Il codice civile prevedeva una libertà di recesso da parte sia del datore di lavoro che del lavoratore legati da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ponendoli così su un piano di parità, la Costituzione al contrario stabilisce sia il principio dell’equità sostanziale che quello della tutela del lavoro, ponendo così le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto dei licenziamenti immotivati. La legge 15-7-1966 n. 604 ha introdotto per la prima volta una disciplina limitativa dei licenziamenti individuali con applicazione però solo nelle aziende con più di 35 dipendenti determinandone l’illegittimità se non erano sorretti da giusta causa o giustificato motivo.
Il licenziamento del lavoratore
Cenni Storici e le varie tipologie di licenziamento
Il codice civile prevedeva una libertà di recesso da parte sia del datore di lavoro che del lavoratore legati da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ponendoli così su un piano di parità; la Costituzione, al contrario, stabilisce sia il principio dell’equità sostanziale che quello della tutela del lavoro, ponendo così le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto dei licenziamenti immotivati. La legge 15-7-1966 n. 604 ha introdotto per la prima volta una disciplina limitativa dei licenziamenti individuali con applicazione però solo nelle aziende con più di 35 dipendenti determinandone l’illegittimità se non erano sorretti da giusta causa o giustificato motivo.
Un importante passo in avanti è stato compiuto con la legge 20-5-1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) che all’articolo 18 ha previsto la reintegrazione del lavoratore se viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivo; la legge 11-5-1990 n. 108 ha dato un nuovo assetto alla normativa dei licenziamenti innovando la legge 604/1966 e modificando l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori estendendo anche alle piccole imprese la disciplina del recesso per giusta causa o giustificato motivo prevedendo l’obbligo di riassunzione o il risarcimento del danno subito dal lavoratore; per le grandi imprese ha invece ampliato la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro.
Nel 2012 il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi viene riformulato con la legge Fornero che introduce la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) in tutti i casi di illegittimità: prima della legge Fornero i lavoratori illegittimamente licenziati potevano aver diritto alla tutela reale nelle le aziende con più di 15 dipendenti con diritto quindi alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno mentre nelle aziende fino a 15 dipendenti avevano diritto alla tutela obbligatoria con diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno. La riforma riscrive l’art. 18 prevedendo la tutela reale in caso di licenziamento ingiustificato, illecito o nullo. Rimane invece invariata la tutela obbligatoria nelle aziende fino a 15 dipendenti.
La legge 10-12-2014 n. 183, cd. Jobs Act, delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi che prevedano per le nuove assunzioni il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio con:
· esclusione per i licenziamenti economici, della reintegrazione nel posto di lavoro e riconoscimento solo di un indennizzo certo e crescente con l’anzianità di servizio;
· diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro in caso di licenziamento nullo e discriminatorio;
· diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, in alcune fattispecie di licenziamento disciplinare.
In attuazione della legge viene emanato il D. Lgs. 4-3-2018 che introduce un sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi completo che si affianca a quello previsto dall’articolo 18 L. 300/1970 e dall’articolo 8 L. 604/1966.
La disciplina del licenziamento trova applicazione nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, sia nella sua forma tradizionale che in quella a tutele crescenti; questa disciplina impone, ai fini della legittimità dell’atto di recesso datoriale, il rispetto di requisiti sostanziali e formali: i requisiti sostanziali riguardano l’obbligo di una causa giustificabile del recesso e quindi il licenziamento non potrà avvenire se non per giusta causa o per giustificato motivo.
I requisiti formali riguardano invece la forma e il contenuto dell’atto di recesso e la procedura di comunicazione che sarà diversa a seconda della causa giustificatrice o delle dimensioni occupazionali dell’azienda; in base alla legge del 1966 l’onere di dimostrare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo spetta al datore di lavoro: in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, soggetto alla disciplina del D Lgs. 23/2015, per poter ottenere la tutela reale, il lavoratore è tenuto a dimostrare direttamente l’inesistenza del fatto materiale che gli viene contestato dal datore di lavoro visto che è l’unica ipotesi in cui è prevista la reintegrazione sul posto di lavoro.
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà dimostrate non solo l’effettività delle ragioni poste alla base del licenziamento ma anche l’impossibilità di una diversa utilizzazione proficua dei lavoratori licenziati
L’articolo 2119 C. C. Disciplina la giusta causa come “una causa che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto”; si tratta di un qualsiasi fatto di oggettiva gravità riferibile sia alla sfera contrattuale che extracontrattuale. ; possono dar vita ad una giusta causa di licenziamento anche comportamenti diversi dall’inadempimento contrattuale se fanno venir meno la fiducia su cui si basa il rapporto di lavoro.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo si ha quando si configura un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore: si tratta di fatti o comportamenti colposi del lavoratore attinenti al rapporto di lavoro che, anche se meno gravi rispetto all’ipotesi di giusta causa, sono tali da far venire meno la fiducia da parte del datore di lavoro e fargli dubitare dell’attitudine del lavoratore all’espletamento delle sue mansioni.
Il giustificato motivo soggettivo differisce quindi dalla giusta causa per la gravità del fatto che viene addebitato al lavoratore e per le conseguenze che ne derivano: nel primo caso il datore di lavoro è tenuto al rispetto del periodo di preavviso o a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva, nel secondo caso invece tale obbligo non sussiste ed il recesso è immediato. Il licenziamento motivato dall’inadempimento degli obblighi previsti nel contratto di lavoro si qualifica come licenziamento disciplinare e si risolve con la più grave sanzione adottabile dal datore di lavoro; in questo caso la legittimità del licenziamento è subordinata all’osservanza dei requisiti stabiliti dalla L. 604/1966 e dallo Statuto dei lavoratori che stabilisce le modalità di irrogazione delle sanzioni disciplinari.
Il licenziamento disciplinare è considerato legittimo quando:
· è contemplato dal codice disciplinare; non è necessario che il codice disciplinare venga affisso in tutti i casi in cui il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito perché contrario al c. D. Minimo etico o a norme che hanno rilevanza penale e pertanto si rende conto da solo della gravità della propria condotta.
· è formalmente contestato l’addebito al lavoratore;
· è consentito al lavoratore di essere ascoltato e quindi di difendersi;
· il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante del sindacato.
Il licenziamento può essere intimato anche per fatti inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa; l’imprenditore infatti è libero di determinare l’assetto aziendale più consono alle esigenze produttive, anche se questo comporta uno o più licenziamenti. Al giustificato motivo oggettivo si possono ricondurre anche fatti attinenti alla sfera del lavoratore ma a lui non imputabili a titolo di colpa che hanno una ricaduta sull’organizzazione aziendale e legittimano l’interruzione del rapporto.
La differenza tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, riguarda l’elemento della colpa: in entrambi i casi infatti si pone alla base del recesso l’inadempimento contrattuale con la differenza che nel primo caso il lavoratore non ha colpa mentre nel secondo caso si. La giurisprudenza stabilisce che in caso di licenziamento per motivo oggettivo il datore di lavoro dovrà prima verificare se il lavoratore può essere proficuamente utilizzato in altro modo (obbligo di repèchage). Nel caso in cui ci siano più licenziamenti (5 in 120giorni) si parlerà di licenziamento collettivo per riduzione del personale, in caso contrario il licenziamento, anche se coinvolge più lavoratori è definito individuale personale e troverà applicazione la relativa disciplina ; non esiste una sostanziale differenza tra i due tipi di licenziamento, se non il fatto che in caso di licenziamento collettivo la legge richiede il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e la ricerca di soluzioni alternative.
Il licenziamento del lavoratore è vietato nei seguenti casi:
· matrimonio della lavoratrice: il licenziamento non può essere intimato nel periodo compreso tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio;
· stato di gravidanza o puerperio: opera dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino;
· infortunio o malattia: il divieto dura per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi;
· in caso di richiamo alle armi non potrà essere intimato prima di tre mesi dalla ripresa dell’occupazione.
è inoltre vietato anche il licenziamento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, dei candidati e membri di commissione interna, fino ad un anno dalla cessazione dell’incarico (tre mesi per i candidati non eletti), dei lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni o lavoratori che esercitano il loro diritto di sciopero.
Il periodo in cui vige il divieto di licenziamento è definito periodo di comporto e la sua durata viene definita dalla contrattazione collettiva.
Il licenziamento discriminatorio è il licenziamento che viene determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali o da ragioni connesse all’etnia, alla lingua, al genere, situazioni di handicap, all’età, orientamento sessuale o convinzioni personali. La legislazione antidiscriminatoria che inizialmente si limitava a reprimere la disparità di trattamento tra uomo e donna ormai copre tutta la gamma dei fattori che sono espressione della sfera personale dell’individuo. In caso di licenziamento per motivi discriminatori spetta al lavoratore provare l’esistenza del motivo illecito fornendo la dimostrazione del nesso di causalità tra i fatti contestati e l’intento discriminatorio.
Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore anche se dirigente; la forma orale è ammessa per i lavoratori domestici, per gli ultra sessantenni che sono in possesso dei requisiti pensionistici e per i lavoratori in prova. Nella comunicazione dovranno essere indicati obbligatoriamente i motivi che hanno portato al licenziamento mentre in precedenza venivano comunicati solo su richiesta del lavoratore.
In caso di licenziamento disciplinare o per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro deve seguire una specifica procedura: per il licenziamento disciplinare, fermo restando che le sanzioni disciplinari devono essere predeterminate e potate a conoscenza del lavoratore, dovrà contestare preventivamente al lavoratore l’addebito e consentirgli di difendersi con l’assistenza di un rappresentante sindacale. In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro con più di 15 dipendenti deve obbligatoriamente attivare una specifica procedura conciliativa: dovrà inviare alla sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro competente una comunicazione, da trasmettere per conoscenza anche al lavoratore, in cui dichiara la sua intenzione di procedere a licenziamento per motivo oggettivo indicando i motivi e le misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
Entro 7 giorni dal ricevimento della richiesta, l’Ispettorato convoca sia il lavoratore che il datore di lavoro davanti alla commissione di conciliazione, dove le parti potranno essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza a cui sono iscritte o a cui conferiscono mandato o da un avvocato, consulente del lavoro o da un componente della rappresentanza sindacale. Le parti durante il processo esamineranno anche soluzioni alternative al recesso e la procedura dovrà concludersi entro 20 giorni dalla trasmissione di comunicazione di convocazione, a meno che le parti, di comune accordo, non intendano proseguire oltre per cercare di arrivare ad una soluzione. Se il lavoratore non può partecipare all’incontro la procedura potrà essere sospesa per un massimo di 14 giorni.
Se la conciliazione ha dato esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il lavoratore avrà diritto alla NASPI e potrà essere affidato ad un’agenzia per il lavoro, di somministrazione, di supporto alla ricollocazione professionale di intermediazione. Se invece ha dato esito negativo o è decorso vanamente il termine di 7 giorni per la trasmissione della convocazione all’incontro, il datore di lavoro potrà comunicare il licenziamento del lavoratore.
Il giudice in caso di giudizio deve tenere in considerazione il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche nel verbale redatto in sede di commissione provinciale, ai fini della determinazione dell’indennità risarcitoria e della condanna alle spese processuali.
Il licenziamento intimato per procedimento disciplinare o giustificato motivo oggettivo produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, salvo il diritto di preavviso del lavoratore o all’ indennità sostitutiva; il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.