LICENZIAMENTO E SOSTITUZIONE DEL DIPENDENTE CON UN CO. CO. PRO.
Cass. , sez. Lav. , 19 gennaio 2012, n. 75
La modesta contrazione dell’attività produttiva, non implicante una sensibile riduzione delle persone e dei mezzi impiegati, rende illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore dipendente ove la datrice di lavoro abbia proceduto, in vista della sua sostituzione, alla stipula di un contratto di collaborazione a progetto con altro soggetto pochi giorni prima di comunicare il recesso.
Il giustificato motivo oggettivo (1)
L’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, espressamente prevede che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. In base al principio di libertà dell’iniziativa economica privata, garantito dall’art. 41 della Costituzione, il datore di lavoro è libero (in seguito a una propria autonoma valutazione) di attuare un riassetto organizzativo al fine di conseguire una più economica gestione dell’impresa: in tal caso algiudice è precluso il sindacato circa la scelta dei criteri di gestione dell’impresa ma gli è invece consentito il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. In altri termini, “. Non è sindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato”. Ma il datore di lavoro è gravato dell’onere di dimostrare anche l’impossibilità di ricollocare diversamente il dipendente nell’ambito dell’organizzazione aziendale: si tratta del cosiddetto obbligo di repechage, obbligo che può anche comportare il dovere di replicare alle allegazioni del lavoratore il quale, invece, rivendichi la possibilità di un suo diverso utilizzo nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
LICENZIAMENTO E SOSTITUZIONE DEL DIPENDENTE CON UN CO. CO. PRO.
Cass. , sez. Lav. , 19 gennaio 2012, n. 75
La modesta contrazione dell’attività produttiva, non implicante una sensibile riduzione delle persone e dei mezzi impiegati, rende illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore dipendente ove la datrice di lavoro abbia proceduto, in vista della sua sostituzione, alla stipula di un contratto di collaborazione a progetto con altro soggetto pochi giorni prima di comunicare il recesso.
Il giustificato motivo oggettivo (1)
L’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, espressamente prevede che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. In base al principio di libertà dell’iniziativa economica privata, garantito dall’art. 41 della Costituzione, il datore di lavoro è libero (in seguito a una propria autonoma valutazione) di attuare un riassetto organizzativo al fine di conseguire una più economica gestione dell’impresa: in tal caso algiudice è precluso il sindacato circa la scelta dei criteri di gestione dell’impresa ma gli è invece consentito il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. In altri termini, “. Non è sindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato”. Ma il datore di lavoro è gravato dell’onere di dimostrare anche l’impossibilità di ricollocare diversamente il dipendente nell’ambito dell’organizzazione aziendale: si tratta del cosiddetto obbligo di repechage, obbligo che può anche comportare il dovere di replicare alle allegazioni del lavoratore il quale, invece, rivendichi la possibilità di un suo diverso utilizzo nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
Il fatto
Il Tribunale, su iniziativa di una lavoratrice, accoglieva il ricorso e dichiarava illegittimo il licenziamento comminatole e condannava la società a reintegrarla nel proprio posto di lavoro e a risarcirle il danno. La società ricorreva in secondo grado ma la Corte d’Appello di Torino, con sentenza 30 ottobre 2008, confermava la decisione di primo grado. La società quindi ha proposto ricorso davanti alla Suprema Corte, la quale ha chiuso la vicenda con la sentenza 19 gennaio 2012, n. 755, oggetto del breve commento che segue.
La lavoratrice veniva licenziata con la seguente motivazione:”impossibilità sopravvenuta da diversi mesi a sostenere i notevoli costi di gestione dell’appalto a cui deve far fronte la società con la sua presenza in servizio”,ossia- e almeno in via teorica – una tipica ipotesi di giustificato motivo oggettivo, meglio precisato dalla società con una più modesta quantità di lavoro commissionatole da un’altra società e con l’aver affidato il servizio fino a quel momento svolto dalla lavoratrice licenziata a un collaboratore a progetto già in forza presso la medesima impresa, al fine di ottenere un risparmio sui costi del servizio.
Le valutazioni dei giudici di merito – Ascoltati i testimoni ed esaminati i documenti i giudici di merito hanno ritenuto che fosse stato dimostrato quanto segue:
1) l’azienda non aveva fornito la prova della cessazione del servizio cui era addetta la ricorrente; 2) la stessa era stata immediatamente sostituita da un altro soggetto con contratto di co. Co. Pro. ;
3) infine, l’azienda non aveva assolto la prova circa l’impossibilità di adempiere all’obbligo di repechage.
La Corte d’Appello, nell’esaminare il ricorso, ha parimenti ritenuto non sussistente il giustificato motivo oggettivo, sia sotto il profilo della – assai modesta – riduzione dell’orario (non comportante, tra l’altro, alcuna variazione del numero dei furgoni impiegati nell’esecuzione del contratto di appalto), sia per quanto concerne la sostituzione della lavoratrice dipendente con un collaboratore a progetto, avvenuta una settimana prima del licenziamento dell’appellata.
La Corte di merito ha conclusivamente stabilito il mancato adempimento dell’onere della prova – da parte della società – circa l’effettiva consistenza dell’organico aziendale al fine di stabilire se dovesse (o meno) essere applicata la tutela reale. Tale onere, come peraltro affermato dalle sezioni unite con la decisione 10 gennaio 2006, n. 141, ricade sul datore di lavoro.
I precedenti giurisprudenzial Cass. Sez. Unite, 10 gennaio 2006, n. 141
L’articolo 18, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300, modificato dall’articolo 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, nel subordinare l’ordine giudiziale di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato a determinate dimensioni dell’organizzazione produttiva datrice di lavoro commisurate al numero delle persone occupate, richiede al datore di lavoro convenuto in giudizio la prova negativa del non raggiungimento di tali dimensioni
I motivi della decisione
A fronte del ricorso presentato dalla società, risultata soccombente anche in appello, la Cassazione preliminarmente afferma come fosse compito dei giudici di merito verificare se la motivazione che era stata posta a fondamento del giustificato motivo oggettivo “corrispondesse alla realtà dei fatti”. Analisi che, ad avviso dei giudici della Suprema Corte, si è svolta correttamente e ha permesso di appurare che:
1) la riduzione dell’attività lavorativa vi era stata ma aveva avuto una consistenza solamente “modesta”;
2) pur non risultando controversa la parziale riduzione dell’attività, nulla era mutato quanto all’esigenza di impiegare contemporaneamente i sei mezzi in dotazione alla società, necessità cui si era fatto fronte con la stipula del contratto di collaborazione a progetto.
Quanto a quest’ultimo aspetto, a fronte della difesa della società, che asseriva come il collaboratore fosse già ‘assunto’, il fatto che questi avesse fatto il proprio ingresso solamente una settimana prima del licenziamento della lavoratrice ha costituito prova inequivocabile dell’intento “sostitutivo” posto in essere. In buona sostanza, ad avviso dei giudici della Cassazione, la Corte di merito ha correttamente valutato come la motivazione posta a base del recesso non corrispondesse alla realtà dei fatti e non costituisse, quindi, giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il che ha comportato l’assorbimento della questione relativa all’obbligo di repechage, essendosi già pervenuti alla declaratoria di illegittimità del licenziamento.
Da ultimo, la Suprema Corte – conformandosi al proprio orientamento in materia – stentoreamente afferma che la prova dei requisiti occupazionali, ai fini dell’applicazione della tutela reale ovvero obbligatoria, “grava sulla società”. Incidentalmente, si ricorda che, secondo la giurisprudenza,il requisito numerico deve essere accertato in base alla normale produttività dell’impresa (o della singola sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo), facendo riferimento alla consistenza numerica del personale in un periodo di tempo anteriore (e non successivo) al licenziamento, che deve essere congruo per durata e in relazione all’attività e alla natura dell’impresa. Dal punto di vista pratico, è stato addebitato alla società di non aver fornito alcuna prova in merito, in considerazione della non integrale esibizione dei libri e documenti di tutte le sedi.
In definitiva, la Corte di Cassazione ha confermato le precedenti due sentenze dei gradi di merito e ha proceduto in particolare, con una valutazione tutta di legittimità, peculiare al suo potere decisionale, sia in ordine al mancato rispetto da parte datoriale dell’onere probatorio sui requisiti numerici per la tutela reale, sia sulla mancata dimostrazione della sussistenza del requisito del giustificato motivo oggettivo: entrambi tali aspetti, legati a norme di legge, nonché le indiscusse circostanze il fatto, hanno consentito alla Suprema Corte di respingere il ricorso della società con il definitivo riconoscimento per la lavoratrice del diritto alla reintegrazione.