Quesito
L’istante, svolgente attività di ristorazione, chiede quale sia il trattamento fiscale, ai fini dell’iva e delle imposte sui redditi, dei pasti consumati nel ristorante dai soci, dai loro familiari ovvero dai propri dipendenti (cuochi, camerieri, operai).
Sommario
Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 3 comma 3 del DPR n. 633 del 1972 , è stato esposto il seguente QUESITO La Società “____________________________ (di seguito “l’istante”), svolgente attività di ristorazione, chiede quale sia il trattamento fiscale, ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi, dei pasti consumati nel ristorante dai soci, dai loro familiari ovvero dai propri dipendenti (cuochi, camerieri, operai).
La parte fa presente di avere in precedenza formulato la medesima istanza al centro di assistenza multicanale di Cagliari, il quale avrebbe evidenziato le criticità in ordine al trattamento della fattispecie ai fini delle imposte sul reddito, consigliando di presentare un’istanza d’interpello di cui all’art. Il della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La parte rileva:
a) ai fini delle imposte sui redditi che, in base al combinato disposto degli artt. 57 ed 85, c. 2 del TUIR, costituiscono autoconsumo i beni destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore; non rientrando in tale ambito, i pasti erogati ai propri dipendenti non sarebbero produttivi di ricavi ed i costi sarebbero sempre deducibili;
b) ai fini dell’IVA, che la somministrazione sul luogo di lavoro ai dipendenti sia esclusa da tassazione, in quanto non riconducibile ad alcuna fattispecie assoggettata a tale imposta dal D. P. R. N. 633 del 1972; allo stesso modo, il consumo dei pasti da parte dei soci ovvero dei familiari sarebbe escluso da IVA, limitatamente alle operazioni inferiori ad euro 25,82, stante quanto previsto dall’art. 3, c. 3, secondo periodo, del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione all’autoconsumo di servizi.
La parte evidenzia che nella metodologia di controllo dei ristoranti viene “raccomandato” di tenere conto, oltre che dello sfrido e del deterioramento, anche delle “somministrazioni riferibili ai dipendenti e all’autoconsumo dell’imprenditore, dei familiari e dei soci”, senza specificarsi “se dette operazioni debbano essere escluse dal volume d’affari ovvero debbano considerarsi in maniera differente dalle altre somministrazioni di alimenti e bevande”. L’istante ritiene, infine, che l’IVA afferente dette operazioni sia detraibile e che queste ultime non siano comunque soggette a certificazione fiscale.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Trattamento ai fini delle imposte dirette
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 19077 del 29 settembre 2005) i pasti consumati dall’esercente un’impresa di ristorazione ovvero dai suoi familiari rientrano nell’ambito dell’autoconsumo di beni; posto tale inquadramento per l’imprenditore individuale, per una società può ritenersi che rappresenti autoconsumo di beni la fruizione dei pasti da parte dei soci e loro familiari.
Con riferimento alla fattispecie in esame, relativamente ai pasti ed alle bevande consumate dai soci e loro familiari, si ritiene di conseguenza che debba applicarsi l’art. 85, comma 2 del TUIR, il quale comprende tra i ricavi afferenti il reddito d’impresa il valore normale dei beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa quando gli stessi sono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Con riferimento ai pasti erogati a favore dei dipendenti, invece, si evidenzia che il profilo fiscalmente rilevante è rappresentato dalla deducibilità del costo relativo, consentita dall’art. 95 del TUIR che comprende tra le “spese per prestazioni di lavoro dipendente. Quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell’art. 100”.
Trattamento IVA
In coerenza con la suddetta qualificazione ai fini delle imposte dirette, ai pasti e bevande consumati da parte dell’imprenditore o dei suoi familiari trova applicazione l’art. 2, comma 2, n. 5) del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, riguardante l’autoconsumo dei beni ai fini dell’IVA (in senso conforme, cfr Commissione tributaria centrale, sentenza n. 2448 del 5 luglio 1994).
La norma menzionata dispone che i beni destinati all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore rappresentano una cessione di beni assoggettabile ad Iva, con esclusione di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto, la relativa detrazione.
Al contrario, in tale ambito non rientra la fruizione dei pasti da parte dei dipendenti, che la sentenza citata non considera come autoconsumo di beni (così anche sentenza n. 437 del 28 maggio 1979 della Commissione tributaria di Primo grado di Belluno).
Ai fini della qualificazione, sotto il profilo IVA, di tale operazione si tenga, tuttavia, presente l’orientamento della Corte di Giustizia (sentenza 10 marzo 2011, procedimenti riuniti C497/09, C499/09, C501/09 e C502/09), secondo cui “la fornitura di vivande o di cibi. Costituisce una cessione di beni qualora, da un esame qualitativo dell’operazione nel suo complesso, risulti che gli elementi di prestazione di servizi che precedono e accompagnano la fornitura dei cibi non sono preponderanti”; a ciò consegue che, di contro, è somministrazione di servizi la fornitura di beni che avviene unitamente ai relativi servizi e questi ultimi siano “preponderanti”, ove pertanto il consumo dei pasti sia ascrivibile ad una somministrazione di alimenti e bevande, vale a dire ad una prestazione di servizi associata a cessione di beni alimentari (ad esempio, per il caso di una mensa aziendale) si applicherà:
– per i soci e familiari, l’art. 3, comma 2, n. 4), del D. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, che considera come prestazione di servizi le somministrazioni di alimenti e bevande; al pari delle altre prestazioni di servizi
– stante quanto disposto dall’art. 3, comma 3, dello stesso decreto – dette somministrazioni sono assoggettate ad IVA anche quando la loro effettuazione avviene per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per finalità estranee all’esercizio dell’impresa e per ogni operazione di valore superiore a lire cinquantamila (25,82 euro), sempreché l’imposta afferente alla loro esecuzione sia risultata detraibile;
– per i dipendenti, lo stesso art. 3, c. 3, che, a prescindere dalla detrazione IVA operata sui relativi acquisti, dispone ai medesimi fini l’irrilevanza fiscale delle somministrazioni di alimenti e bevande nelle mense aziendali (a tal riguardo si tenga conto che a queste ultime possono assimilarsi
– secondo la risoluzione 15 aprile 1991, n. 561118 – i luoghi nei quali vengono offerti “servizi di mensa”).
A ciò consegue che, ai fini del corretto inquadramento fiscale della fattispecie, occorrerà considerare l’aspetto fattuale dell’effettivo svolgimento dell’operazione che si vuole andare a sottoporre a tassazione.
Si evidenzia, inoltre, che ai sensi dell’art. 18, comma 3, del decreto IVA non è obbligatoria la rivalsa per le operazioni di autoconsumo di beni e servizi.
Si precisa, infine, che non appare dirimente ai fini della qualificazione delle operazioni il richiamo alla metodologia di controllo cui fa riferimento la parte nella propria istanza.