Adempimenti contabili degli enti non commerciali ed obbligo di rendicontazione di cui all’art. 20 del DPR 600/73 QUESITO ALFA , confessione religiosa riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2000, fa presente di essere composta, “tra l’altro, da Associazioni (…) aventi le medesime finalità religiose (…) senza fini di lucro”.
Sommario
Risoluzione N. 126/E 16 dicembre 2011
Oggetto:
Consulenza giuridica – Adempimenti contabili degli enti non commerciali ed obbligo di rendicontazione di cui all’art. 20 del DPR 600/73 QUESITO ALFA , confessione religiosa riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2000, fa presente di essere composta, “tra l’altro, da Associazioni (…) aventi le medesime finalità religiose (…) senza fini di lucro”.
L’istante, premesso che non beneficia né intende beneficiare – al pari delle Associazioni che ne fanno parte – del regime agevolato previsto dall’art. 148, comma 3 e seguenti, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, chiede di sapere se le Associazioni ad essa aderenti, in quanto enti non commerciali: 1) “debbano tenere alcuna contabilità ai fini fiscali (Imposte sui redditi ed IVA)” anche se “non esercitano abitualmente attività commerciali”; 2) siano obbligate “a redigere un rendiconto annuale economico e finanziario, ai fini fiscali (Imposte sui redditi ed IVA), anche se non esercitano attività commerciali e anche se non effettuano le raccolte pubbliche di fondi elencate nel secondo comma dell’art. 20” del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600.
Soluzione interpretativa prospettata
L’interpellante ritiene che le Associazioni ad essa aderenti: 1) “non debbano tenere alcuna contabilità, se non esercitano abitualmente attività commerciali”; 2) “non debbano redigere un rendiconto annuale economico e finanziario, se non esercitano attività commerciali e se non effettuano le raccolte pubbliche di fondi elencate nel secondo comma dell’art. 20” del DPR n. 600 del 1973.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Si evidenzia, in via preliminare, che i quesiti formulati da ALFA concernono l’obbligo di tenuta, sia ai fini IRES che IVA, delle scritture contabili di cui all’art. 20, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, nonché la redazione del rendiconto annuale e di quello previsto, per le manifestazioni occasionali di raccolta fondi, dal secondo comma dello stesso art. 20. ALFA, pertanto, non formula alcun quesito in ordine alla propria qualificazione tributaria né in relazione a quella delle associazioni che la compongono, muovendo, invece, dal presupposto che tanto la medesima quanto le proprie associate abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività non commerciali e siano, quindi, riconducibili alla categoria degli enti non commerciali che svolgono solo in via del tutto occasionale attività commerciali.
Si formulano, quindi, le seguenti osservazioni sui quesiti formulati dall’istante, senza entrare nel merito della natura tributaria (commerciale o non commerciale) sia di ALFA che delle proprie associate, atteso, peraltro, che detta qualificazione comporterebbe valutazioni che non possono essere effettuate in questa sede, richiedendo, oltre ad una disamina delle disposizioni statutarie, anche una verifica in termini di effettività delle concrete modalità di svolgimento e dei caratteri dimensionali delle attività di fatto esercitate.
Quesito n. 1).
Ai sensi dell’art. 20, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, agli enti che non abbiano per oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività commerciali si applicano, relativamente “alle attività commerciali eventualmente esercitate” dagli stessi, le disposizioni recate dagli artt. 14, 15, 16 e 18 del medesimo decreto concernenti gli adempimenti contabili previsti per “le imprese commerciali, le società e gli enti equiparati” (enti commerciali). In sostanza, in forza del primo comma dell’art. 20 del DPR n. 600 del 1973, il presupposto affinché anche agli enti non commerciali sia imposta la tenuta delle stesse scritture contabili che il medesimo decreto prescrive per le imprese commerciali, le società e gli enti equiparati è che tali enti esercitino “attività commerciali” intendendosi per tali quelle che sono produttive, per i medesimi enti, di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 del TUIR, ai fini IRES, e che assumono, in capo agli stessi, rilevanza agli effetti dell’IVA in quanto costituenti esercizio di attività d’impresa. Al riguardo, si fa presente che per “esercizio di imprese” si intende sia ai fini IRES – ai sensi dell’art. 55 del TUIR – che ai fini IVA – ai sensi dell’art. 4, primo comma, del DPR n. 633 del 1972 – “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”, delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile (cfr. , in merito alla nozione di “esercizio di imprese”, le risoluzioni n. 169/E datata 1° luglio 2009, n. 122/E del 6 maggio 2009, n. 348/E del 7 agosto 2008 e n. 286/E datata 11 ottobre 2007).
Pertanto, qualora l’ente svolga in via abituale un’attività riconducibile tra quelle elencate all’art. 2195 del codice civile, il carattere commerciale dell’attività stessa si configura a prescindere dall’esistenza di un’organizzazione di impresa, mentre nelle ipotesi in cui l’ente effettui un’attività non riconducibile tra quelle del citato art. 2195, è necessario, al fine di accertare il carattere commerciale dell’attività posta in essere, verificare la sussistenza di un’organizzazione in forma d’impresa.
Come chiarito nei citati documenti di prassi, l’attività si considera esercitata con “organizzazione in forma d’impresa” quando, per lo svolgimento della stessa, viene predisposta un’organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento di un risultato economico.
La commercialità dell’attività svolta sussiste, in sostanza, qualora quest’ultima sia caratterizzata dai connotati tipici della professionalità, sistematicità e abitualità, ancorché tale attività non sia esercitata in via esclusiva. In base all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, ribadito, peraltro, dall’Agenzia delle Entrate nelle risoluzioni n. 148/E del 20 maggio 2002, n. 204/E del 20 giugno 2002 e n. 273/E del 7 agosto 2002 e, da ultimo, nella citata risoluzione n. 286/E del 2007, i predetti connotati dell’abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica vanno intesi “in senso non assoluto, ma relativo”, con la conseguenza che la qualifica di imprenditore può determinarsi anche in ragione del compimento di un “unico affare”, avente rilevanza economica e caratterizzato dalla complessità delle operazioni in cui si articola, che implicano la necessità di compiere una serie coordinata di atti economici.
Da quanto sopra rappresentato, discende che l’attività posta in essere da un ente non commerciale assume i connotati dell’attività d’impresa, sia ai fini IRES che IVA, laddove la stessa presenti i caratteri dell’abitualità, professionalità e sistematicità, circostanza che sussiste anche nelle ipotesi in cui l’attività sia posta in essere in occasione della realizzazione di un unico affare, tenuto conto della rilevanza economica dello stesso e della complessità delle operazioni che sono necessarie alla sua effettuazione (cfr. Risoluzione n. 286/E del 2007).
A diverse conclusioni deve pervenirsi laddove l’attività posta in essere dall’ente non commerciale non soddisfi i sopra richiamati requisiti dell’attività d’impresa, non integrando nemmeno l’ipotesi dell’ “unico affare” di rilevante entità economica ed articolato in operazioni complesse. In tale ultima ipotesi, infatti, ai fini IRES, l’attività non può considerarsi produttiva di reddito d’impresa in capo all’ente non commerciale, ma costituisce, in capo allo stesso, fonte di reddito diverso, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. I), del TUIR, in quanto “attività commerciale non esercitata abitualmente”. La stessa attività, agli effetti dell’IVA, non assume rilevanza, non risultando integrato il requisito soggettivo dell’esercizio d’impresa. Pertanto, con riferimento al quesito n. 1), si ritiene che le associate dell’istante siano tenute, ai sensi dell’art. 20, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, all’obbligo di redazione delle scritture contabili previste per le imprese commerciali, le società e gli enti equiparati limitatamente all’ipotesi in cui le stesse svolgano attività d’impresa commerciale secondo i principi sopra richiamati. L’obbligo di tenuta della contabilità ai fini fiscali non sussiste, invece, nel caso in cui l’attività commerciale sia posta in essere dalle associate dell’istante in via del tutto occasionale e non abituale, cioè senza assumere i connotati dell’esercizio di impresa – nemmeno quale “unico affare” di rilevante entità economica ed articolato in operazioni complesse – trattandosi, in tale eventualità, di “attività commerciale non abituale” che, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. I) del TUIR, determina la produzione non di reddito d’impresa bensì di reddito diverso e che, ai fini IVA, non soddisferebbe il requisito del presupposto soggettivo.
Quesito n. 2).
Il secondo comma del citato art. 20 del DPR n. 600 del 1973 stabilisce che “indipendentemente dalla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto (…) dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione” di cui all’art. 143, comma 3, lettera a), del TUIR. Come chiarito con circolare n. 124 del 12 maggio 1998, l’art. 20, secondo comma, del DPR n. 600 prevede, per gli enti non commerciali, la redazione di due distinti rendiconti: a) un rendiconto annuale economico e finanziario; b) uno specifico rendiconto in relazione alle raccolte pubbliche di fondi effettuate occasionalmente in concomitanza di ricorrenze, celebrazioni e campagne di sensibilizzazione.
Il rendiconto annuale economico e finanziario indicato sub a) è richiesto in ogni caso, vale a dire a prescindere dalle modalità gestionali ed organizzative dell’ente non commerciale ed indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell’attività esercitata dall’ente stesso.
La corretta tenuta di tale documento contabile, infatti, costituisce lo strumento cui è tenuto l’organo di rappresentanza dell’ente non commerciale per soddisfare le esigenze informative – sia degli associati che dei terzi – in ordine alla corretta gestione economica e finanziaria del patrimonio dell’ente.
Tale documento contabile, inoltre, consente agli organi di controllo di acquisire quelle informazioni contabili necessarie per stabilire, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, le modalità operative e la struttura organizzativa dell’ente, anche al fine di determinare la sua corretta qualifica fiscale.
Inoltre, a fortiori, tale obbligo di rendicontazione viene imposto agli enti non commerciali di tipo associativo che intendano avvalersi del regime di favore previsto, in relazione alle cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere a favore dei propri soci, associati o partecipanti, in forza dell’art. 148, comma 3, del TUIR – ai fini IRES – e dell’art. 4, quarto comma, secondo periodo, del DPR n. 633 del 1972, agli effetti dell’IVA. Per poter fruire del predetto regime di favore, infatti, gli enti non commerciali associativi sono tenuti a conformarsi ad una serie di clausole – da inserire nei propri atti costitutivi o statuti – tra le quali è compresa anche quella relativa all’obbligo di formare un rendiconto annuale economico e finanziario.
In relazione all’ulteriore obbligo di rendicontazione indicato sub b), richiesto dal secondo comma dell’art. 20 del DPR n. 600 del 1973 ai fini dell’agevolazione fiscale prevista per le raccolte pubbliche di fondi occasionali dall’art. 143, comma 3, lettera a), del TUIR, si ritiene che laddove un ente non commerciale non abbia esercitato alcuna delle predette raccolte, lo stesso non sia tenuto alla redazione dello specifico rendiconto.