Massima – Il c. D. “redditometro” consiste in un sistema di presunzioni legali, nel senso che il contribuente non può contestate il metodo di determinazione del reddito, sindacando la formula matematica utilizzata nel decreto del 1992.
Sommario
Tanto premesso, per confutare il reddito determinato in conformità ai decreti del Ministero, il contribuente, tramite adeguata prova contraria, può dimostrare che, nel suo specifico caso, le spese di mantenimento del bene sono inferiori rispetto a quelle presunte dal Ministero, e che, di conseguenza, il bene, ai fini della determinazione del reddito, “vale meno”.
Sent. N. 136 del 1° luglio 2011 (ud. Del 25 maggio 2011) della Comm. Trib. Prov. Di Torino, Sez. II – Pres. Premoselli, Rel. Roccella
Massima – Il c. D. “redditometro ” consiste in un sistema di presunzioni legali, nel senso che il contribuente non può contestate il metodo di determinazione del reddito, sindacando la formula matematica utilizzata nel decreto del 1992. Tanto premesso, per confutare il reddito determinato in conformità ai decreti del Ministero, il contribuente, tramite adeguata prova contraria, può dimostrare che, nel suo specifico caso, le spese di mantenimento del bene sono inferiori rispetto a quelle presunte dal Ministero, e che, di conseguenza, il bene, ai fini della determinazione del reddito, “vale meno”.
Fatto e svolgimento del giudizio
1) Con ricorso in data 9/2/2010 S. A. , chiedendone la declaratoria di nullità, l’avviso di accertamento n. [Omissis], relativo all’IRPEF, anno d’imposta 2005, con il quale l’Ufficio impositore accertava sinteticamente, ex art. 38 del DPR 600/1973, un maggior reddito imponibile di € 42. 047,00 = in capo al contribuente in applicazione dei criteri e degli indici e coefficienti presuntivi di reddito (o di maggior reddito) in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva previsti dai DD. MM. 10/09/1992 e 19/11/1992.
2) Gli elementi indicativi del reddito erano stati forniti dal contribuente in risposta al questionario inviatogli dall’ufficio ed erano costituiti, per l’annualità in questione, dal possesso di imbarcazione da diporto con propulsione a motore, autoveicoli, immobili e servizi di collaboratori familiari.
3) A sostegno della domanda il contribuente deduceva, sostanzialmente che:
– la collaboratrice familiare sarebbe stata assunta per occuparsi dei figli minori del contribuente, uno dei quali invalido al 100% e l’altra con una grave lesione all’occhio destro e, pertanto, avrebbe dovuto essere esclusa dal computo degli indici di reddito;
– il ricorrente è comproprietario al 50% con l’anziana madre di 17 appartamenti da cui deriverebbe la maggior parte del reddito dichiarato dal contribuente, reddito quello degli immobili citati che, di fatto, confluirebbe al 100% al contribuente stesso, in quanto messogli a disposizione dalla madre stessa in relazione alla particolare situazione familiare del ricorrente derivante dalle gravi patologie che affliggono i figli e di cui si è detto;
– uno degli immobili considerati come residenze secondarie del contribuente sarebbe, anzi, abitato proprio dalla madre del medesimo che lo avrebbe adibito a propria residenza proprio al fine di poter accudire i nipoti;
– l’ufficio sarebbe incorso in un errore di calcolo nella determinazione dell’indice di reddito derivante dal possesso dell’autovettura e non avrebbe tenuto conto, nella determinazione della quota di incremento patrimoniale relativa all’acquisto di una nuova imbarcazione avvenuto nel 2006, che l’imbarcazione nuova sarebbe stata oggetto di un contratto di leasing e che per in funzione dell’acquisto della stessa il contribuente aveva alienato quella di cui era proprietario nel 2005;
– l’ufficio non avrebbe tenuto conto di un’alienazione di immobili avvenute nel 2004, che avrebbe consentito al contribuente disponibilità economiche anche per gli anni futuri;
– in definitiva la capacità reddituale del contribuente sarebbe congrua e coerente con gli indici di reddito in quanto ai redditi propri dichiarati dal contribuente occorre aggiungere la disponibilità dell’ulteriore 50% del reddito immobiliare solo formalmente appartenente alla madre, ma di fatto utilizzato dal contribuente.
4) Si costituiva l’ufficio resistente rilevando che:
– la correttezza del conteggio relativo all’autoveicolo, immatricolato nel 2002 e per il quale, quindi, l’abbattimento del 10% annuo dell’ammontare degli importi risultanti dall’applicazione del coefficiente si applica a partire dal terzo successivo a quello di immatricolazione, cioè dal 2005;
– l’ufficio ha tenuto conto nei calcoli relativi all’incremento patrimoniale relativo all’acquisto dell’imbarcazione del 2006 sia della presenza del contratto di leasing, sia della cessione del precedente natante;
– che la documentazione versata in giudizio relativamente alla collaboratrice familiare riguarda un soggetto assunto nell’anno 2009, mentre l’accertamento in questione si riferisce al 2005;
– nessuna prova è stata fornita dal contribuente in ordine alla circostanza che il reddito immobiliare dei 17 immobili di cui comproprietario con la madre sarebbe nella sua totale disponibilità;
– la cessione immobiliare del 2004 è stata considerata nell’anno di realizzazione, in quanto in assenza della stessa anche quell’annualità avrebbe dovuto essere oggetto di accertamento.
5) Con ricorso in data 9/2/2010 il ricorrente impugnava, formulando conclusioni identiche a quello e del precedente ricorso, l’avviso di accertamento n. [Omissis], relativo allo stesso tributo, anno d’imposta 2006, con il quale l’Ufficio accertava per l’annualità un maggior imponibile di € 38. 567,00=
6) I motivi dell’avviso di accertamento erano analoghi a quelli relativi all’anno precedente, analoghi gli indici di reddito utilizzati dall’ufficio, con la sola differenza che nell’annualità 2005 scompariva il riferimento alla collaboratrice domestica e compariva la voce assicurazioni, evidentemente dimenticata dall’ufficio nell’anno precedente. Identiche a quelle relative all’annualità precedente i motivi di ricorso ed identiche le difese dell’ufficio.
7) I due giudizi subivano rinvii richiesti dalle parti per esaminare la possibilità di addivenire ad una conciliazione giudiziale e, in ultimo, venivano chiamati all’udienza del 25/5/2011 in occasione della quale si procedeva alla riunione dei ricorsi, stante l’identità soggettiva ed oggettiva delle due controversie.
Motivi
Ritiene questa Commissione di dover premettere alcune osservazioni di carattere generali prima di esaminare il merito del procedimento di cui alla presente decisione. In linea generale appaiono ragionevoli e condivisibili presupposti da cui muovono gli accertamenti di tipo induttivo, qual è quello che ci occupa, basati sulla proprietà/possesso/disponibilità di determinati beni, che costituiscono (o possono costituire) indice di reddito e, quindi, di capacità contributiva, posto che detti beni hanno sicuramente un costo tanto di acquisizione, quanto di mantenimento, costi che devono, prima, “entrare” nel reddito del soggetto per poter, poi, “uscire” per l’acquisizione o il mantenimento dei beni stessi.
E se l’acquisizione può anche essere a costo zero (eredità/donazione) altrettanto non può dirsi per il mantenimento dei medesimi.
In altre parole se il bene indice di reddito è stato regalato al contribuente è corretto presumere, fino a prova contraria, che almeno il contribuente se lo mantenga con redditi propri e che, quindi, almeno quello che spende per il medesimo sia un reddito tassabile. Altrettanto vero è che, però, il corretto principio di cui sopra può condurre conseguenze di fatto inesatte e, come tali, ingiuste, ma su cui ben difficilmente può intervenire il Giudice Tributario.
E, più precisamente: la presunzione che il mantenimento di un determinato bene abbia un certo costo è sicuramente una presunzione semplice (quindi contrastabile dal contribuente con prova contraria), ma, comunque, legale e, in quanto tale, è opinione che essa non sia contestabile nella metodologia di calcolo, nel senso che il contribuente non può contestare, proprio in quanto contenuto in un provvedimento avente natura legislativa, la formula di calcolo utilizzata per giungere alla conclusione che il mantenere un autoveicolo (piuttosto che una casa, o una barca o un aeromobile) avente determinate caratteristiche tecniche comporti un “costo di mantenimento” e determini un reddito di x Euro annui, eccependo l’erroneità della formula o la più o meno arbitrarietà e/o ragionevolezza dei criteri con cui la stessa è stata costruita.
Ritiene, però, questa commissione che la natura indiscutibilmente semplice della presunzione consenta di provare che nello specifico caso le spese di mantenimento di quel bene per quell’annualità siano state inferiori a quelle legislativamente presunte e, che quindi, in quell’anno il mantenimento del bene abbia inciso sul reddito del contribuente in modo inferiore a quello preventivato dal legislatore.
Ritiene altresì la Commissione che, quindi, il dettato letterale dell’art. 38 del DPR 600/1973 debba essere interpretato nel modo più esteso possibile, e, cioè che al contribuente sia consentito provare non solo, come già osservato prima, che le spese di gestione dei beni indice sono state inferiori al presunto e, quindi, il bene “vale meno” in termini di capacità reddituale del contribuente, ma che il medesimo ha fruito nell’anno di riferimento di redditi esenti o di redditi soggetti alla ritenuta d’imposta alla fonte per poter far fronte alle spese (vere/presunte) legate alla proprietà/possesso dei beni indice, ma anche che le stesse sono state coperte da risorse non aventi natura reddituale (disinvestimenti, prestiti, lasciti) ovvero da risorse pregresse (risparmi accumulati) o, comunque, fiscalmente irrilevanti (risarcimenti).
Opinare diversamente esporrebbe, ad avviso della Commissione, le norme a vizi di incostituzionalità per violazione del principio di capacità contributiva e di ragionevolezza, oltre che trasformare, di fatto, l’imposta sul reddito (quindi su un fattore dinamico) in una patrimoniale, slegata del tutto dalla effettiva capacità reddituale del soggetto tassato, ma legata unicamente alla semplice proprietà/possesso di determinati beni, piuttosto che di altri.
Ciò premesso la commissione rileva come nella fattispecie il contribuente non abbia in alcun modo, o comunque, fondatamente contestato che i singoli beni utilizzati quali indici di reddito avessero la valenza reddituale annua risultante dalle tabelle utilizzate negli avvisi di accertamento impugnati e, quindi, le cifre annue portate nei calcoli dell’Ufficio devono essere considerate esatte.
E, più precisamente:
– per quanto riguarda l’autoveicolo è pacifico, in quanto dichiarato dallo stesso contribuente in ricorso, che esso sia stato immatricolato nell’anno 2002 e che, pertanto, l’abbattimento del 10% annuo degli importi risultanti dal coefficiente che si attua dal “terzo anno successivo a quello di prima immatricolazione” cominci a decorrere dal 2005, come indicato dall’ufficio;
– per quanto riguarda la collaboratrice familiare, oggetto di indice di reddito per il solo anno 2005, non può essere presa in alcuna considerazione la documentazione prodotta dal ricorrente in quanto, da un lato, riguardante un soggetto assunto nel 2009, cioè quattro anni dopo quello oggetto di accertamento, dall’altro in quanto costituita da una semplice denuncia di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato domestico, non collegabile in alcun modo alla presunta assistenza al minore disabile, non essendo certo sufficiente ad instaurare tale collegamento la dizione “badante” riportata nel contratto, in quanto tale denominazione è priva di qualsivoglia valenza legale;
– per quanto riguarda il calcolo dell’incremento patrimoniale derivante dall’acquisto della nuova imbarcazione avvenuto nel 2006 l’ufficio, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha dimostrato di aver tenuto in debito conto sia la cessione del natante di cui il contribuente era precedentemente proprietario, sia la presenza del contratto di leasing stipulato dal contribuente per l’acquisizione del bene.
Pertanto queste doglianze del contribuente sono del tutto infondate.
Parimenti infondato è il rilievo relativo alla cessione di un immobile avvenuta nel 2004 in quanto ed alla presunta rilevanza della stessa sui redditi futuri del contribuente in quanto la cessione della quota (50%) di comproprietà dell’immobile ha consentito al contribuente di rientrare nei parametri di reddito per l’anno 2004, mentre non è stata fornita prova alcuna, il cui onere incombeva esclusivamente al ricorrente, di come tale cessione avesse influito positivamente sul reddito per gli anni futuri.
La difesa fondamentale del contribuente è, comunque, costituita dall’assunto secondo il quale il medesimo disporrebbe per giustificare il tenore di vita derivante dall’applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito, anche della quota di spettanza della madre del reddito immobiliare delle 17 unità immobiliari di cui madre e figlio sono comproprietari, ciascuno per il 50%.
Orbene di tale assunto non vi è prova alcuna.
Pacifica è la circostanza della comproprietà degli immobili al 50% fra i due soggetti, ma non vi è prova che esista un unico nucleo famigliare in cui confluiscano i redditi anche della madre del ricorrente, che, anzi, nella documentazione fiscale versata in atti risulta risiedere in Torino, corso [Omissis] e non già in via [Omissis], non vi è prova alcuna che la quota di reddito immobiliare di pertinenza della madre sia in un qualche modo, come da questi sostenuto, attribuita al figlio, che, però, guarda caso, si limita a dichiarare il reddito derivante dalla sola quota (50%) di sua proprietà degli immobili in questione, né tanto meno vi è prova di costituzione a favore del ricorrente di diritti reali di godimento degli immobili in questione.
In altri termini l’assunto del ricorrente è meramente tale e, pertanto, non può essere preso in considerazione alcuna.
La non contestata esistenza in capo al contribuente della proprietà e/o possesso dei beni/servizi costituenti indici di reddito per le annualità di imposta considerate giustifica e fonda l’accertamento sintetico, ex art. 38 DPR 603/73, operato dall’ufficio, mentre il contribuente non ha fornito prova alcuna diretta a dimostrare l’esistenza a suo favore di redditi tassati alla fonte o esenti o, comunque e più genericamente, di risorse economiche (disinvestimenti/rimborsi/risparmi) tali da giustificare per le annualità in questione il reddito presunto derivante dalla proprietà/possesso dei beni/servizi indicati negli avvisi di accertamento impugnati. I ricorsi riuniti devono, quindi, essere respinti.
Le spese seguono il principio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino – sez. Ne 2 –
P. Q. M. – Respinge i ricorsi riuniti con condanna al pagamento delle spese di giudizio a favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi € 1. 650,00=.