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Cassazione, sezione lavoro, 3 luglio 2012, n. 11086.

Cassazione, sezione lavoro, 3 luglio 2012, n. 11086. Alla stregua di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c. C. , nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine 

PREAVVISO: EFFICACIA OBBLIGATORIA

Cass. , sez. Lav. , 3 luglio 2012, n. 11086. Alla stregua di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c. C. , nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine – ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso. Nota – La sentenza in esame trae spunto dal caso di un dirigente che aveva adìto il Tribunale di Roma, esponendo di versare in stato di malattia e di essere stato licenziato dal proprio datore di lavoro con effetto immediato durante il preavviso con il pagamento dell’indennità sostitutiva per la parte non lavorata. Tale dipendente otteneva, in particolare, in grado di appello, il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni per il periodo di malattia insorta durante il periodo di preavviso. La società datrice di lavoro ricorreva per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c. C. In quanto interpretato ed applicato in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, la ricorrente deduceva che la Corte d’appello avesse errato nell’attribuire efficacia reale al preavviso, ritenendo sussistente il diritto del dirigente al trattamento di malattia durante il periodo di preavviso. Parte ricorrente formulava, quindi, il seguente quesito di diritto: “se il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un dirigente, nell’area della libera recedibilità, si risolva immediatamente per effetto di licenziamento intimato con dispensa dal preavviso e corresponsione dell’indennità sostitutiva, senza necessità di consenso e/o accettazione da parte del lavoratore della dispensa del preavviso”. La Suprema Corte, ritenendo che il preavviso abbia efficacia obbligatoria, ha accolto tale motivo di ricorso, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “alla stregua di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c. C. , nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine – ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso” (Cass. , sentenza n. 22443/2010; Cass. N. 11740/2007; Cass. N. 21216 e n. 13959/2009). Sulla base dei suddetti principi, la Suprema Corte ha, quindi, accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.  

 

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