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Corte Costituzionale Sentenza 22 luglio 2011, n. 234

La sentenza della Corte Costituzionale 19-22 luglio 2011 n. 234 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del Decreto Legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla Legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa Legge n. 236 del 1993, nella parte in cui tali norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso in cui si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.  Le predette norme, dichiarate costituzionalmente illegittime – laddove esse non prevedevano in favore dell’assicurato il diritto di opzione tra l’assegno di invalidità e l’indennità di disoccupazione – pertanto, hanno cessato di avere efficacia e non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Consulta (Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 32 del 27-7-2011). Tale decisione riconosce all’assicurato il diritto di scegliere tra l’assegno ordinario di invalidità e l’indennità di disoccupazione limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato ferma restando l’incumulabilità delle due prestazioni.  

Corte Costituzionale Sentenza 22 luglio 2011, n. 234

In nome del popolo italiano la corte costituzionale ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, promosso dal Tribunale di Bologna nel procedimento vertente tra M. L. E l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 4 maggio 2010, iscritta al n. 375 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti gli atti di costituzione di M. L. E dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella; uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per M. L. , Antonietta Coretti per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1. − Con ordinanza del 4 maggio 2010, il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, «nella parte in cui tali norme non prevedono che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato».

Il rimettente riferisce che, nel giudizio sottoposto al suo esame la ricorrente, dopo la concessione dell’assegno di invalidità parziale, aveva continuato a prestare la propria attività lavorativa. Licenziata per riduzione di personale, ed essendo assicurata contro la disoccupazione presso l’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), la predetta ricorrente aveva dichiarato di optare per il trattamento più favorevole tra l’assegno di invalidità e l’indennità di disoccupazione.

La sede INPS competente, tuttavia, aveva respinto la domanda, affermando che l’assegno di invalidità era incompatibile con l’indennità di disoccupazione, in forza dell’art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 (Interventi urgenti a salvaguardia dei livelli occupazionali), non convertito in legge, i cui effetti sono stati fatti salvi dal successivo decreto-legge n. 148 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236 del 1993. L’art. 6, comma 7, del predetto decreto-legge n. 148 del 1993, infatti, riferisce il rimettente, inizialmente prevedeva solo che i trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e l’indennità di mobilità fossero incompatibili con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, nonché dei lavoratori autonomi. In seguito, prosegue il rimettente, tale norma è stata modificata per effetto della sentenza n. 218 del 1995, con cui questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso articolo, nonché dell’art. 1 della legge n. 236 del 1993, solo per lavoratori aventi diritto alla mobilità, nella parte in cui non prevedono che, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità, i lavoratori che fruiscono dell’assegno o della pensione di invalidità, possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilità, nei modi e con gli effetti di cui agli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tornando al caso del giudizio a quo, il rimettente riferisce che, poiché la normativa in vigore prevede tale facoltà solo nel caso di concorso tra il trattamento di mobilità e l’assegno o la pensione di invalidità, la ricorrente, avendo diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione, non aveva avuto la facoltà di optare tra l’assegno di invalidità, di cui è titolare, e il predetto trattamento di disoccupazione, in concreto più favorevole.

Ebbene, secondo il Tribunale di Bologna, la mancata previsione delle facoltà di opzione anche nel caso di concorso tra indennità di disoccupazione e trattamento di invalidità, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. , per le stesse ragioni poste a fondamento della già citata sentenza n. 218 del 1995 della Corte costituzionale, violando ulteriormente l’art. 3 della Carta costituzionale, sotto l’aspetto della disparità di trattamento tra chi, fruendo di un trattamento di invalidità, si trova in stato di disoccupazione con o senza collocazione in mobilità, posto che nel primo caso può esercitare la facoltà di opzione del trattamento più favorevole, mentre nel secondo tale facoltà è preclusa. Secondo il rimettente, la questione di costituzionalità della norma citata, inoltre, è rilevante nel giudizio a quo, posto che l’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993 e l’art. 1 della legge n. 236 del 1993 non prevedono la suddetta opzione e non sono superabili in via meramente interpretativa, stante il letterale e chiaro disposto delle norme in questione.

2. − Con memoria depositata il 22 dicembre del 2010, l’Istituto nazionale per la previdenza sociale ha chiesto che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile e infondata. Quanto alla dedotta inammissibilità, secondo l’INPS, l’ordinanza di rimessione non sarebbe motivata in modo esauriente ed autosufficiente, facendo rinvio alle «ragioni poste a fondamento della già citata sentenza n. 218 del 1995 della Corte costituzionale», senza motivare in ordine alla configurabilità di una coincidenza – quanto a natura, presupposti ed effetti – tra il trattamento di disoccupazione ed il trattamento di mobilità, così riproducendo il profilo di inammissibilità stigmatizzato dalla Corte nell’ordinanza n. 297 del 2000, in relazione ad altra questione sollevata con riferimento alla medesima norma. Quanto al merito, l’INPS ha chiesto che la questione di costituzionalità sia dichiarata infondata, attesa la non comparabilità tra l’istituto dell’indennità di disoccupazione, rispetto al quale è intervenuta la sentenza citata dal rimettente, e quello dell’indennità di disoccupazione. Secondo l’INPS, infatti, nei due istituti sarebbero diversi la natura giuridica, i presupposti di applicabilità e la struttura, per cui, come rimarcato dalla Corte nella citata ordinanza n. 297 del 2000, la pronuncia additiva richiesta non sarebbe “a rime obbligate”.

3. − Con memoria, depositata il 23 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, ed ha chiesto che la questione di legittimità sollevata sia dichiarata inammissibile e comunque infondata. Quanto al primo aspetto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sottolineato il carattere eccezionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994 – norma della cui efficacia il rimettente ha chiesto l’estensione anche alla fattispecie sottoposta al suo esame – atteso che, come già la Corte costituzionale avrebbe evidenziato nell’ordinanza n. 218 del 2000, tale norma, introducendo l’opzione soltanto tra l’indennità di mobilità e le prestazioni di invalidità, costituirebbe eccezione al principio generale, dettato dall’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993, di incompatibilità tra trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione, indennità di mobilità e trattamenti pensionistici diretti. Nel merito, secondo il Presidente del Consiglio non vi sarebbe coincidenza tra l’indennità di mobilità e l’indennità di disoccupazione: mentre la prima, connessa strettamente al trattamento di integrazione salariale, sarebbe svincolata dall’accertamento dello stato di bisogno individuale e sarebbe legata a obiettivi di politica economico-sociale di tutela dell’occupazione (tanto da essere strettamente connessa alla dimensione occupazionale dell’azienda presso la quale il lavoratore presta la sua opera), la seconda avrebbe natura prettamente assicurativa e sarebbe legata funzionalmente alla situazione di bisogno del lavoratore. Inoltre, quanto ai presupposti, l’indennità di mobilità, a differenza di quella di disoccupazione (riconosciuta a tutti i lavoratori, in conseguenza di un licenziamento anche individuale), è attribuita ai soli lavoratori dipendenti di imprese del settore industriale con almeno quindici dipendenti e a condizione che possano far valere un minimo di anzianità lavorativa presso l’azienda datrice di lavoro, e solo a seguito di licenziamento collettivo e dopo l’inizio di una procedura sindacale di messa in mobilità. Diverse, poi, sarebbero anche la struttura e l’articolazione dei due istituti indennitari, sia con riferimento all’entità che alla durata dei benefici concessi.

4. − Si è costituita in giudizio anche la ricorrente L. M. , chiedendo che la questione di costituzionalità sollevata sia dichiarata rilevante nel giudizio a quo, a causa della impossibilità di riconoscere al titolare dell’indennità di invalidità il diritto di optare per l’indennità di disoccupazione in via interpretativa, sulla base della legislazione vigente. Essa ha poi chiesto che la questione sia dichiarata fondata, potendosi desumere la ratio decidendi dell’accoglimento dalla stessa sentenza n. 218 del 1995, citando alcuni passi della stessa pronuncia e svolgendo ulteriori considerazioni a sostegno della tesi della perfetta adattabilità di tale pronuncia anche al caso della opzione tra indennità di invalidità ed indennità di disoccupazione.

5. − Con memoria depositata in data 14 giugno 2001, la parte privata ha illustrato ulteriormente le proprie argomentazioni a sostegno della sollevata questione. Considerato in diritto 1. − Il Tribunale di Bologna dubita, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui non prevedono che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.

1. 1. − La norma censurata, nella sua originaria formulazione, si limitava ad introdurre il divieto di cumulo dei trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e dell’indennità di mobilità con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, degli ordinamenti sostitutivi, esonerativi ed esclusivi dell’assicurazione medesima, nonché delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi; escludendo, dunque, che i soggetti che si trovavano nelle condizioni di poter astrattamente fruire, contemporaneamente, di entrambi tali tipologie di prestazioni previdenziali potessero in concreto godere di entrambe, cumulandole.

1. 2. − Successivamente alla sua emanazione, la norma è stata integrata per effetto dell’art. 2 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, che ha introdotto un temperamento al divieto di cumulo, consentendo, ai soli lavoratori aventi diritto alla mobilità, di scegliere, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità, tra tali trattamenti e quello di mobilità e stabilendo che, in caso di opzione a favore del trattamento di mobilità, l’erogazione dell’assegno o della pensione di invalidità resti sospesa per tutto il periodo di fruizione del predetto trattamento. Tale facoltà di opzione, invece, non risulta estensibile ai lavoratori titolari dell’assegno di invalidità che abbiano diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione. Questi ultimi, al momento del licenziamento, durante il periodo di disoccupazione potranno percepire il solo assegno parziale di invalidità.

1. 3. − In seguito, questa Corte, con la sentenza n. 218 del 1995, ha esteso l’operatività del diritto di opzione anche al periodo precedente alla riforma del 1994, rendendo, dunque, retroattiva la norma introdotta dal legislatore appena l’anno precedente.

2. − Preliminarmente, deve osservarsi che la questione è stata sollevata con riferimento sia all’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993, sia all’art. 1 della legge n. 236 del 1993, che, nel convertire in legge il predetto decreto, ha fatto salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), tra i quali v’è quella posta a fondamento dell’impugnato provvedimento di reiezione dell’istanza di opzione.

2. 1. − Sempre in via preliminare, l’INPS e il Presidente del Consiglio hanno eccepito l’inammissibilità della questione, in quanto la stessa, in punto di non manifesta infondatezza, risulterebbe motivata solo per relationem, mediante rinvio integrale alle argomentazioni contenute in altra sentenza di questa Corte. Tale eccezione è fondata solo con riferimento all’art. 38 Cost. Questa Corte ha avuto modo di ribadire (ex plurimis, sentenze n. 64 del 2009, n. 328 del 2008 e ordinanze n. 354, n. 75 e n. 42 del 2007, n. 312 del 2005) che, nell’ordinanza di rimessione, il giudice deve rendere esplicite le ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalità della norma con una motivazione autosufficiente, non potendosi limitare ad un generico richiamo alla giurisprudenza, o ad altri atti estranei all’ordinanza stessa. Ebbene, con riferimento al parametro di cui all’art. 38 Cost. , l’ordinanza di rimessione, oggi in esame, risulta motivata unicamente attraverso il rinvio recettizio alle motivazioni contenute nella già citata sentenza n. 218 del 1995. Al di fuori di tale inammissibile rinvio, non è rinvenibile alcuna motivazione specificamente riferibile all’art. 38 Cost. Pertanto, la predetta questione va dichiarata, in parte qua, inammissibile. Al contrario, con riferimento al principio di cui all’art. 3 Cost. , l’eccezione di inammissibilità deve essere respinta. Il rimettente, infatti, dopo aver richiamato le argomentazioni contenute nella motivazione della predetta sentenza, nel prosieguo dell’ordinanza, individua in modo autonomo il vulnus costituzionale denunciato con riferimento al principio di uguaglianza, identificandolo nella disparità di trattamento tra lavoratori aventi diritto alla mobilità e lavoratori che, pur disoccupati, ne sono esclusi. Tale motivazione, ancorché sintetica, deve ritenersi idonea a circoscrivere in modo adeguato ed autosufficiente l’oggetto dello scrutinio di costituzionalità demandato a questa Corte.

2. 3. − Né sussiste l’eccepito profilo di inammissibilità, connesso all’asserito carattere non “a rime obbligate” dell’intervento additivo richiesto, perché quest’ultimo costituisce l’unica possibile soluzione alla denunciata disparità di trattamento.

3. − Nel merito, la questione è fondata.

3. 1. − La disposizione censurata, come integrata dall’art. 2 del decreto-legge n. 299 del 1994 e dalla sentenza n. 218 del 1995, determina un’oggettiva diversità di trattamento tra il lavoratore inabile, titolare di un assegno o di una pensione di invalidità che, al momento del licenziamento, rientri nel novero dei lavoratori aventi diritto al trattamento di mobilità e quello che abbia invece diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione. Mentre nel primo caso, infatti, il lavoratore che, a causa del regime di incompatibilità, non può percepire entrambi gli assegni (di invalidità e di mobilità), ha però la facoltà di scegliere tra le due prestazioni, a seconda di quale dei due trattamenti sia, in concreto, più conveniente, nel secondo caso, non ha tale possibilità di scelta e si trova, di fatto, obbligato a beneficiare di quello connesso al suo stato di invalidità. L’impossibilità di optare per il trattamento di disoccupazione in occasione del licenziamento, determina, dunque, per i soli lavoratori inabili non aventi diritto alla mobilità, la concreta inutilizzabilità di tale tutela assicurativa.

3. 2. − Come questa Corte ha affermato, il legislatore, nel regolamentare il concorso tra più assicurazioni sociali e, in particolare, tra quelle connesse allo stato di invalidità e vecchiaia e quelle connesse allo stato di disoccupazione, gode certamente della più ampia discrezionalità (e può ben valutare, quindi, come sufficiente l’attribuzione di un unico trattamento previdenziale al fine di garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della sua famiglia), ma, nel fare tale scelta, deve soddisfare il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n. 218 del 1995). Nel caso in esame, la descritta diversità di disciplina tra indennità di disoccupazione ed indennità di mobilità non è ragionevole, perché, non essendo connessa a rilevanti differenze strutturali delle due situazioni poste a confronto, risulta irragionevolmente discriminatoria. Diversamente, infatti, da quello che sostengono l’INPS e il Presidente del Consiglio dei ministri, circa la non equiparabilità dell’assegno ordinario di disoccupazione al trattamento di mobilità, le differenze tra i due emolumenti (che si assumono essere connesse a diversità di presupposti, entità e struttura degli stessi) sono marginali e non giustificano, per i lavoratori non aventi diritto alla mobilità, la mancata previsione del diritto di opzione. Infatti, l’indennità ordinaria di disoccupazione e l’indennità di mobilità − valutate non in astratto ma con specifico riferimento alla ratio della disposizione di cui si chiede l’estensione – presentano, nella finalità e nella struttura, assorbenti analogie, perché tali sussidi rientrano nel più ampio genus delle assicurazioni sociali contro la disoccupazione. Un tale inquadramento è stato già avallato, da questa Corte, nella sentenza n. 184 del 2000, laddove si è affermato che, nell’ambito dei cosiddetti “ammortizzatori sociali”, l’indennità di mobilità − a differenza della Cassa integrazione guadagni, connessa ad un mero stato transitorio di crisi dell’impresa – è finalizzata a favorire il ricollocamento del lavoratore in altre imprese ed è, dunque, collegata ad una crisi irreversibile dell’impresa. Essa, cioè, deve considerarsi un vero e proprio trattamento di disoccupazione.

3. 3. − D’altra parte, la norma censurata, come da questa Corte sottolineato (per i lavoratori in mobilità) nella citata sentenza n. 218 del 1995, presenta un’ulteriore disparità di trattamento, perché discrimina i lavoratori disoccupati invalidi, non aventi diritto alla mobilità, anche rispetto agli altri lavoratori disoccupati pienamente validi. I primi, infatti, secondo la normativa attualmente vigente, percepiscono la sola indennità di invalidità (che potrebbe, peraltro, essere solo parziale), mentre i secondi, a partire dal momento del licenziamento, godono del più vantaggioso trattamento, ordinario o speciale, di disoccupazione. Anche sotto tale profilo, pertanto, la norma censurata determina una lesione del principio di uguaglianza, dal momento che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire nella più volte citata sentenza n. 218 del 1995, «il lavoratore parzialmente invalido, ove collocato in mobilità, viene a trovarsi in una situazione di più urgente bisogno del lavoratore valido, anch’egli collocato in mobilità, essendo prevedibile che egli, rispetto a quest’ultimo, abbia maggiori esigenze di mantenimento», e considerato che «chi subisce plurimi eventi pregiudizievoli si trova esposto ad una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il primo non potrà, rispetto a quest’ultimo, avere un trattamento deteriore».

4. − Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale, in parte qua, delle norme censurate. Per questi motivi la corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, che ha fatti salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), nella parte in cui dette norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011.  

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