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mercoledì 2 Ottobre 2024

Il Decreto Dignità

Il Senato il 7 agosto 2018 ha approvato la conversione in legge del Decreto Dignità, già in vigore dal 14 luglio come decreto 87/2018, con importanti modifiche: molto rilevanti sono gli aspetti toccati dal decreto in materia giuslavoristica soprattutto con riferimento al ritorno delle causali nei contratti a termine,  l’ aumento dei contributi a carico del datore di lavoro a partire dal primo rinnovo, anche per il lavoro in somministrazione e l’indennizzo per i licenziamenti illegittimi viene modificato con l’innalzamento delle mensilità garantite al lavoratore licenziato.

Il Decreto Dignità

Tutte le nuove norme sul lavoro: somministrazione, contratti a termine, delocalizzazione e licenziamento.

Il Senato il 7 agosto 2018 ha approvato la conversione in legge del Decreto Dignità, già in vigore dal 14 luglio come decreto 87/2018, con importanti modifiche: molto rilevanti sono gli aspetti toccati dal decreto in materia giuslavoristica soprattutto con riferimento al ritorno delle causali nei contratti a termine,  l’ aumento dei contributi a carico del datore di lavoro a partire dal primo rinnovo, anche per il lavoro in somministrazione e l’indennizzo per i licenziamenti illegittimi viene modificato con l’innalzamento delle mensilità garantite al lavoratore licenziato.

L’obiettivo del Decreto dignità è sicuramente quello di limitare l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, favorendo i rapporti a tempo indeterminato, riducendo il ricorso al lavoro precario e riservando la contrattazione a termine ai casi di reale necessità da parte del datore di lavoro; un altro obiettivo importante è  quello di salvaguardare i livelli occupazionali contrastando la delocalizzazione delle aziende che hanno ottenuto aiuti dallo Stato per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche in Italia.

Per i contratti a tempo determinato una delle principali novità riguarda la durata che viene ridotta da 36 ad un massimo di 24 mesi: al contratto di lavoro subordinato potrà essere apposto un termine di durata non superiore ai 12 mesi che però potrà essere prorogato fino ad un massimo di 24 mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

·        “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori”;

·        “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”;

Ad eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine nel contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto che deve essere prodotto in duplice copia, una delle quali dovrà essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. Entro i 12 mesi il contratto potrà essere liberamente prorogato senza necessità di causali, se invece il termine supera i 12 mesi allora le causali dovranno essere inserite ai fini dell’attivazione del contratto.

Un altro aspetto importante riguarda la diminuzione delle proroghe che in precedenza erano massimo 5 entro i 36 mesi, ora invece saranno 4 nell’arco di 24 mesi e nel caso in cui il numero di proroghe sarà superiore a 4, il contratto si trasformerà a tempo indeterminato; un’altra modifica importante riguarda i tempi utili per l’impugnazione che sono allungati a 180 giorni anziché 120 dalla cessazione del singolo contratto.

Viene aumentato il contributo addizionale dello 0. 5% ad ogni rinnovo dopo i 12 mesi, (attualmente pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali) a carico del datore di lavoro per i rapporti di lavoro a tempo determinato in caso di rinnovo a tempo determinato anche in somministrazione. Rimane in vigore il principio dello stop ang go cioè l’obbligo, in capo al datore di lavoro di rispettare un’interruzione minima tra due contratti a termine successivi che sarà di 10 giorni se il contratto cessato aveva durata inferiore o uguale a sei mesi e 20 giorni in caso di durata superiore ai 6 mesi.

Tutte queste modifiche non si applicano ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione.

Un altro cambiamento importante introdotto dal Decreto Dignità riguarda l’indennità in caso di licenziamento illegittimo a carico delle aziende che impiegano più di 15 dipendenti nello stabilimento nel quale si è verificato il licenziamento o che impiegano più di 15 dipendenti nello stesso comune o più di 60 nel territorio nazionale; si prevede un’indennità minima di 6 mensilità( in precedenza 4) che potrà essere elevata sino ad un massimo di 36 mensilità (prima 24), fermo restando il criterio di calcolo delle 2 mensilità in ragione di ogni anno di impiego del dipendente licenziato; rimane ferma la possibilità di reintegrare il lavoratore in specifici casi di illegittimità per licenziamento per giusta causa o giustificato  motivo soggettivo.

Per i contratti di somministrazione in caso di assunzione a tempo determinato, valgono le stesse regole previste per i contratti di lavoro a tempo determinato quindi la durata non dovrà superare i 24 mesi e dovrà comunque essere inserita una causale oltre i 12 mesi. Anche in questo caso il numero massimo di proroghe sarà 4 e non più 5.

Le aziende utilizzatrici potranno impiegare lavoratori somministrati a tempo determinato nella misura massima del 30% dei dipendenti a tempo indeterminato in forza nella stessa impresa al 1° Gennaio del relativo anno; se la somministrazione è posta in essere con la finalità di eludere norme inderogabili di legge o del contratto collettivo applicato al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore saranno puniti con un’ammenda pari a 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di somministrazione fraudolenta.

Il Decreto dignità prevede anche delle misure volte a penalizzare le aziende che, dopo aver fruito di aiuti e benefici decidono di delocalizzare all’estero: è doveroso premettere che per “delocalizzazione” si intende il trasferimento di un’attività economica o di una sua parte, dal sito produttivo incentivato ad un altro sito, da parte della stessa impresa beneficiaria dell’aiuto o di un’altra impresa con la quale ci sia un rapporto di collegamento o di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile. è previsto che le imprese italiane ed estere che operano nel territorio nazionale, fatti salvi i vincoli previsti dai trattati internazionali, che hanno beneficiato di un Aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio, decadano dallo stesso beneficio se l’attività economica interessata dallo stesso oppure un’attività analoga o una parte, venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione Europea, entro 5 anni dalla conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza troverà applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria che consisterà nel pagamento di una somma di denaro in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.

La stessa conseguenza si verificherà nel caso in cui le aziende abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede investimenti produttivi specificatamente localizzati ai fini dell’attribuzione di un beneficio: nel caso in cui l’attività economica interessata dallo stesso o un’altra attività simile o una loro parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttive situate al di fuori dell’ambito territoriale del predetto sito, in ambito nazionale ed europeo entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato, avremo la decadenza del beneficio medesimo.

Una specifica norma inoltre prevede che le imprese italiane ed estere che beneficiano di aiuti di stato nel territorio nazionale che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale, se, al di fuori dei casi di giustificato motivo oggettivo, riducono i livelli occupazionali degli addetti all’unità o attività produttiva interessata dal beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell’investimento, decadono dal beneficio in caso di riduzione superiore al 10%; la decadenza del beneficio in questo caso è proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è in ogni caso totale in caso di riduzione superiore al 50%.

Viene prorogato anche nel 2019 e 2020 la previsione che consente ai datori di lavoro che assumono lavoratori che non hanno ancora compiuto 35 anni e che non sono stati occupati a tempo indeterminato presso lo stesso o altro datore di lavoro, l’esonero dal versamento del 50% dei contributi previdenziali nel limite massimo di euro 3000 su base annua.

Tutte queste nuove disposizioni troveranno applicazione dal 1 novembre  2018.  

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