscali delle associazioni sportive  possono essere condotti dagli agenti  della Guardia di Finanza del territorio di competenza, per conto dell’Agenzia delle Entrate oppure dagli stessi ispettori dell’amministrazione finanziaria;
un ulteriore controllo può essere esercitato dalla SIAE, in base ad un accordo stabilito con l’Agenzia delle Entrate;
altro tipo di controllo è quello che può essere effettuato dall’Ispettorato del lavoro sull’inquadramento dei collaboratori e sui compensi erogati dalle associazioni soprattutto agli istruttori sportivi.

 

Quali cautele osservare in sede di controlli ed ispezioni?

1) i libri, i registri, le scritture e i documenti di cui sia rifiutata l’esibizione, non potranno essere presi  in considerazione a favore dell’associazione,  ai  fini dell’accertamento  in sede  amministrativa o contenziosa  (per “rifiuto d’esibizione” si  deve intendere anche la  dichiarazione  di  non possedere i libri, i registri, i documenti e le scritture e/o la sottrazione di essi al controllo);

2) rifiutare l’esibizione o, in ogni  modo, impedire l’ispezione delle  scritture contabili e dei documenti la cui  tenuta e conservazione sono  obbligatori per legge, e dei quali risulta l’esistenza, determina l’applicabilità di specifiche sanzioni amministrative;

3) nel  caso  in  cui  si  verifichi  l’omessa  tenuta,  il  rifiuto  di  esibizione o,  in  ogni  modo,  la sottrazione delle  scritture contabili obbligatorie o l’indisponibilità di tali scritture per cause di forza  maggiore, l’Amministrazione finanziaria può essere validamente legittimata alla determinazione induttiva del reddito e dell’IVA;

4) altra “disposizione qualificante” della riforma  introdotta con lo Statuto dei diritti del contribuente consiste nella  previsione della facoltà, per  lo  stesso, di  richiedere che l’esame dei documenti amministrativi e contabili sia svolto presso l’ufficio dei verificatori o, in  alternativa,  presso il professionista che lo assiste o che lo rappresenta.

 

Quali documenti bisogna esibire?

In sede di verifica fiscale nei confronti dell’ASD, occorrerà assolutamente esibire agli organi  verificatori la seguente documentazione:

  • atto  costitutivo;
  • statuto aggiornato;
  • codice  fiscale;
  • affiliazione a federazione o ente di promozione e relativo codice ed iscrizione nel registro delle  SSD e ASD del Coni e relativo codice;
  • libro dei verbali  delle  riunioni delle Assemblee e del Consiglio direttivo aggiornato;
  • elenco degli  associati e  tesserati  iscritti (tutte le figure, dirigenti, atleti, tecnici, tutti   i collaboratori);
  • rendiconto economico annuale;
  • giustificativi delle uscite (ricevute, quietanze altro);
  • documentazione di iscrizione e partecipazione ad attività  federali/promozionali/giovanili/agonistiche.

Attenzione:

a) presupposto per accedere al regime fiscale agevolato delle ASD e SSD è aderire correttamente alla L. 398/1991;

b) nelle fasi di ispezioni e accertamenti fiscali è essenziale non far risultare che l’ente abbia carattere commerciale;

c) per uscire indenni da verifiche fiscali e dormire serenamente è fondamentale evitare di commettere errori a monte, già in fase di costituzione dell’ASD o SSD, redigendo correttamente l’atto costitutivo effettuando correttamente i primi adempimenti fiscali.

Per avviare la vostra palestra, scoprire i nostri pacchetti di consulenza e richiedere soluzioni su misura per impostare la tua attività nel modo migliore risparmiando liquidità e ricevere assistenza specializzata in materia tributaria, contabile, legale e del lavoro per Associazioni Sportivo Dilettantistiche e Società  Sportivo Dilettantistiche.

 

YACHT E FISCO: IL CONTRATTO DI LOCAZIONE PER LE UNITÀ DA DIPORTO

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La locazione di unità da diporto è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga verso corrispettivo a cedere il godimento dell’unità da diporto ad un’altra parte (conduttore o locatario) per un periodo di tempo determinato. Contattaci per verificare la deducibilità dei canoni di locazione e la detraibilità dell’IVA della tua azienda e/o della tua unità da diporto.

 

Yacht e Fisco:  Il contratto di locazione per le unità da diporto

Verifica della deducibilità del costo del canone di locazione e della detraibilità dell’iva

La locazione di unità da diporto è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga verso corrispettivo a cedere il godimento dell’unità da diporto ad un’altra parte (conduttore o locatario) per un periodo di tempo determinato.

A seguito della stipula del contratto di locazione, l’unità da diporto locata viene detenuta dal conduttore il quale esercita la navigazione e ne assume la responsabilità ed i rischi.

Il conduttore è comunque responsabile in solido con il conducente dell’unità da diporto se non prova che la circolazione della stessa sia avvenuta contro la sua volontà.

Qualora si tratti di un contratto di locazione relativo a imbarcazioni e navi da diporto,  esso deve essere fatto per iscritto, pena la sua nullità e tenuto a bordo in originale o in copia conforme. Le stesse formalità valgono anche in caso di sublocazione o di cessione del contratto di locazione.

Se il contratto non viene rinnovato dopo la scadenza del termine in esso stabilito ed il conduttore conserva ancora la detenzione dell’unità da diporto, il contratto non può intendersi rinnovato per tale motivo.

 

Ritardo nella riconsegna

Nel caso di ritardo nella riconsegna per causa imputabile al conduttore e per un periodo di tempo non eccedente la decima parte della durata del contratto di locazione, non si fa luogo a liquidazione di danni ma al locatore, per il periodo di tempo eccedente la durata del contratto, è dovuto un corrispettivo in misura doppia rispetto a quella stabilita dal contratto. La disposizione suddetta può essere derogata contrattualmente dalle parti.

I diritti derivanti dal contratto di locazione si prescrivono con il decorso di un anno. Tale termine di prescrizione decorre dalla scadenza del contratto ovvero dalla riconsegna della unità da diporto nella ipotesi di un ritardo non eccedente la decima parte della durata del contratto di locazione.

Il locatore  è tenuto a consegnare  al conduttore l’unità da diporto con le relative pertinenze in perfetta efficienza, completa di tutte le dotazioni di sicurezza, munita dei documenti necessari per la navigazione e coperta dall’assicurazione per la responsabilità civile.

Il conduttore è tenuto ad usare l’unità da diporto secondo le caratteristiche tecniche risultanti dalla licenza di navigazione e in conformità alle finalità di diporto.

 

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