Esaminiamo il caso in cui una persona fisica, nell’esercizio di attività non imprenditoriale, decida di cedere un marchio ad una società di capitali incassando una plusvalenza e analizziamo il trattamento fiscale di tali compensi che non trovano una collocazione espressa e specifica nel Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR). Sono tassabili o no?
Gli strumenti di sfruttamento economico del marchio: cessione e concessione in licenza
Attraverso la cessione del marchio, il soggetto titolare dell’asset immateriale (cedente) lo vende ad un altro soggetto (cessionario) quindi, trasferendogli la proprietà e l’utilizzo economico del bene immateriale, incasserà una plusvalenza derivante dal realizzo positivo tra costo storico (costo d’acquisto) e prezzo di vendita ottenuto a titolo di corrispettivo.
Il contratto di licenza del marchio, rientrante nel cosiddetto “licensing” determina invece una dissociazione tra la proprietà del bene immateriale che resta in capo al licenziante il quale riceve come corrispettivo una royalty, e il suo utilizzo a fini commerciali spostato sul licenziatario. Quindi, tale contratto a differenza del primo, non trasferisce la titolarità del marchio.
Il caso
Esaminiamo ora il caso in cui la persona fisica, nell’esercizio di attività non imprenditoriale, decida di cedere (vendere) un marchio d’impresa o collettivo alla società di capitali cessionaria, incassando quindi una plusvalenza.
Tassazione o detassazione fiscale?
Analizziamo il trattamento tributario dei compensi così ottenuti a titolo di corrispettivo della cessione del brand da un soggetto che non agisce a tal fine come imprenditore, questione che ad oggi non risulta espressamente regolata dal TUIR.
Secondo un orientamento prevalente che colma la lacuna legislativa sul punto, tali redditi sarebbero sottratti a tassazione in quanto, lo sfruttamento economico del marchio da parte di persona fisica non imprenditore, rileverebbe quale elemento patrimoniale fiscalmente non imponibile in capo ai soggetti non esercenti attività d’impresa ed è proprio il caso sopra prospettato (con eccezione di quelli introitati da soggetti non residenti, lettera c, comma 2, articolo 23, Tuir).
Ne costituisce una conferma ormai consolidata la relazione governativa 1986 all’articolo 49 (ora articolo 53) del TUIR in base alla quale, i redditi derivanti a un soggetto privato dall’utilizzazione economica dei marchi di fabbrica e di commercio, non si comprendono più tra i redditi di lavoro autonomo né tra i redditi diversi, “. Nel rilievo che l’utilizzazione dei marchi d’impresa avviene o in sede di trasferimento dell’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa”.
Tale impostazione risulta ormai cristallina con riferimento alle plusvalenze generate da cessione, quindi se, riprendendo il caso pratico indicato, la persona fisica cedesse il marchio d’impresa o collettivo ad una società di capitali, il realizzo positivo della vendita rileverebbe come un “non reddito” e quindi come un provento non fiscalmente imponibile.
Trattasi di un punto fermo che non risulta essere confutabile neanche sulla base della la risoluzione 30/E del 16 febbraio 2006 la quale, nell’attribuire rilevanza impositiva, come reddito diverso ex lettera l, comma 1, dell’articolo 67 del TUIR ai compensi derivanti dall’utilizzo del marchio, riguarda espressamente una ipotesi di concessione in licenza e non di cessione. Il quesito riguardava infatti il trattamento fiscale delle somme corrisposte da un professionista per l’utilizzo di un “marchio” che identificava un noto studio legale al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio associato o associato allo studio titolare del marchio che quindi continuava a mantenerne la proprietà.
Conclusione
La persona fisica che cede un marchio (d’impresa o collettivo) ad una società di capitali otterrà una fonte reddituale addizionale (plusvalenza) ma non dovrà pagare imposte sulla stessa, non incardinandosi l’operazione negoziale nell’ambito dell’attività tipicamente imprenditoriale. Quindi sarà tax free.
Potrebbe configurarsi questo provento come “plusvalenza isolata” relativa all’asset immateriale, cioè posta in essere non nell’esercizio di attività economica continuativa, e comunque non riconducibile alle plusvalenze isolate qualificabili come redditi diversi dall’articolo 67, in quanto queste ultime sono riferibili solo ad alcuni beni immobili (terreni).
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