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sabato 7 Dicembre 2024

Contratto a tempo determinato e impugnazione del termine

Contratto a tempo determinato e impugnazione del termine

Cass. , sez. Lav. , 28 novembre 2011, n. 25038

Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso.  

Contratto a tempo determinato e impugnazione del termine

Cass. , sez. Lav. , 28 novembre 2011, n. 25038

Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso.

Nota – Il caso di specie è sorto in seguito all’impugnazione del termine apposto ad un contratto di lavoro. Il Tribunale di Novara dichiarava la nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro affermando la vigenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condannando la società a riammettere in servizio il lavoratore nonché al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate. La Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello proposto dalla società che pertanto ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza.

La Cassazione, ribadendo il consolidato orientamento per il quale vige un onere di specificazione, e quindi di prova, a carico del datore di lavoro delle ragioni oggettive giustificatrici del termine finale, con indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali in ordine al contenuto e alla portata spazio temporale e circostanziale, ha ritenuto infondato il vizio di motivazione denunciato dalla società.

La Cassazione ha ritenuto infondato anche il motivo con il quale la società lamentava il fatto che la Corte Territoriale non avesse ravvisato il mutuo consenso a non riattivare il rapporto di lavoro in fatti incompatibili con la volontà di mantenerlo in vita, come la prolungata inerzia del lavoratore dopo la scadenza del termine, la percezione del Tfr senza riserva nonché il reperimento di una nuova stabile occupazione. La Cassazione, rigettando il ricorso ha infatti confermato che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto “affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (Cass. N. 23057/2010) e che inoltre “grava sul datore di lavoro che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (Cass. N. 9583/2011). Nel caso concreto, la Cassazione ha quindi confermato, ritenendola giuridicamente corretta e immune dai vizi logici, l’affermazione dei giudici di merito secondo cui la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o più, non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso. Infatti afferma la Cassazione che “l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo indeterminato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c. C. E art. 1419 c. C. , comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c. C. , è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso

psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso. Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo”” (Cass. N. 23501/2010).

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