La prova contraria alla quale è chiamato il contribuente deve essere fornita in modo analitico e documentato e deve investire redditi che “… siano effettivamente “posseduti” dal contribuente e, cioè, siano di pertinenza sua, del coniuge e dei figli minori (che costituiscono il “nucleo familiare”). Non possono, perciò, essere conteggiati i redditi di un affine pur se convivente con il contribuente”.
Redditometro: non possono essere conteggiati i redditi di un affine pur se convivente con il contribuente
La prova contraria alla quale è chiamato il contribuente deve essere fornita in modo analitico e documentato e deve investire redditi che “… siano effettivamente “posseduti” dal contribuente e, cioè, siano di pertinenza sua, del coniuge e dei figli minori (che costituiscono il “nucleo familiare”). Non possono, perciò, essere conteggiati i redditi di un affine pur se convivente con il contribuente”
Sent. N. 17203 del 28 luglio 2006 (ud. Del 24 gennaio 2006) della Corte Cass. , Sez. Tributaria – Pres. Riggio, Rel. D’Alonzo Imposte sui redditi
– Accertamento induttivo
– Prova liberatoria
– Redditi computabili
– Nucleo familiare
– Limite
– Redditi di un affine
– Non possono essere conteggiati
– Art. 38 del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600
Massima – L’art. 38 del D. P. R. N. 600/1973 consente al contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile attraverso l’accertamento sinteticamente basato su redditometro è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
Ciò, tuttavia solo a condizione che tali redditi aggiuntivi risultino da idonea documentazione e siano effettivamente “posseduti” dal contribuente e, cioè, siano di pertinenza sua, del coniuge e dei figli minori (che costituiscono il “nucleo familiare”). Non possono, perciò, essere conteggiati i redditi di un affine pur se convivente con il contribuente. (1)
Svolgimento del processo
– Con ricorso notificato il 6 novembre 2001 all’Ufficio di Fano dell’Agenzia delle Entrate ed il 13 novembre 2001 al Ministero delle finanze (depositato il 21 novembre 2001), i coniugi G. C. e P. F. – premesso che “con avviso di accertamento.
Notificato in data 26 novembre 1997” l’ufficio imposte dirette di Fano, traendo motivo dalla “risposta al Modello 55 Sintetico” da essi fornita (dalla quale risposta “sarebbe emerso il possesso di un’autovettura a gasolio e di un’abitazione principale per l’anno 1990 che, sulla base dei coefficienti fissati dai DD. MM. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992, determinavano un reddito complessivo di lire 47. 611. 000 [da cui erano state detratte, senza motivazioni, lire 9. 858. 000 per “redditi esenti”]), aveva accertato “sinteticamente ai fini Irpef e Ilor 1990” il loro reddito elevando (“da lire 18. 992. 000 a lire 36. 352. 000”) solo quello di esso G. C. E recuperando “una maggiore Ilor per lire 2. 812. 000, una maggiore Irpef per lire 3. 521. 000 ed applicando sanzioni per complessive lire 9. 830. 000” -, in forza di cinque motivi chiedevano, “con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese” e previa riunione “con il procedimento relativo all’anno 1989 pendente. Avanti questa [stessa] Corte”, di cassare la sentenza n. 2/02/01 depositata il 2 febbraio 2001 dalla Commissione tributaria regionale delle Marche la quale aveva rigettato il gravame da loro proposto contro la decisione (n. 300/01/99) della Commissione tributaria provinciale di Pesaro che, “sostenendo in diritto la retroattività dei decreti ministeriali citati e nel merito la carenza di elementi probatori che giustificassero le lagnanze dei ricorrenti”, aveva reietto il loro ricorso avverso il predetto avviso, nel quale avevano contestato “Integralmente l’accertamento in diritto e nel merito”.
Il Ministero e l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate intimati non si costituivano né svolgevano attività difensiva in questo giudizio di legittimità.
Motivi della decisione – 1. In via preliminare vanno disattese le istanze, avanzate dalla difesa dei ricorrenti, tese
– l’una, al rinvio “ad altra data” della discussione della causa per “legittimo impedimento” fisico (infermità) di uno dei due difensori dei contribuenti e professionale dell’altro, non tanto in ragione dell'”officialità del giudizio di cassazione”, il cui svolgimento, come noto (Cass. , Sez. II, 11 gennaio 2002, n. 308; Id. , Sez. III, 11 giugno 1999, n. 5755; Id. , Sez. I, 26 giugno 1997, n. 5719; Id. , Sez. III, 1° febbraio 1995, n. 1131; Id. , Sez. Lav. , 1° marzo 1993, n. 2507; Id. , Sez. I, 29 novembre 1991, n. 12870, la quale ha anche escluso il contrasto del principio con l’art. 24 della Costituzione), “non è condizionato alla partecipazione dei difensori all’udienza di discussione dacché la prospettazione delle ragioni delle parti è interamente affidata all’atto scritto contenente il ricorso od il controricorso mentre alla discussione orale, è attribuito soltanto un valore complementare”, ma in considerazione della possibilità di svolgimento della difesa da parte dell’altro difensore nominato dai contribuenti, il cui allegato impedimento professionale (concomitante trattazione di una controversia tra altre parti affidata alla sua difesa) non può assurge alla medesima legittimità e rilevanza del certificato impedimento fisico (temporaneamente inabilitante) perché involge unicamente l’organizzazione professionale di detto difensore;
– l’altra, alla riunione, per “evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva” nonché “al fine di evitare il rischio di un contrasto di giudicati”, del presente procedimento a quello “relativo all’anno 1989”, anche esso “oggetto di ricorso in cassazione”, atteso 1) che l’eventuale coincidenza delle questioni non priva ciascuna annualità di imposta della propria oggettività (con conseguente insussistenza di afferenti elementi di connessione) e 2) che il paventato pericolo di un “contrasto di giudicati” è del tutto scongiurato, in concreto, per effetto della contestuale trattazione dei due processi da parte di questo stesso collegio giudicante;
– la terza, infine, tendente ad ottenere la “rimessione in termini anche ai sensi dell’art. 184-bis del codice di procedura civile al fine di consentire.
Di rinnovare la notifica di entrambi i ricorsi all’Agenzia delle Entrate di Roma in persona del Direttore pro tempore”, in quanto (Cass. , Sez. Lav. , 6 agosto 2004, n. 15274; Id. , Sez. III, 21 aprile 2004, n. 7612; Id. , Sez. Lav. , 9 agosto 2002, n. 12132; Id. , Sez. II, 11 luglio 2000, n. 9178), tenuto conto della collocazione della norma, la disciplina della rimessione in termini prevista dall’art. 184-bis del codice di procedura civile: non trova applicazione nel corso del giudizio di cassazione perché la stessa concerne soltanto le decadenze nelle quali siano incorse le parti nella trattazione della causa nel giudizio di primo grado e non è applicabile alle situazioni esterne allo svolgimento del giudizio, quali sono le attività necessarie all’introduzione di quello di cassazione e alla sua prosecuzione, vigendo per tutte tali attività tuttora la regola dell’improrogabilità dei termini perentori disposta dall’art. 153 del codice di procedura civile e non essendo possibile (Cass. , Sez. III, 25 maggio 1998, n.5197), considerato il suo carattere palesemente eccezionale, una interpretazione analogica della norma.
La reiezione delle esaminate questioni pregiudiziali permette l’esame del ricorso per cassazione. 2. Con la sentenza gravata la Commissione tributaria regionale
– premesso a) che “l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Fano, esaminata la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche presentata per l’anno 1990 da. G. C. E dal coniuge P. F. , notificava ai contribuenti l’avviso.
Con cui si accertava sinteticamente un maggior reddito, ai fini Irpef ed Ilor, di lire 17. 360. 000” desumendo “la capacità contributiva. Dalla disponibilità di un’auto gasolio di HP 22, dell’anno 1986, e di un immobile di mq. 160, ubicato a S. Costanzo (PU)”, b) che in ricorso G. C. E P. F. avevano sostenuto “che il nucleo familiare contribuiva al mantenimento dell’immobile di sua proprietà in misura sufficiente così come aveva chiarito con il questionario ricevuto dall’ufficio” e c) che nell’appello i contribuenti avevano c1) sollevato “eccezione di nullità dell’accertamento in quanto elaborato sulla base di DD. MM. 10 settembre 1992 e 19 dicembre [recte: novembre] 1992, emanati successivamente rispetto all’anno oggetto della azione accertatrice”, c2) rammentato che “al questionario ex art. 38, comma 6, del D. P. R. N. 600/1973 [avevano] risposto. Facendo presente che il nucleo familiare annoverava anche due figli e la suocera del. G. C. , abitante nell’immobile oggetto dell’accertamento” (chiarendo che “l’immobile in contestazione è di fatto un’unica unità abitativa con tre numeri civici, senza separazione tra i diversi piani che la compongono, e pertanto i redditi della. I. T. Sono a disposizione del nucleo familiare di G. C. “) e c3) “nel merito”, elencato “i redditi e i movimenti bancari della I. T. , nell’anno 1990 e le somme prelevate e gli interessi maturati sui libretti bancari da parte del nucleo familiare nello stesso anno, al fine di dimostrare che il reddito dichiarato ammontava effettivamente a lire 12. 246. 000, e che i redditi esenti e/o comunque a disposizione del nucleo familiare ammontavano a lire 220. 952. 467” presentando “a tal fine. Idonea documentazione”
– ha rigettato l’appello dei contribuenti osservando:
– “in merito all’operato dell’ufficio imposte dirette”, il quale “non ha verificato i redditi dei vari soggetti del nucleo familiare del. G. C. E. Non ha motivato l’avviso di accertamento, suffragandolo sostanzialmente con i criteri predisposti dai DD. MM. 10 settembre 1992 e 19 gennaio [recte, novembre) 1992”, che avendo l’ufficio (“ex art. 38 del D. P. R. n. 600/1973”), “per la determinazione sintetica del reddito complessivo sulla scorta di indizi”, “pieni poteri di definire il maggior reddito in relazione ad elementi e circostanze di fatto indicativi della capacità contributiva del cittadino che ha dichiarato un reddito non congruo rispetto ai predetti elementi, per due o più periodi di imposta” “nella fattispecie” il contribuente, pur avendo prodotto “ampia documentazione nell’intento dì dimostrare la capacità contributiva del nucleo familiare, nel quale annovera la suocera I. T. “, “non ha dimostrato. A quale titolo è stato concesso alla menzionata. I. T.
L’immobile di mq. 160 che di per sé, pur facente parte di fabbricato configurabile come unica unità abitativa, ha una rendita o produce reddito”, un “reddito” però, “cosi come dichiarato”, “non idoneo a rappresentare il reale valore del capitale intestato al. G. C. ” in quanto il “reddito imponibile . Può ovviamente variare in base al reale utilizzo delle singole unità abitative”: “la. I. T. , infatti, ha una sua autonomia reddituale e non è membro della famiglia C. , come si evince dall’attestazione dell’ufficio anagrafe del comune di San Costanzo, per il periodo 1° gennaio 1998-31 dicembre 1990, presentata dal ricorrente”; – “l’utilizzo da parte dell’ufficio di coefficienti presuntivi, quali quelli del “redditometro”, contenuti in decreti ministeriali successivi alla data di emissione dell’avviso di accertamento ha una sua valenza e non è configurabile come applicazione retroattiva di disposizione normativa”; – “nel caso. In mancanza di circostanze di segno contrario, l’utilizzo di parametri e calcoli statistici di provenienza qualificata e di attitudine indiziaria, indipendentemente dal tempo dell’elaborazione, rafforza la valutazione oggettiva operata dall’ufficio nella determinazione del reddito sintetico”. 2. Nel primo motivo di ricorso i contribuenti – assumendo di avere “sistematicamente eccepito” (“sia nel ricorso introduttivo, sia nell’atto di appello”) “il difetto di motivazione e l’eccesso di potere in cui è incorso l’ufficio allorquando ha emesso l’avviso di accertamento a suo tempo impugnato, prescindendo dalle risposte offerte dai contribuenti al questionario Modello 55 Sintetico e limitandosi a riconoscere, senza peraltro motivare, redditi esenti per sole lire 9. 858. 000” – lamentano “nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia [art. 360, n. 5), del codice di procedura civile]” nonché “violazione dell’art. 38, commi 4 e 6, del D. P. R. n. 600/1973. Difetto di motivazione e . eccesso di potere” adducendo che: – “con raccomandata del 2 settembre 1997 in risposta al Modello 55 Sintetico inviato dall’ufficio . , [esso] G. C. aveva, tra l’altro, rappresentato che il nucleo familiare ‘C. ‘ (composto dalla moglie, dai due figli e dalla suocera I. T. ) aveva a disposizione per l’anno 1990 un reddito complessivo di lire 32. 925. 000, oltre al reddito dichiarato [da esso]. G. C. Pari a lire 18. 992. 000, ‘. più che sufficienti a coprire le spese per la casa e per l’auto. ‘”; – “la risposta [di esso] G. C. era sicuramente in linea con l’orientamento del Ministero che aveva ripetutamente invitato gli uffici (circolare n. 7/14962 del 30 aprile 1977, capitolo 4, paragrafo 29, e, da ultimo, circolare n. 101 del 30 aprile 1999 . ) a considerare le disponibilità reddituali di tutto il nucleo familiare e poneva la Pubblica Amministrazione nella migliore condizione per verificarne la veridicità”. In forza di tanto i ricorrenti sostengono che, poiché “l’ufficio anziché controllare le dichiarazioni UNICO dei singoli componenti il nucleo familiare di cui aveva (e tuttora ha) a disposizione la relativa documentazione, riteneva apoditticamente che i contribuenti avessero comprovato con idonea documentazione l’esistenza di redditi esenti per sole lire 9. 858. 000 (inidonei a coprire la differenza tra dichiarato e accertato) e notificava l’avviso di accertamento” (con la conseguenza che, avendo “determinato sinteticamente il reddito”, li aveva gravati “dell’onere della prova contraria ex art. 38, comma 6, del D. P. R. N. 600/1973″), “il principio dell’inversione dell’onere della prova sul contribuente. Opera in quanto lo stesso affermi l’esistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta a titolo di imposta che sfuggono, in quanto tali, alla diretta conoscenza dell’ufficio, non anche quando (perché l’art. 38, comma 6, del D. P. R. n. 600/1973 non lo prevede) il contribuente faccia riferimento a redditi “a disposizione” del nucleo familiare il cui supporto documentale è in possesso, per disposizione di legge, del medesimo ufficio accertatore”: “nel caso in esame, nella risposta al Modello 55 Sintetico” esso “contribuente ha fatto riferimento ai redditi di tutto il nucleo familiare (indicando nome e cognome di ciascun membro) in linea con le istruzioni impartite dallo stesso Ministero delle finanze agli uffici delle imposte” per cui “l’ufficio avrebbe dovuto procedere a verificare i dati e le cifre indicate [da esso] G. C. E, solo nel caso in cui gli importi indicati non avessero trovato corrispondenza nelle dichiarazioni dei redditi in suo possesso (ovvero per qualche ragione non avessero potuto trovare accesso nella fattispecie di cui trattasi), avrebbe potuto emettere l’avviso di accertamento, ivi compiutamente indicando le ragioni dell’esclusione degli importi indicati [dal medesimo] G. C. “. Per i contribuenti “appare dunque evidente l’eccepito difetto di motivazione connesso con la violazione dell’art. 38, comma 6, del D. P. R. N. 600/1973 dell’avviso di accertamento” in quanto l’ufficio ha notificato detto avviso “sostenendo che il contribuente aveva comprovato con idonea documentazione la disponibilità di redditi esenti per sole lire 9. 858. 000, obliando da un lato di considerare il concetto di “nucleo familiare” in spregio all’indirizzo proprio del Ministero e omettendo dall’altro di indicare per quale ragione i redditi dei familiari . non erano stati considerati idonei”. I ricorrenti, quindi, concludono lamentando che “tali eccezioni sono state “saltate a piè pari” dal giudice di prime cure e rigettate inopinatamente dal giudice di appello il quale ha “semplicemente” omesso di giustificare tale pronuncia che, pertanto, si presenta apodittica ed emessa in totale violazione dell’art. 360, n. 5), del codice di procedura civile”. Il motivo va respinto perché infondato. A. L’avviso di accertamento tributario, come noto (Cass. , Sez. trib. , 18 aprile 2003, n. 6232; Id. , Sez. Trib. , 6 novembre 2002, n. 15525; Id. , Sez. Trib. , 1° marzo 2002, n. 2992), ha carattere di provocatio ad opponendum per cui soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente sia l’an che il quantum debeatur, senza che sia necessaria né l’indicazione delle argomentazioni giuridiche costituenti il sostegno dell’atto né, per quanto interessa specificamerate l’esame del motivo, l’esposizione della valutazione critica degli elementi acquisiti atteso che le problematiche relative a tali elementi e quelle concernenti le argomentazioni dette acquistano rilevanza soltanto nel giudizio di impugnazione dell’atto ed al diverso fine dell’indagine afferente al fondamento della pretesa impositiva (Cass. , Sez. Trib. , 17 dicembre 2001, n. 5914; Id. , Sez. Trib. , 21 gennaio 2000, n. 658; Id. , Sez. I, 4 febbraio 1998, n. 1107). L’accertamento tributario, inoltre (Cass. , Sez. Trib. , 25 marzo 2003, n. 4322; Id. , Sez. Trib. 22 agosto 2002, n. 12394; cfr. , altresì, Cass. , Sez. I, 4 dicembre 1996, n. 10812; Id. , SEz. I, 16 agosto 1993, n. 8685), “per la sua natura e per la finzione che lo connota, non costituisce una decisione su contrastanti interpretazioni di fatti e di norme giuridiche, da adottarsi col rispetto del contraddittorio, né esprime un apprezzamento critico in ordine a dati noti a entrambe le parti, ma si esaurisce in un provvedimento autoritativo con il quale l’Amministrazione fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al contribuente di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, instaurando così un procedimento nell’ambito del quale parte creditrice sarà tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato nei confronti del ricorrente, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto”. B. La determinazione del reddito effettuata in base al cosiddetto “redditometro”, poi, dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere (Cass. , Sez. Trib. , 1° luglio 2003, n. 10350; Id. , 19 aprile 2001, n. 5794), e pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare non solo (Cass. , Sez. Trib. , 7 giugno 2002, n. 8272; Id. , Sez. Trib. , 29 agosto 2000, n. 11300), come previsto dal comma 6 dell’art. 38 del D. P. R. n. 600 del 1973, che il maggior reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta ma anche che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. , Sez. Trib. , 24 ottobre 2005, n. 20588; Id. , Sez. Trib. , 24 settembre 2003, n. 14161; Id. , Sez. trib. , 19 aprile 2001, n. 5794). C. Dagli esposti principi discende evidente l’infondatezza del motivo in esame in quanto: 1) l’avviso di accertamento impugnato non doveva contenere le motivazioni pretese dai contribuenti in ordine alle osservazioni e/o giustificazioni da essi offerte all’ufficio in sede amministrative ovvero alle risultanze di atti in possesso dello stesso ufficio trattandosi di questioni attinenti alla prova della sussistenza di elementi giustificativi della differenza reddituale riscontrata dall’ufficio; 2) l’inversione dell’onere della prova dall’Amministrazione finanziaria al contribuente, diversamente da quanto sostenuto dai coniugi ricorrenti, discende ex lege unicamente dalla presunzione iuris tantum di redditività che il legislatore ha inteso attribuire ai coefficienti indicati negli afferenti decreti ministeriali e non già dal tipo di giustificazione che il contribuente abbia dato in sede amministrativa o possa dare in sede giudiziale per dimostrare o che il maggior reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta ovvero che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. D. Nell’esposto contesto diviene del tutto irrilevante il fatto (addotto dai ricorrenti) che il giudice di appello abbia “‘semplicemente’ omesso” di “giustificare tale pronuncia” atteso che l’inesistenza del vizio motivazionale non discende da un concreto accertamento attuale ma dalla corretta applicazione dei principi giuridici innanzi richiamati. 3. Con il secondo motivo di ricorso i contribuenti censurano il rigetto, da parte della Commissione tributaria regionale, della “pregiudiziale” da essi avanzata in ordine all'”inapplicabilità alla fattispecie inerente all’anno 1990 dei successivi DD. MM. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992” e lamentano “nullità della sentenza per violazione/falsa applicazione dell’art. 38, comma 4, del D. P. R. N. 600/1973″ esponendo che, pur se la prima parte della norma “sembrerebbe consentire agli uffici di accertare sinteticamente il reddito dei contribuenti sulla base di elementi e circostanze di fatto certi prevedendo che l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e a circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato'” (per cui “apparentemente . L’ufficio sarebbe legittimato ad utilizzare qualunque parametro che abbia le soprammenzionate caratteristiche”), “nel successivo capoverso”, lo stesso comma 4 “prosegue stabilendo che ‘a tale fine, con decreto del Ministero delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta’”: in base a tali norme, secondo i ricorrenti, appare “evidente” l’intento del legislatore di “vincolare l’attività di accertamento ex art. 38, comma 4, del D. P. R. n. 600/1973 a parametri, preventivamente determinati dal Ministero, che fossero contenuti in un apposito decreto ministeriale”, stabilendo che “gli elementi e le circostanze di fatto certi indicati al primo capoverso del comma 4 dell’art. 38 possono trovare applicazione solo se ‘riconosciuti’ attraverso un decreto ministeriale ai sensi del secondo capoverso del medesimo comma 4, non potendo viceversa essere assunti aliunde”. Per i contribuenti “la scelta del legislatore. Appare sostenuta da una logica incontestabile atteso che, vincolando i parametri alla determinazione preventiva del Ministero, ha di fatto sottratto alla discrezionalità degli uffici la loro elaborazione, eliminando in radice il rischio di incostituzionalità della norma (a livello locale, infatti, gli uffici avrebbero potuto scegliere in piena autonomia parametri fra loro confliggenti che avrebbero potuto cosi determinare una regolamentazione disomogenea e contraddittoria di fattispecie analoghe)”: di conseguenza “se la problematica connessa ai parametri utilizzati dall’ufficio non va risolta in termini di retroattività o meno dei decreti ministeriali del 1992 (come questa Suprema Corte ha affermato nella sentenza n. 2510/2000),. La stessa problematica non può neppure essere risolta considerando sic et simpliciter la mera oggettiva attitudine indiziaria di detti parametri (ai sensi dell’art. 38, comma 4, 1° capocerso, del D. P. R. n. 600/1973), atteso che per espressa ed inequivoca disposizione normativa quei parametri sono stati dichiarati applicabili dal legislatore solo se ed in quanto cristallizzati in un decreto ministeriale (art. 38, comma 4, 2° capoverso, del D. P. R. N. 600/1973)”. In conclusione, a giudizio dei coniugi G. C. e P. F. , “l’avviso di accertamento deve considerarsi nullo per violazione dell’art. 38 citato” perché “i parametri utilizzati non erano stati (ancora) riconosciuti in un decreto ministeriale (anche perché nell’anno 1989 il Ministero aveva dettato altri e diversi parametri con i DD. MM. 21 luglio 1983, 13 dicembre 1984, 17 novembre 1986, 7 aprile 1989)”. Il motivo va disatteso siccome sfornito di pregio. Sul problema posto dallo stesso, invero, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria (che non si rinviene nelle riprodotte considerazioni svolte dai contribuenti), va ribadito il principio, reiteratamente affermato da questa sezione (Cass. , Sez. Trib. , 29 settembre 2005, n. 19017; Id. , Sez. Trib. , 24 settembre 2003, n. 14161; Id. , Sez. Trib. , 30 agosto 2002, n. 12731; Id. , Sez. trib. , 11 settembre 2001, n. 11611 e n. 11607; Id. , Sez. Trib. , 4 settembre 2001, n. 11366; Id. , Sez. Trib. , 20 giugno 2001, n. 8372; Id. , Sez. trib. , 21 novembre 2000, n. 15045; Id. , Sez. Trib. , 23 ottobre 2000, n. 13972; Id. , Sez. trib. , 9 ottobre 2000, n. 13415; Id. , Sez. Trib. , 29 agosto 2000, n. 11300; Id. , Sez. Trib. , 6 marzo 2000, n. 2510), secondo il quale (excerpta da Cass. n. 11607/2001, citata) “il potere dell’ufficio impositore di determinare sinteticamente il reddito sulla scorta di ‘elementi e circostanze di fatto certi’, utilizzabili anche dal Ministro delle finanze per la fissazione di coefficienti presuntivi ai sensi dell’art. 38, comma 4, del D. P. R. N. 600/1973, consente il riferimento a ‘redditometri’ contenuti in decreti ministeriali emanati successivamente al periodo d’imposta da verificare, senza porre problemi di retroattività, poiché il potere in concreto disciplinato è quello di accertamento, rispetto al quale non viene ad incidere il momento dell’elaborazione”, dovendosi escludere, anche “con riguardo ai ‘redditometri’ successivi alla L. n. 413/1991“, l’ipotizzabilità della violazione sia “della riserva di legge in materia impositiva (art. 23 della Costituzione)” sia “del generale principio d’irretroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale)” in quanto “deve distinguersi fra i contenuti dell’obbligo di dichiarazione del contribuente, in realtà innovati dall’art. 1 legge citata attraverso la modifica dell’art. 2, comma 2, del D. P. R. n. 600/1973, e l’individuazione di ulteriori elementi indicativi della capacità contributiva” atteso che “l’obbligo del contribuente, appositamente sanzionato (artt. 46 e seguenti del D. P. R. N. 600/1973 citato), è quello di presentare una dichiarazione corretta e fedele, rispetto a cui il potere di rettifica in via sintetica dell’ufficio risulta normativamente limitato dal riferimento ad elementi e circostanze di fatto certi; e sono questi ultimi che, come ‘possono’ essere considerati dai decreti ministeriali per ricavarne coefficienti presuntivi di redditività, cosi ‘possono’ essere tenuti presenti dall’ufficio impositore, in un contesto normativo che si rivela, per l’aspetto in esame, in realtà immutato”, il tutto “sotto il profilo probatorio, con salvezza per il contribuente di offrire la prova del contrario, anche limitatamente al quantum”. Da tanto discende l’assoluta irrilevanza dell’osservazione conclusiva dei coniugi G. C. E P. F. Secondo la quale “l’avviso di accertamento deve considerarsi nullo per violazione dell’art. 38 citato” poiché “i parametri utilizzati non erano stati (ancora) riconosciuti in un decreto ministeriale (anche perché nell’anno 1989 il Ministero aveva dettato altri e diversi parametri con i DD. MM. 21 luglio 1983, 13 dicembre 1984, 17 novembre 1986, 7 aprile 1989)” atteso 1) che l’inesistenza, al momento di presentazione della dichiarazione dei redditi, degli elementi indicati negli specifici decreti ministeriali utilizzati per la verifica di quella dichiarazione, come detto, non influisce sul dovere del contribuente di presentare comunque una dichiarazione completa e fedele dei propri redditi e 2) che la preventiva determinazione dei “parametri” nei decreti ministeriali, pretesa dai contribuenti, deve essere riferita al momento della verifica della dichiarazione da parte dell’ufficio e non già all’anteriore momento della compilazione e/o presentazione, da parte del contribuente, della dichiarazione verificata. 4. Con il terzo motivo di ricorso i coniugi G. C. E P. F. – premesso 1) che in base al comma 4 dell’art. 38 del D. P. R. N. 600 del 1973 “l’ufficio impositore, prima di procedere ad applicare i parametri dell’accertamento sintetico, aveva l’obbligo di verificare analiticamente i redditi dichiarati dai ricorrenti e, solo nel caso in cui il reddito determinato analiticamente non fosse risultato congruo nei confronti dei parametri di cui all’art. 38 del D. P. R. n. 600/1973, avrebbe potuto procedere ad accertare sinteticamente il reddito [di essi] G. C. E P. F. , come lo stesso Ministero delle finanze con la circolare n. 7/14962 del 30 aprile 1977 capitolo 4 paragrafo 28. Aveva espressamente dichiarato” e 2) che “il rilievo. Si spiega in considerazione degli effetti particolarmente gravi che si riversano in capo ai contribuenti nel momento in cui la Pubblica Amministrazione decide di accertare sinteticamente (anziché in maniera analitica) i redditi dichiarati” [“. Esempio: se il contribuente avesse omesso di dichiarare un reddito di lavoro autonomo e se l’importo del reddito non dichiarato fosse stato tale da coprire integralmente il reddito sinteticamente accertabile in funzione dei cosiddetti ‘beni-indice’, l’ufficio si sarebbe dovuto limitare a notificare un accertamento analitico con la conseguenza che nella fattispecie prospettata nessun recupero ai fini Ilor sarebbe risultato possibile”] – lamentano, ancora, “nullità della sentenza per violazione/falsa applicazione dell’art. 38, comma 4, D. P. R. n. 600/1973 nel testo ante riforma ex L. n. 413/1991” adducendo che “nella fattispecie. L’ufficio, senza alcuna motivazione ed in palese violazione delle direttive ministeriali, ha proceduto immediatamente all’accertamento sintetico, omettendo qualsivoglia indagine analitica dei redditi dichiarati dai ricorrenti tra i quali figuravano redditi dominicali, redditi agrari, redditi di lavoro dipendente, redditi d’impresa, eccetera” mentre “il fatto stesso che [essi] ricorrenti avevano entrambi dichiarato redditi agrari e dominicali (redditi determinati forfettariamente ex lege) escludeva ex se la possibilità per l’ufficio di procedere ad accertamento sintetico (Cass. n. 12528/1999; Comm. trib. Centr. n. 4423/1990) o, nella migliore delle ipotesi, imponeva all’ufficio medesimo di riconoscere un reddito ‘esente’ pari ad almeno lire 10. 000. 000 in favore di ciascun coniuge ai sensi dell’art. 34 del D. P. R. n. 633/1972 nel testo vigente negli anni 1989 e 1990. “. Secondo i ricorrenti, quindi, la sentenza impugnata è errata “nel punto in cui ha ritenuto perfettamente legittima la pronuncia di primo grado e, per l’effetto, l’avviso di accertamento a suo tempo impugnato”. La censura si palesa inammissibile per carenza di concreta rilevanza: l’esposizione della stessa, infatti, è del tutto incompleta in ordine ai presupposti fattuali necessari per accertare la sua reale pregnanza. I ricorrenti, infatti non spiegano in alcun modo quale conseguenza più favorevole sarebbe loro derivata dall'”indagine analitica dei redditi dichiarati” (“redditi dominicali, redditi agrari, redditi di lavoro dipendente, redditi d’impresa”) che assumono omessa dall’ufficio; siffatta spiegazione si rivela indispensabile atteso che la non rispondenza agli indici rivelatori di capacità contributiva previsti dai decreti ministeriali (cosiddetti parametri) – sulla quale non rispondenza è fondata l’accertamento impugnato – è stata, come è pacifico, dedotta proprio ed unicamente dal raffronto di tali indici con i “redditi dichiarati” dai contribuenti. Questi, in particolare, non chiariscono l’influenza, sulla controversia, del fatto che i “redditi agrari e dominicali” siano stati da essi “determinati forfettariamente ex lege”: in proposito, è opportuno ricordare (Cass. , Sez. Trib. , 8 maggio 2003, n. 7005; Id. , Sez. trib. , 13 agosto 2002, n. 12192; Id. , Sez. I, 27 ottobre 1995, n. 11223) che: ai sensi dell’art. 38 del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, l’Amministrazione delle finanze può legittimamente procedere con metodo sintetico (in applicazione dei DD. MM. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992) alla rettifica della dichiarazione dei redditi anche di un coltivatore diretto, pur se comprensiva del solo reddito agrario del fondo da lui condotto, quando – da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (nella specie esaminata nella pronuncia più recente, la proprietà di un’autovettura e di un appartamento) e, comunque, qualora il reddito accertabile si discosti di almeno un quarto da quello dichiarato, ai sensi del comma 4 del detto art. 38 – si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo; è fatta comunque salva la facoltà del contribuente di dimostrare, a norma del comma 6 dell’art. 38, che il reddito accertato, maggiore del reddito fondiario dichiarato – determinato sulla base della rendita catastale, e quindi in ipotesi anche inferiore a quello effettivo – deriva dalla sfruttamento del fondo e non è pertanto soggetto ad ulteriore imposizione. La mancata indicazione (oltre che prova) delle conseguenze, idonee a dimostrare il “possesso” di “redditi esenti” e/o di “redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta” di cui al comma 6 dell’art. 38, derivanti dalla utilizzazione di fondi i cui redditi sono stati “determinati forfettariamente ex lege”, conferma la evidenziata carenza espositiva circa la rilevanza del motivo di ricorso: anche il giudice di appello, ad esempio, ha sottolineato, sia pure per diverso contesto, che il “reddito imponibile” dei fabbricati “può . variare in base al reale utilizzo delle singole unità abitative”. 5. Con il quarto motivo i contribuenti – assumendo che la sentenza impugnata ha rigettato il loro appello limitandosi “ad analizzare la posizione e le disponibilità della. I. T. Ed obliando contestualmente di analizzare tutte le altre disponibilità reddituali debitamente comprovate”, come da essi “documentalmente provato” (“nella sezione dell’appello dedicata al ‘merito'”), ovverosia, “senza tener conto dei prelievi (e degli interessi maturati) effettuati sui libretti e/o conti correnti intestati ai figli C. Anna e Michele”, della disponibilità “in capo al nucleo familiare ‘C. ‘” di “a) due pensioni per complessive lire 7. 148. 230 annue intestate a I. T. . ; b) interessi attivi per lire 1. 568. 536 maturati sul libretto n. 2155, intestato a G. C. , aperto presso la. , Agenzia di San Costanzo. ” nonché del fatto che, “sempre per lo stesso periodo (anno 1990)”, il “nucleo familiare C. ” aveva “prelevato sul libretto n. 2177 intestato a G. C. , acceso presso la . , Agenzia di San Costanzo, la somma complessiva di 98. 967. 433. ” e “maturato sui libretti n. 1177, 2155, 3450 e 3451 interessi netti per lire 1. 566. 235. ” ed aveva avuto “a disposizione la somma di lire 109. 529. 039 a seguito di documentato disinvestimento effettuato dai figli C. Anna e Michele” – lamentano, ex art. 360, n. 5), del codice di procedura civile, “nullità della sentenza per omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia” adducendo che “la motivazione . appare in parte contraddittoria e in parte omessa” in quanto: – “il capo di sentenza” relativo alla “esclusione di I. T. Dal nucleo familiare C. “, “con consequenziale esclusione delle pensioni e del disinvestimento dalla stessa percepiti”, è frutto di “gravi errori ed omissioni” atteso che: 1) pur emergendo “dal certificato di famiglia storico intestato a I. T. Che nell’anno 1989 la stessa risiedeva in San Costanzo Via. n. 8, mentre dal certificato di famiglia storico intestato al . G. C. . Emergeva che nello stesso periodo il nucleo familiare C. (padre, madre e i due figli) era residente in San Costanzo Via. n. 10”, “dalla perizia giurata a firma geom. T. . , mai contestata da controparte, emergeva chiaramente che a far data [del]l’otto settembre 1973 nella Via. Di San Costanzo esisteva, e tuttora esiste, un unico immobile avente i numeri civici 8, 10 e 12 caratterizzato dal fatto di essere sempre stato un’unica unità abitativa, con tre numeri civici, senza separazione tra i diversi piani che la componevano. ” per cui “alla luce della documentazione prodotta e di quanto specificato alle pagine 3 e 4 dell’appello, . Appariva evidente che. I. T. Conviveva con la famiglia C. “, “con la conseguenza che la stessa “doveva essere considerata a tutti gli effetti come membro della famiglia C. ” ed i suoi redditi “imputabili” alla stessa famiglia; 2) esso G. C. “non ha mai concesso alla. I. T. L’immobile di mq. 160” [“ne risulta essere mai stata fatta una dichiarazione avente questo contenuto (né nella risposta al Modello 55 Sintetico, né nel ricorso, né nell’appello, eccetera)]” perché la I. T. “ha convissuto” in detto immobile “sino al giorno della sua morte, avvenuta in data 30 dicembre 1997, e comunque sino a tutto il 31 dicembre 1990” per cui (“va da sé”) i “redditi dichiarati dalla. I. T. pari a lire 7. 148. 230 . dovevano essere considerati “a disposizione” del nucleo familiare C. , differentemente da quanto affermato dalla sentenza impugnata, con la conseguenza di dover ridurre dello stesso importo il reddito sinteticamente accertato”; – “in relazione alle somme comprovate essere a disposizione del nucleo familiare C. ” (“interessi per lire 1. 568. 536 maturati sul libretto n. 2155”; “prelievi sul libretto n. 1177 per lire 98. 967. 433”; “interessi netti maturati su n. 4 libretti per lire 1. 566. 235”; “disinvestimento per complessive lire 107. 529. 033 . “), la sentenza impugnata non ha considerato che “le somme di cui sopra. Fossero non solo documentalmente comprovate, ma anche tutte riconducibili al nucleo familiare C. Sulla base dei documenti. Ed in forza delle richiamate circolari n. 7/14962 del 30 aprile 1977 e n. 101 del 30 aprile 1999″, per cui “emerge . in tutta evidenza l’omesso esame dei documenti” il quale “non configura un error in procedendo del giudice, ma un vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità allorquando, come nella fattispecie . , concerna un punto decisivo della controversia” considerato che il giudice di appello, se avesse esaminato “il materiale probatorio” prodotto da essi contribuenti e “non contestato dall’ufficio”, sarebbe giunto “con assoluta certezza ad una pronuncia di riforma della sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Pesaro n. 299/01/99 (con consequenziale annullamento dell’avviso di accertamento)” spiccando, “tra le somme documentate”, un “disinvestimento di lire 107. 529. 033 operato da . C. Anna e Michele, figli conviventi” che era “di per sé idoneo non solo a determinare l’annullamento dell’accertamento emesso per l’anno 1990 . ma anche a determinare l’annullamento dell’accertamento emesso per l’anno 1989 . Atteso che sarebbe venuto a cadere il presupposto ex art. 38, comma 4, del D. P. R. n. 600/1973 in base al quale l’accertamento sintetico deve coinvolgere due o più annualità”. La doglianza svolta nel motivo non ha pregio e, pertanto, deve essere disattesa. A. Il sesto (già quarto) comma dell’art. 38 del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, come noto, dispone (specificamente in tema di “rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche”) che “il contribuente”, in ipotesi (quale quella oggetto del presente giudizio) di determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi previsti dai decreti ministeriali “a tal fine” emanati, “ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” ed aggiunge che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. B. La norma non contiene nessuna indicazione in ordine alla titolarità soggettiva dei “redditi esenti” e/o di quelli “soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” considerati idonei dal legislatore ad integrare il reddito dichiarato al fine di escludere e/o di limitare l’ammontare del reddito sinteticamente accertato dall’ufficio in base agli appositi indici; la stessa, però, richiede che il contribuente che li opponga dia la prova del “possesso” di detti redditi da parte sua con “idonea documentazione”, per cui è necessaria la dimostrazione documentale non solo della sussistenza (con la relativa entità) degli specifici redditi suindicati ma anche del loro “possesso” da parte dello stesso contribuente. In tale contesto si comprende perché la circolare ministeriale 30 aprile 1999, n. 101, invocata dai contribuenti, richiami l’attenzione degli uffici sulla “necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell’intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicatori di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico possano trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare”: nella circolare n. 7 del 30 aprile 1977, anche questa richiamata dai ricorrenti, emessa in seguito all’entrata in vigore della L. 12 novembre 1976, n. 751 (prevedente la tassazione separata dei redditi dei coniugi e dei figli minori conviventi imputabili ai genitori), il concetto di “nucleo familiare” è, sempre, ovviamente semplificato con stretto riferimento al “coniuge non legalmente ed effettivamente separato”, al “figlio minore possessore di redditi della specie indicata nel comma 2 dell’art. 324 del codice civile”, cioè al concetto di nucleo familiare naturale quale costituito, appunto, tra coniugi conviventi e figli, soprattutto minori, potendosi agevolmente presumere, in tal caso, in base all’id quod plerumque accidit, il concorso alla produzione del reddito (quand’anche non necessariamente proporzionale) di quei soggetti (e solo di quelli) perché, come spiega la circolare, “frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico possano trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare”. Il richiamo a tale “nucleo” contenuto nelle circolari esaminate trova evidente fondamento nel legame che lega le persone indicate che lo compongono e non già soltanto nella loro convivenza: neppure in base a quelle circolari (per qual sia la forza giuridica delle stesse), quindi, può sostenersi – ai fini di contrastare l’accertamento sintetico del reddito proprio legittimamente operato dall’ufficio in base a non contestati indici rivelatori di maggiore capacità contributiva – che il possesso di redditi altrui possa essere desunto dalla mera convivenza di un parente diverso, estraneo al detto nucleo, ovvero (come si pretende nella specie) di un affine di G. C. In quanto in tal caso non sussiste affatto la presunzione detta. Per effetto delle considerazioni che precedono la questione, posta dal motivo in esame, della prova della convivenza (all’epoca dei fatti) della signora I. T. (suocera di G. C. ) è del tutto priva di rilevanza perché (frustra probatur quod probatum non relevet) tal fatto non costituisce prova, né presuntiva né indiziaria (comunque non documentale), del “possesso” (richiesto dalla norma) dei redditi della stessa da parte del genero: di conseguenza i redditi percepiti da I. T. E le somme dalla stessa prelevate da propri conti sono del tutto irrilevanti ai fini della prova documentale (“idonea documentazione”) necessaria per dimostrare la congruità del reddito dichiarato dai coniugi ricorrenti rispetto a quello determinato dall’ufficio in base ai parametri. C. Vanamente, infine ed ancora, i ricorrenti si dolgono della mancata considerazione, da parte del giudice del merito, al fine probatorio detto, dei prelievi operati da G. C. Su propri conti e/o degli interessi dallo stesso percepiti o, ancora, del “disinvestimento di lire 107. 529. 033 operato da. C. Anna e Michele, figli conviventi” atteso che alle somme relative, per quanto esposto in ricorso in ordine alla fonte delle stesse, non può essere riconosciuta natura propriamente reddituale. Il riprodotto sesto comma dell’art. 38 della D. P. R. N. 600 del 1973, invero, va letto in stretta correlazione con il precedente, avente evidente ed innegabile funzione antievasiva, atteso che gli indici che il legislatore ha demandato all’allora Ministro delle finanze di individuare sono, per presunzione semplice di legge (cfr. , Cass. , Sez. I, 29 gennaio 1996, n. 656), rivelatori di una maggiore capacità contributiva, quindi di redditi non dichiarati dal contribuente: di conseguenza, il legislatore, con la norma del comma 6, ha dato al contribuente la “facoltà” di contrastare il risultato derivante dall’applicazione di detti indici nei suoi confronti soltanto con la “idonea” prova documentale del fatto che “il maggior reddito determinato. Sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”. Nel caso i ricorrenti – i quali non hanno contestato il possesso degli elementi rivelatori indicati dall’ufficio – non hanno neppure allegato che i prelievi effettuati da G. C. Su propri conti e/o che gli interessi dallo stesso percepiti od che il “disinvestimento di lire 107. 529. 033 operato da. C. Anna e Michele, figli conviventi” (addotti a confutare la maggiore sua capacità contributiva determinata in base agli indici da lui dichiarati) appartenessero, in tutto od in parte, a redditi del genere indicato dal legislatore e/o, comunque, a redditi di tal natura dichiarati dai componenti il proprio nucleo familiare, come innanzi individuato: ogni altro reddito, se non dichiarato, se non esente o se non già assoggettato a ritenuta alla fonte a titolo di imposta è reddito evaso. 6. Con il quinto (riportato al n. 6 del ricorso) ed ultimo motivo i contribuenti, “in via meramente subordinata”, chiedono che “vengano rideterminate le sanzioni a suo tempo applicate in ragione del cosiddetto cumulo giuridico ai sensi dell’art. 12 del D. Lgs. N. 472/1997 ed ai sensi del D. Lgs. N. 471/1997, in quanto più favorevole, anche in considerazione dell’accertamento relativo all’anno 1990″. La richiesta deve essere respinta perché la domanda rideterminazione delle sanzioni) in esso contenuta è inammissibile. La retroattività dell’applicazione della sanzione meno grave, più favorevole al trasgressore – prevista dal comma 3 dell’art. 3 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (principio del favor rei) per il quale “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” -, reiteratamente affermata da questa Corte (Cass. , Sez. Trib. , 13 giugno 2005, n. 12678; Id. , 10 marzo 2005, n. 5268; Id. , Sez. trib. , 6 agosto 2002, n. 11827; Id. , Sez. Trib. , 12 marzo 2002, n. 3542), invero, richiede la necessaria condizione che il provvedimento di irrogazione della sanzione non sia divenuto definitivo: discende da tanto (Cass. , Sez. Trib. , 21 dicembre 2005, n. 28354) che anche il cumulo giuridico delle sanzioni previsto dall’art. 12 del decreto legislativo citato non può essere richiesto per la prima volta in cassazione ma deve essere stato dedotto nel corso del giudizio di merito.
Nel caso i ricorrenti – pur essendo la norma più favorevole entrata in vigore (ex art. 30 del medesimo decreto legislativo) il primo aprile 1998, quindi già nel corso del processo di primo grado (essendo stato il processo di appello trattato il 7 maggio 1999) – non hanno neppure dedotto di avere, appena sopravvenuta la norma favorevole, tempestivamente impugnato il punto dell’atto impositivo e/o comunque chiesto al giudice del merito l’applicazione del cumulo suddetto, né hanno lamentato un qualche vizio della sentenza qui gravata in ordine all’omesso esame ovvero al mancato accoglimento della loro richiesta di applicazione di tale cumulo.
L’istanza contenuta nel motivo in esame, pertanto, deve essere ritenuta nuova perché proposta per la prima volta a questa Corte e, quindi, in quanto tale, inammissibile. 7. Nessun provvedimento va adottato in ordine al carico delle spese processuali di questo giudizio di legittimità, nonostante l’integrale reiezione del ricorso, atteso che il Ministero e l’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, intimati, non si sono costituiti né hanno svolto attività difensiva.
P. Q. M. – la Corte rigetta il ricorso.