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Voucher 2019: La reintroduzione dei voucher lavoro.

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I voucher rappresentano una retribuzione di tipo accessorio voluta dal governo Berlusconi 15 anni fa e abolita nell’aprile 2017 dall’esecutivo Gentiloni. Furono introdotti per regolamentare le prestazioni non riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte occasionalmente, per contrastare le retribuzioni in nero e per riconoscere al lavoratore occasionale i contributi Inps e le forme di assicurazione Inail per eventuali infortuni sul lavoro. Con il Decreto Dignità sono stati reintrodotti e l’uso è stato esteso anche alle imprese agricole.

Voucher 2019: La reintroduzione dei voucher lavoro.

Lo strumento di retribuzione del lavoro occasionale nato nel 2003 e abolito nel 2017, sostituito poi da altre forme di pagamento, è stato reintrodotto con alcune novità.

I voucher rappresentano una retribuzione di tipo accessorio voluta dal governo Berlusconi 15 anni fa e abolita nell’aprile 2017 dall’esecutivo Gentiloni. Furono introdotti per regolamentare le prestazioni non riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte occasionalmente, per contrastare le retribuzioni in nero e per riconoscere al lavoratore occasionale i contributi Inps e le forme di assicurazione Inail per eventuali infortuni sul lavoro. Con il Decreto Dignità sono stati reintrodotti e l’uso è stato esteso anche alle imprese agricole.

 

Evoluzione storica.

Introdotti nel 2003 con la Legge Biagi i voucher impiegano 5 anni ad entrare pienamente in vigore, ovvero a venir estesi a tutti i settori dal Ministro del Lavoro Elsa Fornero. Nel 2016, dopo l’introduzione della tracciabilità dei buoni lavoro con un decreto attuativo del Jobs Act, viene annunciata la possibilità di allargare il confine d’uso dei voucher a 7mila euro annui anziché 5mila; possibilità realizzata successivamente dal ministro Giuliano Poletti nel governo Gentiloni. Tra il 2016 e i primi mesi del 2017, la Cgil ha raccolto 3 milioni di firme per un referendum che proponeva anche l’abolizione di alcune norme sui voucher. Tale referendum, datato 28 maggio 2017, non avvenne mai in quanto il governo Gentiloni nel marzo 2017 con un decreto abrogò gli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act relativi ai voucher.

 

I voucher prima della loro abolizione.

Fino al 2017 i voucher avevano un valore di 10, 20 o 50 euro. Il compenso netto spettante al lavoratore era rispettivamente di 7,50, 15 e 37,5 euro. Il resto si divideva tra Inail (7%) e Inps (13%). Per pagare tramite voucher bastava la registrazione del lavoratore sul sito dell’Inps, attraverso un codice pin. Dopodiché, si potevano comprare i voucher online sul sito dell’Inps, nelle sedi Inps, alle Poste, in banca e perfino in alcune tabaccherie. Per riscuoterli, invece, il lavoratore poteva incassarli negli uffici postali, tramite InpsCard, bonifico su un conto domiciliato presso un ufficio postale, nelle tabaccherie autorizzate o in banca, a partire dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro accessorio e entro un anno dall’emissione.

 

I voucher oggi.

Il Decreto Dignità ha sancito il ritorno dei voucher lavoro, con alcune novità rispetto ai vecchi voucher.

Esistono due tipi diversi di voucher destinati a beneficiari diversi: il Libretto Famiglia voucher Inps e il PrestO (prestazione occasionale).

·        Il Libretto Famiglia è riservato alle famiglie e viene utilizzato per retribuire le prestazioni lavorative dedicate all’assistenza agli anziani e ai bambini, i lavori domestici e le lezioni private. è un libretto nominativo prefinanziato, composto da titoli di pagamento con valore nominale di 10 euro.

·        Il voucher PrestO è riservato invece alle imprese e attualmente è esteso anche al settore agricolo e alle aziende fino a un massimo di cinque dipendenti. Il prestatore ha la garanzia di essere pagato 9 euro netti all’ora. Retribuzione che ammonta a 12,41 euro per il datore di lavoro, in quanto comprende i contributi Inps e quelli assicurativi Inail.

Per entrambe le tipologie di voucher vige sempre il limite reddituale tradizionale di 5. 000 euro annuo, ciò significa che l’erogazione complessiva effettuata tramite voucher al lavoratore occasionale non può superare tale limite di 5. 000 euro annui.

 

Come funzionano.

I voucher non possono più essere acquistati tramite banche o tabaccherie ma esclusivamente presso il canale telematico dell’Inps. Sia il datore di lavoro che il lavoratore devono rispettare alcuni adempimenti obbligatori.  Prima che la prestazione abbia inizio datore e prestatore sono tenuti a registrarsi sul portale dell’Inps; inoltre, il datore di lavoro deve effettuare un versamento sul portale tramite modello F24 e il lavoratore dare comunicazione preventiva all’Inps dell’inizio attività (massimo un’ora prima dello stesso). Una volta iniziata l’attività, il prestatore riceverà il pagamento direttamente dall’Inps entro il 15 del mese successivo. Il datore di lavoro dovrà inserire anche alcuni dati obbligatori come i dati anagrafici del lavoratore occasionale, la data della prestazione, l’ora di inizio e fine, il luogo dove questa si svolge nonché l’importo della retribuzione. Se non si rispettano questi adempimenti obbligatori sono previste delle sanzioni significative che per il datore di lavoro possono variare dai 500 ai 2. 500 euro. Inoltre, se viene superata la data di termine della prestazione occasionale comunicata all’Inps, scatterà in automatico l’obbligo per il datore di lavoro si assumere il prestatore con contratto full time a tempo indeterminato.  

 

Il trattamento Iva

L’integrazione della Direttiva Comunitaria 2006/112/CE con l’introduzione del capo V, Titolo III, a opera della Direttiva UE 2016/1065 “Direttiva sui voucher”, ha messo fine a un lungo periodo di incertezza sul trattamento Iva dei voucher. Il vuoto normativo circa il trattamento Iva delle operazioni derivanti dalla cessione e dall’utilizzo dei voucher è stato riempito dall’Amministrazione finanziaria, che nel corso degli anni ha emanato numerose risoluzioni.

I voucher potevano essere inquadrati come titoli rappresentativi di beni e servizi che rappresentano un pagamento anticipato dei beni e servizi in essi incorporati e identificati, e quindi soggetti a Iva al momento dell’emissione; oppure, come documenti di legittimazione che non rappresentavano la cessione anticipata del bene o servizio ma bensì la cessione di denaro e quindi soggetti Iva al momento dell’utilizzo del voucher con l’individuazione del bene e servizio.

L’Agenzia delle Entrate è sempre stata orientata però a trattare i voucher come documenti di legittimazione considerando quindi rilevante ai fini Iva l’utilizzo del voucher, ossia l’acquisto del bene o del servizio che esso incorpora.

Con le nuove disposizioni sul trattamento Iva dei voucher sono 3 le definizioni rilevanti di voucher:

·        il voucher-corrispettivo (art. 6-bis D. P. R. 633/1972);

·        il voucher-corrispettivo monouso (art. 6-ter D. P. R. 633/1972);

·        il voucher-corrispettivo multiuso (art. 6-quater D. P. R. 633/1972).

Per voucher-corrispettivo si intende uno strumento che contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi, che indica i beni e servizi da cedere o prestare, oppure le identità dei potenziali cedenti o prestatori, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo a esso relative.

Per ottenere consulenza e/o informazioni sull’argomento potete contattare la Dott. Ssa Luisa Vinelli all’email l. Vinelli@networkfiscale. Com o su appuntamento al numero 0705925989.

Tirocini regione Sardegna

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Il tirocinio formativo è misura di politica attiva finalizzata a creare un contatto diretto tra il soggetto ospitante ed il tirocinante, è finalizzato ad acquisire competenze professionali e favorire l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro. Il tirocinio non costituisce un rapporto di lavoro e non può essere utilizzato per tipologie di attività lavorative per le quali è necessario un periodo formativo ed inoltre il tirocinante non potrà effettuare più di un tirocinio per lo stesso profilo professionale.

La regione Sardegna disciplina i tirocini formativi grazie alle disposizioni dell’accordo Stato regioni del 25. 05. 2017, dalla Regione Sardegna con la DGR 34/7 del 03. 07. 2018 e il regolamento approvato con determinazione dirigenziale n. 1838 ASPAL/ del 09. 10. 2018.

Tirocini regione Sardegna

Analisi dei tirocini formativi extracurriculari di inserimento e reinserimento lavorativo attivabili nella regione Sardegna.

Il tirocinio formativo è misura di politica attiva finalizzata a creare un contatto diretto tra il soggetto ospitante ed il tirocinante, è finalizzato ad acquisire competenze professionali e favorire l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro. Il tirocinio non costituisce un rapporto di lavoro e non può essere utilizzato per tipologie di attività lavorative per le quali è necessario un periodo formativo ed inoltre il tirocinante non potrà effettuare più di un tirocinio per lo stesso profilo professionale.

La regione Sardegna disciplina i tirocini formativi grazie alle disposizioni dell’accordo Stato regioni del 25. 05. 2017, dalla Regione Sardegna con la DGR 34/7 del 03. 07. 2018 e il regolamento approvato con determinazione dirigenziale n. 1838 ASPAL/ del 09. 10. 2018.

L’attivazione e la gestione dei tirocini, in cui l’Aspal svolge il ruolo di soggetto promotore, è effettuata attraverso la procedura online presente sul sito www. Sardegnalavoro. It e secondo le disposizioni ed indicazioni impartite dall’accordo Stato Regioni citato in precedenza.

I tirocini possono essere svolti da persone di età non inferiore ai 16 anni che hanno assolto l’obbligo di istruzione scolastica e per poterli attivare è necessaria la collaborazione tra tre soggetti: soggetto promotore, soggetto ospitante e tirocinante; il soggetto promotore è l’Aspal a cui è affidato il compito di promuovere, attivare, gestire e monitorare i tirocini di propria competenza; a tal fine, attraverso i centri per l’impiego della regione autonoma della Sardegna , l’ASPAL provvede a:

·         erogare un servizio di informazione e promozione dei tirocini;

·         contribuisce a predisporre il progetto di tirocinio tramite l’utilizzo del sistema appositamente dedicato sul sito www. Sardegnalavoro. It e con il supporto degli operatori dei centri per l’impiego;

·         individua un tutor come responsabile del tirocinio;

·         assicura il tirocinante per la responsabilità civile verso i terzi con un apposita ed idonea compagnia assicuratrice;

·         promuove il buon andamento del tirocinio attraverso un’azione di monitoraggio;

·         rilascia l’attestato di svolgimento del tirocinio pubblicandolo sul portale www. Sardegnalavoro. It nell’area personale del tirocinante.

Il soggetto ospitante è il datore di lavoro pubblico o privato che ha sede legale o sede operativa in Sardegna con cui viene attivato il tirocinio e presso il quale il tirocinante svolge il suo percorso; il soggetto ospitante deve essere in regola con la normativa sulla salute e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e con la normativa stabilita dalla legge 68/99 e ss. Mm. Ii. Relativa ai diritti dei lavoratori disabili. Il soggetto ospitante potrà realizzare un solo tirocinio a favore dello stesso tirocinante.

Il tirocinio si realizza sulla base di un progetto formativo individuale definito PFI che viene concordato tra soggetto promotore, soggetto ospitante e tirocinante.

Il PFI definisce gli obiettivi formativi da raggiungere grazie al tirocinio e le modalità con cui lo stesso deve essere attuato; il tirocinante dovrà essere formato e non dovrà svolgere in autonomia attività di responsabilità o che possono arrecare un danno a sé stesso o agli altri.

I tirocini sono rivolti a:

·         soggetti in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 19 del D. Lgs n. 150/2015, compresi coloro che hanno completato i percorsi di istruzione secondaria superiore o terziaria;

·         lavoratori che beneficiano di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro;

·         lavoratori a rischio disoccupazione;

·         soggetti già occupati che sono alla ricerca di altra occupazione;

·         soggetti disabili (articolo 1, comma 1, legge 68/99) e svantaggiati (legge 381/1991).

I requisiti per poter accedere al tirocinio devono essere posseduti nel momento in cui viene predisposto il progetto di tirocinio e dovranno essere mantenuti per tutta la durata dello stesso;

Per poter procedere all’attivazione dei tirocini promossi dall’ASPAL si può utilizzare solo la procedura on line disponibile sul sito www. Sardegnalavoro. It: si dovrà procedere alla registrazione del soggetto ospitante direttamente sul portale, il soggetto ospitante dovrà poi presentare richiesta di accreditamento per le comunicazioni oblbligatorie presso il centro per l’impiego di competenza ed in seguito il tirocinante dovrà iscriversi al portale Sardegna lavoro dove dichiarerà l’immediata disponibilità e dovrà sottoscrivere un patto di servizio personalizzato proposto dal centro per l’impiego di competenza. Nel caso di soggetti già occupati e che sono alla ricerca di altra occupazione non è previsto il rilascio della dichiarazione di immediata disponibilità e la sottoscrizione del patto di servizio personalizzato.

Per ogni progetto di tirocinio dovrà essere stipulata un’apposita convenzione tra il Soggetto ospitante e il soggetto promotore: la convenzione regola i rapporti tra i due soggetti, vincolando le parti al rispetto dei reciproci impegni che vengono definiti nella stessa; la convenzione in particolare deve contenere:

·         l’indicazione dei soggetti firmatari e del tirocinante;

·         il codice progetto;

·         i contenuti di carattere generale che devono essere presenti nel progetti di tirocinio;

·         gli obblighi del soggetto ospitante e quelli del soggetto promotore.

La convenzione viene stipulata tra con il legale rappresentante del soggetto ospitante o con un suo delegato.

Il progetto di tirocinio contiene tutti gli elementi necessari per lo svolgimento del tirocinio e disciplina i rapporti tra il soggetto ospitante, il soggetto promotore e il tirocinante.

Nel progetto di tirocinio in particolare devono essere indicati:

·         la figura professionale di riferimento e le corrispondenti aree di attività;

·         la durata del tirocinio;

·         l’orario di accesso ai locali del soggetto ospitante;

·         la sede di svolgimento del tirocinio;

·         la polizza assicurativa di RCT;

·         il Tutor;

·         il responsabile aziendale di sicurezza;

·         l’indennità spettante al tirocinante.

Nel progetto sono indicate le generalità del tirocinante e del soggetto ospitante che dovranno dichiarare in forma di autocertificazione, il possesso dei requisiti previsti dalla normativa fissata per l’attivazione dei tirocini, queste dichiarazioni sono soggette a controlli ai sensi del D. P. R 28 dicembre 2000 n. 445. Il codice penale e le leggi speciali in materia prevedono sanzioni nei confronti di coloro che rilasciano dichiarazioni mendaci, formano atti falsi o ne fanno uso e questo comporta il decadere del beneficio conseguito.

Il tirocinio non potrà iniziare prima che l’ASPAL abbia comunicato la sua approvazione con l’indicazione della data d’inizio e di termine che non potranno essere modificate. Una volta avviato il tirocinio potranno essere apportate solo le modifiche consentite dalla procedura informatizzata dal portale www. Sardegnalavoro. It seguendo le modalità previste dai manuali operativi; le modifiche inoltre dovranno essere predisposte in accordo tra il soggetto ospitante, il soggetto promotore e il tirocinante e la loro operatività avrà valore dal momento in cui ci sarà una notifica da parte dell’ASPAL.

I tirocini sono soggetti alla comunicazione obbligatoria presso il Sil, prevista dall’articolo 9-bis, c. 2 del decreto legge 1° ottobre 1996, n. 510; in particolare le sezioni Sil dedicate al tirocinio, prevedono che siano indicati:

·         il profilo professionale ISTAT CP2011;

·         la figura professionale di riferimento tra quelle incluse nel repertorio delle figure professionali della Sardegna;

·         le attività da affidare al tirocinante durante il tirocinio;

·         gli obiettivi formativi;

·         le modalità di svolgimento del tirocinio;

·         le competenze da acquisire con riferimento alla figura professionale del repertorio;

·         il tutor progettista del soggetto promotore ha il compito di verificare la compatibilità del progetto di tirocinio con le indicazioni contenute nell’articolo 7 “incompatibilità e divieti” della DGR 34/7 del 03. 07. 2018.

Nella sezione modalità di svolgimento del tirocinio presente al SIL è opportuno indicare come dovranno essere organizzate le attività da affidare al tirocinante e gli strumenti che verranno usati durante il tirocinio così come le eventuali attività esterne ed i moduli formativi previsti.

La durata dei tirocini d’inserimento o reinserimento lavorativo non può essere inferiore ai 2 mesi e non può essere superiore ai 12 mesi comprensiva di proroga o rinnovo mentre per i soggetti disabili la durata può arrivare fino a 24 mesi; mentre la durata minima di due mesi può essere ridotta in caso di attività stagionali per le quali la durata minima è ridotta ad un mese. La durata effettiva del tirocinio deve essere comunque indicata nel PFI e deve essere adeguata agli obiettivi predisposti; al momento sono attivabili tirocini della durata di 6 mesi prorogabili o rinnovabili. Il tirocinante ha diritto alla sospensione del tirocinio in caso di maternità o malattia di lunga durata intendendosi per tali quelle che si protraggono per una durata pari o superiore a 30 giorni solari e potrà essere sospeso per i periodi di chiusura aziendale sella durata di almeno 15 giorni solari.

In caso di interruzione del tirocinio il tirocinante dovrà dare apposita comunicazione scritta al Tutor del soggetto ospitante ed al tutor del soggetto promotore ed a sua volta il tirocinio potrà essere interrotto dal soggetto promotore in caso di gravi inadempienze da parte di uno dei soggetti coinvolti.

Il PFI dovrà indicare le ore giornaliere e settimanali che il tirocinante è tenuto a svolgere sempre in riferimento alle attività oggetto del percorso normativo ed ha comunque diritto ad un periodo di riposo proporzionato all’impregno svolto. L’orario del tirocinio non può superare l’80% del tempo pieno previsto dal CCNL applicato dal soggetto ospitante anche se per il momento la durata di tutti i tirocini è di 30 ore settimanali ed ha diritto ad un riposo giornaliero di almeno 11 ore nelle 24 ore e ad un giorno di riposo settimanale che generalmente coincide con la domenica. Oltre al riposo settimanale il tirocinante ha diritto a 2 giornate di riposo compensativo al mese per garantire il recupero delle energie psicofisiche che dovranno essere concordate con il proprio tutor interno e coincidono generalmente con i periodi di chiusura del soggetto ospitante.

Per la partecipazione al tirocinio è prevista un’indennità mensile che non può essere inferiore ad € 400,00 lordi mensili anche se è sempre facoltà del soggetto ospitante aumentare l’indennità con ulteriori risorse; la congruità dell’indennità deve essere valutata dal Tutor del soggetto promotore in fase di predisposizione del progetto ed è a carico del soggetto ospitante se non viene indicato diversamente nella convenzione o nel progetto di tirocinio.

Nel progetto di tirocinio devono essere indicati due tutor:

·         il tutor del soggetto promotore;

·         il tutor del soggetto ospitante;

il tutor del soggetto promotore, fornisce un supporto al soggetto ospitante ed al tirocinante nella predisposizione e nella gestione del progetto e promuove il buon andamento dell’esperienza di tirocinio attraverso un’azione di monitoraggio. Il soggetto ospitante dovrà indicare un tutor che ha la funzione di agevolare il tirocinante nello svolgimento del tirocinio, guidarlo ed accompagnarlo in modo da consentire il pieno raggiungimento degli obiettivi stabiliti ed il tutor potrà essere individuato tra i lavoratori dell’azienda che sono in possesso di competenze ed esperienze professionali adeguate.

Il tirocinante dovrà compilare il libretto delle presenze che è disponibile online alla data di inizio del tirocinio nelle aree personali del tirocinante e del soggetto ospitante; in caso di assenza del tirocinante sarà il tutor a compilarlo e alla fine di ogni mese il soggetto ospitante dovrà provvedere a chiudere on line il libretto.

Al termine del tirocinio, entro 15 giorni, il soggetto ospitante ed il tirocinante devono compilare oltre al libretto anche le relazioni finali del tirocinante e del soggetto ospitante ed inviare il tutto secondo le indicazioni riportate nel portale dedicato. Il mancato rispetto di questo adempimento comporta l’impossibilità di attivare ulteriori tirocini a favore del soggetto inadempiente ed erogare il saldo di indennità ed è inoltre indispensabile per il pagamento della polizza assicurativa RC relativa a ciascun tirocinante.

Una volta terminato il tirocinio il soggetto promotore sulla base del PFI e del dossier individuale, rilascia al tirocinante l’attestazione finale dei risultati che viene pubblicata nell’area personale del tirocinante e alla quale è allegata la relazione finale del soggetto ospitante: l’attestazione documenta le attività effettivamente svolte e le competenze acquisite indicando anche il totale delle ore e delle giornate effettivamente svolte.

Tutte queste disposizioni si applicano ai tirocini da attivare sul territorio regionale a partire dal 01. 10. 2018.

La legge di bilancio 2019

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La legge di bilancio è sicuramente uno dei momenti economici più importanti per il bilancio di un paese perché è la manovra dalla quale dipendono i conti pubblici per l’anno che verrà e gli obiettivi finanziari da perseguire per i prossimi tre anni; in attesa dei decreti attuativi, il testo definitivo della legge di bilancio è stato pubblicato in gazzetta ufficiale.

La legge di bilancio 2019

Sintesi delle principali novità introdotte dalla legge di bilancio 2019

La legge di bilancio è sicuramente uno dei momenti economici più importanti per il bilancio di un paese perché è la manovra dalla quale dipendono i conti pubblici per l’anno che verrà e gli obiettivi finanziari da perseguire per i prossimi tre anni; in attesa dei decreti attuativi, il testo definitivo della legge di bilancio è stato pubblicato in gazzetta ufficiale.

La legge di bilancio insieme al Def 2019 è il più importante strumento economico con il quale l’Italia o un altro paese provvede a definire gli obiettivi della manovra di finanza pubblica per i successivi 3 anni: lo stato italiano grazie alla manovra di bilancio provvede ad attuare gli obiettivi fissati all’interno del Def (documento economico e delle finanze); una volta approvato il Def si passa alla Manovra che ha tempi e modalità prestabilite dalla legge o dovrà essere presentata attraverso un apposito disegno di legge in parlamento entro un termine ben preciso e cioè entro il 15 ottobre di ogni anno ossia entro un mese dalla presentazione del Def.

La legge di bilancio 2019 contiene 108 articoli che hanno introdotto importanti novità in diversi ambiti, è quindi un contenitore abbastanza complesso che comprende diverse misure.

Una delle novità introdotte è sicuramente quella relativa alle pensioni e alla quota 100, anche se in realtà all’interno della manovra non è tecnicamente previsto un provvedimento, ma la manovra stabilisce i fondi a disposizione: si potrà andare a pensione con 38 anni di contributi e minimo 62 anni di età; questa disposizione resta in vigore in via sperimentale per tre anni e gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e alle forme esclusive e sostitutive delle medesima che sono gestite dall’INPS nonché dalla gestione separata, possono andare in pensione con un’età pari o superiore a 62 anni e con 38 anni di contributi.

Con la legge di bilancio viene prorogata la misura “Opzione donna” che consente alle lavoratrici di andare in pensione a 57/58 anni di età (più gli adeguamenti con le aspettative di vita) e 35 anni di contributi

In riferimento alle pensioni d’oro, a seconda dell’importo dell’assegno, ci potranno essere dei tagli fino al 40% (al momento fissati al 25 %), con cinque aliquote partendo da chi percepisce 100. 000 € lordi all’anno; al contrario invece i pensionati che soddisfano determinati requisiti legati al reddito possono beneficiare di un’integrazione del minimo della pensione fino al raggiungimento di€ 780,00.

Anche il provvedimento relativo al reddito di cittadinanza non è presente in manovra ma è stato oggetto di un apposito decreto, nella manovra sono stati inseriti i fondi a disposizione che saranno pari ad € 7,1 miliardi compresi i soldi per i centri per l’impiego. Il contributo mensile di € 780,00 potrà crescere in base alla composizione della famiglia con l’importo che verrà caricato sul bancomat e verranno monitorati gli acquisti; ci sarà l’obbligo di frequenza a corsi di formazione e di accettare una delle prime tre offerte di lavoro. L’erogazione dovrebbe iniziare ad aprile dopo la riforma dei centri per l’impiego.

Per le famiglie sono stati stanziati 100 milioni anche per cercare di contrastare il calo demografico ed è stato prorogato il bonus bebè con un aumento del 20% dell’importo per ogni figlio successivo al primo; inoltre per 20 anni vengono concessi gratuitamente terreni nelle famiglie in cui nasce il terzo figlio e per chi acquisterà la prima casa in vicinanza dei terreni è previsto un mutuo fino a 200. 000 euro a tasso zero. Sono state raddoppiate le detrazioni per i figli con disabilità da 400 a 800 €;

Un altro aspetto della legge di bilancio riguarda la pace fiscale e il saldo a stralcio  per i contribuenti in difficoltà economica: c’è infatti la possibilità di cancellare i debiti fiscali e contributivi affidati all’agenzia delle entrate e riscossioni dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017: il requisito è la grave situazione economica del nucleo familiare misurabile con un ISEE inferiore a 20. 000€. : spetta alle persone fisiche anche titolari di impresa individuale, per i contributi omessi alle casse professionali ed alla gesione lavoratori autonomi Inps. Si potrà pagare solo il capitale e gli interessi nella misura del:

·         16% se l’ISEE è inferiore a 8500€;

·         20% se l’indicatore ISEE è superiore a 8500 ma inferiore a 12500€;

·         35% se l’ISEE è supriore a 12500€.

 

Verranno inoltre rottamate le cartelle esattoriali, senza pagare interessi e sanzioni con la previsione di una rateizzazione fino a 10 rate in 5 anni e verrà abolita la norma che prevedeva il carcere per i grandi evasori fiscali; verranno inoltre cancellate le multe e tasse non pagate (compreso il bollo auto) di importi inferiori ad € 1000,00 riferite la periodo 2000-2010.

Le aliquote iva rimangono invariate mentre con riferimento alla flat tax, per i contribuenti con partita iva che esercitano attività d’impresa arti e professioni potranno pagare il 15% delle imposta sino ad un reddito non superiore a 65. 000 €.

Per la ristrutturazione della casa per il 2019 è previsto:

·         un bonus del 50% per la ruistrutturazione degli immobili da dividere in 10 quote annuali;

·         bonus mobili fino al 50% fino al 2019;

·         ecobonus del 50% oer ka sostituzione degli infissi, schermate solari, impianti di climatizzazione inveranli;

·         ecobonus del 50% per le caldaie a condensazione e le riqualificazione totale degli edifici e le coibentazioni.

 

Dal 1 gennaio è entrata in vigore la fatturazione elettronica per i primi sei mesi non sono previste sanzioni e sono previste anche semplificazioni come la possibilità di emissione entro 10 giorni dalla data dell’operazione; è stata inoltre prorogata la riduzione del canone RAI a € 90,00 anche per gli anni successivi al 2018.   Per chi, tra il 2019 e il 2021, acquista un’auto elettrica o a basse emissioni con un costo inferiore ai 45. 000 € ci sarà un’imposta parametrata al numero di grammi di biossido di carbonio emessi.

Per chi produce pane, creakers con saccarosio, grassi ed olio alimentari industriali, cereali interi o in granelle e semi, erbe aromatiche e spezie è prevista un’iva agevolata. Aumentato da 10. 000 a 15. 000 il tetto massimo per l’uso del contante da parte di turisti anche cittadini UE e per i trasferimenti di denaro effettuati con Money transfer verso paesi fuori dall’Unione Europea, la tassa sarà dell’1,5 %.

è prevista una detassazione per le sigarette elettroniche e per i metri quadrati di ombra degli ombrelloni presenti negli stabilimenti balneari; ci sarà il prelievo del 3% dell’ammontare dei ricavi tassabili delle imprese che vendono online e in Liguria ci sarà un aumento di 5 centesimi al litro per la benzina.

L’ires invece subisce un taglio dal 24 % al 15% in riferimento agli utili reinvestiti per ricerca e sviluppo, macchinari e per garantire assunzioni stabili, incentivando gli investimenti e l’occupazione stabile; per i nuovi contratti di affitto degli immobili commerciali, come i capannoni, è prevista una flat tax del 21% sui nuovi contratti d’affitto anche commerciali.

Le imprese che riducono l’inquinamento usando tecniche di produzione con minori emissioni avranno degli incentivi fiscali; le vittime delle crisi bancarie verranno risarcite grazie allo stanziamento di un fondo pari ad 1,5 miliardi ( è stato ampliato di ben 14 volte rispetto a prima)

Il Governo ha stanziato inoltre 500 milioni per un grande piano di assunzione di poliziotti, magistrati e personale amministrativo in modo da poter assicurare ai cittadini una maggiore sicurezza, processi civili più rapidi ed una pubblica amministrazione più efficiente.

Un‘altra misura importante riguarda la riduzione delle liste d’attesa sanitarie grazie allo stanziamento di un fondo da 50 milioni per le regioni; con l’istituzione del centro unico di prenotazione (CUP) digitale nazionale, si potrà monitorare quando effettivamente sono stati presi gli appuntamenti in modo da evitare possibili episodi di indebito avanzamento delle liste d’attesa; inoltre sono stati stanziati 284 milioni per i rinnovi contrattuali di tutto il personale del servizio sanitario nazionale e altri 505 milioni saranno attribuiti alle regioni per le spese farmaceutiche. Viene abolito inoltre il numero chiuso nelle facoltà di medicina permettendo così a tutti di poter acceder agli studi.

è prevista la decontribuzione per chi assume al sud giovani under 35 o con più di 35 anni di età ma disoccupati da almeno 6 mesi, è prevista inoltre la proroga dell’esonero contributivo previsto dal Decreto Dignità elevandolo dal 50 al 100% per le categorie sopracitate.

Per chi assume laureati under 30 o dottori di ricerca under 34 con carriere univeristarie eccellenti è previsto l’esonero dai contributi per un anno e con un tetto di 8000€, eccezion fatta per premi e contributi inail, a tal proposito le tariffe Inail sono state ridotte.

Un autotrasportatore under 35 assunto a tempo indeterminato, potrà ottenere dal datore di lavoroun rimborso pari al 50% dei costi sostenuti per il conseguimento della patenti e delle abilitazioni; inoltre sono stati stanziati 4,2 miliardi nel prossimo triennio per il rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione.

Per il 2019 è stato prorogato il credito d’imposta per attività di formazione 4. 0: il bonus avrà un tetto annuale di 300. 000€ e sarà distribuito nella misura del 50% delle spese ammissibili sostenute nei confronti delle piccole imprese, del 40% per le medie imprese e per le grandi imprese ci sarà un limite annuale di 200. 000 e nella misura del 30%; nei prossimi tre anni saranno inoltre assunti  1000 nuovi ispettori del lavoro e circa 4000 sono le assunzioni previste nei centri per l’impiego. Sono stai invece ridotti gli incentivi per l’apprendistato a 5 milioni contro i 15,8 milioni previsti dalla precedente manovra per il 2019.

La legge di bilancio è entrata in vigore il 1° gennaio 2019.

IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA

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Il legislatore disciplina il trasferimento d’azienda grazie all’articolo 2112 del codice civile la cui funzione è quella di tutelare i diritti dei lavoratori in caso di cambiamenti nella titolarità dell’impresa e passaggio alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro; la norma ha come scopo quello di garantire la stabilità dei rapporti di lavoro in atto presso l’azienda interessata al trasferimento e la conservazione dei diritti del lavoratore connessi al rapporto di lavoro.

IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA

Analisi delle fattispecie disciplinata dall’articolo 1112 del codice civile

Il legislatore disciplina il trasferimento d’azienda grazie all’articolo 2112 del codice civile la cui funzione è quella di tutelare i diritti dei lavoratori in caso di cambiamenti nella titolarità dell’impresa e passaggio alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro; la norma ha come scopo quello di garantire la stabilità dei rapporti di lavoro in atto presso l’azienda interessata al trasferimento e la conservazione dei diritti del lavoratore connessi al rapporto di lavoro.

Un’ulteriore finalità perseguita dal legislatore è quella di impedire fraudolente cessioni d’azienda che magari possono essere realizzate per un interesse diverso da quello economico o commerciale dichiarato e cioè per consentire l’esclusione dei lavoratori eccedenti attraverso il passaggio immediato della titolarità dei rapporti di lavoro in capo ad un altro datore di lavoro senza il loro consenso; con il trasferimento d’azienda si configura una forma di successione nel contratto di lavoro che, a differenza della cessione di contratto, non richiede il consenso dei lavoratori.

La tutela viene estesa:

·         a qualsiasi operazione che in seguito a cessione contrattuale o a fusione comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica, organizzata con o senza scopo di lucro che preesiste al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità;

·         alle ipotesi in cui oggetto del trasferimento è solo una parte d’azienda (ramo) dotata di autonomia funzionale e riconosciuta come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento.

Il lavoratore in caso di trasferimento d’azienda avrà le seguenti garanzie:

·         il rapporto di lavoro continuerà con il nuovo titolare dell’azienda;

·         il lavoratore mantiene i diritti già maturati, come l’anzianità di servizio e il diritto alla percezione della retribuzione non ancora corrisposte;

·         esiste una responsabilità solidale del cedente e del cessionario a garanzia del soddisfacimento dei crediti vantati dal lavoratore durante il trasferimento ( in caso di cessione di ramo d’azienda e di contemporaneo contratto d’appalto che ha ad oggetto la stessa parte dell’azienda, cedente e cessionario assumono anche la posizione di appaltante e appaltatore e sono soggetti al regime di responsabilità solidale);

·         il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento fino alla loro scadenza salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi che possono essere applicati dall’impresa del cessionario;

·         il trasferimento d’azienda non costituisce un giustificato motivo di licenziamento ma resta comunque ferma la facoltà del cedente e cessionario di esercitare il recesso secondo la normativa vigente;

·         il lavoratore, nei tre mesi successivi al trasferimento, potrà rassegnare le sue dimissioni se le condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica (recesso per giusta causa):

·         il lavoratore potrà impugnare il trasferimento d’azienda con le modalità e i termini di decadenza previsti per l’impugnazione del licenziamento.

Nelle aziende con più di 15 dipendenti in caso di trasferimento d’azienda è necessario attivare la procedura sindacale prevista dall’articolo 47 della legge 428/1990; il cedente ed il cessionario dovranno dare la comunicazione scritta del trasferimento alle RSU o RSA, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento almeno 25 giorni prima che venga perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti.

La comunicazione dovrà indicare:

·         data e motivi del trasferimento;

·         le conseguenze giuridiche, economiche e sociali e le eventuali misure per i lavoratori.

Se le rappresentanze sindacali o i sindacati di categoria ne fanno richiesta per iscritto entro i termini tassativi, il cedente e cessionario sono tenuti ad avviare entro termini brevi e tassativi, un esame congiunto della situazione con le forze sindacali richiedenti; la consultazione terminerà nel momento in cui, decorsi 10 giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.

Il mancato rispetto da parte del cedente o del cessionario, dell’obbligo di comunicazione e di avvio dell’esame, rappresenta una condotta antisindacale.

La disciplina prevista dall’articolo 2112 del codice civile può essere derogata solo nelle ipotesi previste dal legislatore all’articolo 47 comma 4 bis e 5 della L. 428/1990: la derogabilità è ammessa perché la situazione di crisi dell’azienda interessata al trasferimento è tale da far prevalere, rispetto alla disciplina garantista dell’articolo 2112 c. C. , l’obiettivo della salvezza dell’impresa ed in particolare:

·         per le aziende nelle quali è stato accertato lo stato di crisi aziendale o in amministrazione straordinaria in caso di continuazione dell’attività o per le quali ci sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, l’articolo 2112 c. C. Trova applicazione con le limitazioni previste dall’accordo che stabilisce il mantenimento anche parziale dell’occupazione;

·         per le imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo o liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria o nel caso in cui l’amministrazione dell’attività non sia disposta o sia cessata o sia stato raggiunto un accordo per il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cuio rapporto di lavoro continua con l’acquirente non troverà applicazione l’articolo 2112 del codice civile a meno che dall’accordo non risultino condizioni di miglior favore.

I lavoratori che non passano alle dipendenze del cessionario al momento del trasferimento viene riconosciuto un diritto di precedenza nelle assunzioni che il cessionario effettua entro un anno dalla data del trasferimento o entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. In caso di successiva riassunzione, non troveranno applicazione le tutele dell’articolo 2112 del c. C.

La disciplina dell’articolo 2112 potrà essere derogata anche in caso di imprese non commerciali alle quali non si applicano le disposizioni in materia di procedure concorsuali ma che versino inequivocabilmente in condizioni del tutto analoghe a quelle descritte in precedenza e con lo strumento del trasferimento d’azienda possono mantenere almeno parzialmente il loro standard occupazionale.

La morte del datore di lavoro non è causa di estinzione del rapporto di lavoro che proseguirà con i suoi eredi; in caso di estinzione di società il rapporto di lavoro proseguirà fino alla conclusione della fase di liquidazione dell’ente.

Indennità di trasferta

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Il reddito da lavoro dipendente è costituito essenzialmente da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti, nel periodo  d’imposta anche sotto forma di erogazioni liberali in relazione al rapporto di lavoro; vengono considerate percepite nel periodo d’imposta anche le somme erogate ed i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello a cui di riferiscono; nella categoria dei redditi di lavoro rientrano anche i compensi e le indennità conseguiti sulla base del rapporto, ma indipendentemente dall’effettiva prestazione di lavoro.

Indennità di trasferta

Analisi delle caratteristiche dell’indennità di trasferta prevista all’articolo 51 comma 5 del TUIR.

Il reddito da lavoro dipendente è costituito essenzialmente da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti, nel periodo  d’imposta anche sotto forma di erogazioni liberali in relazione al rapporto di lavoro; vengono considerate percepite nel periodo d’imposta anche le somme erogate ed i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello a cui di riferiscono; nella categoria dei redditi di lavoro rientrano anche i compensi e le indennità conseguiti sulla base del rapporto, ma indipendentemente dall’effettiva prestazione di lavoro.

Uno degli obblighi del lavoratore è quello di svolgere la propria attività lavorativa nel luogo stabilito dal datore di lavoro indicato nel contratto di lavoro; la sede di lavoro non potrà essere l’abitazione del lavoratore, salvo i casi di lavoro a domicilio e telelavoro. Ogni volta che il datore di lavoro chiede al lavoratore di effettuare la propria prestazione lavorativa in una sede diversa da quella contrattualmente prevista si dice che il lavoratore è in “trasferta”: la trasferta viene quindi definita come lo spostamento temporaneo del lavoratore verso un’altra località rispetto a quella in cui egli svolge normalmente la sua attività lavorativa; i contratti collettivi generalmente disciplinano in maniera esauriente la trasferta ma, oltre a quelli stabiliti dal contratto collettivo, il datore di lavoro non ha limiti generali al suo potere di assegnare la trasferta al lavoratore, se non quello del rispetto della libertà e della dignità dello stesso sulla base dell’articolo 41 della Costituzione.

Le caratteristiche della trasferta sono le seguenti:

·         la permanenza del legame del lavoratore con l’abituale luogo di lavoro,

·         la temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione;

·         l’effettuazione della prestazione lavorativa in esecuzione di un ordine di servizio del datore di lavoro.

Le indennità e i rimborsi delle spese che il lavoratore sostiene in occasione della trasferta, vengono disciplinati dal comma 5 dell’art. 51 del TUIR: sono previste delle imposizioni fiscali differenti a seconda che la trasferta venga effettuata nell’ambito del comune nel quale si trova la sede di lavoro o fuori da esso: il diverso criterio di imposizione fiscale, deriva principalmente dal fatto che al lavoratore, a fronte delle spese di produzione del reddito, viene riconosciuta una specifica detrazione d’imposta e quindi tutti i valori e le somme che il lavoratore percepisce in relazione al rapporto di lavoro, compresi i rimborsi spese, sono assoggettati a tassazione tranne le deroghe previste appunto dall’articolo 51 del TUIR.

Tutte le indennità e i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale in cui si trova la sede di lavoro, ad eccezione dei rimborsi per le spese di trasporto, concorrono integralmente a formare il reddito; per poter applicare la norma in oggetto non assume nessuna rilevanza l’ampiezza del comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro o l’eventuale ripartizione del territorio in entità subcomunali, come per esempio le frazioni, perché si parla comunque di territorio comunale.

Per l’esclusione del reddito imponibile delle spese di trasporto è necessario che le spese siano comprovate dalla documentazione rilasciata dal vettore (es. Biglietti autobus o ricevuta del taxi) e che dalla documentazione interna dell’azienda risulti in quale giorno l’attività del lavoratore è stata svolta all’esterno della sede di lavoro.

In caso di trasferta fuori dal comune nel quale si trova la sede di lavoro è possibile scegliere uno dei tre sistemi indicati di seguito, che però una volta stabilito troverà applicazione per l’intera durata della trasferta non potendo usare criteri diversi per le singole giornate comprese nel periodo in cui il dipendente si trova fuori dalla sede di lavoro; inoltre qualunque sia il sistema prescelto, i rimborsi analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica e di trasporto, non concorrono a formare il reddito quando sono rimborsate sulla base di idonea documentazione mentre ogni altro rimborso di spese ulteriore rispetto al sistema prescelto, sarà soggetto a tassazione. L’indennità di trasferta viene determinata in modo puntuale in relazione agli effettivi giorni in cui la prestazione lavorativa è resa al di fuori della sede di lavoro.

L’articolo 51, comma 5 del D. P. R n. 917/1986, prevede che le somme erogate ai lavoratori a fronte di una trasferta fuori dal comune di lavoro, siano esenti da imposizione contributiva fino alla soglia giornaliera di € 46,48 in Italia e di €77,47 all’estero; queste esenzioni sono ridotte di un terzo nel caso in cui al lavoratore viene riconosciuto un rimborso delle spese di vitto o alloggio e di due terzi nel caso in cui l’azienda rimborsa le spese sia di vitto che di alloggio; la quota di indennità che non concorre a formare il reddito non subisce alcuna riduzione in relazione alla durata della trasferta che potrà quini anche essere inferiore a 24 ore o comunque una trasferta che non prevede nessun pernottamento fuori sede. Se viene corrisposta, unitamente al rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio anche un’indennità di trasferta, le soglie di € 46,48 e € 77,47 saranno ridotte ad € 30,99 al giorno (€ 51,65 all’estero) in caso di rimborso di spese di vitto o alloggio o vitto o alloggio forniti gratuitamente ed € 15,49€ al giorno (€25,82 all’estero) nel caso in cui vengano rimborsate sia le spese di vitto che quelle di alloggio o nel caso in cui siano forniti gratuitamente.

I rimborsi analitici delle spese di vitto e alloggio, spese di viaggio e di trasporto non concorrono a formare il reddito ed inoltre viene escluso da imposizione il rimborso di altre spese anche non documentabili se vengono analiticamente attestate fino ad € 15,49 (€ 25,82 in caso di trasferte all’estero); l’eventuale corresponsione di una indennità in aggiunta al rimborso analitico indipendentemente dall’importo, concorre interamente a formare il reddito di lavoro dipendente.

In riferimento alla documentazione di viaggio e trasporto le spese per i viaggi compiuti con mezzi pubblici come ferrovie e aerei sono direttamente documentabili, mentre i viaggi compiuti con i mezzi propri devono essere determinate dal datore di lavoro sulla base di elementi concordanti, diretti ed indiretti.

Il comma 6 dell’articolo 51, fa invece riferimento alla figura del trasfertista che si ha nel momento in cui dal contratto di lavoro emerge che l’attività viene svolta in modo continuativo fuori dalla sede di lavoro e il contratto di lavoro non stabilisce una sede di lavoro predeterminata; la qualifica di trasfertista è demandata alle parti ed individuata in chi non è in trasferta e non ha quindi una missione specifica da svolgere in un luogo ben preciso.

In questo caso le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto allo svolgimento di attività lavorative in luoghi sempre diversi anche se con carattere di continuità, le indennità di navigazione e di volo che sono previste dalla legge o dal contratto collettivo e le indennità previste dall’articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959 n. 1229 concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare.

La previsione normativa dell’articolo 51, comma 6 consente di stabilire, al momento dell’assunzione, indennità o maggiorazioni di retribuzioni funzionali o direttamente imputabili alle particolari caratteristiche dell’attività lavorativa.

Fringe Benefits

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I fringe benefits sono, come dice la parola stessa, dei benefici accessori alla retribuzione cioè elementi remunerativi complementari alla retribuzione principale che vengono riconosciuti ai lavoratori al fine di integrare il loro normale compenso od incentivarli ad una maggiore produttività: rappresentano quindi una forma di retribuzione in natura, concorrono alla formazione del reddito tassato in capo al lavoratore e vanno a migliorare il tenore di vita del lavoratore stesso evitandogli di sostenere determinate spese e garantendogli prestazioni che in caso contrario non potrebbe permettersi.

Fringe Benefit

Che cosa sono e come funzionano

I fringe benefits sono, come dice la parola stessa, dei benefici accessori alla retribuzione cioè elementi remunerativi complementari alla retribuzione principale che vengono riconosciuti ai lavoratori al fine di integrare il loro normale compenso od incentivarli ad una maggiore produttività: rappresentano quindi una forma di retribuzione in natura, concorrono alla formazione del reddito tassato in capo al lavoratore e vanno a migliorare il tenore di vita del lavoratore stesso evitandogli di sostenere determinate spese e garantendogli prestazioni che in caso contrario non potrebbe permettersi.

Il fringe benefits costituisce lo strumento principale a disposizione del datore di lavoro per realizzare il c. D welfare aziendale; l’erogazione dei fringe benefits coinvolge il datore di lavoro o il committente che eroga il compenso in natura ed il soggetto percettore che svolge la prestazione lavorativa.

Il riferimento normativo per quel che riguarda il welfare aziendale è l’articolo 51, comma 3 del Testo Unico delle Imposte dei Redditi che stabilisce che:

“Ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1, compresi quelli dei beni ceduti e dei servizi prestati al coniuge del dipendente o a familiari indicati nell’articolo 12, o il diritto di ottenerli da terzi, si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’articolo 9. Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista. Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore, nel periodo d’imposta, a € 258,23; se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito. “

In genere la disciplina dei fringe benefits viene stabilita nel contratto individuale che l’azienda stipula con il lavoratore; ai sensi del testo unico delle imposte, il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta anche sotto forma di erogazioni liberali, cioè regali, in relazione al rapporto di lavoro.

In Italia non esistono particolari normative relative ai fringe benefits ma sono gestiti in maniera arbitraria dalle aziende, le uniche citazioni sono relative alle imposizioni fiscali; per ogni benefit viene stabilito un valore normale cioè il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e allo stesso stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo nel quale i beni e i servizi sono stati acquistai o prestati e in mancanza nel tempo e nel luogo più prossimi.

Il legislatore ha riservato un trattamento favorevole relativo agli effetti fiscali e contributivi, per i compensi in natura corrisposti ai dipendenti o ai collaboratori; le regole della tassazione variano a seconda della categoria di fringe benefits preso in considerazione. Occorre distinguere il trattamento tributario dei benefici tassabili in capo al datore di lavoro o al committente: il fringe benefits determina in capo al percettore lavoratore subordinato, un reddito di lavoro dipendente tendendo presente che occorre far riferimento al momento in cui il bene o il servizio escono dalla disponibilità di lavoro per entrare nella sfera patrimoniale del lavoratore.

In capo al datore di lavoro i compensi tassabili configurano delle spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili in sede di quantificazione del reddito d’impresa.

Quindi i benefits costituendo parte della retribuzione, saranno oggetto di tassazione; il valore del benefits o del servizio oggetto di benefits viene determinato in base al prezzo o al corrispettivo mediamente praticato per beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo più prossimi.

I fringe benefits non vengono però tassati e non contribuiscono a formare il reddito, se sono beni ceduti o servizi di importo non superiore a 258,23 euro nel periodo d’imposta; se il limite viene superato, l’intero valore concorrerà a formare il reddito. Il limite va considerato per tutti i fringe benefit percepiti anche se derivano da altri rapporti di lavoro eventualmente intrattenuti nel corso dello stesso periodo d’imposta; in caso di cessione agevolata al lavoratore di prodotti dell’azienda e non solo commercializzati, la determinazione del valore normale del benefit, avviene considerando il prezzo che l’impresa applica mediamente al grossista a condizione che l’azienda operi anche all’ingrosso.

L’azienda applicherà la ritenuta sul valore del fringe benefits; l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi a titolo di fringe benefits, da parte del datore di lavoro, può avvenire tramite documenti di legittimazione, i cosìdetti voucher, in formato cartaceo o elettronico che riportano un valore nominale. Questi documenti di legittimazione non potranno essere utilizzati da soggetti diversi dal titolare, non potranno essere monetizzati o ceduti a terzi e danno diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale, senza integrazioni a carico del titolare.

I beni e i servizi che sono esclusi da imposizione fino a 258,23 potranno essere cumulativamente indicati in un unico documento di legittimazione purchè il valore complessivo non ecceda il limite d’importo; a volte i fringe benefits possono essere rappresentati da particolari sconti che l’azienda riconosce ai propri lavoratori su beni che essa stessa commercializzati: pensiamo per esempio ad una fabbrica di automobili che consente ai propri lavoratori di acquistare un veicolo con il 50% di sconto: in questo caso il valore nominale di riferimento per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti  potrà essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro.

I fringe benefits possono essere utilizzati dai lavoratori a cui sono stati assegnati in tre diverse modalità:

•             uso nell’esclusivo interesse dell’azienda;

•             uso nell’interesse dell’azienda e del lavoratore;

•             uso nell’esclusivo interesse del lavoratore;

Le tipologie più comuni di fringe benefit sono sicuramente i buoni pasto ma anche il telefono cellulare aziendale, l’auto aziendale, l’alloggio, le polizze assicurative o i prodotti aziendali ceduti a condizioni favorevoli.

I buoni pasto non hanno un valore stabilito dalla legge ma possono oscillare tra i 5 € e i 15€, mentre per le altre tipologie di benefit che generalmente vengono offerti al lavoratore a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle che incontrerebbero sul mercato, l’azienda potrebbe richiedere un contributo al lavoratore. In questo caso naturalmente i benefit non sono forniti obbligatoriamente al lavoratore ma sono benefit su cui l’azienda e il lavoratore possono trovare un accordo; il contributo potrà quindi variare in funzione dell’utilizzo che si fa del benefit se uso esclusivo aziendale o personale.

La tassazione è specifica in ogni benefit anche in funzione dell’uso dello stesso: i buoni pasto fino ad € 5,29 al giorno vengono tassati, le autovetture in uso promiscuo sono tassabili fino al 30 % del costo chilometrico (su tabelle ACI con percorrenza 15000 KM).

Ai lavoratori potranno anche essere distribuiti dei buoni acquisto utilizzabili presso esercizi convenzionati che si traduce in un compenso in natura e il benefit di conseguenza sarà quantificato in base al valore nominale del buono; anche in questo caso non c’è la tassazione se il valore non supera i 258,23 euro.

A partire dal 9 settembre 2017 sono entrate in vigore alcune novità relative ai buoni pasto: il D. M. N. 122 del 7 giugno 2017, fornisce le istruzioni operative per una corretta gestione e fruizione degli stessi; i buoni in particolare:

·         potranno essere usati anche presso supermercati, ipermercati e agriturismi;

·         possono essere usati contemporaneamente fino ad un massimo di otto per ogni impiego;

·         possono essere fruiti anche a distanza di mesi e comunque entro il termine della scadenza che viene indicato sullo stesso buono;

·         possono fruirne anche i lavoratori part time e i collaboratori;

I benefits possono anche consistere nella concessione ai lavoratori (singolarmente o ad una determinata categoria) del diritto di opzione per l’acquisto di azioni, stabilendo un prezzo che resta fisso ed un termine entro il quale l’opzione potrà essere esercitata.

La finanziaria 2016 ha poi introdotto nuovi fringe benefit a favore dei dipendenti alternativi al premio di produzione:

·         l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari;

·         le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari;

·         “le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti.

Le regole della contrattazione collettiva

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La struttura, le modalità e gli effetti della contrattazione collettiva sono stati a lungo disciplinati dall’accordo interconfederale del 23/07/1993, che ha costituito una vera e propria colonna nel nostro sistema di relazioni industriali; questo sistema è durato per 15 anni fino a quando, verso la fine del primo decennio del nuovo secolo, è nata l’esigenza di una revisione delle regole che è avvenuta gradualmente attraverso diversi accordi interconfederali a partire dal 2009.

Le regole della contrattazione collettiva

Analisi in merito alle regole della contrattazione collettiva con riferimento ai livelli contrattuali e alla loro efficacia

La struttura, le modalità e gli effetti della contrattazione collettiva sono stati a lungo disciplinati dall’accordo interconfederale del 23/07/1993, che ha costituito una vera e propria colonna nel nostro sistema di relazioni industriali; questo sistema è durato per 15 anni fino a quando, verso la fine del primo decennio del nuovo secolo, è nata l’esigenza di una revisione delle regole che è avvenuta gradualmente attraverso diversi accordi interconfederali a partire dal 2009.

Attualmente quindi la contrattazione collettiva è regolata da un articolato sistema di regole che fanno capo a diversi accordi interconfederali: il protocollo del 1993, gli accordi del 22/01/2009 e del 28/06/2011, il Protocollo d’Intesa del 31/05/2013 e l’accordo Confindustria – CGIL, CISL, UIL del 10/01/2014, recante il testo Unico sulla rappresentanza, modificato poi parzialmente dall’accordo 04/07/2017; in ultimo è stato concluso un ulteriore accordo tra Confindustria – CGIL, CISL, UIL del 28/02/2018 che definisce gli indirizzi in materia di contrattazione collettiva e dà completa attuazione alle procedure dell’accordo del 2014. Le nuove regole della contrattazione collettiva si applicano soltanto alle parti firmatarie degli accordi interconfederali (CGIL, CISL e UIL, CONFINDUSTRIA e le relative associazioni affiliate) mentre le altre associazioni datoriali possono aderirvi.

In base agli accordi stipulati nel 2009, 2011, 2014 e 2018 la struttura della contrattazione collettiva è articolata su due livelli: quello nazionale e quello decentrato; il contratto collettivo nazionale ha la funzione di regolare i rapporti di lavoro e garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati sul territorio nazionale mentre il contratto collettivo aziendale o territoriale è finalizzato ad adottare la disciplina generale alle specifiche realtà produttive; il contratto collettivo nazionale, regola anche le relazioni sindacali nel settore e disciplina le iniziative di bilateralità  in coerenza con gli indirizzi stabiliti negli accordi interconfederali.

Il rapporto che c’è tra i due livelli di contrattazione collettiva è un rapporto funzionale: il contratto collettivo nazionale è gerarchicamente sovraordinato rispetto al contratto collettivo aziendale che si esercita relativamente alle materie delegate dal contratto collettivo nazionale di lavoro, di categoria o dalla legge. Il livello nazionale ha un ruolo centrale in quanto stabilisce le materie e le voci della contrattazione decentrata che però può anche derogare in via temporanea su singoli istituti economici e normativi disciplinati dai contratti nazionali (cosiddette clausole di uscita).

L’accordo interconfederale del 2014 prevede la possibilità di stipulare a livello aziendale intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali; è necessario quindi rispettare i limiti e le procedure previste dal contratto collettivo nazionale per evitare uno sganciamento totale dalla linea nazionale ma lo stesso accordo prevede che, per poter gestire situazioni di crisi o viceversa, in presenza di investimenti finalizzati allo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, le intese modificative possono essere stipulate indipendentemente da ciò che prevede il contratto collettivo nazionale e disciplinare, anche in deroga a quest’ultimo, aspetti relativi alla prestazione lavorativa , all’orario e all’organizzazione del lavoro, acquisendo efficacia generale.

In base all’accordo del 2009 la durata del contratto collettivo, sia con riferimento alla parte economica che normativa, è di 3 anni; per rendere più veloce il rinnovo del contratto collettivo ed evitare eccessivi ritardi nei negoziati tra le parti, le piattaforme sindacali devono essere presentate anticipatamente rispetto alla scadenza del contratto collettivo ed in particolare 6 mesi prima per il contratto nazionale e 2 mesi prima per il contratto di secondo livello. Entro questi termini si deve dare un avvio alle trattative e per incentivarle, l’accordo fissa un periodo di tregua sindacale di 7 mesi dalla data di presentazione delle proposte per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali e 3 mesi per quelli di secondo livello.

L’accordo inoltre prevede che per il periodo di vacanza contrattuale cioè il periodo dalla scadenza del contratto fino alla stipula del rinnovo, deve essere riconosciuta ai lavoratori una copertura  economica  il cui importo è stabilito dai singoli contratti collettivi nazionali di categoria; questa copertura sostituisce l’indennità di vacanza contrattuale e ha la stessa funzione di incentivare il rispetto dei tempi e delle procedure per il rinnovo dei contratti.

Il rinnovo del contratto collettivo ha come obiettivo anche quello di permettere la negoziazione di aumenti salariali che sono per lo più riferiti alla necessità di compensare la perdita del valore reale delle retribuzioni; in base all’accordo del 2009, l’adeguamento delle retribuzioni all’andamento dell’inflazione, avviene in base ad un nuovo parametro costituito dall’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati (IPCA); questo sistema si sostituisce a quello previsto dal protocollo del 1993, basato sul tasso di inflazione programmata.

L’accordo del 2009 valorizza il ruolo della contrattazione collettiva di secondo livello, territoriale o aziendale, come strumento di ripresa della crescita della produttività e quindi delle retribuzioni reali; è previsto che il contratto aziendale o quello territoriale, possano stabilire l’erogazione di premi variabili a seconda del raggiungimento di determinati obiettivi di produttività, efficienza e competitività delle imprese.

Per garantire una maggiore equità salariale è comunque previsto un elemento di garanzia retributiva per i lavoratori di quelle aziende che sono prive di contrattazione di secondo livello e che quindi non potrebbero usufruire dei premi variabili da essa disposti.

L’accordo Confindustria – CGIL, CISL, UIL del 28/02/2018 prevede due nuovi indicatori in materia di retribuzioni: il trattamento economico minimo e il trattamento economico complessivo; la loro determinazione per ciascuna categoria è demandata ai singoli contratti collettivi nazionali.

Il trattamento economico minimo (TEM) è costituito dai minimi tabellari per il periodo di vigenza contrattuale; l’adeguamento salariale dei rinnovi contrattuali corrisponderà alla variazione dei valori del TEM ed avverrà in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’IPCA; il contratto collettivo nazionale di categoria potrà modificare il valore del TEM anche in ragione dei processi di trasformazione o di innovazione organizzativa. Il trattamento economico complessivo (TEC) sarà costituito dal trattamento economico minimo TEM e da ogni altra attribuzione economica prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria e qualificata come comune a tutti i lavoratori del settore a prescindere dal livello di contrattazione a cui il medesimo contratto collettivo nazionale di categoria ne affiderà la disciplina. Nelle altre attribuzioni di cui tenere conto potranno essere comprese anche eventuali forme di welfare aziendale; il contratto collettivo nazionale determinerà la durata e la causa di tali trattamenti economici aggiuntivi al minimo tabellare e il livello di contrattazione a cui vengono affidati.

Con l’accordo del 2011, il protocollo 2013 e l’accordo del 2014 sono stati definiti i criteri per accertare la rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva nazionale ed aziendale: il meccanismo si basa su requisiti di rappresentatività da accertare con riferimento alla consistenza associativa e/o effettiva presenza del sindacato nelle aziende; in particolare l’accordo del 2014 stabilisce che sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale, le federazioni delle organizzazioni sindacali firmatarie degli accordi 2011,2013 e 2014 che hanno una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando la media tra il dato associativo e il dato elettorale come risultante dalla ponderazione effettuata dal CNEL. Per effetto dell’accordo del 04/07/2017 la ponderazione precedentemente affidata al CNEL viene affidata all’INPS.

A causa della mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, l’esito della contrattazione collettiva e quindi il contratto collettivo ha natura civilistica quindi non è fonte di diritto obiettivo ed è vincolante solo per le parti che sono iscritte alle associazioni stipulanti, anche se in un sistema caratterizzato dall’unità sindacale, il problema di definire a quali lavoratori si applica il contratto collettivo non si è posto perché una volta stipulato o rinnovato, il datore di lavoro ha provveduto ad applicare il contratto a tutti i lavoratori della categoria; in tempi più recenti la conflittualità che si è sviluppata tra in alcuni settori economici con la definizione di contratti separati, o di contratti stipulati solo da alcune sigle sindacali, hanno posto con impellenza la necessità di un sistema di regole certe quindi gli accordi del 2011, 2013 e 2014 individuano un procedimento per conferire efficacia vincolante ai contratti collettivi: questi accordi definiscono un iter a cui devono ritenersi assoggettate le confederazioni che hanno sottoscritto gli accordi, queste confederazioni sono poi garantite dell’osservanza delle predette regole da parte delle Federazioni di categoria e delle rappresentanze sindacali aziendali ad esse aderenti.

Gli accordi interconfederali definiscono i requisiti di rappresentatività per selezionare le organizzazioni sindacali legittimate alla contrattazione collettiva; è richiesta una rappresentatività non inferiore allo 5% nello specifico settore di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro. In sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale i sindacati aderenti alle confederazioni firmatarie degli accordi 2011, 2012 e 2014 devono verificare la possibilità di  convergere verso una piattaforma unitaria, nel caso in cui ci sia un dissenso tra le sigle sindacali e non si riesca a pervenire ad una piattaforma unitaria; l’associazione rappresentativa dei datori di lavoro è tenuta ad avviare le trattative sulla base della piattaforma presentata dalle organizzazioni sindacali che hanno un rappresentatività nel settore pari almeno al 50% più 1. In entrambi i casi (piattaforma unitaria e non) si prevede che acquistino per tutti i lavoratori efficacia i contratti collettivi nazionali di lavoro che soddisfano entrambe le seguenti condizioni:

·         sono stati sottoscritti dalle organizzazioni sindacali che costituiscono almeno il 50 %più uno della rappresentanza nel settore;

·         sono stati approvati dai lavoratori attraverso una preventiva consultazione certificata sull’esito di negoziazione.

La funzione delle regole poste, dai nuovi accordi interconfederali si manifesta in caso di dissenso tra le associazioni sindacali infatti in queste ipotesi il contratto che è stato concluso solo da alcune sigle sindacali è ugualmente esigibile ed impegna tutte le organizzazioni aderenti alle confederazioni firmatarie degli accordi interconfederali.

L’accordo del 2011 individua un metodo per rendere il contratto collettivo nazionale aziendale efficace erga omnes quindi nei confronti di tutti i lavoratori dell’impresa; i criteri sono diversi a seconda della presenza nel contesto aziendale di RSU o RSA e sono i seguenti:

·         nel caso in cui a livello aziendale vi siano RSU che negoziano unitariamente il contratto aziendale deve essere approvato dalla maggioranza dei componenti della RSU presenti in azienda;

·         nel caso in cui a livello aziendale vi sia RSA, è necessaria l’approvazione delle RSA costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che singolarmente o insieme ad altre, sono destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite ai lavoratori dell’azienda nell’annoi precedente a quello in cui avviene la stipulazione.

Le parti economiche e normative del contratto aziendale stipulato nell’osservanza dei criteri precedentemente citati, diventano efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali presenti nell’azienda che aderiscono alle confederazioni firmatarie dell’accordo interconfederale del 2011, 2013 e 2014.

Il contratto collettivo di lavoro

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Il contratto collettivo di lavoro viene definito come “l’accordo tra un datore di lavoro, o un gruppo di datori di lavoro, ed un’organizzazione o più di lavoratori allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno adeguarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale; la contrattazione collettiva è il principale strumento di autoregolamentazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali.

Il contratto collettivo di lavoro

Analisi del contratto collettivo di lavoro in merito alla definizione, caratteristiche e fondamento

Il contratto collettivo di lavoro viene definito come “l’accordo tra un datore di lavoro, o un gruppo di datori di lavoro, ed un’organizzazione o più di lavoratori allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno adeguarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale; la contrattazione collettiva è il principale strumento di autoregolamentazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali.

Esso si caratterizza principalmente per:

·         i soggetti, visto che il contratto viene stipulato tra parti, di cui una almeno è quella dei prestatori di lavoro, deve essere costituita da soggetti coalizzati;

·         l’oggetto, con esso si intende stabilire in modo impegnativo tra le parti, le clausole e le condizioni dei futuri contratti individuali dei singoli prestatori che appartengono alla categoria.

Il fondamento giuridico del contratto da un lato è rappresentato dall’autonomia che l’ordinamento giuridico concede alle organizzazioni sindacali e dal rapporto interno che unisce il sindacato ai suoi membri per cui il primo rappresenta giuridicamente il secondo.

Il contratto collettivo è nato con la L. 563/1926, istitutiva dell’ordinamento corporativo, che prevedeva per ciascuna categoria di lavoratori o datori di lavoro, una sola organizzazione professionale che aveva la rappresentanza legale della categoria professionale ed era legittimata a stipulare i contratti collettivi corporativi che avevano efficacia erga omnes, in quando rappresentavano una fonte obiettiva di diritto; con l’abolizione dell’ordinamento corporativa fu ideato un sistema che doveva essere transitorio, che lasciava in vigore le norme contenute nei contratti collettivi, negli accordi economici, nelle sentenze della magistratura ed in alcune ordinanze corporative precedentemente emanate salvo le successive modifiche. L’articolo 39 della Costituzione stabilisce invece uno speciale procedimento per la stipulazione dei contratti collettivi attraverso il quale viene ad essi attribuita efficacia di norma giuridica, valevole erga omnes. Questa norma necessità di una legge di esecuzione che però fin ora non è stata mai adottata, rendendo quindi inattuato il procedimento per le registrazioni dei sindacati previsto dalla Costituzione; attualmente quindi nel nostro ordinamento non c’è un contratto collettivo prefigurato dalla Costituzione, l’unico contratto collettivo che oggi può realizzarsi è quello di diritto comune così chiamato in quanto trovano applicazione le norme diritto comune in materia contrattuale.

Lo scopo principale del contratto collettivo è quello di stabilire delle condizioni uniformi e obbligatorie valide per tutti i prestatori di una determinata categoria, per evitare una possibile e dannosa concorrenza prima di tutto tra prestatori che pur di ottenere il lavoro, potrebbero essere indotti a pretendere un trattamento economico inferiore a quello pattuito dai sindacati per la loro categoria, e tra datori di lavoro perché coloro che corrispondono stipendi più bassi di quelli stabiliti contrattualmente, vedrebbero diminuiti i loro costi di lavoro, trovandosi così in una situazione di vantaggio nei confronti degli imprenditori che invece corrispondono le giuste tariffe sindacali.

L’oggetto della disciplina del contratto collettivo è invece costituito, in linea di massima, dai rapporti individuali di lavoro subordinato; è possibile disciplinare tramite la contrattazione collettiva anche altri tipi di rapporti in cui i prestatori si trovano in condizioni di inferiorità economica rispetto all’altra e ciò legittima i sindacati alla disciplina di essi tramite contratti collettivi come per esempio per alcuni lavoratori parasubordinati. Bisogna comunque distinguere tra il contenuto normativo ed il contenuto obbligatorio del contratto collettivo di diritto comune: il contenuto normativo attiene al complesso di clausole che sono destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro (es. Livelli retributivi, orario di lavoro, ferie etc. ) mentre il contenuto obbligatorio è quello che vincola a determinati comportamenti le associazioni tra lavoratori e datori tra loro come ad esempio le clausole di tregua sindacale.

La parte normativa a sua volta è articolata in due parti: parte economica che riguarda i minimi di paga e le varie voci retributive e la parte propriamente normativa, che invece riguarda i vari istituti del rapporto di lavoro, come l’inquadramento, le ferie, i permessi e i congedi.

In base al criterio dell’ordine gerarchico (la norma di ordine superiore prevale su quella di ordine inferiore), le norme della Costituzione, del diritto sovranazionale e delle leggi Nazionali prevalgono su quelle del contratto collettivo; il contratto collettivo e  quello individuale invece, in quanto entrambi espressione dell’autonomia negoziale private, sono in posizione paritaria; in base quindi alla regola generale ordinatrice tra le fonti di disciplina del rapporto di lavoro, le disposizioni del contratto collettivo non potranno mai essere in contrasto con la legge o derogare ad essa ed eventuali conflitti vengono risolti sempre con la prevalenza della disposizione legislativa, per esempio se la contrattazione collettiva fissasse il periodo di ferie in sole due settimane all’anno questa disposizione sarebbe illegittima perché andrebbe contro la previsione legislativa che prevede il periodo minimo di ferie di quattro settimane all’anno.

Tuttavia il criterio dell’ordine gerarchico non trova applicazione assoluta nel campo lavoristico in quanto è colmato dal principio di favore verso il lavoratore, che fa si che tra più fonti regolatrici del rapporto di lavoro, prevalga quella più favorevole verso il lavoratore; quindi la norma di legge può essere derogata dal contratto collettivo ogni qualvolta esso preveda condizioni migliorative; al contrario il contratto collettivo non potrà mai prevalere sulla legge se dispone condizioni peggiorative per il lavoratore rispetto alla previsione legislativa, riprendendo l’esempio delle ferie il contratto collettivo non può prevedere un periodo di ferie inferiore a quello previsto dalla Legge ma potrà invece prevedere un periodo maggiore.

Il contratto collettivo e il contratto individuale di lavoro, si collocano sulla stessa posizione all’interno delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro ma prevale il principio della inderogabilità del contratto individuale alle disposizioni del contratto collettivo, salvo che le disposizioni del contratto collettivo siano più favorevoli per il lavoratore, questo principio è sempre riconducibile alla funzione di tutela della categoria svolta dal sindacato e dal contratto collettivo e che verrebbe ad essere facilmente vanificata se fosse possibile semplicemente disapplicarne le disposizioni in ogni singolo contratto di lavoro; questa regola della inderogabilità consente di superare la debolezza contrattuale, sociale ed economica del lavoratore e dare piena effettività all’azione sindacale questo perché in sede collettiva, dove al datore si contrappone il sindacato, è possibile ottenere disposizioni migliori che non attraverso una contrattazione individuale. In sede di stipulazione del contrato individuale di lavoro infatti ad interloquire con il datore di lavoro c’è il lavoratore che si trova in una posizione più debole rispetto al primo, e privo della maggior forza contrattuale di cui è invece dotato il sindacato.

La disposizione del contratto individuale che deroga al contratto collettivo è nulla anche se questa nullità non investe l’intero contratto ma solo la clausola difforme che viene automaticamente sostituita da quella del contratto collettivo; tuttavia anche nel rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale, il principio della inderogabilità del contratto non è assoluto e tassativo: le condizioni previste dal contratto collettivo costituiscono il minimo assoluto per il lavoratore, ma è lecito che i contratti individuali possano prevedere condizioni più favorevoli per il lavoratore in deroga al contratto collettivo.

Il contratto collettivo di diritto comune non costituisce una fonte del diritto come i contratti corporativi, non ha quindi efficacia erga omnes, ma vincola esclusivamente gli iscritti alle organizzazioni sindacali che lo hanno stipulato; nel tempo però si sono formati diversi meccanismi che hanno reso possibile l’applicabilità del contratto collettivo anche ai soggetti non iscritti alle parti stipulanti; il contratto collettivo può trovare applicazione quando c’è stata da parte dei soggetti del rapporto individuale, un’adesione ai contratti collettivi ovvero una ricezione di esse nei contratti individuali.

Anche la giurisprudenza consente l’estensione soggettiva del contratto collettivo di diritto comune mediante l’applicazione dell’articolo 36 della Costituzione: è stato stabilito che il giudice di merito, ai fini della determinazione della retribuzione equa, può tener conto degli indici sintomatici, della situazione generale e locale della mano d’opera, delle clausole salariali contenute nei contratti collettivi ed inoltre può utilizzare anche le tariffe salariali concordate con regolamentazione collettiva per altri rapporti di lavoro che presentino analogia e affinità con il rapporto sottoposto alla sua decisione.

Il lavoro intermittente

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Il lavoro intermittente o lavoro a chiamata o job on call, è un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato, con il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo cioè quando ne ha effettivamente bisogno.

Questo particolare contratto di lavoro è stato introdotto nel nostro ordinamento con il D. Lgs 276/2003, con l’obiettivo di permettere la regolarizzazione dei cosiddetti “spezzoni lavorativi”, cioè di quei lavori discontinui che si svolgono in modo diffusamente sommerso, tramite uno strumento contrattuale specifico particolarmente adatto ad alcuni settori come il turismo, la ristorazione ecc. ; attualmente la disciplina del lavoro intermittente è contenuta nel D. Lgs 81/2015 (art. 13 – 18) di attuazione del Jobs Act.

Il lavoro intermittente

Analisi del contratto di lavoro intermittente: nozione e le vari tipologie contrattuali, casi in cui è ammesso e casi in cui è vietato.

DEFINIZIONE

Il lavoro intermittente o lavoro a chiamata o job on call, è un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato, con il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo cioè quando ne ha effettivamente bisogno.

Questo particolare contratto di lavoro è stato introdotto nel nostro ordinamento con il D. Lgs 276/2003, con l’obiettivo di permettere la regolarizzazione dei cosiddetti “spezzoni lavorativi”, cioè di quei lavori discontinui che si svolgono in modo diffusamente sommerso, tramite uno strumento contrattuale specifico particolarmente adatto ad alcuni settori come il turismo, la ristorazione ecc. ; attualmente la disciplina del lavoro intermittente è contenuta nel D. Lgs 81/2015 (art. 13 – 18) di attuazione del Jobs Act.

Il lavoro intermittente si può riassumere nelle seguenti tipologie:

·         lavoro intermittente con espressa pattuizione dell’obbligo di disponibilità, nella quale il lavoratore è obbligato a restare a disposizione del datore di lavoro per poter effettuare prestazioni lavorative quando lo stesso le richiede;

·         lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità in cui il prestatore non si impegna contrattualmente ad accettare la chiamata da parte del datore di lavoro, è quindi libero di accettare ed eseguire la prestazione oppure rifiutarla.

IL CAMPO DI APPLICAZIONE

Il lavoro intermittente è legittimo in presenza di alcune causali oggettive e soggettive stabilite dalla legge, può infatti essere stipulato nelle seguenti ipotesi:

·         per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente a seconda delle esigenze individuate dalla contrattazione collettiva di qualsiasi livello, anche con riferimento a periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno (causale oggettiva)

·         con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età (causale soggettiva).

Nel primo caso il ricorso al contratto di lavoro intermittente è disciplinato dalla contrattazione collettiva, in mancanza i casi di ricorso al contratto intermittente sono individuati dal D. M. 23/10/2004; nella seconda ipotesi invece, il soggetto può anche essere in procinto di compiere 24 anni: per la stipulazione del contratto è necessario che non li abbia ancora compiuti, successivamente il rapporto potrà avere corso ma le prestazioni lavorative dovranno essere rese entro il venticinquesimo anno di età. Non è discriminatorio il licenziamento di un lavoratore che viene assunto con contratto intermittente e al compimento di 25 anni viene licenziato.

Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso purchè sussistano i requisiti soggettivi (anche in caso di divieto dei contratti collettivi); la violazione della cause contrattuali che escludono il ricorso al lavoro intermittente determina, dove non ricorrano i requisiti soggettivi, una carenza delle condizioni che legittimano l’utilizzo di questa forma contrattuale quindi verrà applicata la sanzione della conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato. In ogni caso il ricorso al lavoro intermittente tra le stesse parti (stesso datore di lavoro e stesso lavoratore) è ammesso per un periodo massimo di 400 giornate nell’arco di tre anni solari ed il superamento di questo limite comporta anche in questo caso la trasformazione del contratto a tempo pieno ed indeterminato; questo limite non trova però applicazione nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.

DIVIETO DI ASSUNZIONE

Il ricorso al lavoro intermittente è invece vietato nei seguenti casi:

·         per la sostituzione dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

·         nelle unità produttive nelle quali nei sei mesi precedenti, si è proceduto a licenziamenti collettivi, a sospensioni o a riduzioni dell’orario di lavoro che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni a cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;

·         da parte di imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in materia di sicurezza sul lavoro.

In questa ultima circostanza, in linea con l’orientamento giurisprudenziale e amministrativo, è stato di recente ribadito che la stipula di un contratto di lavoro intermittente in violazione della norma che impone la valutazione dei rischi, comporta la conversione del rapporto di lavoro da intermittente a subordinato a tempo indeterminato ma in questo caso, in ragione del principio di effettività delle prestazioni, potrà essere a tempo parziale.

LE CARATTERISTICHE DEL CONTRATTO DI LAVORO

Il contratto di lavoro intermittente, deve essere stipulato in forma scritta ai fini probatori e dovrà indicare i seguenti elementi:

·         durata e causali del ricorso al lavoro intermittente;

·         luogo e la modalità della eventuale disponibilità garantita dal lavoratore, e preavviso di chiamata;

·         trattamento economico e normativo ed eventuale indennità di disponibilità;

·         modalità di chiamata del lavoratore e di rilevazione della prestazione eseguita;

·         eventuali misure di sicurezza specifiche.

In caso di ricorso al lavoro intermittente, per impedirne un uso improprio, il datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare una comunicazione preventiva, con modalità semplificate (SMS o posta elettronica); in particolare prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore ai 30 giorni, il datore di lavoro deve comunicarne la durata alla sede territoriale dell’ispettorato del lavoro. La prassi amministrativa ha precisato che in caso di ciclo integrato di prestazioni non superiore ai 30 giorni, i 30 giorni devono essere considerati come giorni di chiamata di ciascun lavoratore; potranno quindi essere effettuate comunicazioni che prendono in considerazione archi temporali anche molto ampi purchè all’interno di essi, i periodi di prestazione non superino i 30 giorni per ogni lavoratore.

La violazione dell’obbligo di comunicazione, darà luogo all’applicazione della sanzione amministrativa da € 400 ad € 2. 400,00 senza diffida; la sanzione trova applicazione con riferimento ad ogni lavoratore e non per ogni giornata di lavoro per la quale risulti inadempiuto l’obbligo comunicazionale; quindi per ogni ciclo di 30 giornate che individuano la condotta del trasgressore, trova applicazione una sola sanzione per ogni lavoratore.

IL RAPPORTO DI LAVORO

La caratteristica principale del contratto di lavoro intermittente è che la prestazione lavorativa non viene effettuata con continuità, come in un normale rapporto di lavoro subordinato, ma solo su richiesta del datore di lavoro: il contratto stabilisce infatti la facoltà per il datore di chiamare una o più volte il lavoratore per lo svolgimento della prestazione lavorativa, nel rispetto di un termine di preavviso che non potrà essere inferiore ad un giorno lavorativo. Il contratto non genera automaticamente sempre un obbligo del lavoratore di rispondere positivamente alla chiamata del datore di lavoro ed eseguire la prestazione: perché tale obbligo sussista, è necessario che sia oggetto di apposita ed espressa previsione da parte del contratto individuale, a fronte della quale deve essere corrisposta al lavoratore un’indennità di disponibilità.

Per tutta la durata del contratto, il lavoratore avrà diritto a due diverse fattispecie di compenso a seconda che svolga la prestazione di lavoro presso il datore di lavoro o resti in attesa di chiamata; per il periodo di attività, il lavoratore intermittente ha diritto al normale trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi nazionali, riproporzionato in base alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita; per il periodo di inattività invece, solo nelle ipotesi in cui il lavoratore sia obbligato contrattualmente a rispondere alle chiamate del datore di lavoro, ha diritto ad una indennità di disponibilità.

L’ammontare dell’indennità è stabilita dalla contrattazione collettiva e non deve essere inferiore alla misura stabilita dal decreto del Ministero del Lavoro ed è assoggettata a contribuzione per il suo effettivo ammontare. Nel caso in cui il lavoratore non fosse disponibile allo svolgimento della prestazione lavorativa per malattia, infortunio o altro evento che lo rende temporaneamente impossibilitato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, il lavoratore non matura il diritto all’indennità ed è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro specificando la durata dell’impedimento, se non provvede a questo obbligo, perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale.

Nei casi in cui il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, il rifiuto ingiustificato di eseguire la prestazione lavorativa, può comportare la risoluzione del contratto e al lavoratore può essere imposta la restituzione dell’indennità riferita al periodo successivo al rifiuto ingiustificato.

IL TRATTAMENTO ECONOMICO

Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente, è regolato dall’articolo 17 del D. Lgs 81/2015 e prevede:

·         il principio di proporzionalità per cui il trattamento deve essere proporzionato alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità e congedi parentali;

·         il principio di non discriminazione per cui il lavoratore intermittente, non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo, complessivamente meno favorevole rispetto ad un lavoratore di pari livello e a parità di mansioni svolte.

Una caratteristica è che per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, ne matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità nel caso in cui sia assunto con l’obbligo di risposta. Il prestatore di lavoro intermittente verrà computato nell’organico dell’impresa, ai fini dell’applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.

Legge regionale 2 agosto 2018 n. 32 Regione Sardegna

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Il 9 agosto 2018 è stata pubblicata sul BURAS n. 37 parte I, bollettino ufficiale della Regione Sardegna, la legge n. 32 del 02/08/2018 che ha ad oggetto “norme in materia funebre e cimiteriale”, entrata in vigore lo stesso giorno di pubblicazione; grazie a questa legge, anche la Sardegna si dota di una specifica legge per il settore funebre e cimiteriale, colmando così la lacuna di mancanza di norme regionali nel settore.

Legge regionale 2 agosto 2018 n. 32 Regione Sardegna

Analisi delle novità introdotte dalla legge della Regione Sardegna in materia funebre e cimiteriale

Il 9 agosto 2018 è stata pubblicata sul BURAS n. 37 parte I, bollettino ufficiale della Regione Sardegna, la legge n. 32 del 02/08/2018 che ha ad oggetto “norme in materia funebre e cimiteriale”, entrata in vigore lo stesso giorno di pubblicazione; grazie a questa legge, anche la Sardegna si dota di una specifica legge per il settore funebre e cimiteriale, colmando così la lacuna di mancanza di norme regionali nel settore.

La Legge segue il precedente intervento legislativo della Regione Sardegna che nel 2012 ha approvato la legge 22 Febbraio n. 4 che all’articolo 4 disciplinava la dispersione e l’affidamento delle ceneri, oggi abrogato dalla legge che stiamo esaminando; la Regione ha scelto una legge di dettaglio, prevedendo che entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore (entro il 05. 02. 2019), la Giunta regionale, con propria deliberazione, ne dovrà definire alcuni ambiti operativi in particolare:

·        i requisiti strutturali dei cimiteri e dei crematori, compresi quelli dei loculi;

·        i requisiti delle strutture che saranno destinate ad obitori e, sentite le associazioni di categoria, le relative norme gestionali;

·        i requisiti dei mezzi di trasporto funebre e delle casse;

·        i requisiti gestionali, strutturali e professionali, compresi i percorsi formativi, per poter svolgere l’attività funebre;

·        le caratteristiche e le modalità di realizzazione delle cappelle private e delle tumulazioni privilegiate, fuori dai cimiteri;

·        le modalità con cui i comuni dovranno informare la cittadinanza sulle varie forme di sepoltura o cremazione e sulle imprese funebri che operano sul proprio territorio.

I comuni, entro 90 giorni, dall’entrata in vigore della nuova Legge Regionale, dovranno istituire il registro per le cremazioni, novità introdotta dalla nuova normativa, e dovranno adeguare i regolamenti comunali di polizia mortuaria alle nuove disposizioni regionali.

La nuova legge nasce con l’intenzione di semplificazione e professionalizzazione delle attività funebri, ma anche soprattutto nel rispetto della dignità, delle convinzioni religiose e culturali e del diritto di ogni persona di poter scegliere liberamente la propria forma di sepoltura, la cremazione e la destinazione delle ceneri; questa legge inoltre, si allinea alla normativa nazionale ed è stata elaborata con 54 articoli con l’obiettivo di disciplinare il settore con delle regole certe e valide per tutti, che garantiscano il diritto dei più deboli di avere una sepoltura dignitosa e salvaguardarli da speculazioni economiche di qualsiasi natura. Le legge mira a disciplinare l’intero comparto in tutte le sue fattispecie concrete, stabilendo i compiti della Regione, degli Enti locali e dell’Azienda per la tutela della salute (ATS) come garanti dell’applicazione delle norme proposte, ma che a loro volta sono destinatari di regole ben precise da osservare; la Regione promuove l’informazione sulla cremazione e su forme di sepoltura di minore impatto per l’ambiente, nel rispetto dei diversi usi funerari di ogni comunità.

La regione in base all’articolo 2 della Legge esercita compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo in tutte le materie che sono disciplinate dalla legge basando la propria attività sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi, in conformità ai principi di efficacia, efficienza e sussidiarietà.

I comuni sulla base dell’articolo 3 della Legge dovranno assicurare la sepoltura o la cremazione delle persone decedute, residenti e di quelle decedute nel proprio territorio tramite la realizzazione, anche associandosi con altri comuni, di cimiteri e crematori in particolare provvedendo a rilasciare la autorizzazioni previste dalla Legge, assicurando spazi pubblici idonei allo svolgimento dei funerali nel rispetto della volontà del defunto e dei suoi familiari e adottare il regolamento di polizia mortuaria; inoltre, in caso di indigenza del defunto o della sua famiglia, o in caso di disinteresse, dovrà assicurare il servizio di raccolta e trasferimento all’obitorio dei deceduti sulla pubblica via o in luogo o spazio aperto al pubblico.

Il regolamento di polizia mortuaria dovrà definire in particolare:

·        l’ubicazione, le condizioni di esercizio e di utilizzo dei cimiteri, delle strutture obitoriali e delle sale del commiato;

·        i turni di rotazione dei campi d’inumazione e le procedure di trattamento del terreno volte a favorire i processi di mineralizzazione;

·        le modalità di concessione e le tariffe delle sepolture private;

·        la disciplina delle attività funebri e le condizioni di esercizio del servizio di trasporto funebre in applicazione di disposizioni regionali;

·        le prescrizioni relative all’affidamento delle urne cinerarie;

·        le caratteristiche della camera mortuaria, dell’ossario comune, del cinerario comune e delle sepolture per inumazione e tumulazione.

Il comune dovrà inoltre vigilare sull’effettiva osservanza dei requisiti richiesti per poter svolgere l’attività funebre, i requisiti relativi al trasporto di salme, cadaveri e ceneri e dovrà provvedere ad informare la cittadinanza sull’attività funebre con particolare riguardo alle differenti forme di sepoltura e cremazione e informarla sui relativi profili economici delle imprese funebri che operano sul proprio territorio. L’Azienda per la tutela della Salute dovrà invece occuparsi degli aspetti igienico sanitari in particolare dovrà assicurare il servizio di medicina necroscopica, impartire disposizioni a tutela della salute pubblica, esercitare le funzioni di vigilanza sugli aspetti igienico sanitari e rilasciare i pareri, le certificazioni ed i nullaosta previsti dalla Legge.

L’attività funebre viene definita come un servizio che assicura in forma congiunta le seguenti prestazioni:

·        disbrigo, su mandato degli aventi titolo, delle pratiche amministrative relative all’attività funebre con l’incarico di agenzia d’affari;

·        vendita di casse e altri articoli funerari;

·        trasporto di salme e di cadaveri;

·        cura, composizione e vestizione di salme e di cadaveri;

L’attività funebre potrà essere svolta da ditte individuali o da società di persone o di capitali, previa presentazione di segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) allo Sportello Unico per le attività produttive e per l’attività edilizia (SUAPE) competente per territorio; la SCIA dovrà essere corredata dalla documentazione e dalle autocertificazioni che attestano il rispetto degli standard qualitativi e quantitativi minimi e che attestano il possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2 comma 2 lettere D della legge regionale.

Per poter svolgere l’attività funebre è necessario avere la disponibilità permanente e continua di mezzi, risorse e organizzazione adeguati ed in particolare:

·        almeno un carro funebre in grado di poter circolare senza limiti e nel rispetto delle disposizioni in materia di emissioni in atmosfera e di autorimessa attrezzata per la sanificazione e il ricovero di non meno di un carro funebre;

·        una sede, dotata si area riservata e di spazio espositivo idonea alla trattazione degli affari amministrativi, alla vendita di cofani ed altri articoli funerari ed ogni altra attività inerente al funerale, ubicata nel comune dove si intende svolgere la propria attività e regolarmente aperta al pubblico;

·        un direttore tecnico, in possesso dei requisiti e assunto con regolare contratto di lavoro, se questa figura non coincide con il legale rappresentante titolare dell’impresa, a cui sono affidati i poteri direttivi e le responsabilità dell’attività funebre;

·        un minimo di 4 addetti con la funzione di necrofori assunti con regolare contratto e che siano in possesso dei requisiti formativi attinenti alle mansioni svolte; (se il direttore tecnico svolge anche l’attività di necroforo, verrà computato nei 4 previsti);

·        per poter aprire altre sedi o filiali i titolari dell’attività funebre, dovranno garantire per ogni sede un addetto alla trattazione delle pratiche amministrative e commerciali, assunto con regolare contratto, in possesso dei requisiti formativi e distinto dal personale già computato presso la sede principale;

i requisiti si intendono soddisfatti anche se la relativa disponibilità è acquisita tramite consorzi, centro servizi e contratti di fornitura di durata e di contenuto idonei a garantire, in via continuativa e funzionale, lo svolgimento dell’attività funebre con un altro soggetto autorizzato all’attività stessa.

Questi contratti o adesioni ai consorzi, regolarmente registrati e depositati presso il comune dove si intende svolgere l’attività, esplicitano i compiti dei soggetti che attraverso le forme contrattuali suddette garantiscono in via continuativa e funzionale lo svolgimento dell’attività funebre. Se i requisiti indicati in precedenza sono ottenuti con le suddette forme contrattuali, dovrà esserne data evidenza in fase di presentazione della SCIA, allegando la documentazione che comprova la sussistenza dei requisiti ed in particolare i soggetti che intendono istituire un consorzio, un centro servizi o un contratto di fornitura, dovranno possedere:

·        fino a 16 contratti sottoscritti con imprese funebri: un minimo di 8 necrofori con regolare contratto di lavoro e tre auto funebri nel rispetto di un criterio di proporzionalità del volume di lavoro richiesto;

·        per ogni contratto sottoscritto con imprese funebri, successivo al sedicesimo, in aggiunta alla dotazione minima, almeno un addetto necroforo con contratto di lavoro regolare ed un’auto funebre ogni 4 contratti, sempre nel rispetto di un criterio di proporzionalità.

è vietata l’intermediazione nell’attività funebre: il conferimento dell’incarico per il disbrigo delle pratiche amministrative, vendita di casse e articoli funebri e per ogni altra attività connessa al funerale, si svolge solo nella sede autorizzata o eccezionalmente, su apposita richiesta degli interessati, presso un altro luogo, purchè non all’interno di strutture sanitarie e socio-assistenziali di ricovero e cura, pubbliche e private, strutture obitoriali e cimiteri.

Le agenzie funebri non potranno inoltre svolgere l’attività di pompe funebri o di trasporto funebre o proporre servizi e forniture che riguardano l’attività di pompe funebri o di trasporto funebre, presso le strutture sanitarie pubbliche o private, comprese le residenze per gli anziani e nelle strutture socio-assistenziali, socio-sanitarie e residenziali e i relativi servizi mortuari così come negli obitori e nei locali di osservazione delle salme e all’interno dei cimiteri e dei locali comunali. L’attività funebre è incompatibile con la gestione di camere mortuarie, obitori e locali di osservazione pubblici, di attività sanitarie e parasanitarie e di cimiteri; le imprese che svolgono l’attività funebre non potranno svolgere anche tramite il proprio personale, l’attività di servizio ambulanza o attività sociali o assistenziali compreso il trasporto di malati o degenti, se non nel tramite di separazione societaria con proprietà diverse da costituire entro 6 mesi dall’entrata in vigore della Legge regionale che stiamo esaminando. Nei comuni classificati come montani o per le loro associazioni, con popolazione complessiva inferiore a 5000 abitanti non c’è incompatibilità tra l’attività funebre e lo svolgimento del servizio cimiteriali quindi è ammessa la deroga al regime di incompatibilità tra i due servizi

I comuni e l’ATS dovranno vigilare e controllare l’osservanza delle norme per le attività funebri nel loro territorio di riferimento e in particolare in caso di violazione delle disposizioni previste dalla Legge regionale, verranno applicate sanzioni amministrative computate in base alle disposizioni che verranno violate; il comune dovrà vigliare inoltre sulla correttezza dell’esercizio dell’attività funebre e nello svolgimento di attività funebre, chiunque proponga direttamente od indirettamente, provvigioni, offerte, regali o vantaggi di qualsiasi tipo, volti ad ottenere informazioni per consentire la realizzazione di uno o più servizi, e fa ricorso a forme ingannevoli di pubblicità magari anche posizionandosi in aree cimiteriali e in zone di rispetto o nelle strutture sanitario o a distanza inferiore a 50 metri dalle stesse verrà punito con una sanzione amministrativa da € 5000 ad € 9000 e in caso di recidiva verrà sospesa, con effetto immediato e da uno e sei mesi, l’autorizzazione comunale allo svolgimento dell’attività o del trasporto funebre e nei casi più gravi l’autorizzazione potrà essere revocata.

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