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Cass. sez. lav. 8 marzo 2012 n. 3629

Cass. Sez. Lav. 8 marzo 2012, n. 3629

Nel caso in cui le generiche espressioni contenute nella lettera di licenziamento non si prestino ad essere intese come specifica indicazione dei motivi posti a base del provvedimento espulsivo e tale specificazione non sia stata richiesta dall’interessato – nell’esercizio della facoltà attribuitagli dall’art. 2 della legge n. 604/ 1966 – legittimamente le ragioni del recesso possono essere esposte dal datore di lavoro in sede contenziosa all’atto della sua costituzione in giudizio e devono essere valutate dal giudice di merito per stabilire la legittimità del licenziamento intimato.
Legittimità che deve essere valutata anche sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere di repechage con riferimento all’intero gruppo societario di cui il datore di lavoro è parte solo laddove il lavoratore abbia individuato al suo interno le possibili collocazioni in cui avrebbe potuto essere utilmente impiegato.

Cass. Sez. Lav. 8 marzo 2012 n. 3629

Nel caso in cui le generiche espressioni contenute nella lettera di licenziamento non si prestino ad essere intese come specifica indicazione dei motivi posti a base del provvedimento espulsivo e tale specificazione non sia stata richiesta dall’interessato – nell’esercizio della facoltà attribuitagli dall’art. 2 della legge n. 604/ 1966 – legittimamente le ragioni del recesso possono essere esposte dal datore di lavoro in sede contenziosa all’atto della sua costituzione in giudizio e devono essere valutate dal giudice di merito per stabilire la legittimità del licenziamento intimato.
Legittimità che deve essere valutata anche sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere di repechage con riferimento all’intero gruppo societario di cui il datore di lavoro è parte solo laddove il lavoratore abbia individuato al suo interno le possibili collocazioni in cui avrebbe potuto essere utilmente impiegato.

Il fatto

Un lavoratore veniva licenziato con la seguente motivazione: crisi di settore comportante una riduzione di personale.

Adiva quindi il Tribunale di Trapani al fine di accertare l’illegittimità del recesso intimatogli, lamentando la genericità della motivazione addotta e sostenendo che l’impossibilità di un suo ricollocamento avrebbe dovuto essere valutata con riguardo a tutte le società del gruppo di cui la datrice di lavoro era parte.

Il Tribunale accoglieva il ricorso ed ordinava la reintegrazione del lavoratore.

La Società impugnava la sentenza, che veniva riformata dalla Corte d’Appello di Palermo sul presupposto che la richiesta del lavoratore in ordine all’obbligo di assolvere il repechage con riferimento a tutte le società del gruppo non potesse essere accolta, non avendo egli individuato le possibili collocazioni cui avrebbe potuto essere adibito.

Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione per due motivi:

a) presunta violazione dell’articolo 360 n. 3 del codice di procedura civile in relazione agli articoli 2 e 5 della legge n. 604/1966, che impongono al datore di lavoro la comunicazione per iscritto del licenziamento e dei suoi motivi, ove richiesti, nonché la prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di recesso;

b) presunta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, ossia l’insussistenza dell’obbligo di repechage in relazione all’intero gruppo societario.

La decisione

La Corte rigetta il ricorso ritenendo infondati entrambi i motivi formulati dal lavoratore.

Quanto al primo, la Corte di Cassazione osserva che la sintetica formula adottata dalla Società quale ragione del licenziamento (la “crisi di settore” comportante la riduzione di personale) può essere ricondotta alla “rarefazione del classico lavoro manuale d’ufficio conseguente all’introduzione di nuove tecnologie informatiche necessarie al fine di mantenere la competitività dell’impresa”. Tale motivazione, in realtà, era stata dedotta dal datore di lavoro solo nella memoria di costituzione, e non nella lettera di licenziamento.

Sul punto, la Corte chiarisce che la specificazione contenuta nella memoria non può ritenersi lesiva del principio di immutabilità dei motivi del recesso, e ciò sul presupposto che, ove il lavoratore ritenga che le ragioni dedotte nella lettera di licenziamento non siano sufficientemente chiare, ha facoltà di chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, che vengano ulteriormente specificate; laddove egli non si avvalga di tale facoltà, queste possono essere legittimamente esposte dal datore di lavoro in sede contenziosa all’atto della sua costituzione in giudizio.

Sicché, nel caso di specie, i motivi dedotti nella memoria difensiva sono stati valutati dai giudici di merito ed hanno trovato, ad avviso della Corte, pieno riscontro probatorio.

Quanto al secondo motivo di ricorso, ossia la presunta omessa motivazione dei giudici d’Appello in ordine all’insussistenza dell’obbligo di repechage in relazione all’intero gruppo societario, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte di Palermo abbia motivato in modo ampio ed esauriente che l’ipotizzato collegamento societario, oltre che indimostrato nei suoi presupposti, dovesse considerarsi privo di ogni rilevanza per il non aver il lavoratore individuato in quale delle società, ritenuta parte di un unico gruppo, avrebbe potuto essere utilmente impiegato e con quali mansioni.

I precedenti giurisprudenziali

La sentenza in commento affronta dapprima il tema della specificità dei motivi posti alla base del recesso e poi la spinosa questione della rilevanza del collegamento societario ai fini dell’adempimento all’onere di repechage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Un’attenta lettura dei rilievi in essa formulati porta ad affermare che la Corte di Cassazione risolve in modo chiaro la prima problematica, mentre fornisce una risposta in termini più evasivi alla seconda.

E ciò, evidentemente, anche in ragione della certezza delle disposizioni normative applicabili nel primo caso cui corrisponde una lacuna normativa ed un contrasto giurisprudenziale in tema di rilevanza dei collegamenti societari nel diritto del lavoro.

Quanto al primo profilo, dunque, la Corte chiarisce un principio generale in tema di motivazioni del licenziamento: è onere del lavoratore, nell’esercizio della facoltà concessagli dall’articolo 2 della legge n. 604/1966, richiedere al datore di lavoro, entro 15 giorni dalla comunicazione del recesso, i motivi che l’hanno determinato.

Laddove tale specificazione non sia stata richiesta ed il lavoratore abbia impugnato giudizialmente il licenziamento, le ragioni del recesso possono essere legittimamente esposte dal datore di lavoro in sede contenziosa all’atto della propria costituzione in giudizio.

Una siffatta conclusione risponde all’esigenza di tutelare il datore di lavoro dall’inerzia del lavoratore, a fronte della quale non può certo vedersi precluso il diritto di esporre le ragioni che hanno indotto l’adozione del provvedimento espulsivo e, conseguentemente, di difendersi in giudizio secondo i principi che regolano il contraddittorio tra le parti, garantito dall’articolo 111 della Costituzione.

Si tratta di un principio precedentemente espresso dalla stessa Corte già nel 1986 (Cass. 11 giugno 1986, n. 3878) e ribadito nel 1995 (Cass. 2 maggio 1995, n. 4807) e, peraltro, pienamente condivisibile.

Meno chiara, invece, è la questione della rilevanza del collegamento tra diverse società appartenenti ad un unico gruppo nei rapporti di lavoro dei soggetti che operano al suo interno.

Al riguardo, occorre anzitutto osservare che, a livello legislativo, nell’ordinamento italiano non esiste una definizione esatta di gruppo societario e, soprattutto, non esiste nell’ambito giuslavoristico.

Stante l’incerto quadro normativo, la giurisprudenza ha incontrato difficoltà nell’affrontare il tema, occupandosene principalmente, peraltro, al fine di disincentivare il ricorso al gruppo di imprese con finalità fraudolenta volta all’illecita interposizione di manodopera fra società.

I giudici hanno così gradualmente individuato i requisiti necessari ai fini dell’accertamento della sussistenza di un Gruppo, ossia l’unicità della struttura produttiva, l’integrazione tra attività esercitate dalle singole imprese, il coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario e l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa (cfr. Cass. 24 marzo 2003, n. 4274).

Ciò premesso, il percorso giurisprudenziale volto a stabilire la rilevanza o meno di tali collegamenti all’interno dei rapporti di lavoro è stato complesso ed articolato, ed il problema pare, ancora oggi – anche alla luce della sentenza in commento – parzialmente irrisolto.

In passato, la Corte ha in più occasioni sostenuto che, tenuto conto della disciplina legislativa inerente all’attività di società tra loro collegate, dalla mera unitarietà economica del gruppo non si possa trarre alcuna conseguenza in termini di diritti ed obblighi attinenti alla risoluzione del rapporto di lavoro (così Cass. 3 aprile 1990, n. 2831; Cass. 9 novembre 1992, n. 10053; cfr. Rivista Critica di Diritto del Lavoro, 2003, 784).

La sentenza in commento tratta, in particolare, dei possibili risvolti della rilevanza del Gruppo sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e sull’assolvimento dell’onere di repechage.

Aspetti, questi, in relazione ai quali, ad oggi, non è stata fornita una adeguata risposta né dai giudici di merito né da quelli di legittimità.

Da un lato, si registra un orientamento che afferma che, provata l’unicità del complesso aziendale facente capo a più società, si debba ritenere illegittimo perché privo di idonea motivazione il licenziamento intimato da una società che non abbia valutato la possibilità di ricollocare il lavoratore nell’ambito dell’intero complesso, con il conseguente diritto di quest’ultimo ad essere riassunto dalla società cui appartenga la posizione disponibile, anche se rimasta estranea all’atto di recesso (Trib. Milano 14 marzo 2003, in D&L 2003, p. 780; nello stesso senso, Trib. Milano 11 marzo 2010, in D&L 2010, p. 586 e Trib. Ravenna, ord. 12 giugno 2006, in Lav. Giur. 2006, 10, 993).

E ciò sul presupposto che l’articolo 2094 codice civile impone di individuare il datore di lavoro nel soggetto che detiene ed esercita di fatto il potere direttivo e disciplinare nei confronti del dipendente, sicché, in presenza di determinate circostanze, è possibile che il rapporto di lavoro sia instaurato con un datore di lavoro la cui posizione è occupata da più persone legate tra loro da un’obbligazione solidale.

L’orientamento opposto, invece, sostiene che “il controllo giurisdizionale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, consistente in un riassetto organizzativo che comporti la soppressione del posto di lavoro, è limitato alla verifica della reale sussistenza del motivo asserito dall’imprenditore, al quale, nell’esercizio della libertà d’iniziativa economica garantita dall’articolo 41 Costituzione, è riservata la scelta sulle modalità attuative del riassetto, senza che su ciò possa influire l’appartenenza dell’impresa a un gruppo economico o societario, non potendo il lavoratore vantare diritti nei riguardi delle imprese del gruppo o con riferimento ai loro assetti produttivi” (Cass. 1° febbraio 2003, n. 1527).

E ciò in ragione del fatto che, per quanto profondo, il collegamento societario non rileverebbe ai fini del corretto assolvimento dell’onere di repechage da parte del datore di lavoro (Trib. Milano 16 luglio 2008, in ADL, 2011, 4/5, 992), non essendo il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso tra il lavoratore ed una di esse, debbano essere estesi alle altre (Trib. Milano 4 febbraio 2011, in ADL 2011, 4/5, 992). Sicché, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare l’impossibilità di una diversa collocazione del lavoratore con esclusivo riferimento ai posti di lavoro eventualmente disponibili presso la società licenziante (Corte App. Milano, 10 settembre 2010, in ADL 2011, 4/5, 992).

Conclusioni

La sentenza in commento, dunque, si inserisce in un contesto giurisprudenziale incerto.

Tuttavia, la Corte non interviene affermando un principio generale volto a dirimere tali incertezze, ma, in termini piuttosto criptici, si limita ad osservare che “la Corte di Palermo ha chiarito, con motivazione ampia ed esauriente, come l’ipotizzato collegamento societario, oltre che indimostrato nei suoi presupposti, doveva considerarsi privo di ogni rilevanza, per non aver il lavoratore individuato in quale delle società, ritenute parte di un unico gruppo, avrebbe potuto essere utilmente impiegato e con quali mansioni” (nello stesso senso, cfr. Cass. 28 ottobre 2010, n. 22034, nella quale la Corte ribadisce che grava in capo al lavoratore l’onere, quantomeno, di dedurre l’esistenza di posizioni in cui poter essere ricollocato, seppur in sedi aziendali diverse da quella della società licenziante). Sicché sembra doversi desumere che il collegamento societario possa assumere rilevanza ai fini dell’assolvimento dell’onere di repechage solo a condizione dell’avvenuta indicazione, da parte del lavoratore, della società e della mansione cui avrebbe potuto essere adibito.

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