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mercoledì 2 Ottobre 2024

Avviso accertamento da redditometro: nullatenente omessa dichiarazione ed auto di lusso

L’Agenzia  delle Entrate constatata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e l’intestazione di un auto benzina HP 26, anno 88, periodo 12, quota 100% e spese sostenute per incrementi patrimoniali aveva proceduto (con distinti avvisi di accertamento) alla rideterminazione del reddito sintetico sulla base del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in relazione ai D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992.

SENTENZA Cassazione Civile Sent. N. 11213 del 20-05-2011

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 25 settembre 2006 all’AGENZIA delle ENTRATE ed al suo Ufficio di Chivasso (depositato, con plico postale spedito il 3 ottobre 2006), G. M. A.- premesso che il 13 dicembre 2001 l’Ufficio, constatata l’omessa presentazione della dichiarazione IRPEF e l’intestazione di un'”auto benzina HP 26, anno 88, periodo 12, quota 100%” e “spese sostenute per incrementi patrimoniali: 150. 250 nel periodo 1994/1999”, aveva proceduto (con distinti avvisi di accertamento) “alla rideterminazione del reddito sintetico sulla base del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in relazione ai D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992” per gli anni d’imposta 1995 e 1995 -, in forza di sei motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 39/31/06 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il 5 luglio 2006) che aveva recepito l’appello dell’Ufficio avverso la decisioni (26/29/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino (che aveva accolto il suo ricorso) e “determina(to) il reddito imponibile in L. 43. 045. 500”.

L’Agenzia delle Entrate depositava mero “atto di costituzione”.

L’Ufficio locale della stessa Agenzia non svolgeva attività difensiva. Motivi della decisione
1. La Commissione Tributaria Regionale – premesso che il “reddito sintetico” era stato determinato “sulla base dei seguenti beni e servizi” (“per i quali si sostenevano le relative spese”):
“autovettura (Jaguar Xj 6, anno 1988, a benzina” e “spese per incrementi patrimoniali”; rigettate le eccezioni (proposte dall’Ufficio) (a) di “inammissibilità del ricorso” (essendo stati impugnati “contemporaneamente due avvisi”) e (b) di “violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32” (“motivazioni” fondate su “atti prodotti solo nella fase contenziosa” e non “con la risposta al questionar”) -, come riportato, ha “determina(to) il reddito imponibile in L. 43. 045. 500” esponendo queste ragioni:
– “per quanto concerne i D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 ed il loro utilizzo in riferimento alla controversia de qua, si ritengono condivisibili le argomentazioni addotte dai giudici di prime cure”: “l’impiego degli indici e dei coefficienti presuntivi di reddito collegati ad elementi di capacità contributiva dovrà in primo luogo essere utilizzato quale spunto di indagine, allo scopo di individuare, per quanto possibile, le effettive fonti reddituali eventualmente sottratte all’imposizione escludendo, però, automatismi puramente aritmetici e rimanendo nell’ambito del concetto di “indizio”; “in tal modo il risultato raggiunto attraverso i coefficienti diviene la spia li una possibile situazione a rischio di evasìone utile ad innescare e stimolare l’attività di accertamento dell’Amministrazione per stabilire e effettive condizioni economiche del contribuente onde giustificare recuperi mediante tassazione di redditi presunti”;

– “fatte queste debite premesse in ordine alla natura semplice, e non assoluta, delle presunzioni di reddito discendenti dagli indici e coefficienti presuntivi e pertanto suscettibili di poter essere confutate dal contribuente attraverso la possibilità di prova contraria, si ritiene che nella fattispecie di cui trattasi il contribuente, fornendo elementi generici ed incompleti, non ha provveduto a giustificare e, quindi, a controvertere completamente la presunzione semplice sulla base della quale sono scaturiti gli accertamenti de quo”: “dalla documentazione in atti risulta infatti che, a supporto ed a giustificazione della capacità di spesa da parte del contribuente, vi fosse unicamente la disponibilità di un patrimonio rappresentato da due titoli di stato (per complessivi L. 200. 000. 000), che non risultando disinvestiti, erano generanti reddito nella sola misura degli interessi percepiti il cui ammontare può però giustificare, solo parzialmente, la capacità di spesa accertata dall’Ufficio”.

In conclusione il giudice di appello ritiene, condividendo e facendo propri i conteggi effettuati dall’Ufficio nel terzo motivo di appello in ordine al reddito annuo possibile prodotto dai citati titoli, di determinare il reddito imponibile in L. 43. 045. 500″ (differenza tra il reddito di L. 61. 005. 000 accertato dall’Ufficio e la redditività dei titoli quantificata in L. 16. 959. 500)”. 2. La G. Censura la decisione per sei motivi. A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art 5 all. E affermando che la Commissione Tributaria Regionale ha determinato il reddito” a lei “imputabile.

Applicando i D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 che sono illegittimi ed invalidi perchè emessi in violazione del disposto della L. N. 400 del 1988, art. 11”, “ovvero senza il parere del Consiglio di Stato”, quindi “regolamenti che ex art. 5” detto “il giudice non doveva nè utilizzare nè applicare al caso”. B. Con il secondo motivo la contribuente – assunto aver esibito, tra l’altro, “quietanze di assicurazione dell’auto. Per il periodo 93/94 e 94/95 intestate e pagate dal figlio F. P. G. ” – denunzia “omessa o insufficiente motivazione in relazione a documenti decisivi, in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato (o, comunque, ha fornito una motivazione insufficiente) per imputare” a lei “l’intero reddito determinato induttivamente per essere intestataria di un’ auto”, “senza ridurlo” (“come stabilisce il D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2”) “in presenza di prova documentale che attestava come l’assicurazione dell’auto fosse stata pagata dal figlio”. Secondo la ricorrente, quindi, la “Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto non solo decurtare dal reddito.

Determinato gli interessi da capitali percepiti. , ma anche ridurlo ulteriormente tenendo conto del fatto che ella sopportava solo in parte le spese del bene che aveva originato l’accertamento”. C. Con il terzo motivo la G. – esposto di aver prodotto in primo grado, tra l’altro, “dichiarazioni del Sindaco. Sulle sue condizioni personali” nonchè “stato di famiglia storico” (dal quale “emerge” che ella “è coniugata dall’undici maggio 1957 con F. M. In regime di comunione di beni, non essendovi diversa annotazione”) – denunzia “omessa o insufficiente motivazione in relazione a documenti decisivi, in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato (o lo ha fatto in modo insufficiente) per quale motivo abbia ritenuto di imputare” a lei “l’intero reddito determinato sinteticamente ed induttivamente dal fatto di essere intestataria dell’auto e del bene acquistato nel 1997, e non solo in parte, in presenza della prova che questi beni erano stati acquistati in pendenza di matrimonio, retto dal regime patrimoniale della comunione dei beni, e che pertanto dovevano considerarsi per il 50% in proprietà e disponibilità del marito F. M. “, di tal che “l’accertamento. Non si fonda sull’uso reale ma sull’intestazione del bene e dell’acquisto”. D. Con il quarto motivo la contribuente denunzia “violazione e/o falsa applicazione del D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2. E del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, comma 5, perchè la Commissione Tributaria Regionale. Ha imputato” a lei “l’intero reddito determinato presuntivamente e sinteticamente accertato” nonostante (a) la “prova” (1) che “sopportava solo in parte le spese dell’auto” e (2) che “i beni (l’auto del 1988 e l’acquisto del 1997).

Erano, ex lege, suoi solo per il 50%” e (b) “la mancata prova che erano solo nella sua esclusiva disponibilità”: “la Commissione Tributaria Regionale”, pertanto, “doveva ridurre il reddito” perchè ella ha “dato prova in giudizio” che “sopportava solo in parte le spese dell’auto” e “ne aveva la disponibilità solo per il 50%. Cosi come aveva la disponibilità del 50% di quella acquistata nel 1997 (utilizzata per imputarle nelle annualità 1994 e 1995. Le quote di presunto reddito determinate D. P. R. N. 600 del 1973, ex art. 38, comma 5)”. E. Con il quinto motivo la G. Denunzia “falsa applicazione e/o violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Ha assunto che le dette norme imponessero” ad essa “contribuente di dimostrare di aver comunque acquisito un reddito pari a quello derivante dall’applicazione dei parametri da esse previste, negandole la possibilità di dimostrare di aver percepito un reddito inferiore comunque utile a far fronte alle spese derivanti dalla cointestazione dei beni”: con la “motivazione” detta, però, secondo la ricorrente, il giudice di appello “non ha interpretato le norme nel senso indicato da questa. Corte” (sentenza 30 settembre 2005 n. 1952), “valutato cioè se la contribuente era in possesso delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni o per comprare quello da cui ha detto gli incrementi di reddito”, “ma le ha erroneamente interpretate nel senso che la contribuente dovesse dare la prova di aver percepito lo stesso reddito sinteticamente o induttivamente determinato in forma di redditi esenti o soggetti a tassazione separata come prova il fatto che contesti (ad essa ricorrente) di aver documentato di avere risparmi per L. 200. 000. 000, redditi annuali soggetti a tassazione separata per L. 19. 959. 99, ma di avere giustificato “solo parzialmente la capacità di spesa accertata dall’Ufficio” pur avendo ella offerto la prova. Che per l’auto. Doveva pagare solo tassa di circolazione. , ed essendo noto all’Ufficio che l’acquisto del 1557 era inferiore alle sue disponibilità”. F. Con il sesto (ultimo) motivo la ricorrente denunzia “insufficiente motivazione in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato la ragione per la quale abbia ritenuto generici ed incompleti i dati documentali forniti. Per dimostrare il suo minor reddito”. 3. Il ricorso è infondato. A. L’illegittimità ed invalidità dei D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 dedotte con il primo motivo di ricorso sono insussistenti: con l’ordinanza n. 297 depositata il 28 luglio 2004, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato la “manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, secondo periodo,. Come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1. Sollevata, in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e art. 100 Cost. , comma 1 e in relazione alla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17”, specificamente osservando, in ordine a quest’ ultima disposizione, “che nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce. Che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati con regolamento governativo ai sensi della L. N. 400 del 1988, art. 17, con la conseguenza che nessun vulnus costituzionale può ravvisarsi nella scelta di un regolamento del Ministro delle finanze, senza considerare che la norma da ultimo citata, nel fare un elenco delle materie che devono essere disciplinate con il regolamento, non fa menzione della materia tributaria”. Sulla questione, di poi, questa sezione ha reiteratamente statuito (sentenze: 7 luglio 2010 n. 16055, da cui gli excerpta che seguono, nonchè 11 febbraio 2009 n. 3289, 30 giugno 2006 n. 15124, trib. , 19 aprile 2006 n. 9129, ex multis) che il provvedimento amministrativo di “elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta” emanato in forza delle conferenti norme (D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1, comma 1, lett. B), e art. 1, comma 2, di quest’ ultima; L. N. 549 del 1995, art. 3, comma 184) “non è un atto di natura regolamentare” (“nè attuativo di legge, ai sensi del primo comma, nè delegificante, ai sensi del comma 2” della L. N. 400 del 1988, art. 17) per che, “non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione”, “non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili”. B. Le violazioni del D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2, denunziate con gli altri motivi di ricorso, sono insussistenti. La norma invocata, dopo aver stabilito che “si considerano gli importi relativi a ciascun bene o servizio disponibile, quali si ricavano dalla tabella” allegata al provvedimento ministeriale, dispone che “ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra”:

(a) che “il bene o servizio è nella disponibilità anche di altri soggetti diversi da quelli indicati nel D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art 2, comma 1, ultimo periodo”, oppure

(b) che “per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese”. B. 1. La “disponibilità” considerata dalla prima parte della disposizione, attesa la sua esclusiva valenza di significazione reddituale, prescinde del tutto dalla (ed è, quindi, indifferente alla) effettiva titolarità giuridica del bene (come pure al titolo giuridico fonte di essa “disponibilità”) perchè considera rilevante e sintomatico non già quella titolarità secondo la legge ma unicamente la concreta situazione fattuale data dal riscontro del potere del soggetto di trarre dallo stesso ed in proprio favore le utilità economiche che il bene, per sua natura, è in grado di fornire (in proposito la concreta vicenda può considerarsi emblematica del concetto in questione: nella sentenza impugnata, infatti, si legge, che la contribuente ha evidenziato, nel proprio ricorso di “essere casalinga” nonchè di avere acquistato “nel 1988, in occasione del pensionamento del marito” l'”autovettura Jaguar Xj8″ per “uso di entrambi” e, nelle “memorie illustrative”, di “aver acquistato nel 1994 BOT e CCT per 200 milioni e di aver incassato cedole nel 1996 per L. 9. 091. 250”, cioè operazioni economiche possibili solo per effetto ed in conseguenza di una corrispondente “disponibilità” economica, a meno che non si deduca e dimostri la natura meramente fittizia dell’intestazione). Peraltro, il regime di “comunione legale” tra coniugi, di per sè solo, non esclude che un acquisto (anche di bene immobile) intervenuto in costanza di matrimonio sia o debba considerarsi escluso (art. 179 cod. Civ. ) da detto regime perchè (ad esempio) l’operazione economica è stata effettuata “con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio” (cfr. Cass. , 2^, 5 maggio 2010 n. 10855, secondo cui “l’acquisto di un bene, effettuato con lo scambio o con il prezzo ricavato dalla vendita di un bene personale, fa sì che si concreti un’ipotesi di surrogazione reale, con conseguente riconoscimento della natura personale del nuovo bene così acquistato”): di conseguenza, si rivela del tutto insufficiente la mera deduzione di detto regime ove non accompagnato (almeno) dalla allegazione dell’avvenuta esibizione al giudice del merito dell’atto di acquisito di quel bene e, ai fini della autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c. P. C. ), della riproduzione dei conferenti punti testuali dell’atto di acquisto. B. 2. Parimenti, considerata la identità di funzione, anche il disposto secondo cui “ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra” che “per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese” deve essere inteso attribuendo valenza non alla situazione formale ma, giusta il pregante significato del verbo “sopporta”, come prova concreta (“se il contribuente dimostra”) dell’effettivo sostenimento solo parziale delle “spese” proprie del “bene o servizio disponibile” considerato ai fini della rideterminazione del reddito. Nel caso il giudice di appello afferma che “la contribuente, in data aprile 2002, depositava documenti aggiuntivi”, tra i quali “quietanze di pagamento assicurazione auto pagate dal marito anni 92/93, 96/97 e 97/98”, mentre la ricorrente deduce di aver “prodotto nel giudizio di primo grado copia delle quietanze di assicurazioni dell’auto per il periodo 93/94 e 94/95 intestate e pagate dal figlio”: la sola intestazione (quand’anche in corrispondenza con afferente titolarità del contratto) della quietanza di pagamento dell’assicurazione (tenuto conto, peraltro, degli stretti rapporti familiari dei soggetti e della mancata allegazione di ragioni giustificative della dissociazione soggettiva tra la mai contestata “disponibilità” esclusiva del bene da parte della ricorrente e la diversa intestazione del contratto assicurativo) prova solo il pagamento ma non la effettiva “sopportazione” (ovverosìa il finale carico economico) della spesa de qua da parte del marito e/o del figlio. 4. Nonostante l’integrale reiezione del ricorso nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali di questo giudizio di legittimità perchè l’Agenzia non ha svolto nessuna attività difensiva

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Dott. Alessio Ferretti

Tributarista Qualificato Lapet ai sensi della Legge 4/2013, referente di Networkfiscale.com, Commercialista.it, Commercialista.com, amministratore e consigliere in varie società. Dottore Commercialista ODCEC di Roma nr di iscrizione AA12304

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