La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e quando il lavoratore receda e solo successivamente adduca l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.
Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto – Dimissioni – Dimissioni per giusta causa – Presupposti – Manifestazione della volontà di dimettersi con contestuale dichiarazione di disponibilità a continuare l’attività per il periodo di preavviso o per una parte di esso – Configurabilità – Esclusione
La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e quando il lavoratore receda e solo successivamente adduca l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.
Nota – Nella fattispecie in esame, la Corte di Appello di L’Aquila aveva confermato la decisione di primo grado con la quale era stata accolta la domanda di un dirigente, dimessosi per giusta causa, volta a far valere l’illegittimità della trattenuta operata dal datore di lavoro sulle competenze di fine rapporto a titolo di indennità sostitutiva del preavviso. Il dirigente aveva dedotto, come giusta causa di recesso, l’omessa corresponsione di sei mesi di retribuzione durante il periodo in cui il suo datore di lavoro era in Amministrazione straordinaria per insolvenza. La società soccombente (subentrata al precedente datore di lavoro del ricorrente dopo il provvedimento di ammissione all’Amministrazione straordinaria) ha proposto ricorso per Cassazione ritenendo erronea la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha ravvisato la giusta causa di dimissioni nonostante il fallimento dell’imprenditore non costituisca giusta causa di risoluzione del rapporto ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile e nonostante il recesso fosse tardivo rispetto all’inadempimento (omesso pagamento di sei mensilità) della società.
La Suprema Corte di Cassazione, dopo avere osservato che, avendo il dirigente continuato a prestare la propria opera a favore della società per altri quattro mesi successivi al mancato pagamento delle retribuzioni (con parziale espletamento di lavoro anche nel periodo di preavviso), queste circostanze inducono ad escludere che il pregresso inadempimento costituisca un effettivo impedimento alla prosecuzione, anche temporanea, del rapporto, ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione formulato dal datore di lavoro e, richiamando due precedenti pronunce (Cass. Sez. Lav. N. 2048/1985 e Cass. Sez. Lav. N. 2492/1997), ha ritenuto che: “Ancorché la sussistenza di dimissioni per giusta causa possa ammettersi anche quando il recesso non segue immediatamente i fatti che lo giustificano ed il lavoratore possa recedere e solo successivamente addurre l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto”. La Suprema Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che il datore di lavoro era in amministrazione straordinaria, per cui non poteva pagare direttamente (cioè senza l’autorizzazione del giudice delegato) le retribuzioni maturate anteriormente alla dichiarazione dello stato di insolvenza. In applicazione di detti principi, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società ricorrente.