La scissione societaria seguita dal trasferimento delle partecipazioni della società scissa non è operazione elusiva.
Sommario
Quali i criteri alla base del giudizio di elusività?
La disciplina normativa.
La Legge 212/2000, all’art. 10 bis, comma 1, ha disciplinato “l’abuso del diritto”.
Per abuso del diritto s’intende l’elusione fiscale: il contribuente compie un’operazione, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, con lo scopo prevalente di realizzare vantaggi fiscali indebiti ossia contrari ai principi e alle norme fiscali. In tal caso l’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi applicando, in via sanzionatoria, i tributi secondo le disposizioni eluse.
Quando un vantaggio fiscale è lecitamente conseguito?
Per il principio di legittimo risparmio d’imposta (art. 10 bis comma 4) il contribuente ha la libertà di scegliere e compiere gli atti fiscalmente meno onerosi sotto il profilo impositivo purchè rientranti tra le varie operazioni e contratti, previsti dalla legge.
Il tal caso il vantaggio conseguito (risparmio d’imposta) è lecito perché realizzato tramite l’opzione tra più percorsi alternativi offerti dalla legge comportanti un diverso carico fiscale.
Il risparmio d’imposta è il fine cui, per legge (art 10 bis comma 4) il contribuente può legittimamente ispirare la sua strategia imprenditoriale.
Ai sensi delle citate disposizioni, l’unico limite che separa la libertà di scelta dall’abuso del diritto, è lo scopo prevalente di perseguire vantaggi fiscali contrari alla legge.
Il comma 3 dell’articolo 10 bis stabilisce che non si considerano abusive le operazioni giustificate da valide ragioni economiche extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo per il miglioramento strutturale/funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente. In proposito, nella relazione illustrativa dell’art. 10-bis è precisato che i processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale non sono comportamenti elusivi se operazioni realizzate per il mero conseguimento di risparmi d’imposta poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti un differente carico fiscale.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate sull’abusività della scissione seguita dalla cessione delle partecipazioni.
L’Agenzia delle Entrate si è pronunciata al riguardo con risoluzione n. 97/E del 25 luglio 2017, come già avvenuto in passato (risoluzioni n. 97/E del 7 aprile 2009 e n. 256/E del 2 ottobre 2009).
Nella Risoluzione sono riportati e richiamati i principi contenuti nella Legge 212/2000.
L’Agenzia sottolinea che nell’ordinamento tributario è ammessa la circolazione dell’azienda sia con cessione diretta che indiretta, quest’ultima realizzata attraverso il trasferimento delle partecipazioni sociali. L’ordinamento rimette al socio la scelta di come far circolare l’azienda. Ne deriva che essendo consentita la circolazione tramite cessione delle partecipazioni, è lecito il comportamento del contribuente – persona fisica che provvede, prima del trasferimento delle quote, all’affrancamento delle stesse.
La scissione, strumentale alla successiva cessione delle partecipazioni, non contrasta con le finalità delle norme tributarie e non integra alcun indebito vantaggio fiscale.
è operazione realizzata in neutralità d’imposta. Il regime tributario della cessione del bene di secondo grado (partecipazione) sarà quello di cui all’art. 87 del Tuir nel caso di socio società e quello di cui all’art. 67 e 68 del Tuir nel caso di persona fisica non imprenditore.
Nel caso in cui la scissione societaria abbia per oggetto un singolo bene, a cui segua il trasferimento delle partecipazioni della società a cui è stato attribuito il bene, affinché non siano ravvisabili profili di abuso del diritto la scissione deve configurarsi come operazione di riorganizzazione aziendale finalizzata all’effettiva continuazione dell’attività imprenditoriale da parte di ciascuna società partecipante e non deve trattarsi di società costituite solo da liquidità, intangibles o immobili, bensì di società che esercitano prevalentemente attività commerciali ai sensi dell’art. 87, comma 1, lettera d), del Tuir.
Come osservato da Assonime nella circolare n. 20/2017 non sussiste alcuna norma tributaria che consenta di circoscrivere il legittimo vantaggio fiscale alla circolazione di aziende o rami e di escluderlo invece per i singoli beni.
è plausibile ritenere che la scissione avente ad oggetto un singolo bene non configuri ipotesi di abuso del diritto in quanto, anche per i singoli beni il sistema accorda la possibilità di trasferirli sia direttamente che indirettamente. Inoltre, il regime di neutralità fiscale della scissione societaria non risulta affatto circoscritto alla presenza presso la società scissa e/o beneficiaria di un compendio aziendale. Tale regime di neutralità, infatti, risulta riconosciuto anche nel caso in cui la predetta operazione di scissione abbia per oggetto singoli beni.
Scissione, cessione e imposta di registro.
La risoluzione n. 97/E affronta anche il problema dell’imposta di registro. Per l’Agenzia l’operazione di scissione seguita dalla cessione delle partecipazioni della società scissa, non può configurare ipotesi di abuso del diritto. Tuttavia, l’Agenzia rinvia alla giurisprudenza di legittimità che riqualifica tale operazione ai fini dell’imposta di registro, come cessione d’azienda se, in base al dato concreto, si riconosce una causa unitaria di cessione aziendale.
L’interpello preventivo all’Agenzia delle Entrate
Il comma 5 dell’articolo 10 bis prevede la possibilità per il contribuente di presentare un’istanza di interpello preventivo alla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate al fine di conoscere se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto.
L’interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), consiste nella facoltà, da parte di ciascun contribuente, di porre quesiti se vi sono obiettive condizioni di incertezza nella normativa fiscale relativamente a casi concreti e personali. Non ricorrono condizioni di obiettiva incertezza quando l’amministrazione ha compiutamente fornito la soluzione, per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente, mediante circolari, risoluzioni e altri atti pubblicati.
Le istanze di interpello, come specificato dalla Circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, devono indicare: 1. Il settore impositivo rispetto al quale l’operazione pone il dubbio applicativo; 2. Le puntuali norme di riferimento, comprese quelle passibili di una contestazione in termini di abuso del diritto con riferimento all’operazione rappresentata.
La risposta deve essere resa nel termine di centoventi giorni; in caso di silenzio sull’istanza si forma l’assenso sulla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.
Il parere dell’Agenzia non vincola il contribuente ma gli uffici dell’amministrazione finanziaria i quali, salva la possibilità di rettificare il parere, non possono emettere atti impositivi e/o sanzionatori difformi dal contenuto della risposta fornita in sede d’interpello.