-8.8 C
Rome
lunedì 20 Gennaio 2025
Home Blog Page 103

Resto al Sud

0

Resto al Sud è l’insieme di una nuova serie di incentivi introdotti con il DL 91/2017 a favore del Mezzogiorno che si rivolge ai giovani dai 18 ai 35 anni che risiedono in una delle seguenti regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Sardegna, Sicilia, Molise e Puglia e che intendono aprire una nuova impresa; a questi giovani INVITALIA, a cui è affidata la gestione dello strumento, offre due tipi di agevolazioni fiscali che possono coprire il 100% delle spese effettuate a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero. Resto al Sud ha come obiettivo quello di incentivare la nascita di nuove attività imprenditoriali condotte dai giovani in quei territori fortemente svantaggiati a livello economico e occupazionale e contribuire alla crescita delle neo imprese già costituite negli stessi territori da giovani imprenditori dopo il 21 giugno 2017.

Resto al Sud

Cos’è e come funziona il Bando Resto al Sud e i requisiti per potervi accedere

Resto al Sud è l’insieme di una nuova serie di incentivi introdotti con il DL 91/2017 a favore del Mezzogiorno che si rivolge ai giovani dai 18 ai 35 anni che risiedono in una delle seguenti regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Sardegna, Sicilia, Molise e Puglia e che intendono aprire una nuova impresa; a questi giovani INVITALIA, a cui è affidata la gestione dello strumento, offre due tipi di agevolazioni fiscali che possono coprire il 100% delle spese effettuate a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero. Resto al Sud ha come obiettivo quello di incentivare la nascita di nuove attività imprenditoriali condotte dai giovani in quei territori fortemente svantaggiati a livello economico e occupazionale e contribuire alla crescita delle neo imprese già costituite negli stessi territori da giovani imprenditori dopo il 21 giugno 2017.

Per poter presentare domanda per potere accedere ai benefici previsti, è necessario innanzitutto avere un’età compresa tra i 18 e i 35 anni (36 non ancora compiuti), essere residenti in una delle regioni che abbiamo detto prima o trasferirvi la residenza entro 60 giorni dall’eventuale esito positivo della valutazione (120 giorni per chi risiede all’estero) e mantenere la residenza in queste Regioni per tutta la durata del Finanziamento; le stesse condizioni si applicano anche alle piccole – medie imprese che devono mantenere per tutta la durata del finanziamento, la sede legale ed operativa nelle Regioni ammesse. Solo per chi presenta domanda nel 2018 il requisito dell’età deve essere posseduto entro il 21 Giugno 2017, data di entrata in vigore del decreto Resto al Sud e non al momento della presentazione della domanda; alla data del 21 Giugno 2017 i potenziali beneficiari non dovranno essere titolari di attività di impresa in esercizio né aver ricevuto negli ultimi tre anni dei benefici per l’autoimprenditorialità.

Chi è titolare di impresa a quella data, non può presentare domanda anche se nel frattempo l’impresa è cessata o è stata ceduta, mentre possono farlo coloro che risultano già costituiti in forma di impresa individuale o società, incluse le società cooperative , al momento della presentazione della domanda ma sono state costituite successivamente al 21 giugno 2017 o si costituiscono entro 60 giorni, o 120 giorni in caso di residenza all’estero, dalla data di comunicazione di esito positivo dell’istruttoria; i requisiti dovranno essere posseduti da almeno 2 terzi degli eventuali soci, che in ogni caso non dovranno avere rapporti fino al quarto grado con nessuno dei richiedenti e in caso di società cooperative, dove ci sono anche soci che non hanno i requisiti anagrafici richiesti, comunque in misura non superiore ad un terzo, questi non potranno accedere alle agevolazioni,  i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato possono partecipare al bando a condizione di lasciare il lavoro in caso di approvazione della domanda.

Per poter accedere ai finanziamenti i progetti imprenditoriali dovranno essere avviati successivamente alla presentazione della domanda di agevolazione ovvero alla data di costituzione della società nel caso in cui la domanda venga presentata da persone fisiche; la loro realizzazione invece dovrà essere ultimata entro 24 mesi dal provvedimento di concessione di aiuto, salvo i casi in cui il soggetto gestore accerti che il ritardo non derivi da fatti o atti non imputabili al soggetto richiedente.

INVITALIA, ha individuato i soggetti che possono assistere aspiranti e neo imprenditori nella partecipazione al bando: ha elaborato un elenco che raccoglie tutti gli enti accreditati in tutte le otto regioni destinatarie delle agevolazioni, differenziati per provincia di localizzazione, a cui gli aspiranti imprenditori possono gratuitamente rivolgersi per ricevere assistenza nella preparazione del progetto imprenditoriale e della richiesta di finanziamento; si tratta di amministrazioni pubbliche, università, associazioni od enti del terzo settore che con la loro consulenza possono contribuire ad aumentare le possibilità di successo dei candidati.

Le attività ammesse sono quelle relative alla produzione di beni e servizi nei settori dell’artigianato, trasformazione dei prodotti agricoli, della pesca, dell’acquacoltura e quelli relativi alla fornitura di servizi alle imprese e alle persone, compresi i servizi turistici; sono invece escluse le attività libero professionali e del commercio ad eccezione della vendita dei beni prodotti nell’attività di impresa. Queste attività potranno essere svolte nella forma giuridica di imprese individuali, società di persone, società di capitali (comprese le unipersonali), società cooperative.

Relativamente alle spese ammissibili, le agevolazioni coprono le spese relative all’acquisto di beni e servizi che rientrano nelle seguenti categorie:

·         opere edili relative ad interventi di ristrutturazione e/o manutenzione straordinaria connessa all’attività del soggetto beneficiario nel limite massimo del 30% del programma di spese;

·         macchinari, attrezzature ed impianti nuovi di fabbrica;

·         programmi informatici e servizi per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) connessi ad esigenze produttive e gestionali dell’impresa;

·         spese utili ad avviare la nuova attività imprenditoriale: materie prime, materiali di consumo, bollette e canoni di locazione e leasing, garanzie assicurative per un limite massimo di spesa pari al 20% del totale di spesa.

Le spese devono essere sostenute dopo la presentazione della domanda (o dopo la costituzione dell’impresa/società nel caso di team di persone) e i beni agevolati non possono essere trasferiti dalla sede aziendale, né alienati o destinati ad usi diversi per i successivi 5 anni dal completamento del programma di spesa e comunque non prima della completa restituzione del finanziamento bancario.

Sono escluse invece le spese relative a:

·         beni acquistati con il sistema della locazione finanziaria, leasing e leaseback;

·         beni di proprietà di uno o più soci del beneficiario, e nel caso di soci persone fisiche, anche dei relativi coniugi o di parenti o affini entro dei soci entro il terzo grado;

·         investimenti di mera sostituzione di impianti macchinari ed attrezzature;

·         il cosiddetto “contratto chiavi in mano”;

·         commesse interne;

·         macchinari, impianti ed attrezzature usati;

·         spese notarili, imposte e tasse;

·         acquisto di automezzi, tranne quelli strettamente necessari al ciclo di produzione o destinati al trasporto in conservazione condizionata dei prodotti;

·         acquisto beni di importo unitario inferiore ai 500 € con eccezione delle spese relative al capitale circolante;

·         progettazione, consulenze ed erogazione delle retribuzioni ai dipendenti;

·         scorte, tasse ed imposte (l’IVA effettivamente sostenuta dal soggetto beneficiario è ammissibile solo se non è da egli stesso recuperabile).

Le agevolazioni sono concesse sulla base di una procedura valutativa con procedimento a sportello, quindi le domande vengono valutate e finanziate in ordine di arrivo fino all’esaurimento delle risorse disponibili senza scadenze ne graduatorie: le domande potranno essere presentate a partire dal 15 gennaio 2018 e devono essere compilate esclusivamente in via elettronica, utilizzando la procedura informatica messa a disposizione del sito internet del soggetto gestore INVITALIA, sezione Resto al Sud (www. Invitalia. It). Per poter accedere alla procedura, viene richiesta l’identificazione del compilatore online tramite il Sistema pubblico di identità digitale (SPID) o la Carta Nazionale dei servizi (CNS) o in alternativa il sistema di gestione delle identità digitali di Invitalia. è necessario registrarsi sulla piattaforma dedicata e disporre di una firma digitale e di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) , la domanda è costituita dal progetto imprenditoriale e dalla documentazione da allegare, con la modulistica presente nel sito. Le domande devono essere firmate digitalmente dal legale rappresentante della PMI o dalla persona fisica in caso di PMI da costruire.

La valutazione delle istanze si articola in due fasi: una diretta a verificare il possesso dei requisiti, l’altra relativa alle competenze dei soci e alla fattibilità economico-finanziaria del progetto; è previsto anche un colloquio con gli esperti di INVITALIA a cui devono partecipare obbligatoriamente tutti i soggetti del team imprenditoriale. La valutazione si basa su una serie di criteri:

·         adeguatezza e coerenza delle competenze possedute dai soci, rispetto alla specifica attività prevista dal progetto imprenditoriale anche con riguardo a titoli e certificazioni possedute;

·         capacità dell’iniziativa di presidiare gli aspetti del processo tecnico-produttivo e organizzativo;

·         potenzialità del mercato di riferimento, vantaggio competitivo dell’iniziativa e relative strategie di marketing;

·         sostenibilità tecnico-economica dell’iniziativa con riferimento all’equilibrio economico nonché alla pertinenza e coerenza del programma di spesa;

·         verifica della sussistenza dei requisiti per la concedibilità della garanzia del Fondo centrale per le PMI.

Ciascun soggetto richiedente potrà ricevere un finanziamento fino ad un massimo di € 50. 000, se invece  l’istanza viene presentata da più soggetti richiedenti, già costituiti o che intendono costituirsi in forma societaria, l’importo massimo del finanziamento è pari ad € 50. 000 per ciascun soggetto fino ad un ammontare massimo complessivo di € 200. 000; per le attività imprenditoriali nel settore della pesca e dell’acquacoltura, l’importo complessivo degli aiuti de minimis non potrà superare per ciascuna impresa beneficiaria delle agevolazioni, € 30. 000 nell’arco di tre esercizi finanziari.

Il finanziamento copre il 100% delle spese ammissibili e viene concesso per il 35% in forma di contributo a fondo perduto erogato dal soggetto gestore e per il 65% sotto forma di finanziamento bancario agevolato, da rimborsare entro 8 anni. Gli interessi vengono abbattuti tramite un contributo in conto interessi erogato sempre da INVITALIA, mentre l’intervento del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI permette di coprire fino all’80% del finanziamento bancario.    

Al termine della valutazione, che mediamente dura due mesi, l’esito viene comunicato via PEC al beneficiario che entro 60 giorni deve inviare la documentazione per dimostrare la costituzione dell’impresa ed entro 180 giorni la concessione del finanziamento bancario; i finanziamenti possono essere richiesti sono alle banche aderenti alla convezione Invitalia-ABI che si impegnano a concludere l’istruttoria entro 45 giorni dalla richiesta o per i richiedenti non ancora costituiti in società entro 45 giorni dalla data di costituzione.

Il contributo a fondo perduto invece viene erogato da INVITALIA per stati di avanzamento lavoro (SAL) una volta realizzato almeno il 50% del progetto e ricevuto il finanziamento bancario; il primo SAL può essere richiesto anche a fronte di fatture non quietanziate e l’aiuto viene erogato entro 30 giorni dalla data di ricezione di tutta la documentazione. Il SAL a saldo viene erogato invece entro 60 giorni dalla richiesta dopo un esame della documentazione e a seguito di un sopralluogo per verificare gli investimenti realizzati e le spese che sono state sostenute.

Sebbene le richieste vengano valutate in ordine cronologico di arrivo, INVITALIA sottolinea che la dotazione finanziaria della misura è molto consistente e non conta la velocità di invio delle istanze m a per avere più chance di ottenere il finanziamento sono fondamentali credibilità e accuratezza del progetto imprenditoriale.

Il licenziamento illegittimo

0

Il licenziamento intimato in violazione dei regimi formali e sostanziali è illegittimo: la mancanza del requisito sostanziale rende il licenziamento annullabile mentre la mancanza del requisito formale lo rende inefficace. In capo a queste violazioni troveranno applicazione conseguenze sanzionatorie differenti: occorre innanzitutto distinguere tra imprese piccole e imprese medio/grandi e le disposizioni della D. Lgs 23/2015 si affiancano a quelle degli art. 18 L. 300/1970 e 8 della L. 604/1966, sarà quindi possibile distinguere due complessi sanzionatori che per semplicità potremo definire “nuovo” e “vecchio”.

Il licenziamento illegittimo

Le varie ipotesi di licenziamento illegittimo e le conseguenze sanzionatorie

Il licenziamento intimato in violazione dei regimi formali e sostanziali è illegittimo: la mancanza del requisito sostanziale rende il licenziamento annullabile mentre la mancanza del requisito formale lo rende inefficace. In capo a queste violazioni troveranno applicazione conseguenze sanzionatorie differenti: occorre innanzitutto distinguere tra imprese piccole e imprese medio/grandi e le disposizioni della D. Lgs 23/2015 si affiancano a quelle degli art. 18 L. 300/1970 e 8 della L. 604/1966, sarà quindi possibile distinguere due complessi sanzionatori che per semplicità potremo definire “nuovo” e “vecchio”.

Il licenziamento per motivi discriminatori o altri motivi illeciti, è nullo ed è sottoposto ad un regime sanzionatorio che non tiene conto delle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, è applicato anche al licenziamento orale e non presenta sostanziali differenze tra vecchio e nuovo. Per effetto della legge di bilancio 2018, il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del lavoratore o della lavoratrice che ha presentato denuncia di molestie sessuali sul luogo di lavoro è nullo, salvo il caso in cui il denunciante abbia commesso reato di calunnia o diffamazione o la denuncia è infondata.

Il regime sanzionatorio del licenziamento ingiustificato o inefficace (non orali) si distingue in base alle dimensioni del datore di lavoro: l’ordinamento distingue tra imprese medio/grandi e piccole imprese e a tal fine occorre far riferimento alle disposizioni indicate dall’articolo 18 L. 300/1970 al comma 8, valido per tutti i licenziamenti indipendentemente dal regime sanzionatorio vecchio o nuovo, applicabile; le imprese sono considerate medio grandi quando:

·         in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, nel quale ha avuto luogo il licenziamento, occupa alle sue dipendenze almeno 15 risorse umane o più di 5 se si tratta di impresa agricola;

·         nell’ambito dello stesso comune occupa alle sue dipendenze più di 15 risorse umane  e se è impresa agricola più di 5 lavoratori anche se ogni unità produttiva, considerata singolarmente non raggiunge questi limiti, ( per unità produttiva si intende ogni articolazione autonoma che sotto il profilo funzionale e finalistico è idonea ad esplicare in tutto o in parte l’attività dell’impresa e quindi è dotata dell’autonomia necessaria e di tutti gli strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività produttiva dell’impresa stessa)

·         in ogni caso occupa più di 60 risorse umane.

Le imprese che invece non raggiungono questi limiti sono considerate piccole imprese; al fine del computo dei lavoratori verranno presi in considerazione:

·         i lavoratori assunti a tempo indeterminato e quelli assunti con contratto a tempo indeterminato part-time che verranno calcolati facendo riferimento alla quota di orario effettivamente svolto tenendo conto che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva nazionale del settore;

·         i lavoratori delle società cooperative di produzione e lavoro che hanno sottoscritto un contratto di lavoro a tempo indeterminato;

·         i lavoratori assunti a tempo determinato;

·         i lavoratori a domicilio;

·         i lavoratori sportivi professionisti.

Il calcolo non andrà effettuato nel momento in cui avviene il licenziamento ma avendo  come parametro di riferimento la normale occupazione nel periodo antecedente (ultimi 6 mesi) senza tenere in considerazione temporanee contrazioni di personale; non si terranno invece in considerazione ai fini del computo il coniuge a cui è equiparata la parte dell’unione civile e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado, in linea diretta e in linea collaterale, gli apprendisti, i lavoratori somministrati, i lavoratori con contratto di reinserimento, i lavoratori impiegati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità.

Il regime sanzionatorio, dei licenziamenti individuali illegittimi disciplinato dal D. Lgs 23/2015, fermo restando la distinzione tra piccole e medie imprese, si applica ai lavoratori con qualifica di operai, impiegati e quadri assunti con CATUC a decorrere dal 07/03/2015 ma anche in caso di conversione di un contratto da tempo determinato a tempo indeterminato  effettuato dopo tale data; trova inoltre applicazione anche per i lavoratori assunti prima del 07/03/2015 che lavorano alle dipendenze di piccole imprese e in conseguenza di azioni successive alla predetta data, integrino i requisiti dimensionali indicati dall’articolo 18.

Il vecchio regime sanzionatorio è articolato su 5 diversi livelli:

·         tutela reale piena (o risarcimento pieno) per le ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo od orale che prevede per il lavoratore la reintegrazione sul posto di lavoro e il diritto ad ottenere il risarcimento del danno, senza determinazione ex lege di limiti massimi;

·         tutela reale limitata (o risarcimento limitato o tutela reale attenuata) in caso di licenziamento ingiustificato più grave nel quale il lavoratore ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro e al risarcimento del danno fino ad un massimo di 12 mensilità;

·         tutela risarcitoria forte (o indennitaria forte) per i casi di licenziamento ingiustificato meno gravi, che prevede il diritto per il lavoratore al risarcimento del danno in una misura compresa tra le 12 e le 24 mensilità;

·         tutela risarcitoria debole (o indennitaria debole) per i casi di licenziamento inefficaci per motivi diversi dall’assenza di forma scritta che prevede il diritto al risarcimento del danno in una misura compresa tra le 6 e le 12 mensilità;

·         tutela obbligatoria per i casi di licenziamento ingiustificato che prevede la riassunzione del lavoratore o in alternativa il risarcimento del danno entro un limite minimo ed uno massimo.

La tutela reale piena si applica indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, mentre le successive si applicano alle medio/grandi imprese, la tutela obbligatoria invece si applica alle piccole imprese.

Il nuovo regime sanzionatorio introdotto con il D. Lgs 4-3-2015 n. 23 si articola come quello vecchio su 5 livelli:

·         tutela reale piena (o risarcimento pieno) per le ipotesi di licenziamento discriminatorio o nullo per espressa previsione di legge, oppure orale che prevede il diritto del lavoratore ad essere reintegrato ed ad ottenere il risarcimento del danno senza determinazione di limiti massimi;

·         tutela reale limitata (o risarcimento limitato o tutela reale attenuata) in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo nel quale è direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, prevede il diritto dello stesso ad essere reintegrato sul posto di lavoro ed ad essere risarcito in misura non superiore alle 12 mensilità;

·         tutela risarcitoria forte (o indennitaria forte) che si applica in tutte le altre ipotesi di licenziamento ingiustificato non comprese nella tutela reale limitata ,che prevede il diritto del lavoratore al pagamento di un’indennità di importo pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio in una  misura comunque compresa tra 4 e 24 mensilità;

·         tutela risarcitoria debole (o indennitaria debole) nei casi di licenziamento inefficace per vizi diversi dall’assenza di forma scritta che prevede il diritto del lavoratore al pagamento di una indennità di importo pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque compresa tra le 2e le 12 mensilità;

·         tutela risarcitoria dimezzata nei casi di licenziamento ingiustificato o inefficace che prevede il dimezzamento dell’importo dell’indennità risarcitoria prevista nei casi di applicazione della tutela risarcitoria forte o debole.

La tutela reale e piena si applica a prescindere dalle dimensioni aziendali, le successive si applicano alle imprese medio/grandi mentre quella dimezzata si applica alle imprese di piccole dimensioni.

In caso di appalto, ai fini del computo dell’indennità risarcitoria, si tiene conto dell’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa che subentra, si computa tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata e per le frazioni di anno di anzianità di servizio, le indennità e l’importo sono proporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni, si computano come mese intero.

In tutti i casi in cuoi viene accertata l’illegittimità del licenziamento e viene riconosciuto il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro (tutela reale piena e tutela reale limitata) il lavoratore può rinunciarvi optando in sostituzione ad un’indennità pari a 15 mensilità (opting out), non assoggettata a contribuzione previdenziale. Il diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione sul posto di lavoro nonché i termini e le modalità per esercitarlo, sono gli stessi sia per i lavoratori a cui si applica il vecchio regime sanzionatorio sia ai lavoratori a cui si applica il nuovo, cosi come in entrambe le ipotesi la richiesta dell’indennità determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

Ricevuto dal giudice l’odine di reintegrare il lavoratore, il datore di lavoro dovrà invitarlo a riprendere servizio se però il lavoratore entro 30 giorni non si presenta, il rapporto di lavoro si intende risolto: in ogni caso entro questo termine il lavoratore potrà chiedere al datore di lavoro la corresponsione dell’indennità sostitutiva. Anche in mancanza di invito il lavoratore potrà chiedere il pagamento di questa indennità ma il termine di 30 giorni per l’esercizio dell’opzione decorre dal momento in cui viene comunicata la sentenza. Il parametro per determinare l’indennità sostitutiva è diverso nei due regime perché in quello vecchio l’indennità sostitutiva è rapportata all’ultima retribuzione globale di fatto mentre in quello nuovo all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

La legge 604/1966 disciplina le modalità di impugnazione del licenziamento che il lavoratore deve seguire se intende contestare la legittimità: il licenziamento dovrà innanzitutto essere impugnato entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla ricezione in forma scritta,  con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà; entro i successivi 180 giorni, a pena di inefficacia dell’impugnazione, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale o comunicare alla controparte la richiesta di conciliazione o arbitrato.

In questa seconda ipotesi se la conciliazione o l’arbitrato sono rifiutati o se non è stato raggiunto l’accordo, entro 60 giorni dal rifiuto o mancato accordo, dovrà essere depositato a pena di decadenza il ricorso giudiziale; questo sistema di impugnazione si applica in tutti i casi di licenziamento invalido o ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

Il D. Lgs. 23/2015 prevede una nuova modalità conciliativa delle controversie in tema di licenziamento dei lavoratori assunti con contratto di lavoro a tutele crescenti cioè assunti a partire dal 7/03/2015 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la conciliazione si applica anche ai lavoratori interessati ad una trasformazione da contratto a tempo determinato ma tempo indeterminato, agli apprendisti in qualifica e ai lavoratori assunti prima del 7/3/2015 da aziende che dopo questa data superato la soglia dei 15 dipendenti.

Nel termine previsto per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, il datore di lavoro può offrire al lavoratore un importo pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo TFR per ogni anno di servizio, compresa tra 2 e 18 mensilità se è un’impresa con più di 15 dipendenti oppure un importo pari a 0. 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, per ogni anno di servizio in misura tra 1 e 6 mensilità nelle imprese fino a 15 dipendenti. Questa somma dovrà essere corrisposta dal datore di lavoro in base a questi criteri e non sarà soggetta né ad imposizione fiscale nè a contribuzione previdenziale. La corresponsione avverrà tramite assegno circolare  e una volta accettato comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche se già proposta.

La revoca del licenziamento è disciplinata dall’articolo 18 comma 10 L. 300/1970 se soggetto al vecchio regime e dall’articolo 5 D. Lgs 23/2015 se soggetto al nuovo regime: il datore di lavoro può revocare il recesso entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione da parte del lavoratore e il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca e non trovano applicazione i regimi sanzionatori.

Contabilità semplificata per cassa: obblighi e registri contabili

0

Una delle novità più rilevanti che è stata inserita nella legge di bilancio per il 2017 è la riforma della disciplina contabile e fiscale che ha avuto un notevole impatto per le imprese di piccole dimensioni: si tratta di una riforma che riguarda le imprese che adottano la contabilità semplificata e che prevede l’abbandono del principio di competenza per la determinazione del reddito, in favore dell’adozione del principio di cassa cosi come previsto per i redditi da lavoro autonomo.  

Contabilità semplificata per cassa: obblighi e registri contabili

Regime contabile semplificato per cassa: cos’è e come funziona

Una delle novità più rilevanti che è stata inserita nella legge di bilancio per il 2017 è la riforma della disciplina contabile e fiscale che ha avuto un notevole impatto per le imprese di piccole dimensioni: si tratta di una riforma che riguarda le imprese che adottano la contabilità semplificata e che prevede l’abbandono del principio di competenza per la determinazione del reddito, in favore dell’adozione del principio di cassa cosi come previsto per i redditi da lavoro autonomo. Sono state apportate modifiche agli articoli: 66 del T. U. I. R (imposte dirette); – 5-bis del D. Lgs. 446/1997 (Irap); – 18 del D. P. R. 600/1973 (obblighi contabili).

Le contabilità semplificate per cassa sono una novità che equipara la tenuta contabile e fiscale di commercianti ed artigiani a quella già oggi in vigore per i professionisti: il reddito della contabilità semplificata per cassa viene determinato facendo riferimento ai ricavi effettivamente incassati a prescindere dalla competenza economica; i soggetti interessati sono le imprese individuali e le società di perone che non sono obbligate alla tenuta della contabilità ordinaria e che determinano il loro reddito sulla base dell’articolo 66 del Tuir, quindi si tratta di quei soggetti che nell’anno precedente (primo a cui si applica il nuovo regime) hanno un ammontare di ricavi non superiore a 400. 000 € per le imprese che hanno ad oggetto prestazione di servizi e 700. 000 per le altre attività.

Ai fini della determinazione del reddito d’impresa assumono rilevanza i ricavi percepiti e le spese sostenute derogando al criterio di competenza sia per i ricavi che per le spese; restano in vigore le regole di determinazione ed imputazione temporale dei componenti positivi e negativi quali plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, ammortamenti e accantonamenti, avremo quindi un regime misto cassa/competenza.

Con la legge di stabilità dello scorso anno è stata introdotta una novità assoluta per artigiani e commercianti che operano con il regime di contabilità semplificata che è rappresentata dall’introduzione del criterio di “equità fiscale”, per cui le imprese minori determinano il reddito da assoggettate ad imposizione fiscale facendo riferimento solo a ciò che hanno effettivamente incassato; per poter determinare il reddito avremo un regime misto cassa/competenza, derogando al criterio della competenza i ricavi percepiti e le spese sostenute a favore di un criterio di cassa e mantenendo invece il criterio di competenza per tutti gli altri elementi positivi e negativi di reddito come plusvalenze, minusvalenze, ammortamenti, leasing, accantonamenti.

Inizialmente i contribuenti titolari di partita IVA nel regime contabile semplificato che svolgevano attività commerciale ed artigianale determinavano il reddito secondo il principio della competenza economica a prescindere dal momento dell’effettivo incasso della fattura; questa circostanza poteva creare gravi differenze nel ciclo finanziario di questi contribuenti soprattutto nel momento in cui i clienti si rivelavano ritardatari, quindi  per cercare di ovviare a tutto questo, la legge di stabilità 2017 ha introdotto una regola rivoluzionaria per gli artigiani ed i commercianti che operano in contabilità semplificata: il loro reddito può essere determinato secondo il “principio (regime) di cassa” quindi come abbiamo detto in precedenza il relativo reddito si calcolerà esclusivamente con riferimento a quanto effettivamente incassato, come nel caso dei professionisti, a prescindere dalla relativa competenza economica.

Il regime di contabilità ordinaria semplificata si estende di anno in anno se non vengono superati i limiti di 400. 000/700. 000 di cui al comma 1 dell’articolo 18 e il contribuente ha la facoltà di optare per la contabilità ordinaria: l’opzione avrà effetto dal momento in cui inizia il periodo d’imposta nel corso del quale è esercitata e fino alla sua revoca, e in ogni caso per il periodo stesso ed i due successivi. Il principio di cassa può essere derogato tramite una speciale opzione scegliendo un regime che prevede che la registrazione delle fatture coincida con l’incasso o il pagamento. Il contribuente avrà quindi la possibilità previa opzione vincolante per almeno un triennio, di tenere i registri IVA senza operare le annotazioni relative ad incassi e pagamenti ma indicando separatamente le operazioni non soggette ad Iva.

Le imprese minori avranno 3 possibilità di tenere la contabilità di cassa:

·         istituire i registi IVA, ove obbligatori e in aggiunta appositi registri degli incassi e dei pagamenti dove annotare in ordine cronologico costi e ricavi;

·         usare i registri IVA, anche ai fini delle imposte sul reddito, annotando separatamente le operazioni non soggette a registrazione IVA ed effettuando allo stesso tempo le annotazioni necessarie a dare rilevanza ai mancati incassi e pagamenti nell’anno di registrazione del documento contabile ai fini IVA;

·         usare i registri IVA anche ai fini delle imposte sul reddito prevedendo una specifica opzione che consenta loro di non annotare incassi e pagamenti; in questo caso avremo una presunzione assoluta  secondo cui il ricavo si intende incassato e il costo pagato alla data di registrazione del documento contabile ai fini IVA.

Il regime contabile che può essere usato da un contribuente titolare di partita IVA non è altro che l’insieme delle regole che ne disciplinano il funzionamento contabile e fiscale; oggi i titolari di partita IVA possono avvalersi di tre differenti regimi contabili, così come indicato nella seguente tabella:

REGIME CONTABILE

LIMITE RICAVI ATTIVITA’ DI PRESTAZIONI DI SERVIZI

LIMITE RICAVI DI ALTRE ATTIVITA’

Regime semplificato delle imprese minori

Ricavi < € 400. 000

Ricavi < € 700. 000

Regime contabile ordinario

Ricavi > €400. 000

Ricavi > € 700. 000

Regime contabile forfettario (agevolato)

Ricavi max. € 30. 000

Ricavi max. € 50. 000

 

Per il regime forfettario sono comunque previsti diversi limiti di ricavo collegati al codice Ateco dell’attività svolta.

Ai fini della determinazione del reddito fiscale delle imprese in contabilità semplificata è possibile avvalersi dei tre nuovi metodi previsti dal nuovo articolo 18 del d. P. R. 600/1973:

·         Registro degli incassi e pagamenti (RIP);

·         Registri IVA integrati (RII)

·         Registri IVA con opzione comma 5.

Il calcolo del reddito semplificato sulla base del registro incassi e pagamenti è il metodo più complesso perché aumenta i controlli dei movimenti finanziari, rendendo questa contabilità molto più vicina a quella del regime ordinario piuttosto che a quella del regime semplificato ma potrebbe essere comunque vantaggioso adottarlo per i contribuenti che si avvalgono del regime IVA per cassa.

Il sistema di calcolo secondo i registri IVA integrati prevede che, come per i professionisti, i costi fuori campo IVA, oltre alle fatture emesse e ricevute, dovranno essere annotati; alla fine dell’esercizio occorre annotare le fatture (già registrate ai fini IVA), per le quali non è avvenuto il pagamento o la riscossione. Il calcolo del reddito da indicare nel quadro RG della dichiarazione dei redditi avverrà per differenza fra questi ulteriori due valori.

Il calcolo del reddito semplificato in base al metodo della registrazione o metodo opzione comma 5 è sicuramente quello più adatto per i dettaglianti cioè per coloro che normalmente incassano subito il corrispettivo come bar, parrucchieri ma pagano con piccole dilazioni i loro fornitori: il nuovo articolo 18 d. P. R. 600/1973 prevede che previa opzione, vincolante per almeno un triennio, i contribuenti possono tenere i registri ai fini dell’imposta sul valore aggiunto senza operare annotazioni relative ad incassi e pagamenti, fermo restando l’obbligo della separata annotazione delle operazioni che non sono soggette a registrazioni ai fini della suddetta imposta, in tal caso per finalità di semplificazione si presume che la data di registrazione dei documenti coinciderà con quella del relativo incasso o pagamento.

La riforma in esame non ha però previsto la riformulazione del regime delle perdite fiscali che restano utilizzabili in riduzione del reddito complessivo, nel limite del loro ammontare senza la possibilità di riportare l’eccedenza nei periodi d’imposta successivi: la disciplina delle perdite comporta che le imprese minori, sia individuali che società di persone, ed i lavoratori autonomi che nel 2017 hanno rilevato una perdita, dovranno tenere conto sia delle perdite derivanti dall’esercizio di imprese in contabilità semplificata e dall’esercizio di arti e professioni sia delle perdite derivanti dall’esercizio di imprese individuali e dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice che hanno optato per la contabilità ordinaria.

Nel primo caso, le imprese e coloro che svolgono arti e professioni in contabilità semplificata, potranno usare nel modello redditi 2018 le eventuali perdite che hanno prodotto a riduzione del reddito complessivo sino a concorrenza di quest’ultimo in una logica di compensazione orizzontale cioè la perdita potrà essere portata a riduzione degli altri redditi prodotti dallo stesso contribuente nello stesso periodo di imposta anche in relazione ad altre categorie reddituali effettuando la diretta riduzione del reddito complessivo. La parte eccedente della perdita rispetto agli altri redditi non potrà essere riportata nei periodi d’imposta successivi e di conseguenza la differenza andrà definitivamente persa. Ad esempio se una persona fisica ha un reddito da lavoratore subordinato ma allo stesso tempo esercita un’attività d’impresa in regime di contabilità semplificata e come reddito da lavoro subordinato ha € 12. 000 mentre come reddito d’impresa o di partecipazione ha -€20. 000, il reddito complessivo sarà rappresentato dalla somma algebrica delle due tipologie di reddito e la differenza negativa pari ad € 6. 000 rappresenta una perdita che non potrà essere riportata fiscalmente a nuovo.

Se il contribuente adotta la contabilità ordinaria, il regime delle perdite è completamente differente perché le regole prevedono che se il risultato fiscale dell’esercizio dà luogo ad una perdita, essa potrà essere compensata esclusivamente con gli altri redditi della stessa natura e l’eventuale eccedenza potrà essere riportata negli esercizi successivi per essere compensata con redditi della stessa categoria.

Se la perdita avviene nei primi tre periodi d’imposta di una nuova attività potrà essere compensata senza alcun limite temporale, in tutti gli altri casi invece dal quarto esercizio, o se si tratta di prosecuzione di attività d’impresa preesistente, entro il quinto anno successivo alla sua formazione.

Con la contabilità ordinaria, la compensazione o l’imputazione della perdita d’impresa in diminuzione di altri redditi della stessa natura conseguiti nell’anno di imposta e in caso di incapienza viene riconosciuta la possibilità di riportare la perdita fiscale residua nei successivi periodi d’imposta, ma non oltre il quinto per poterla compensare con futuri redditi sino a concorrenza degli stessi.

La nuova normativa introduce il nuovo 2° comma dell’articolo 18 del d. P. R. 600/73 istituendo due nuovi registri contabili obbligatori su cui annotare ricavi incassati e costi pagati; le registrazioni contabili dovranno essere eseguite secondo il criterio cronologico: data incassi e pagamenti, ricevuti od effettuati e per ciascuna operazione dovranno contemporaneamente indicare l’importo dell’incasso, le generalità del soggetto che ha effettuato il pagamento o a cui è stato fatto il pagamento e gli estremi del documento pagato o incassato.

La nuova normativa consente anche un ulteriore possibilità e cioè quella di optare per almeno tre anni ad un regime particolare in cui la registrazione contabile del documento equivale all’incasso o al pagamento dello stesso; questa opzione ovviamente semplifica parecchio il meccanismo di funzionamento del nuovo regime delle contabilità semplificate per cassa 2017.

Il licenziamento del lavoratore

0

Il codice civile prevedeva una libertà di recesso da parte sia del datore di lavoro che del lavoratore legati da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ponendoli così su un piano di parità, la Costituzione al contrario stabilisce sia il principio dell’equità sostanziale che quello della tutela del lavoro, ponendo così le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto dei licenziamenti immotivati. La legge 15-7-1966 n. 604 ha introdotto per la prima volta una disciplina limitativa dei licenziamenti individuali con applicazione però solo nelle aziende con più di 35 dipendenti determinandone l’illegittimità se non  erano sorretti da giusta causa o giustificato motivo.

Il licenziamento del lavoratore

Cenni Storici e le varie tipologie di licenziamento

Il codice civile prevedeva una libertà di recesso da parte sia del datore di lavoro che del lavoratore legati da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ponendoli così su un piano di parità; la Costituzione, al contrario, stabilisce sia il principio dell’equità sostanziale che quello della tutela del lavoro, ponendo così le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto dei licenziamenti immotivati. La legge 15-7-1966 n. 604 ha introdotto per la prima volta una disciplina limitativa dei licenziamenti individuali con applicazione però solo nelle aziende con più di 35 dipendenti determinandone l’illegittimità se non erano sorretti da giusta causa o giustificato motivo.

Un importante passo in avanti è stato compiuto con la legge 20-5-1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) che all’articolo 18 ha previsto la reintegrazione del lavoratore se viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivo; la legge 11-5-1990 n. 108 ha dato un nuovo assetto alla normativa dei licenziamenti innovando la legge 604/1966 e modificando l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori estendendo anche alle piccole imprese la disciplina del recesso per giusta causa o giustificato motivo prevedendo l’obbligo di riassunzione o il risarcimento del danno subito dal lavoratore; per le grandi imprese ha invece ampliato la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro.

Nel 2012 il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi viene riformulato con la legge Fornero che introduce la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) in tutti i casi di illegittimità: prima della legge Fornero i lavoratori illegittimamente licenziati potevano aver diritto alla tutela reale nelle le aziende con più di 15 dipendenti con diritto quindi alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno mentre nelle aziende fino a 15 dipendenti avevano diritto alla tutela obbligatoria con diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno. La riforma riscrive l’art. 18 prevedendo la tutela reale in caso di licenziamento ingiustificato, illecito o nullo. Rimane invece invariata la tutela obbligatoria nelle aziende fino a 15 dipendenti.

La legge 10-12-2014 n. 183, cd. Jobs Act, delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi che prevedano per le nuove assunzioni il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio con:

·         esclusione per i licenziamenti economici, della reintegrazione nel posto di lavoro e riconoscimento solo di un indennizzo certo e crescente con l’anzianità di servizio;

·         diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro in caso di licenziamento nullo e discriminatorio;

·         diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, in alcune fattispecie di licenziamento disciplinare.

In attuazione della legge viene emanato il D. Lgs. 4-3-2018 che introduce un sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi completo che si affianca a quello previsto dall’articolo 18 L. 300/1970 e dall’articolo 8 L. 604/1966.

La disciplina del licenziamento trova applicazione nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, sia nella sua forma tradizionale che in quella a tutele crescenti; questa disciplina impone, ai fini della legittimità dell’atto di recesso datoriale, il rispetto di requisiti sostanziali e formali: i requisiti sostanziali riguardano l’obbligo di una causa giustificabile del recesso e quindi il licenziamento non potrà avvenire se non per giusta causa o per giustificato  motivo.

I requisiti formali riguardano invece la forma e il contenuto dell’atto di recesso e la procedura di comunicazione che sarà diversa a seconda della causa giustificatrice o delle dimensioni occupazionali dell’azienda; in base alla legge del 1966 l’onere di dimostrare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo spetta al datore di lavoro: in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, soggetto alla disciplina del D Lgs. 23/2015, per poter ottenere la tutela reale, il lavoratore è tenuto a dimostrare direttamente l’inesistenza del fatto materiale che gli viene contestato dal datore di lavoro visto che è l’unica ipotesi in cui è prevista la reintegrazione sul posto di lavoro.

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà dimostrate non solo l’effettività delle ragioni poste alla base del licenziamento ma anche l’impossibilità di una diversa utilizzazione proficua dei lavoratori licenziati

L’articolo 2119 C. C. Disciplina la giusta causa come “una causa che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto”; si tratta di un qualsiasi fatto di oggettiva gravità riferibile sia alla sfera contrattuale che extracontrattuale. ; possono dar vita ad una giusta causa di licenziamento anche comportamenti diversi dall’inadempimento contrattuale se fanno venir meno la fiducia su cui si basa il rapporto di lavoro.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo si ha quando si configura un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore: si tratta di fatti o comportamenti colposi del lavoratore attinenti al rapporto di lavoro che, anche se meno gravi rispetto all’ipotesi di giusta causa, sono tali da far venire meno la fiducia da parte del datore di lavoro e fargli dubitare dell’attitudine del lavoratore all’espletamento delle sue mansioni.

Il giustificato motivo soggettivo differisce quindi dalla giusta causa per la gravità del fatto che viene addebitato al lavoratore e per le conseguenze che ne derivano: nel primo caso il datore di lavoro è tenuto al rispetto del periodo di preavviso o a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva, nel secondo caso invece tale obbligo non sussiste ed il recesso è immediato. Il licenziamento motivato dall’inadempimento degli obblighi previsti nel contratto di lavoro si qualifica come licenziamento disciplinare e si risolve con la più grave sanzione adottabile dal datore di lavoro; in questo caso la legittimità del licenziamento è subordinata all’osservanza dei requisiti stabiliti dalla L. 604/1966 e dallo Statuto dei lavoratori che stabilisce le modalità di irrogazione delle sanzioni disciplinari.

Il licenziamento disciplinare è considerato legittimo quando:

·         è contemplato dal codice disciplinare; non è necessario che il codice disciplinare venga affisso in tutti i casi in cui il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito perché contrario al c. D. Minimo etico o a norme che hanno rilevanza penale e pertanto si rende conto da solo della gravità della propria condotta.

·         è formalmente contestato l’addebito al lavoratore;

·         è consentito al lavoratore di essere ascoltato e quindi di difendersi;

·         il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante del sindacato.

Il licenziamento può essere intimato anche per fatti inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa; l’imprenditore infatti è libero di determinare l’assetto aziendale più consono alle esigenze produttive, anche se questo comporta uno o più licenziamenti. Al giustificato motivo oggettivo si possono ricondurre anche fatti attinenti alla sfera del lavoratore ma a lui non imputabili a titolo di colpa che hanno una ricaduta sull’organizzazione aziendale e legittimano l’interruzione del rapporto.

La differenza tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, riguarda l’elemento della colpa: in entrambi i casi infatti si pone alla base del recesso l’inadempimento contrattuale con la differenza che nel primo caso il lavoratore non ha colpa mentre nel secondo caso si. La giurisprudenza stabilisce che in caso di licenziamento per motivo oggettivo il datore di lavoro dovrà prima verificare se il lavoratore può essere proficuamente utilizzato in altro modo (obbligo di repèchage). Nel caso in cui ci siano più licenziamenti (5 in 120giorni) si parlerà di licenziamento collettivo per riduzione del personale, in caso contrario il licenziamento, anche se coinvolge più lavoratori è definito individuale personale e  troverà applicazione la relativa disciplina ; non esiste una sostanziale differenza tra i due tipi di licenziamento, se non il fatto che in caso di licenziamento collettivo la legge richiede il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e la ricerca di soluzioni  alternative.

Il licenziamento del lavoratore è vietato nei seguenti casi:

·         matrimonio della lavoratrice: il licenziamento non può essere intimato nel periodo compreso tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio;

·         stato di gravidanza o puerperio: opera dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino;

·         infortunio o malattia: il divieto dura per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi;

·         in caso di richiamo alle armi non potrà essere intimato prima di tre mesi dalla ripresa dell’occupazione.

è inoltre vietato anche il licenziamento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, dei candidati e membri di commissione interna, fino ad un anno dalla cessazione dell’incarico (tre mesi per i candidati non eletti), dei lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni o lavoratori che esercitano il loro diritto di sciopero.

Il periodo in cui vige il divieto di licenziamento è definito periodo di comporto e la sua durata viene definita dalla contrattazione collettiva.

Il licenziamento discriminatorio è il licenziamento che viene determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali o da ragioni connesse all’etnia, alla lingua, al genere,  situazioni di handicap, all’età, orientamento sessuale o convinzioni personali. La legislazione antidiscriminatoria che inizialmente si limitava a reprimere la disparità di trattamento tra uomo e donna ormai copre tutta la gamma dei fattori che sono espressione della sfera personale dell’individuo.  In caso di licenziamento per motivi discriminatori spetta al lavoratore provare l’esistenza del motivo illecito fornendo la dimostrazione del nesso di causalità tra i fatti contestati e l’intento discriminatorio.

Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore anche se dirigente; la forma orale è ammessa per i lavoratori domestici, per gli ultra sessantenni che sono in possesso dei requisiti pensionistici e per i lavoratori in prova. Nella comunicazione dovranno essere indicati obbligatoriamente i motivi che hanno portato al licenziamento mentre in precedenza venivano comunicati solo su richiesta del lavoratore.

In caso di licenziamento disciplinare o per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro deve seguire una specifica procedura: per il licenziamento disciplinare, fermo restando che le sanzioni disciplinari devono essere predeterminate e potate a conoscenza del lavoratore, dovrà contestare preventivamente al lavoratore l’addebito e consentirgli di difendersi con l’assistenza di un rappresentante sindacale. In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro con più di 15 dipendenti deve obbligatoriamente attivare una specifica procedura conciliativa: dovrà inviare alla sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro competente una comunicazione, da trasmettere per conoscenza anche al lavoratore, in cui dichiara la sua intenzione di procedere a licenziamento per motivo oggettivo indicando i motivi e le misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

Entro 7 giorni dal ricevimento della richiesta, l’Ispettorato convoca sia il lavoratore che il datore di lavoro davanti alla commissione di conciliazione, dove le parti potranno essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza a cui sono iscritte o a cui conferiscono mandato  o da un avvocato, consulente del lavoro o  da un componente della rappresentanza sindacale. Le parti durante il processo esamineranno anche soluzioni alternative al recesso e la procedura dovrà concludersi entro 20 giorni dalla trasmissione di comunicazione di convocazione,  a meno che le parti, di comune accordo, non intendano proseguire oltre per cercare di arrivare ad una soluzione. Se il lavoratore non può partecipare all’incontro la procedura potrà essere sospesa per un massimo di 14 giorni.

Se la conciliazione ha dato esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il lavoratore avrà diritto alla NASPI e potrà essere affidato ad un’agenzia per il lavoro, di somministrazione, di supporto alla ricollocazione professionale di intermediazione. Se invece ha dato esito negativo o è decorso vanamente il termine di 7 giorni per la trasmissione della convocazione all’incontro, il datore di lavoro potrà comunicare il licenziamento del lavoratore.

Il giudice in caso di giudizio deve tenere in considerazione il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche nel verbale redatto in sede di commissione provinciale, ai fini della determinazione dell’indennità risarcitoria e della condanna alle spese processuali.

Il licenziamento intimato per procedimento disciplinare o giustificato motivo oggettivo produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, salvo il diritto di preavviso del lavoratore o all’ indennità sostitutiva; il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.

Il contratto di lavoro a tempo determinato

0

Il contratto a tempo determinato rappresenta da sempre, per sua natura, un’eccezione al contratto a tempo indeterminato che costituisce la forma normale e storicamente prevalente del lavoro subordinato

La disciplina del contratto a termine ha subito numerose modifiche nel corso del tempo sia in senso più restrittivo ma anche in alcune circostanze in senso più permissivo, nel suo intento di contrastare la disoccupazione attraverso la flessibilità nella durata del rapporto di lavoro.

Il contratto di lavoro a tempo determinato

Limitazioni e flessibilità nella regolamentazione del contratto di lavoro a tempo determinato.

Il contratto a tempo determinato rappresenta da sempre, per sua natura, un’eccezione al contratto a tempo indeterminato che costituisce la forma normale e storicamente prevalente del lavoro subordinato.

La disciplina del contratto a termine ha subito numerose modifiche nel corso del tempo sia in senso più restrittivo ma anche in alcune circostanze in senso più permissivo, nel suo intento di contrastare la disoccupazione attraverso la flessibilità nella durata del rapporto di lavoro.

Una prima fase legislativa è caratterizzata dal netto sfavore verso le assunzioni a termine: la legge 18-4-1962 n. 230 prevedeva il contratto a termine come un’eccezione, stabilendo una disciplina nettamente restrittiva; successivamente è entrata in vigore una regolamentazione meno rigida dovuta in parte alla diversa impostazione della disciplina Europea: il D. Lgs. 6-9-2011, n. 368, da attuazione alla direttiva99/70/CE superando tutte le precedenti limitazioni e ponendo come unica condizione per la legittimità delle assunzioni a termine la sussistenza di una causa giustificatrice di carattere generale.

La Legge Fornero (L. 92/2012) ha modificato ulteriormente la disciplina del contratto a termine soprattutto per cercare di contrastare la precarietà sempre più diffusa tra i giovani e l’uso ripetuto di questo tipo di contratto: la legge cerca di perseguire queste finalità allungando gli intervalli di tempo tra un contratto a termine e l’altro e riduce i giorni di possibile prosecuzione del rapporto di lavoro dopo la scadenza del termine; rende inoltre sempre più onerosi i rapporti a termine, elevando la contribuzione previdenziale dovuta per essi anche se allo stesso tempo, introduce la possibilità di derogare alla regola della giustificazione dell’assunzione a termine; il contratto a temine, poteva essere acausale solo se si trattava del primo contratto a termine stipulato con quel lavoratore o se ricorrevano le condizioni stabilite dalla contrattazione collettiva.

Il decreto Poletti (D. L. 34/2014 convertito in L. 16-5-2014 n. 78) invece generalizza l’acausalità che la legge Fornero come abbiamo visto limitava solo a due ipotesi, con l’effetto di liberalizzare totalmente le assunzioni a tempo determinato; queste previsioni sono state confermate in seguito dal D. Lgs 81/2015 che, nell’operare il riordino dei contratti di lavoro, detta una nuova disciplina del lavoro a termine. L’ultimo intervento normativo è il decreto dignità (87/2018) che è stato convertito in Legge (96/2018) dal senato il 7 Agosto e le cui disposizioni entreranno in vigore il 1° Novembre 2018.

Il contratto di lavoro a tempo determinato può essere stipulato liberamente, senza che sia necessaria l’esistenza di nessuna causale specifica come disposto dal D. Lgs 36/2011; la legge pone come unico limite alla assunzioni a termine, l’obbligo di contingentamento delle stesse cioè di limitazione delle stesse: nelle imprese che hanno più di 5 dipendenti, salvo diverse previsioni da parte della contrattazione collettiva, il numero complessivo dei contratti a termine stipulati dal datore di lavoro non può superare il 20% dei dipendenti assunti a tempo indeterminato. Il limite del 20% va calcolato facendo riferimento al numero dei dipendenti assunti dal 1° Gennaio dell’anno di assunzione o nel caso di inizio di attività nel corso dell’anno di lavoratori a tempo indeterminato occupati al momento dell’assunzione.   Non vengono tenuti in considerazioni ai fini del calcolo, i lavoratori assunti con contratto di lavoro intermittente senza indennità di disponibilità ma si tengono invece in considerazione i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori part-time in proporzione all’orario svolto.

Nelle imprese fino a 5 dipendenti si può stipulare un solo contratto a termine. In caso di violazione del limite legale, il datore di lavoro è soggetto a pesanti sanzioni amministrative di natura pecuniaria: per ogni lavoratore assunto in eccedenza, la sanzione sarà pari al 50% della retribuzione del lavoratore per ogni mese di lavoro o frazione di mese superiore ai 15 giorni (20% se si tratta di un solo lavoratore in più). è esclusa invece la trasformazione del contratto a tempo indeterminato.  

Vi sono però dei casi in cui non si applica alcun limite quantitativo come per esempio per i contratti a termine aventi ad oggetto lo svolgimento di attività di ricerca scientifica o tecnologica o le assunzioni a termine effettuate il caso di avvio di nuova attività di impresa (start-up innovativa) per il periodo di 4 anni  dalla costituzione della società, non trovano applicazione per i programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive e per il lavoratori di età superiore ai 50 anni per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità.

Affinché l’assunzione a tempo determinato sia valida, è necessaria la forma scritta del contratto che dovrà indicare anche il termine di scadenza del rapporto; una copia dell’atto scritto dovrà essere consegnata al lavoratore assunto, entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. Il termine del contratto può essere riportato direttamente con una data precisa oppure si può far riferimento ad evento futuro che si verificherà ma di cui le parti non conoscono la data certa come ad esempio nel caso di assunzione per sostituzione di un lavoratore assente. In assenza di forma scritta l’apposizione del termine è priva di effetto e il contratto si considera a tempo indeterminato. L’onere della forma scritta è escluso in caso di rapporti di lavoro della durata inferiore ai 12 giorni oppure per i contratti a termine tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato, per i contratti del personale del Servizio Sanitario Nazionale, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi per durata inferiore ai 3 giorni per l’esecuzione di speciali servizi o ancora nelle aziende che esercitano il commercio di esportazione e importazione all’ingrosso, nei contratti a tempo determinato di durata non superiore ai 5 anni stipulati con i dirigenti commerciali e infine per le assunzioni a termine di lavoratori in mobilità.

Le assunzioni a termine sono invece vietate nei seguenti casi:

o   per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

 nelle unità produttive nelle quali nei sei mesi precedenti si è proceduto a licenziamenti collettivi o nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine;

  nelle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza sul lavoro.

In caso di violazione di una di queste disposizioni il contratto si trasformerà a tempo indeterminato.

Sono invece escluse dal divieto di assunzione, le assunzioni a termine per provvedere alla sostituzione di un lavoratore assente per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità e per contratti di durata non superiore ai 3 mesi; il divieto non trova applicazione nei confronti delle imprese che stipulano contratti di solidarietà per evitare o ridurre le eccedenze di personale.

Nel caso in cui la disciplina del contratto a termine venga violata, sarà possibile impugnare il contratto rispettando precisi termini di decadenza: l’impugnazione deve avvenire entro 180 giorni dalla cessazione del contratto stesso; nel caso in cui il giudice accerti l’illegittimità del contratto e si pronuncia per la trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, condannerà il datore di lavoro anche al risarcimento del danno in favore del lavoratore attraverso il pagamento di una indennità onnicomprensiva il cui importo dovrà essere compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

L’importo dell’indennità sarà stabilito dal giudice che terrà conto di alcuni criteri quali il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’azienda, l’anzianità di servizio del lavoratore, il comportamento e le condizioni della parti; tale importo è ridotto della metà nel momento in cui siano stati conclusi in sede nazionale, territoriale o aziendale accordi sindacali che prevedono l’obbligo del datore di lavoro di assumere sulla base di specifiche graduatorie, lavoratori già occupati a tempo determinato.

Il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato, ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo spettante ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato che sono inquadrati nello stesso livello, in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia incompatibile con la natura del contratto a termine; ha diritto inoltre a ricevere una formazione adeguata e necessaria allo svolgimento dell’attività lavorativa al fine di prevenire rischi specifici connessi all’esecuzione del lavoro.

La principale caratteristica del contratto a tempo determinato è che alla scadenza esso si risolve automaticamente; l’articolo 2119 del codice civile disciplina il recesso prima del termine che è ammesso solo se si verifica una causa che non consenta la prosecuzione anche temporanea del rapporto (giusta caus); se il datore di lavoro prima della scadenza, ha licenziato illegittimamente il lavoratore non trova applicazione la tutela contro i licenziamenti illegittimi in quanto non si tratta di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quindi il lavoratore avrà diritto ad un risarcimento del danno commisurato all’ammontare delle retribuzioni non percepite dal momento del recesso alla scadenza prevista del contratto.

Alla scadenza il contratto potrà comunque essere trasformato a tempo indeterminato.

è ammessa la proroga del contratto alla scadenza: in precedenza erano previste fino a 5 proroghe ma con l’entrata in vigore del Decreto Dignità sono ammissibile sono 4 proroghe nell’arco dei 24 mesi e ci deve essere il consenso del lavoratore; in caso di violazione del limite delle proroghe il contratto si trasformerà a tempo indeterminato.

è prevista la possibilità che alla scadenza del contratto il rapporto di lavoro prosegua perché magari c’è la necessità di ultimare le attività lavorative ma in questo caso è necessario rispettare alcuni intervalli di tempo e cioè fino ad ulteriori 30 giorni dalla scadenza se il contratto è di durata pari od inferiore ai 6 mesi se invece ha una durata maggiore fino a 50 giorni; in questo caso il datore di lavoro corrisponderà al lavoratore una maggiorazione della retribuzione che varia in base ai giorni di prosecuzione del rapporto che sarà pari al 20% fino al decimo giorno successivo alla scadenza e pari al 40% per ogni giorno ulteriore. Alla scadenza dei termini massimi consentiti il rapporto deve concludersi altrimenti scatta la trasformazione a tempo indeterminato.

La legge prevede la possibilità di riassumere il lavoratore con un altro contratto a tempo determinato ma devono essere trascorsi almeno 10 giorni se il precedente contratto aveva durata inferiore o pari ai 6 mesi e almeno 20 in caso di durata superiore, anche in questo caso se vengono violati gli intervalli stabiliti dalla legge il secondo contratto si considera a tempo indeterminato (queste disposizioni non valgono per i contratti stagionali).

Salvo diverse disposizioni della contrattazione collettiva il contratto a tempo determinato, sempre sulla base delle nuove disposizioni del Decreto Dignità, non può avere durata superiore ai 12 mesi, ma potrà essere prorogato fino ad un massimo di 24 mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

o   esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività

o   ragioni sostitutive

o   esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria

Il lavoratore che ha prestato la propria attività lavorativa con un contratto a tempo determinato, ha il diritto di precedenza quindi ha diritto ad essere preferito nel caso in cui l’azienda debba procedere a nuove assunzioni: questo diritto è sicuramente un’importante possibilità di stabilizzazione del rapporto di lavoro o comunque di continuità occupazionale nello stesso settore di lavoro; è riconosciuto ai lavoratori assunti a tempo determinato con un contratto di durata superiore ai 6 mesi e riguarda le assunzioni fatte dal datore di lavoro a tempo indeterminato nei 12 mesi successivi e aventi ad oggetto le stesse mansioni già eseguite dal lavoratore. Questo diritto si applica anche ai lavoratori stagionali e alle lavoratrici in congedo di maternità e dovrà essere espressamente richiamato nel contratto di lavoro ed essere esercitato entro 6 mesi dalla scadenza del contratto (3 per i lavoratori stagionali).

Iva sulle caparre si o no?

0

Per abitudine si tende a fare un grande uso sia dell’acconto che della caparra e molto spesso i due concetti vengono confusi: entrambi consistono in un’anticipazione di denaro ma sono differenti per le finalità, per le conseguenze in caso di mancata esecuzione del contratto o recesso e per le presunzioni legislative a seconda di come viene impostato il contratto di vendita.

Iva sulle caparre si o no?
In caso di acquisto di un bene immobile, le somme versate a titolo di caparra confirmatoria in sede di sottoscrizione del contratto preliminare sono soggette ad IVA?
Per abitudine si tende a fare un grande uso sia dell’acconto che della caparra e molto spesso i due concetti vengono confusi: entrambi consistono in un’anticipazione di denaro ma sono differenti per le finalità, per le conseguenze in caso di mancata esecuzione del contratto o recesso e per le presunzioni legislative a seconda di come viene impostato il contratto di vendita.
L’acconto sul prezzo consiste nel pagamento parziale del corrispettivo dovuto, in base al contratto, effettuato anticipatamente rispetto al contratto stesso: dal punto di vista fiscale, il pagamento anticipato di un debito (totale o parziale) rappresentato da un acconto sul prezzo, determina l’esecuzione dell’operazione (articolo 6 comma 3 e comma 4 DPR 633/1972) che fa sorgere in capo al soggetto che cede il bene o servizio, gli obblighi previsti dalla normativa IVA sulla fatturazione ed i conseguenti adempimenti, quali la registrazione della fattura, la liquidazione e i versamento dell’IVA…Il pagamento del prezzo o di una parte di esso, determina l’esecuzione dell’operazione anche nel caso in cui avvenga prima della stipulazione del contratto. L’acconto in pratica è un anticipo sul prezzo finale dovuto che viene consegnato dall’acquirente al venditore per confermare la propria volontà di acquisto.
In caso di acconto, il cedente dovrà emettere fattura con indicazione di tutti gli elementi previsti dalla legge (non è sufficiente una semplice fattura pro-forma); la fattura andrà registrata sul registro dei corrispettivi e al momento della consegna dei beni dovrà essere emessa da parte del fornitore una fattura a saldo.  
La risoluzione n. 197/E del 1° agosto 2007 stabilisce che a differenza dell’acconto, la caparra confirmatoria, definita sotto il profilo civilistico dall’articolo 1385 del C. C, non è un anticipo sul prezzo stabilito dalle parti ma ha natura risarcitoria in caso di inadempimento contrattuale; rappresenta infatti una liquidazione convenzionale anticipata in caso di inadempimento di una delle parti. Anche la caparra come l’acconto ha come finalità quella di confermare la volontà di acquisto.  
Ciò che distingue l’acconto dalla caparra è il fatto che se il contratto non si conclude, il versamento a titolo di acconto dovrà essere restituito indipendentemente dalla responsabilità delle parti: per ottenere il risarcimento una delle due parti dovrà fare causa all’altra dimostrando di aver subito un danno.
Dal punto di vista giuridico, abbiamo due tipi di caparra: la caparra confirmatoria e la caparra penitenziale.

La caparra penitenziale, disciplinata dall’articolo 1386 del codice civile, rappresenta una somma di denaro o di altre cose fungibili, che una parte dà all’altra al momento della conclusione del contratto per garantirsi il diritto di recesso che potrà essere esercitato da una o da entrambe le parti. Le parti stabiliscono quindi che il contratto si può sciogliere pagando una somma di denaro che rappresenta la caparra penitenziale.
La caparra confirmatoria invece ha funzione risarcitoria per eventuali successive inadempienze da parte del contraente: l’articolo 1385 del C. C prevede in particolare che se la parte che ha versato la caparra è inadempiente, l’altra parte può recedere dal contratto e trattenere la caparra versata, se invece la parte inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra, l’altra parte potrà recedere ed esigere il doppio dell’importo versato a titolo di caparra; se invece entrambe le parti sono inadempienti, la caparra deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. La funzione della caparra quindi non è quella di anticipare una parte del corrispettivo ma di stabilire anticipatamente una somma di denaro a titolo di indennizzo.  
La risoluzione citata in precedenza, afferma che la caparra confirmatoria, anche se prevista da un’apposita clausola contrattuale, non costituisce, il corrispettivo di una prestazione di servizi o cessione di beni, perché assolve ad una funzione risarcitoria; non sarà quindi soggetta ad IVA per mancanza del presupposto oggettivo di cui agli art. 2 e 3 del DPR 633/72. L’Iva trova infatti applicazione nel momento in cui le somme versate rappresentano l’effettivo corrispettivo di un bene o servizio fornito nell’ambito di un rapporto giuridico.  
Il contratto preliminare è un accordo con il quale le parti si obbligano reciprocamente a stipulare un successivo contratto definitivo, indicandone subito i contenuti e gli aspetti essenziali; il contratto produce in capo alle parti effetti unicamente obbligatori e non reali non essendo idoneo a trasferire la proprietà del bene o a determinare l’obbligo di corrispondere il prezzo stabilito. Il contratto preliminare di compravendita deve essere registrato entro 20 giorni dalla sua sottoscrizione e comporta il versamento dell’imposta di registro in misura fissa pari ad € 168,00 indipendentemente dal prezzo della compravendita.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la consegna di una somma anticipata di denaro effettuata al momento della conclusione del contratto è una caparra confirmatoria se risulta espressamente che le parti intendono attribuire al versamento anticipato non solo la funzione di anticipazione della prestazione ma anche quella di rafforzamento e garanzia dell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale. La caparra confirmatoria avrà quindi la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.
Nel momento in cui viene perfezionato il contratto definitivo, la caparra e l’acconto potranno essere imputati alla prestazione dovuta diventando così parte del corrispettivo pattuito e formeranno di conseguenza la base imponibile: in questo caso, con il contratto definitivo, la caparra diventa acconto modificando la sua natura giuridica ; anche nel caso in cui l’operazione di trasferimento immobiliare è soggetta ad IVA, il trattamento fiscale del preliminare sarà differente a seconda che preveda un versamento di denaro a titolo di acconto o di caparra confirmatoria.
Il versamento di un acconto rappresenta un anticipo del corrispettivo pattuito e assume rilevanza ai fini IVA con l’obbligo per il cedente o prestatore, di emettere la relativa fattura con addebito dell’imposta; l’aliquota applicabile sarà quella vigente al momento del pagamento dell’acconto; a differenza delle somme versate a titolo di caparra confirmatoria che, non costituendo un parziale pagamento anticipato del prezzo non rientrano nell’ambito di applicazione dell’IVA. A tal proposito è stato specificato che la caparra confirmatoria versata da una delle parti di un atto di compravendita in sede si stipula di un contratto preliminare è soggetta all’imposta di registro, in misura proporzionale; non ha rilevanza a questo proposito la circostanza che tale somma, versata a titolo di caparra, al momento della conclusione del contratto per atto pubblico diventa parte  del corrispettivo soggetto ad IVA, in quanto al fine del contratto preliminare la somma in questione è considerata caparra e non un acconto sul prezzo di futura cessione del bene
Affinchè la somma versata a titolo di caparra rilevi anche come anticipazione del corrispettivo pattuito e quindi sia soggetta ad IVA al momento del pagamento alla controparte, è necessario che le parti attribuiscano espressamente a questa somma di denaro, in aggiunta alla funzione di liquidazione anticipata del danno in caso di inadempimento, anche quella di anticipazione del corrispettivo.
Secondo la Suprema Corte dove ci sia un dubbio sull’effettiva volontà delle parti, le somme versate anteriormente alla formale stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, devono ritenersi corrisposte a titolo di anticipo o di acconto sulla prestazione dovuta in base all’obbligazione principale e non a titolo di caparra non potendosi ritenere che le parti si siano tacitamente assoggettate ad una pena civile ravvisabile nella funzione risarcitoria della caparra confirmatoria. Perché possa considerarsi caparra è necessario che venga esplicitato nel contratto. Il versamento dell’acconto-prezzo, rappresentando l’anticipazione del corrispettivo stabilito, è soggetto ad IVA con l’obbligo per il cedente o prestatore di servizi di emettere la relativa fattura con addebito dell’imposta; si renderà applicabile il criterio di alternatività IVA-registro previsto dall’articolo 40 del T. U. R e pertanto le disposizioni soggette ad IVA non saranno imponibili agli effetti del registro, risultando dovuta solo l’imposta di registro in misura fissa.  

S.R.L e socio lavoratore dipendente

0

L’inquadramento del socio lavoratore nelle società a responsabilità limitata crea da sempre diverse problematiche soprattutto nelle piccole e medie imprese; nel diritto commerciale italiano, la Società a responsabilità limitata, in sigla SRL, è un tipo di società di capitali, che come tale è dotata di personalità giuridica e risponde delle obbligazioni sociali generalmente nei limiti delle quote versate da ciascun socio

S. R. L e socio lavoratore dipendente

Quali sono le prestazioni lavorative compatibili con il capitale sociale e gli obblighi di iscrizione previdenziale?

L’inquadramento del socio lavoratore nelle società a responsabilità limitata crea da sempre diverse problematiche soprattutto nelle piccole e medie imprese; nel diritto commerciale italiano, la Società a responsabilità limitata, in sigla SRL, è un tipo di società di capitali, che come tale è dotata di personalità giuridica e risponde delle obbligazioni sociali generalmente nei limiti delle quote versate da ciascun socio.

La SRL si può costruire per contratto o, dal 1993, anche per atto unilaterale; il capitale sociale minimo ammonta a € 10. 000,00, (sulla base dell’art. 2463, 2° comma) anche se può essere determinato in misura inferiore a € 10. 000,00 ma deve essere pari almeno ad 1€. In questo caso i conferimenti dovranno essere fatti in denaro e versati per intero alle persone a cui viene affidata l’amministrazione ed una somma pari ad 1/5 degli utili netti di ogni esercizio deve essere destinato alla riserva legale fintanto che il patrimonio netto della società non raggiungerà la soglia di € 10. 000,00.

Per poter costituire una SRL è necessario un atto costitutivo per atto pubblico che dovrà contenere alcune indicazioni fondamentali sulla società come ad esempio l’ammontare del capitale sociale, la denominazione, l’oggetto sociale e lo statuto sulle regole sociali (rappresentanza, funzionamento, amministrazione)

 Generalmente un socio SRL non può essere assunto anche come dipendente della società stessa ma in determinate condizioni l’assunzione è ammessa solo se ricorrono alcune condizioni e cioè il socio:

·         non deve essere un membro dell’organo amministrativo o anche se ne fa parte, non deve interferire con le decisioni da prendere;

·         non è un socio di maggioranza o che ha una partecipazione qualificata; in questi casi infatti potrebbe comunque interferire con i poteri dell’organo ammnistrativo pur non essendo un amministratore;

·         non è l’amministratore unico della società perchè non ci sarebbe il requisito della subordinazione in quanto non soggetto ad alcun potere di direzione e controllo e sarebbe come se l’amministratore unico si autoassumesse.

E’altrettanto impensabile configurare un socio come lavoratore dipendente se partecipa al capitale sociale in misura tale da assicurargli la maggioranza o nel caso in cui possegga una quota rilevante in grado di condizionare palesemente le deliberazioni dell’assemblea

Occorre fare una distinzione tra “socio prestatore d’opera” e “socio lavoratore dipendente”: il socio d’opera o prestatore d’opera, è colui che diventa socio perché conferisce la propria attività lavorativa che sarà oggetto di valutazione economica; è legato alla società in merito al rapporto ed agli obblighi dal contratto societario e non da un rapporto di lavoro dipendente quindi il venir meno della prestazione lavorativa può comportare la perdita della qualifica di socio e di conseguenza l’esclusione dalla società sulla base dell’art. 2286 del Codice Civile. L’attività lavorativa prestata e la qualifica di socio sono strettamente legate: l’apporto della prestazione d’opera o di servizi potrà essere garantita anche da fideiussione o da assicurazione.  In questo caso ,invece di denaro o beni materiali il socio immette nella SRL il proprio lavoro che gli dà comunque la qualità di socio come prestatore d’opera. In genere è buona prassi concordare un conferimento per un periodo limitato nel tempo, evitando l’obbligo, per il socio d’opera di prestate l’attività lavorativa per sempre.

Il socio lavoratore dipendente è il socio che presta l’attività lavorativa in virtù di un contratto di lavoro dipendente (subordinato) distinto dal contratto societario e percepisce tanto di busta paga e tassazione applicata sullo stipendio.  La dottrina e la giurisprudenza ritengono ammissibile la contemporanea qualifica di socio e di dipendente ma devono sussistere alcuni elementi fondamentali che sono stabiliti dall’art. 2094 del c. C. E sono:

·         sottoposizione al potere di direzione del datore di lavoro: il lavoratore dovrà assoggettarsi al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; siamo di fronte all’etero-direzione e cioè alla dipendenza assoluta da un soggetto diverso, ovvero dipendente dal consiglio di amministrazione/amministratore.

·         continuità della prestazione lavorativa cioè una l’obbligo di prestare l’attività lavorativa in favore del datore di lavoro, può anche essere  discontinua, come nel part time verticale, purchè tra una prestazione e l’altra il lavoratore resti a disposizione del datore di lavoro;

·         collaborazione offerta all’impresa in cambio del pagamento di una retribuzione, quindi ci dovrà essere un inserimento continuo e sistematico del dipendente all’interno dell’organizzazione tecnica, economica e amministrativa dell’impresa.

 Il socio dipendente di una SRL ha gli stessi diritti e doveri sia di un socio che di un dipendente: potrà votare in assemblea o partecipare agli utili, proporzionalmente alla quota di partecipazione goduta; se viene assunto come dipendente dalla società, avrà anche il diritto di godere di ferie e permessi e dovrà essere iscritto all’Inps fino a quando la società versa i contributi, avrà così diritto all’indennità di disoccupazione, a quella di malattia, maternità obbligatoria o facoltativa e al congedo parentale.

Per quanto riguarda l’obbligo di iscrizione all’INPS, è iscrivibile il socio che esercita in modo personale, continuativo e prevalente l’attività prevista dall’oggetto sociale pur non avendo la piena responsabilità giuridica ed indipendentemente dalla qualifica di amministratore. ; questo principio è stabilito dall’articolo 1, comma 203, della legge 662/1996 che ridefinisce i requisiti per l’iscrizione dei soggetti nella gestione Commercianti ed introduce l’iscrivibilità della figura di un socio SRL, in presenza dei requisiti indicati in precedenza. Questa disposizione si applica anche nei confronti del socio unico di una SRL che ha quindi l’obbligo assicurativo, se partecipa al lavoro aziendale (attività esecutiva, organizzativa e di gestione) con abitualità e prevalenza, a prescindere del numero dei dipendenti assunti nell’impresa; nel caso in cui il socio non gestisce autonomamente il proprio lavoro ma è soggetto ad etero- direzione da parte del Consiglio di amministrazione, in termini di rispetto degli orari stabiliti, giustificazione assenze, sanzioni disciplinari ecc. , il suo lavoro sarà inquadrabile come lavoro dipendente. Ciò accade anche quando il socio fa parte del consiglio di amministrazione pur essendo egli stesso un amministratore ma subisce le decisioni di una maggioranza contraria.

Nel caso di una SRL senza dipendenti, nei settori commercio e servizi, almeno uno dei soci dovrà iscriversi alla gestione INPS Commercianti salvo il caso in cui un socio è iscritto ad un’altra copertura previdenziale obbligatoria, diversa dalla Gestione Separata, perché svolge un’attività lavorativa in modo prevalente rispetto a quella svolta nella società; l’iscrizione obbligatoria deriva dall’impossibilità di svolgere un’attività senza dipendenti e senza soci lavoratori.

Se invece un socio è anche amministratore è obbligato ad iscriversi alla gestione INPS commercianti; se sono presenti dipendenti all’interno della società, l’INPS potrebbe contestare l’attività direttiva ed organizzativa svolta dal socio, obbligandolo all’iscrizione alla Gestione INPS Commercianti. In questo caso per evitare l’iscrizione bisognerà dimostrare che l’attività di coordinamento è svolta da professionisti esterni o che almeno uno dei dipendenti svolga questa attività. L’INPS procederà a verificare che l’inquadramento del dipendente corrisponda ad una declaratoria che consente l’attività di gestione e coordinamento e se effettivamente il dipendente svolge quella mansione.

Il decreto legge 31 marzo n. 78, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” convertito poi in legge n. 122 del 30 Luglio 2010, relativo all’interpretazione dell’art. 1, c. 208, legge 662/96, stabilisce “il principio dell’assoggettamento all’assicurazione obbligatoria dell’attività prevalente del soggetto che svolge contemporaneamente più attività autonome”.

L’articolo 1 della legge 662/1996 prevede che se i soggetti esercitano contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, sono iscritti all’assicurazione prevista per l’attività prevalente da essi esercitata. L’INPS però a tal proposito ha precisato che per attività autonome soggette a comparazione in termini di prevalenza, si intendono quelle che hanno natura imprenditoriale escludendo quelle che rientrano nell’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS

 Questo principio trova quindi applicazione per attività autonome esercitate in forma d’impresa dai commercianti, artigiani e dai coltivatori diretti, escludendo i rapporti di lavoro per i quali è prevista l’iscrizione alla Gestione Separata; se un socio è allo stesso tempo lavoratore e amministratore di una SRL ci sarà la doppia imposizione contributiva: iscrizione alla Gestione separata e alla Gestione INPS Commercianti.

Occorre distinguere tra attività amministrativa e lavorativa: l’amministrazione prevede mansioni gestionale ed organizzative dei fattori di produzione, richiede capacità imprenditoriali con funzioni di rappresentanza e di carattere decisionale; l’attività di lavoratore/socio lavoratore è integrata nell’organico aziendale, quindi è inserita all’interno del sistema di produzione/erogazione servizi insieme alle altre figure quali le risorse umane e i quadri/dirigenti. Nel caso in cui ci siano sia il socio che svolge attività di direzione e organizzazione, sia risorse umane esterne con funzione di coordinamento, gli unici elementi su cui potremo basare la sussistenza dell’obbligo di iscrizione sono l’abitualità o l’occasionalità dell’attività.

L’INPS ha inoltre chiarito che in caso di doppia attività, ai fini dell’iscrizione alla gestione artigiani/commercianti, non è rilevante la prevalenza ma l’abitualità e la professionalità: può definirsi abituale anche un’attività effettuata per poche ore al giorno e non tutti i giorni, come nel caso ad esempio della gestione immobiliare, la vendita di merce online, se però viene effettuata con regolarità e ripetizione nel tempo.

Occorre precisare che la Società a responsabilità limitata è una società di capitali quindi in virtù di questo, delle obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio e non i soci con il loro patrimonio personale; se ci sono debiti societari, ne risponde solo la SRL con il suo capitale e il patrimonio personale del socio/lavoratore non potrà essere preso in considerazione così come il suo stipendio come dipendente della società. L’INPS però potrebbe contestare l’assunzione come lavoratore subordinato perché potrebbe sospettare che abbia come motivo quello di ottenere agevolazioni contributive anche nel caso in cui sussistano le condizioni vere e proprie del lavoro subordinato; per evitare questo, si rende necessario che il lavoratore sia effettivamente soggetto a eterodirezione da parte dell’organo amministrativo della SRL e quindi sia a tutti gli effetti in uno stato di subordinazione.

I soci della SRL che sono anche dipendenti devono iscriversi all’INAIL, ma devono iscriversi anche i soci che, pur non essendo dipendenti, svolgono attività manuali od opere non manuali di sovraintendenza al lavoro altrui; non è invece soggetto all’iscrizione il socio addetto alla semplice supervisione del lavoro altrui. Per opera manuale si intende un’attività manuale in senso stresso nella quale il socio è a stretto contatto con apparecchi e macchine necessari allo svolgimento del proprio lavoro

In una società senza dipendenti, almeno un socio sicuramente svolgerà attività quindi almeno un socio sarà soggetto all’INAIL.

Il socio lavoratore, essendo assunto in qualità di dipendente, potrà essere licenziato: trovano applicazione le stesse norme previste per i lavoratori quindi occorrerà rispettare i termini di preavviso, versare il TFR maturato e, essendo iscritto all’INPS, avrà diritto anche all’indennità di disoccupazione in caso di licenziamento, anche per giusta causa, o in caso di dimissioni solo per giusta causa.

La fatturazione elettronica tra privati

0

La fattura elettronica tra privati è una normale fattura B2B emessa, ricevuta, firmata e conservata in maniera digitalizzata; ciò significa che la fatturazione B2B cioè business to business o la fattura tra privati, anziché essere in formato cartaceo viene emessa e ricevuta in qualsiasi formato elettronico che ne assicura l’autenticità dell’origine, l’integrità del contenuto e la leggibilità della fattura dal momento in cui viene emessa fino a al termine del suo periodo di conservazione.

La fatturazione elettronica tra privati

La fatturazione elettronica tra privati che cos’è e come funziona

La fattura elettronica è una fattura in formato digitale introdotta con la legge finanziaria 2018; la genesi di questa evoluzione nel “modo di fare fattura” è da individuare a livello Europeo nell’adozione e recepimento della direttiva 2014/55/UE del 16 aprile 2014 relativa alla fatturazione elettronica, in cui l’Unione Europea, invita gli Stati Membri a prevedere un quadro normativo e tecnologico adeguato a gestire in maniera elettronica tutto il sistema di fatturazione e controllo fiscale negli appalti pubblici.

La fattura elettronica tra privati è una normale fattura B2B emessa, ricevuta, firmata e conservata in maniera digitalizzata; ciò significa che la fatturazione B2B cioè business to business o la fattura tra privati, anziché essere in formato cartaceo viene emessa e ricevuta in qualsiasi formato elettronico che ne assicura l’autenticità dell’origine, l’integrità del contenuto e la leggibilità della fattura dal momento in cui viene emessa fino a al termine del suo periodo di conservazione.

Per molti anni la fattura è stata compilata in vari modi: carta e penna, macchina da scrivere, editor, fogli di calcolo word, excel, usando software di fatturazione e gestionali, poi una volta compilata dal fornitore veniva spedita al cliente via posta, via e-mail ecc. E il destinatario (cliente) aveva l’obbligo di conservarla in formato cartaceo per almeno 10 anni e le fatture ricevute per mail dovevano essere stampate.

La maggior parte dei vantaggi economici a seguito dell’introduzione della fattura elettronica derivano soprattutto dalla completa automazione e integrazione dei processi tra le parti che generano una riduzione e ottimizzazione dei costi, riducono il rischio di falsi e duplicazioni, errori nei pagamenti e tempi medi di pagamento; siamo di fronte ad una rivoluzione digitale che permetterà di compilare fatture in forma elettronica e inviarle ai commercialisti, clienti e a tutti i diretti interessati in maniera semplice, virtualizzando tutto senza necessità di ricorrere alla carta.

L’obiettivo del Governo, grazie alla fatturazione elettronica è quello di ridurre l’evasione fiscale eliminando la possibilità di emettere fatture false, la mancata registrazione delle fatture da parte di uno dei soggetti coinvolti o le registrazioni fraudolente con importi inferiori rispetto all’effettiva transazione; un altro obiettivo è sicuramente quello della semplificazione fiscale, ma anche quello di ottenere sempre più dati fiscali al fine di predisporre per i contribuenti, dichiarazioni annuali, certificazioni uniche, modello 770 ecc, con dati precompilati e quindi già verificati dall’agenzia delle entrate.

Il primo passo per il passaggio alla fattura elettronica è stato fatto nel 2014 con la fattura elettronica verso la Pubblica Amministrazione che ha visto le fatture elettroniche diventare il documento obbligatorio per tutti i rapporti con la PA, gli Enti Pubblici e poi verso le società quotate, inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa Italiana. L’agenzia delle entrate insieme alla SOGEI, ha messo a punto un sistema gratuito per le fatture elettroniche PA chiamato “SDI”, Sistema di interscambio.

Il SDI è quindi utilizzabile sia dalle PA che dalle società, imprese e professionisti per emettere e ricevere, secondo modelli standardizzati definiti dall’Agenzia (XML), le fatture elettroniche, al fine di garantire la loro autenticità e l’integrità mediante l’apposizione della firma elettronica di chi ha emesso il documento e la loro conservazione.

La fatturazione elettronica B2B consiste nell’utilizzare questi stessi standard messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate per la fatturaPA, anche per le operazioni fatte tra soggetti privati; dal 2017 il SDI è stato messo a disposizione anche degli operatori economici privati come imprese e professionisti per poter trasmettere e/o ricevere fatture elettroniche in modo facoltativo ma a partire dal 1° Gennaio 2019 per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, saranno ammesse solo ed esclusivamente fatture elettroniche con il sistema di interscambio e secondo il formato XML già in uso per le FatturePA.

Sono esonerati dalle precedenti disposizioni, i soggetti che rientrano nel regime c. D. Di vantaggio e quelli che applicano il regime forfettario dei minimi e le cessioni di beni e di servizi rese nei confronti di non residenti, comunitari ed extracomunitari anche se comunque dovranno in realtà attrezzarsi per ricevere la fatture in formato elettronico e potranno comunque emettere fatture elettroniche. A tali categorie di operatori si possono aggiungere i “piccoli produttori agricoli” (di cui all’art. 34, comma 6, del Dpr n. 633/1972), i quali erano esonerati per legge dall’emissione di fatture anche prima dell’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica.

Dal 1° Gennaio dello scorso anno, la fattura elettronica tra privati B2B come abbiamo detto, è diventata facoltativa e ciò ha significato per l’Agenzia delle entrate e la Sogei adeguare lo SDI alla fatturazione elettronica tra privati e, per i titolari di Partita IVA che entro una certa data hanno aderito all’opzione per la trasmissione telematica delle fatture, c’è stata la possibilità di ottenere consistenti vantaggi fiscali derivati dall’uso della fattura elettronica B2B:

·         esenzione dallo spesometro comunicazione fatture;

·         esenzione dalle comunicazioni acquisti effettuati da operatori di San Marino;

·         esenzione modello Intrastat;

·         esenzione dalla comunicazione dei dati relativi ai contratti stipulati dalle società di leasing;

·         rimborsi Iva prioritari entro 3 mesi dalla trasmissione della dichiarazione;

·         periodo di accertamento ridotto a 4 anni anziché 5 come previsto per la fattura cartacea.

 

L’obbligo di fatturazione elettronica è stato anticipato al 1° luglio 2018 per prestazioni di servizi rese da subappaltatori e subcontraenti della filiera delle imprese, nel quadro di un contratto di appalto di lavori, servizi o forniture stipulato con la Pubblica Amministrazione; inizialmente era previsto anche per cessioni di benzina o di gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori da soggetti passivi iva ma è stato poi rinviato al 1° gennaio 2019; a partire da questa data la scheda carburante sarà abolita in quanto gli acquisti di carburante da parte di soggetti Iva dovranno essere documentati con fattura elettronica, fatta eccezione per gli acquisti fatti al di fuori di esercizio di impresa, arte e professione che dovranno essere fatti tramite carte di credito, bancomat o prepagate.

Dal 1° settembre 2018 sarà obbligatoria l’emissione della fattura elettronica per il tax free shopping e in particolare l’obbligo riguarderà gli acquisti di beni:

·         da parte di viaggiatori extra UE;

·         di importo superiore a 155 Euro al lordo dell’IVA;

·         per uso personale o familiare

·         da trasportarsi fuori dal territorio doganale comunitario nei bagagli personali.

La fatturazione elettronica tra privati, come abbiamo già accennato, è una fattura elettronica emessa da un professionista o un’impresa trasmessa ad un altro professionista o ad un’altra impresa o viceversa; la fattura elettronica tra privati, termine usato per distinguerla dalla Fatturazione elettronica PA, si chiama fattura elettronica B2B Business to Business perché chi la emette o la riceve, è un operatore economico quindi provvisto di numero di partita iva; se invece è un’impresa, una ditta o una società ad emettere fattura elettronica nei confronti di un privato cittadino, si dovrebbe parlare di fatturazione elettronica B2C “Business to Consumer” (B2C).

Per poter creare la fattura elettronica il professionista dovrà innanzitutto generare la fattura elettronica, selezionarne il formato e, sulla base dell’opzione scelta sarà possibile generare una nuova fattura, visualizzare l’ultima fattura generata ed archiviata ed importare la fattura da file XML.

Una volta generata la fattura, dovrà essere firmata dal professionista o dall’impresa attraverso l’apposizione della firma digitale, che è l’unica in grado di garantire l’integrità e l’autenticità del file XML; successivamente dovrà essere inviata, tramite il Sistema di Interscambio, al destinatario; per trasmettere al SdI il file XML della fattura elettronica ci sono diverse modalità:

·         si può utilizzare un servizio online presente nel portale “Fatture e Corrispettivi” che consente l’upload del file XML preventivamente predisposto e salvato sul proprio PC

·         b) si può utilizzare la procedura web ovvero l’App Fatturae messe a disposizione gratuitamente dall’Agenzia delle Entrate

·         c) si può utilizzare una PEC (Posta Elettronica Certificata), inviando il file della fattura come allegato del messaggio di PEC

·         d) si può utilizzare un canale telematico (FTP o Web Service) preventivamente attivato con il SdI.

Una volta ricevuta la fattura e dopo i controlli tecnici automatici, il SDI provvede a recapitare il documento al destinatario. A questo punto il professionista o l’impresa dovrà attendere la conferma dell’avvenuta ricezione del file.

Il SDI  procede a verificare che siano presenti almeno le informazioni minime obbligatorie previste per legge (art. 21 ovvero 21-bis del Dpr n. 633/1972), e cioè gli estremi identificativi del fornitore e del cliente, il numero e la data della fattura, la descrizione della natura, quantità e qualità del bene ceduto o del servizio prestato, l’imponibile, l’aliquota e l’Iva;  verifica che i valori della partita Iva del fornitore (cedente/prestatore) e della partita Iva o del Codice Fiscale del cliente (cessionario/committente)esistano, cioè che siano presenti in Anagrafe Tributaria; controlla che sia inserito in fattura l’indirizzo telematico dove recapitare il file (può essere un indirizzo  PEC oppure un codice alfanumerico di 7 cifre) e che ci sia coerenza tra i valori dell’imponibile, dell’aliquota e dell’Iva (ad esempio, se l’imponibile è 100 euro, l’aliquota è 22%, l’Iva sia di 22 euro);  controlla inoltre che il file della stessa fattura elettronica non sia stato già inviato (duplicato). In definitiva, quindi, i dati obbligatori da riportare nella fattura elettronica sono gli stessi che si riportavano nelle fatture cartacee oltre all’indirizzo telematico dove il cliente vuole che venga consegnata la fattura.  

In caso di esito positivo dei controlli precedenti, il Sistema di Interscambio consegna la fattura al destinatario comunicando, con una “ricevuta di recapito”, a chi ha trasmesso la fattura la data e l’ora di consegna del documento; se invece i controlli non vengono superati,  viene recapitata, entro 5 giorni, una “ricevuta di scarto” al soggetto trasmittente sul medesimo canale con cui è stato inviato il file al SdI e la fattura elettronica o le fatture del lotto scartate dal SdI si considerano non emesse.

Se il SDI non riesca a recapitare la fattura al destinatario perché la PEC o canale FTP o web service non sono attivi, il SdI leggendo il numero di partita Iva o il Codice Fiscale del cliente all’interno della fattura  mette comunque a disposizione il duplicato della fattura e invia al soggetto che ha trasmesso il file una “ricevuta di impossibilità di consegna” all’interno della quale è indicata la data di messa a disposizione del file al cliente; in questo caso la fattura si considera emessa per il fornitore ma non ancora definitivamente ricevuta (ai fini fiscali) dal cliente, la data di decorrenza della detraibilità dell’Iva, per il cliente, scatterà dal momento di visualizzazione/scarico della fattura.

Il SDI quindi funge quindi da intreccio tra gli interessati ed ha il compito di verificare che il formato del documento sia corretto e i dati inseriti siano completi.

La normativa prevede che le fatture elettroniche vengano conservate per 10 anni sia da chi emette la fattura e sia da chi la riceve; le fatture elettroniche potranno essere conservate utilizzando il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate che, con il provvedimento del 30 aprile 2018, ha annunciato il lancio di un servizio di ricerca, consultazione e acquisizione delle fatture emesse e ricevute tramite l’area riservata del portale delle Entrate.

Il Decreto Dignità

0

Il Senato il 7 agosto 2018 ha approvato la conversione in legge del Decreto Dignità, già in vigore dal 14 luglio come decreto 87/2018, con importanti modifiche: molto rilevanti sono gli aspetti toccati dal decreto in materia giuslavoristica soprattutto con riferimento al ritorno delle causali nei contratti a termine,  l’ aumento dei contributi a carico del datore di lavoro a partire dal primo rinnovo, anche per il lavoro in somministrazione e l’indennizzo per i licenziamenti illegittimi viene modificato con l’innalzamento delle mensilità garantite al lavoratore licenziato.

Il Decreto Dignità

Tutte le nuove norme sul lavoro: somministrazione, contratti a termine, delocalizzazione e licenziamento.

Il Senato il 7 agosto 2018 ha approvato la conversione in legge del Decreto Dignità, già in vigore dal 14 luglio come decreto 87/2018, con importanti modifiche: molto rilevanti sono gli aspetti toccati dal decreto in materia giuslavoristica soprattutto con riferimento al ritorno delle causali nei contratti a termine,  l’ aumento dei contributi a carico del datore di lavoro a partire dal primo rinnovo, anche per il lavoro in somministrazione e l’indennizzo per i licenziamenti illegittimi viene modificato con l’innalzamento delle mensilità garantite al lavoratore licenziato.

L’obiettivo del Decreto dignità è sicuramente quello di limitare l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, favorendo i rapporti a tempo indeterminato, riducendo il ricorso al lavoro precario e riservando la contrattazione a termine ai casi di reale necessità da parte del datore di lavoro; un altro obiettivo importante è  quello di salvaguardare i livelli occupazionali contrastando la delocalizzazione delle aziende che hanno ottenuto aiuti dallo Stato per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche in Italia.

Per i contratti a tempo determinato una delle principali novità riguarda la durata che viene ridotta da 36 ad un massimo di 24 mesi: al contratto di lavoro subordinato potrà essere apposto un termine di durata non superiore ai 12 mesi che però potrà essere prorogato fino ad un massimo di 24 mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

·        “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori”;

·        “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”;

Ad eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine nel contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto che deve essere prodotto in duplice copia, una delle quali dovrà essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. Entro i 12 mesi il contratto potrà essere liberamente prorogato senza necessità di causali, se invece il termine supera i 12 mesi allora le causali dovranno essere inserite ai fini dell’attivazione del contratto.

Un altro aspetto importante riguarda la diminuzione delle proroghe che in precedenza erano massimo 5 entro i 36 mesi, ora invece saranno 4 nell’arco di 24 mesi e nel caso in cui il numero di proroghe sarà superiore a 4, il contratto si trasformerà a tempo indeterminato; un’altra modifica importante riguarda i tempi utili per l’impugnazione che sono allungati a 180 giorni anziché 120 dalla cessazione del singolo contratto.

Viene aumentato il contributo addizionale dello 0. 5% ad ogni rinnovo dopo i 12 mesi, (attualmente pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali) a carico del datore di lavoro per i rapporti di lavoro a tempo determinato in caso di rinnovo a tempo determinato anche in somministrazione. Rimane in vigore il principio dello stop ang go cioè l’obbligo, in capo al datore di lavoro di rispettare un’interruzione minima tra due contratti a termine successivi che sarà di 10 giorni se il contratto cessato aveva durata inferiore o uguale a sei mesi e 20 giorni in caso di durata superiore ai 6 mesi.

Tutte queste modifiche non si applicano ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione.

Un altro cambiamento importante introdotto dal Decreto Dignità riguarda l’indennità in caso di licenziamento illegittimo a carico delle aziende che impiegano più di 15 dipendenti nello stabilimento nel quale si è verificato il licenziamento o che impiegano più di 15 dipendenti nello stesso comune o più di 60 nel territorio nazionale; si prevede un’indennità minima di 6 mensilità( in precedenza 4) che potrà essere elevata sino ad un massimo di 36 mensilità (prima 24), fermo restando il criterio di calcolo delle 2 mensilità in ragione di ogni anno di impiego del dipendente licenziato; rimane ferma la possibilità di reintegrare il lavoratore in specifici casi di illegittimità per licenziamento per giusta causa o giustificato  motivo soggettivo.

Per i contratti di somministrazione in caso di assunzione a tempo determinato, valgono le stesse regole previste per i contratti di lavoro a tempo determinato quindi la durata non dovrà superare i 24 mesi e dovrà comunque essere inserita una causale oltre i 12 mesi. Anche in questo caso il numero massimo di proroghe sarà 4 e non più 5.

Le aziende utilizzatrici potranno impiegare lavoratori somministrati a tempo determinato nella misura massima del 30% dei dipendenti a tempo indeterminato in forza nella stessa impresa al 1° Gennaio del relativo anno; se la somministrazione è posta in essere con la finalità di eludere norme inderogabili di legge o del contratto collettivo applicato al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore saranno puniti con un’ammenda pari a 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di somministrazione fraudolenta.

Il Decreto dignità prevede anche delle misure volte a penalizzare le aziende che, dopo aver fruito di aiuti e benefici decidono di delocalizzare all’estero: è doveroso premettere che per “delocalizzazione” si intende il trasferimento di un’attività economica o di una sua parte, dal sito produttivo incentivato ad un altro sito, da parte della stessa impresa beneficiaria dell’aiuto o di un’altra impresa con la quale ci sia un rapporto di collegamento o di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile. è previsto che le imprese italiane ed estere che operano nel territorio nazionale, fatti salvi i vincoli previsti dai trattati internazionali, che hanno beneficiato di un Aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio, decadano dallo stesso beneficio se l’attività economica interessata dallo stesso oppure un’attività analoga o una parte, venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione Europea, entro 5 anni dalla conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza troverà applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria che consisterà nel pagamento di una somma di denaro in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.

La stessa conseguenza si verificherà nel caso in cui le aziende abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede investimenti produttivi specificatamente localizzati ai fini dell’attribuzione di un beneficio: nel caso in cui l’attività economica interessata dallo stesso o un’altra attività simile o una loro parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttive situate al di fuori dell’ambito territoriale del predetto sito, in ambito nazionale ed europeo entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato, avremo la decadenza del beneficio medesimo.

Una specifica norma inoltre prevede che le imprese italiane ed estere che beneficiano di aiuti di stato nel territorio nazionale che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale, se, al di fuori dei casi di giustificato motivo oggettivo, riducono i livelli occupazionali degli addetti all’unità o attività produttiva interessata dal beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell’investimento, decadono dal beneficio in caso di riduzione superiore al 10%; la decadenza del beneficio in questo caso è proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è in ogni caso totale in caso di riduzione superiore al 50%.

Viene prorogato anche nel 2019 e 2020 la previsione che consente ai datori di lavoro che assumono lavoratori che non hanno ancora compiuto 35 anni e che non sono stati occupati a tempo indeterminato presso lo stesso o altro datore di lavoro, l’esonero dal versamento del 50% dei contributi previdenziali nel limite massimo di euro 3000 su base annua.

Tutte queste nuove disposizioni troveranno applicazione dal 1 novembre  2018.  

Payroll outsourcing

0
Payroll outsourcing

Che cos’è il payroll outsourcing e perché esternalizzarlo?

Il payroll è il termine con il quale si definiscono le attività che riguardano la gestione dei cedolini delle risorse umane: il payroll in outsourcing consiste nell’affidare a soggetti esterni l’elaborazione dei cedolini e tutte le attività ad esso correlate per poter risparmiare tempo e denaro. Gestire il payroll di un’azienda oggi non è cosa da poco, non significa solo presentare un foglio pieno di cifre alle proprie risorse umane, ma far fronte a tutta una serie di operazioni che spesso richiedono un forte livello di specializzazione. Difficilmente all’interno delle imprese di piccole dimensioni possiamo trovare figure in grado di affrontare tutti i compiti legati alla gestione retributiva e fiscale dei dipendenti senza difficoltà e con costi economici piuttosto ingenti: una soluzione vincente in questo caso potrebbe essere proprio quella di affidarsi a “payroll specialist” esterni che permettono di liberare tempo e risorse da dedicare ad attività interne, con rispetto al proprio business. Nell’esternalizzare il payroll un’azienda dovrà verificare il rapporto tra costi e benefici e definire l’obiettivo ed i requisiti che il fornitore deve soddisfare, garantendo in questo modo un elevato ritorno dell’investimento economico.

 

Attività che rientrano nel payroll

  • Tra le attività che rientrano nel payroll, la principale è sicuramente l’elaborazione dei cedolini: ogni attività di elaborazione delle buste paga è spesso supportata da ottimi prodotti informatici che sono in grado di semplificare questo lavoro complicato e molte volte spinoso: sono dei software complessi che si avvalgono di database che consentono di stampare cedolini in pdf, conformi alla normativa vigente del Libro Unico Del Lavoro.

Un buon software però non è sufficiente se non è supportato da esperti nel settore che siano in grado di far fruttare al meglio le potenzialità dei programmi informatici e in grado di saper riconoscere e i casi eccezionali da trattare con perizia ed attenzione.

  • Un’altra attività del payroll è la gestione delle presenze e delle assenze che in certi settori è fondamentale: questo tema diventa particolarmente problematico nel caso di imprese ed aziende con numerosi dipendenti che lavorano su turni, senza orari fissi  e giorni di lavoro costanti; in alcune aziende e in particolar modo nella pubblica amministrazione, il problema viene risolto con sistemi di timbratura e rilevazione delle presenze; oggi però molto spesso il cartellino viene sostituito da card magnetiche che sono più funzionali e che inviano le informazioni in tempo reale ai software grazie ai quali si possono generare report ed estrarre dati subito trasferibili su programmi diversi ( Excell, Access ecc). Questi software permettono una facile gestione anche di imprese con più sedi o filiali.

 

La gestione delle ferie

Un altro ramo importante del payroll è costituito dalla gestione delle ferie: in un’azienda con numerosi lavoratori diventa difficile e complesso assegnare le ferie ai propri dipendenti soprattutto nei periodi dell’anno più richiesti come durante le vacanze estive, le festività natalizie e pasquali e soprattutto nei contesti aziendali dove è prevista un’attività costante e continuativa per cinquantadue settimane all’anno; anche in questo caso ci sono programmi informatici che sono in grado di organizzare le ferie e le trasferte nel modo più preciso e funzionale possibile.

Ciò non toglie che in una questione così delicata e a volte personale, l’apporto umano di un esperto del settore può essere fondamentale: il payroll è quindi vantaggioso nei confronti delle aziende in quanto secondo il principio generale dell’outsourcing, l’esternalizzazione di determinate attività garantisce una maggior attenzione e un maggior investimento di tempo verso il proprio business, è sinonimo di maggior attenzione verso i propri dipendenti nei servizi di elaborazione paghe, gestione ferie, turni, trasferte e porta sicuramente ad un aumento della precisione e rapidità di queste attività, ad una riduzione dei reclami e delle lamentele da parte delle risorse, migliorando di conseguenza il clima di lavoro e la produttività.

Uno dei tanti errori che spesso viene fatto è quello di definire il payroll solo “cedolino” o “busta paga”, al contrario si tratta di un complesso di attività che ha svariati obiettivi, sia brevi che di medio e lungo termine. Tutte queste attività mostrano i loro risultati sia nei confronti dei lavoratori, con l’elaborazione degli stipendi e di tutti gli adempimenti mensili, sia nei confronti del management aziendale, con l’elaborazione di costi e budget previsionali che consentono loro di avere una visione contabile realistica.

è importante quindi realizzare un modello organizzativo efficace, indipendentemente dal numero degli uffici e delle risorse umane presenti, che sia in grado di affrontare e superare gli ostacoli nel processo decisionale.

 

Ricerca del candidato

Il payroll nasce nel momento in cui nasce una nuova opportunità organizzativa, non con l’assunzione ma con la ricerca del candidato: una volta che la ricerca del candidato ha avuto esito positivo si potrà avviare il percorso che porterà all’assunzione vera e propria, in caso contrario la candidatura rimane nel database aziendale. In questa fase è importante per l’azienda censire, dalla nascita, la popolazione aziendale, attivando il processo step by step raggiungendo così il primo obiettivo e definendo aspetti organizzativi, rischi potenziali e controllo sull’attività svolte. è importante conoscere la forza lavoro aziendale, il livello retributivo, il budget aziendale e tutte quelle altre informazioni utili per definire le linee guida di questa prima fase, presentandosi sul mercato con le idee chiare sull’identikit del candidato da ricercare; è rilevante avere un portale che, poggiandosi su una base di dati aziendali sia in grado di presentarsi sul web con un’offerta di assunzione, raccogliendo le informazioni sul candidato e inviando le stesse all’autore o autori dell’inserzione: il portale dovrebbe assumere la veste di sito aziendale quando si presenta sul web e la veste di intranet quando l’accesso avviene dalla rete interna.

Una volta scelto il candidato arriviamo alla fase dell’assunzione del lavoratore: il payroll si occupa di creare tutta la documentazione necessaria all’assunzione ( lettera di assunzione, modello scelta TFR, modello detrazioni fiscali, lettera della privacy, regole comportamentali aziendali, informazioni sulla sicurezza ecc), comunicare al centro per l’impiego l’assunzione del lavoratore, creare l’anagrafica del lavoratore nel sistema e renderlo così disponibile alle soluzioni di rilevazione automatica delle presenze (badge). In questa fase, una soluzione informatica, assume importanza in quanto rende più veloce il processo, soprattutto in quelle aziende dove le movimentazioni delle risorse umane sono frequenti, diventando indispensabile quando i numeri degli stessi sono consistenti.

Successivamente si entra nel vivo della gestione: il lavoratore inizia a muovere i primi passi in azienda e viene avviato il processo di formazione; ha sempre a disposizione un portale che gli spiega come muoversi in ambito amministrativo, può verificare come è nata la sua assunzione e verificare in ogni istante i suoi passi e la sua carriera.

 

Rilevazione delle presenze

Arriviamo quindi alla rilevazione delle presenze: ogni giorno un processo più o meno complesso, rileva le presenze e le assenze dei lavoratori: in questo caso è necessario trovare una soluzione che automatizzi la fase riducendo al minimo gli errori; ipotizzando una gestione tramite budge (rilevazione automatica delle presenze), le difficoltà potrebbero spostarsi sulla gestione delle assenze, sulla loro identificazione e sulle modalità di correzione di eventuali errori; potrebbe essere di aiuto un regolamento che disciplini le varie casistiche nel rispetto delle leggi e in questo caso sarà possibile cercare di agganciare tali regole al processo, limitando l’intervento correttivo degli utenti. Possiamo parlare di sotto processi diversi ad esempio a seconda delle varie tipologie di assenza, soggetti a iter autorizzativi o momenti differenti; in questa fase un altro aspetto molto importante è il passaggio da dati a paghe, con necessità di predisporre i dati per la fase successiva, sarà quindi necessario avere nozioni di retribuzione e contribuzione.

La rilevazione delle presenze avviene tramite un sistema automatico: è necessario accertare che il tempo lavorato sia registrato accuratamente e tempestivamente e che eventuali giustificazioni di assenza siano autorizzate nei tempi dovuti e tracciate nel sistema, i dipendenti e i responsabili devono poter accedere sempre e in tempo reale al cartellino presenze; di conseguenza sono necessari controlli adeguati e report nei quali vanno indicate le anomalie delle singole giornate dovute magari ad assenze non inserite o non ancora approvate o giustificativi presenti senza documentazione di supporto.

 

Calcolo della retribuzione

Con il passaggio dati a paghe inizia il processo di calcolo delle retribuzioni e l’elaborazione dei cedolini da consegnare poi alle risorse umane: le fasi di questo processo consistono innanzitutto nell’importazione dei dati provenienti da fonti esterne quindi rilevazione presenze, fogli di calcolo e altri sistemi di rilevazione; successivamente avremo il controllo dei dati quindi report o utilità custom verificano che le informazioni provenienti dalle varie fonti siano corrette e conformi al sistema di calcolo utilizzato. A questo punto verrà calcolato il cedolino paga e si procederà al relativo controllo verificando che tutti i movimenti siano corretti: le assenze non retribuite, le assenze retribuite per malattia, maternità o infortunio, verifica dei compensi applicati al personale non dipendente, incentivi, liquidazioni o anticipazioni TFR , oneri, imponibili, contributi e ritenute fiscali applicate.

In seguito si procede all’elaborazione finale dei cedolini, alla consegna e all’accredito degli stipendi, ci sarà da fare la denuncia uniemens e le altre denunce previdenziali e assistenziali mensili ed il relativo controllo, elaborazione dei versamenti fiscali ed il relativo controllo, elaborazione e controllo modello F24, contabilizzazione e controllo costi del personale.

 

La soluzione software utilizzata in comune a tutte le strutture coinvolte nel processo payroll, deve rendere agevole tutte le varie attività di controllo ed essere sempre al passo con le novità normative; con l’ultima fase della contabilizzazione dei costi del personale si chiude il mese e termina il processo che comunque ricomincerà il mese successivo; oltre alle varie attività mensili abbiamo anche quelle annuali come ad esempio i 770 e quelle periodiche come la chiusura di bilancio.

Articoli più letti

Iscriviti

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sul mondo delle normative e legge per il fisco e tributi!

No grazie!