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venerdì 6 Dicembre 2024

Come va costituita l’impresa familiare per godere delle agevolazioni fiscali? Cassazione Tributaria 2017

Se l’impresa  familiare non è stata costituita con atto pubblico o scrittura privata autenticata, l’Agenzia delle Entrate potrà emettere avvisi di accertamento di un maggior reddito rispetto a quello dichiarato? Ecco una guida pratica e le indicazioni della Cassazione per avviare correttamente la vostra impresa familiare e non incorrere in errori formali che paghereste a caro prezzo di fronte al Fisco.  

In base all’articolo 5 comma 4 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), l’impresa familiare, come disciplinata dall’articolo 230-bis c. C. , per poter beneficiare del regime fiscale stabilito dallo stesso TUIR (DPR 917/1986), deve essere costituita con scrittura privata autenticata o con atto pubblico (atto notarile, da assoggettare a tassa fissa di registro entro 20 giorni dalla stipula dell’atto).

Contenuto dell’atto costitutivo

Nel predetto atto, oltre a stabilire l’opponibilità fiscale rispetto all’Amministrazione finanziaria, vengono  formalizzate le generalità dei soggetti partecipanti all’impresa familiare ed i loro vincoli di parentela; inoltre vengono stabilite le quote di partecipazione all’impresa, il soggetto imprenditore deve detenere almeno il 51% delle quote, ma le stesse potranno variare, in funzione del vincolo del 51%, di anno in anno in relazione alla percentuale di lavoro prestato dai collaboratori familiari.

Cassazione tributaria 2017

La Cassazione tributaria, con la sentenza n. 2472/2017, confermando e rafforzando il dato normativo, ha statuito perentoriamente che un’impresa, sotto il profilo fiscale, non è configurabile come impresa familiare nell’ipotesi in cui manchi l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata precedente al periodo d’imposta che la qualifichi come tale.

Il caso sottoposto all’esame del Giudice di Legittimità riguardava il titolare di un’impresa familiare (nello specifico una tabaccheria) che chiedeva la censura della sentenza della CTR la quale, confermando la decisione della Commissione Tributaria Provinciale, aveva ritenuto validi gli avvisi di accertamento che rilevavano un maggior reddito d’impresa rispetto a quanto dichiarato, con conseguente ricalcolo delle imposte dovute per Irpef, Irap e Iva, oltre interessi e sanzioni.

Il contribuente ricorreva in Cassazione, ritenendo illegittima la decisione dei giudici di merito che avrebbe violato le norme fiscali relative all’impresa familiare, argomentando nella sua domanda che il maggior reddito accertato non poteva essere attribuito integralmente alla titolare, ma solo pro-quota con quello del coniuge, che, a sua volta, partecipava agli utili come contitolare.

I chiarimenti della Cassazione

La Cassazione, rigettando il ricorso, ha chiarito che per applicare il regime fiscale dell’impresa familiare (articolo 220 bis c. C. ) disciplinato dall’articolo 5, comma 4 del TUIR, secondo cui i redditi (limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore) prodotti da tale tipo di impresa, sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in maniera continuativa e prevalente la propria attività nell’impresa familiare, proporzionalmente alla propria quota di partecipazione, è necessario che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 5, comma 4 del TUIR, e quindi che sussistano:

l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, delle quote attribuite ai singoli familiari e l’attestazione che le stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa in modo continuativo e prevalente;
l’attestazione di ciascun partecipante, nella propria dichiarazione, di aver lavorato per l’impresa familiare in modo continuativo e prevalente;
l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività di impresa, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo d’imposta, regolarmente sottoscritti dall’imprenditore e dai familiari (Cfr. Anche Cassazione n. 23170 del 2010 e n. 17010 del 2013).

Posto che, nel caso di specie, difettava tale ultimo requisito, l’impresa non poteva essere qualificata fiscalmente come impresa familiare, ma come ditta individuale, né di conseguenza era possibile applicare il regime fiscale previsto dall’articolo 5 comma 4 del TUIR, in quanto i familiari collaboratori non potevano essere ritenuti contitolari dell’impresa familiare ed i redditi loro imputati erano da considerarsi reddito di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa.

Inoltre la Suprema Corte ha precisato che comunque, non è mutuabile la struttura propria delle società, la cui disciplina – come precisato dalle  Sezioni  Unite Cassazione con sentenza n. 23676 del 2014 – non può essere applicata, per incompatibilità, all’esercizio dell’impresa familiare.

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