Principio ribadito recentemente dalla sesta sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza 18651/14 depositata il 3 settembre 2014 l’amministrazione finanziaria “perde” i soldi chiesti con le cartelle di pagamento o con gli avvisi di mora se l’accertamento è stato omesso o è stato notificato in modo irregolare.
Principio ribadito recentemente dalla sesta sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza 18651/14 depositata il 3 settembre 2014 l’amministrazione finanziaria “perde” i soldi chiesti con le cartelle di pagamento o con gli avvisi di mora se l’accertamento è stato omesso o è stato notificato in modo irregolare. Addirittura, il contribuente che volesse contestare la pretesa tributaria, con impugnazione della cartella o dell’avviso di mora, può farlo chiamando in causa anche solo uno tra ufficio delle Entrate e agente della riscossione. La sentenza richiamata ha respinto il ricorso presentato dall’agente della riscossione per la Sicilia, contro la sentenza 235/12 della Ctr, sezione staccata di Siracusa. La vicenda ha interessato un contribuente che aveva proposto ricorso contro una cartella ricevuta dall’agente della riscossione, chiedendone l’annullamento in quanto non era stata preceduta dalla notifica dell’accertamento. Il ricorso veniva accolto dalla Ctp, e impugnato davanti alla Ctr dall’agente per la riscossione che, in quanto unico ente chiamato in causa, lamentava la carenza di legittimazione passiva. La Ctr prima, e la Cassazione dopo, hanno ritenuto infondata la censura proposta, infatti, «l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore» cioè l’agenzia delle Entrate, nell’ipotesi di azione svolta contro l’agente della riscossione.
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