Premessa normativa
Il recesso è il mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali apportati alle pattuizioni originarie dell’atto costitutivo.
L’articolo 2473 c.c. recita: “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma.”
Le cause di recesso
La nuova disciplina del recesso distingue tra due diversi ordini di cause di recesso:
• cause di recesso legali;
• cause di recesso statutarie.
Le cause di recesso legali possono essere classificate in due tipi:
• derogabili;
• inderogabili
Sommario
Cause di recesso legali inderogabili
Le cause di recesso legali inderogabili, cioè non eliminabili per clausola statutaria, stante la sanzione di nullità dei patti diretti ad escluderle o renderne più gravoso l’esercizio ai soci, sono tassativamente previste (art. 2437, commi 1 e 5, c.c.).
Modifica della clausola dell’oggetto sociale se consente cambiamento significativo attività sociale
Il cambiamento dell’oggetto sociale costituisce il primo dei casi di recesso legale inderogabile. Si tratta di una causa di recesso già prevista dal regime ante riforma, ora meglio qualificata dall’utilizzo dell’aggettivo “significativo” (art. 2437, comma 1, lett. a, c.c.). Vale a dire che, per essere rilevante agli effetti del recesso, l’oggetto sociale originario deve essere sostituito da uno nuovo del tutto diverso, tale da modificare radicalmente le condizioni di rischio in presenza delle quali l’azionista aveva aderito alla società, ad esempio cessione di azienda o di un ramo d’azienda.
In ogni caso il diritto di recesso sorge a seguito di una formale delibera di modifica dell’oggetto sociale, ancorché la modifica sia deliberata e non attuata; mentre non è sufficiente il cambiamento di fatto cui potrà porsi rimedio con le ordinarie azioni di responsabilità contro gli amministratori.
Le modificazioni secondarie, come ampliamento o restrizione degli originali settori di intervento sono ininfluenti, salvo siano tanto rilevanti da preludere ad un mutamento dell’oggetto.
Società a tempo indeterminato
Se la società è a tempo indeterminato (e non è quotata) il socio può recedere in qualsiasi momento (ad nutum) dando un preavviso di 180 giorni che può essere prolungato sino ad un anno dall’atto costitutivo. In pratica la previsione, per legge inderogabile, del diritto di recesso (non collegato ad alcuna specifica delibera e senza alcuna apprezzabile ragione) elimina la possibilità di costituire una società a tempo indeterminato, che darebbe luogo ad uscite indiscriminate e ad una continua minaccia per l’integrità del patrimonio aziendale (art. 2437, comma 3, c.c.).
Trasformazione della società
La trasformazione comprende, oltre a tutti i tipi di società lucrative, anche il passaggio da società di capitali in società cooperative, ecc. In passato il passaggio da società lucrativa in società cooperativa, comportando la diversità della causa del contratto sociale, pareva ammesso solo con il consenso unanime di tutti i soci, mentre oggi è possibile la trasformazione deliberata con una maggioranza qualificata, oltre il consenso dei soci che assumono una responsabilità illimitata (art. 2500, comma 2-septies, c.c.)
Trasferimento della sede sociale all’estero
La fattispecie giustifica il recesso in considerazione dell’assoggettamento ad un diverso regime giuridico (art. 2437, comma 1, lett. c, c.c.).
Revoca dello stato di liquidazione
È una causa di recesso giustificata dalla decisione di eliminare la causa di scioglimento riportando la società nella situazione anteriore (art. 2437, comma 1, lett. d, c.c.).
Introduzione o soppressione nello statuto di clausole compromissorie
Limitatamente alle società chiuse, cioè alle società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, l’atto costitutivo può comprendere clausole compromissorie, cioè clausole dirette a devolvere ad arbitri la decisione di controversie (art. 34, D.Lgs. n. 5/2003). In tal ipotesi la loro introduzione o soppressione attribuisce ai soci il diritto di recesso.
Esclusione dalla quotazione
Nelle società quotate la delibera che comporta esclusione dalla quotazione, attribuisce ai soci che non hanno concorso alla deliberazione il diritto di recesso (art. 2437-quinquies c.c.)
Delibere relative all’eliminazione di clausole di proroga e su vincoli alla circolazione delle azioni e di clausole previste dallo statuto
Hanno diritto di recesso i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti l’eliminazione, anche di una sola, delle seguenti cause che a loro volta legittimano il recesso (art. 2437, comma 1, lett. e, c.c.). Si tratta di cause di recesso legali (ma derogabili) o convenzionali:
• clausole di proroga dei termini di durata della società;
• clausole che introducono o rimuovono vincoli alla circolazione delle azioni (ad esempio clausole di gradimento, clausole di prelazione, diritti di riscatto);
• altre clausole di recesso convenzionali, cioè previste dall’autonomia statutaria e non dalla legge
Modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso
Si tratta di mutamenti dei criteri della liquidazione della partecipazione in caso di recesso che comportano un’alterazione (sia in aumento che in diminuzione) del “costo” della partecipazione del socio recedente a carico della società (art. 2437, comma 1, lett. f, c.c.).
In buona sostanza la legge consente di modificare diritti acquisiti dai soci (alla liquidazione della partecipazione secondo certi criteri), senza il consenso di tutti gli interessati, ma con una maggioranza qualificata e concedendo, a chi non è d’accordo, di uscire dalla società usufruendo delle condizioni di recesso originariamente previste.
Modifica delle clausole relative al diritto di voto o di partecipazione
Lo statuto può disporre che certe categorie di azioni siano prive del diritto di voto ovvero siano a voto limitato (art. 2351 c.c.). Ogni introduzione ex novo o modifica di simili clausole attribuisce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso alle relative delibere (art. 2437, comma 1, lett. g, c.c.).
Egualmente dà diritto al recesso l’introduzione di clausole che influenzano i diritti di partecipazione e, quindi, innanzitutto la partecipazione agli utili.
Revisione di stima
Se risulta che il valore dei conferimenti diversi dal denaro è inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, il socio conferente ha facoltà di recedere dalla società (art. 2343, comma 4, c.c.)
Recesso nei gruppi di società
Ogni socio ha diritto di recedere quando siano modificate le condizioni, originariamente previste, della società cui partecipa in conseguenza di decisioni della società controllante o dal comportamento dei suoi amministratori (art. 2497-quater c.c.)
Clausole di limitazione alla circolazione delle azioni
Ai sensi dell’art. 2355-bis, commi 2 e 3, c.c., le clausole statutarie che condizionano il trasferimento inter vivos delle azioni nominative al mero gradimento (cioè immotivato ed insindacabile) di organi sociali o altri soci devono prevedere, a pena di inefficacia, il diritto di recesso dell’alienante (ovvero, in alternativa, un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci con l’avvertenza che opera sempre il limite all’acquisto di azioni proprie da parte della società ex art. 2357 c.c.).
Le stesse esigenze che giustificano un controllo sulla circolazione delle azioni per atto tra vivi, sussistono anche rispetto alla successione mortis causa.
Clausole di recesso statutarie
La norma concede all’autonomia statutaria di influenzare notevolmente il diritto di recesso, sia escludendone l’operatività che prevedendo ulteriori cause di recesso per le società c.d. chiuse (cioè le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), nelle quali è meno agevole (rispetto alle società quotate) cedere la partecipazione ed uscire dalla società (art. 2347, comma 4, c.c.). Tuttavia, le delibere che sopprimono cause di recesso convenzionali, attribuiscono un diritto di recesso inderogabile ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni (art. 2437, comma 1, lett. e, c.c.).
Esercizio del diritto di recesso
La legge riconosce il diritto di recesso a tutti i soci che non hanno concorso alle delibere di cui all’art. 2347 c.c., vale a dire ai soci, comunque non consenzienti (direttamente o indirettamente) e cioè: contrari, assenti, astenuti. Vale a dire che, agli effetti della legittimazione ad esercitare il recesso, conta non tanto la manifestazione contraria alla deliberazione, quanto piuttosto la circostanza negativa della mancata adesione alle deliberazioni stesse.
Recesso parziale
La legge ammette espressamente la possibilità di un recesso parziale, relativo cioè solo ad alcune delle azioni possedute dal socio.
l recesso parziale dipende ed è connesso all’ammissibilità introdotta dalla riforma societaria del 2003 del voto divergente, vale a dire del voto espresso, per la stessa delibera, con alcune azioni a favore e con altre contro.
Trasferimento delle azioni
Il diritto di recesso non spetta al nuovo socio che acquista le azioni successivamente alla data della delibera (art. 2437-bis, comma 2, c.c.).
La legge dispone espressamente che le azioni per le quali è esercitato il recesso siano incedibili e debbano essere depositate presso la sede sociale. Ne consegue che il diritto di recesso può spettare esclusivamente al titolare delle azioni alla data della delibera.
Qualora, a seguito della comunicazione di recesso, il socio alienasse le azioni ed omettesse il deposito delle stesse presso la sede sociale, tale comportamento potrebbe essere considerato come una revoca tacita della dichiarazione di recesso.
Termini e modalità del recesso
La legge detta una analitica regolamentazione delle modalità e dei termini per l’esercizio del recesso (art. 2347-bis c.c.).
Si tratta di norme inderogabili, salvo per le società non quotate a tempo indeterminato per le quali lo statuto può prevedere un termine di preavviso maggiore a quello legale di 180 giorni, ma comunque non superiore ad un anno (art. 2347, comma 3, c.c.).
Il recesso deve essere esercitato mediante lettera raccomandata che va spedita entro 15 giorni dall’iscrizione della delibera che lo legittima nel registro delle imprese con l’indicazione:
• delle generalità del socio recedente,
• del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento,
• del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato (giacché è ammesso il recesso parziale).
Le azioni per le quali è esercitato il recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale.
Per le cause di recesso convenzionali e collegate a fatti diversi da una delibera, il recesso deve essere esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio (art. 2437-bis, comma 1, c.c.). In tal caso è assai incerto il termine a quo di decorrenza per l’esercizio del diritto di recesso, ed è facile prevedere che la questione sarà causa di un numeroso contenzioso tra soci e società. È, quindi, opportuno che lo statuto precisi quale sia il momento di decorrenza per l’esercizio del recesso.
In tutti i casi la dichiarazione di recesso non comporta, di per sé, la cessazione del rapporto sociale, anzi per impedire l’uscita del socio la riforma prevede che il recesso sia inefficace se la delibera che lo ha legittimato è revocata ovvero se è deliberato lo scioglimento della società
Cessazione dello stato di socio
La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali (partecipazione alle assemblee, voto, impugnativa, ecc.), ma in contropartita attribuisce al recedente il conseguente diritto di credito al rimborso della partecipazione.
La legge, anche a protezione del patrimonio sociale, prevede espressamente che se la causa di recesso è collegata ad una delibera, il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato è inefficace se entro 90 giorni la società revoca la delibera che vi ha dato luogo (ovvero delibera lo scioglimento). Vale a dire che la dichiarazione di recesso non comporta immediatamente la cessazione del rapporto sociale, ma il recedente resta socio dando alla società la possibilità di paralizzare l’intento del socio revocando la delibera.
Invalidità della delibera che ha causato il recesso
La legge non detta una specifica disciplina per l’ipotesi di invalidità (nullità o annullamento) della delibera che ha generato la dichiarazione di recesso.
Orbene nel caso di nullità può ritenersi che, in ragione dell’inefficacia originaria (ex tunc) della delibera, la sentenza che ne accerta la nullità comporta l’ inefficacia della dichiarazione di recesso.
Tanto dovrebbe valere anche nel caso di sentenza di annullamento della delibera stante la sua efficacia retroattiva che ha effetto per tutti i soci.
Recesso ad nutum e recesso collegato a fatti diversi da una delibera
A differenza dell’ipotesi ordinaria del recesso legittimato da una delibera, il recesso senza causa (ad nutum) e quello collegato a fatti diversi da una delibera, non consente certo alla società di impedirlo ricorrendo al rimedio della revoca della delibera, ma può essere paralizzato solo ricorrendo allo scioglimento (art. 2437-bis, commi 1 e 3, c.c.).
In questi casi la protezione del patrimonio sociale resta affidata solo all’acquisto da parte di altri soci o di terzi delle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, commi 1, 2, 3 e 4, c.c.).
Purtuttavia anche in queste ipotesi pare certo che dalla dichiarazione di recesso non derivi l’immediata cessazione dello stato di socio, ma una situazione di aspettativa decorsa la quale nasce il diritto all’estromissione dalla società ed il conseguente diritto di credito al rimborso delle azioni.
Revocabilità del recesso
Dibattuta è la questione se il socio possa revocare (o solo modificare, ad esempio riducendo il numero delle azioni per le quali esercita il recesso) la dichiarazione di recesso.
L’orientamento espresso dai primi commentatori della riforma societaria del 2003 era nel senso di ammettere la revoca sino a quando la società non avesse liquidato le azioni; per altri la revoca del recesso è possibile sino al termine fissato per la spedizione della dichiarazione (15 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese).
Pare, tuttavia, preferibile la tesi che, pur riconoscendo l’efficacia differita e non immediata del recesso, in ragione della sua natura di negozio unilaterale recettizio, ne esclude la revocabilità dal momento in cui la società partecipata ne sia venuta a conoscenza.
Liquidazione della partecipazione a seguito del recesso
Di regola il recesso comporta il rimborso al socio delle azioni, con la conseguenza che la società, per evitare il depauperamento del patrimonio sociale, evita, di fatto, di adeguare lo statuto alle mutate esigenze dell’impresa. Orbene, proprio a protezione dell’integrità del patrimonio sociale, la legge prevede determinati rimedi sia per paralizzare il recesso, sia per impedire l’impoverimento del patrimonio sociale e precisamente:
• inefficacia del recesso qualora la società revochi la delibera che ha dato causa al recesso (art. 2437-bis, comma 3, c.c.);
• offerta in opzione delle azioni del recedente ad altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute ovvero, in concorso con i soci, ai possessori di obbligazioni convertibili in base al rap- porto di cambio, con prelazione per l’acquisto delle azioni non optate (art. 2437-quater, commi 1, 2 e 3, c.c.). L’offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione. Per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell’offerta. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni che siano rimaste non optate;
• collocamento presso terzi ad opera degli amministratori delle azioni non optate e non acquistate dai soci (art. 2437-quater, comma 4, c.c.);
Se risultano inefficaci tutti suddetti rimedi, entro 180 giorni dalla comunicazione del recesso la società dovrà necessariamente fare ricorso al patrimonio sociale e rimborsare il socio recedente con utili e riserve disponibili. In mancanza dovrà essere convocata l’assemblea straordinaria e deliberata la riduzione del capitale sociale per liberare risorse da destinare al rimborso delle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, comma 5, modificato ex art. 5, D.Lgs. 06/02/2004, n. 37). Extrema ratio, se non è possibile ridurre il capitale sociale dovrà essere deliberato lo scioglimento della società (art. 2437-quater, commi 6 e 7, c.c.).
Criteri di liquidazione
Ai sensi dell’art. 2437-ter c.c., competenti a determinare il valore delle azioni sono gli amministratori, sentito il parere dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti.
Gli amministratori devono tener conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni.
In alternativa ai criteri dettati dalla legge lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, tuttavia indicando espressamente gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione (art. 2437-ter, comma 4, c.c.). Per le società quotate il valore di liquidazione è determinato facendo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso.
Per le ipotesi in cui il recesso sia causato non da una delibera ma da un evento (ad esempio cessazione dalla carica degli amministratori, art. 2347-bis, comma 1, c.c.) il semestre decorre dall’avvenimento che ha provocato il recesso.
Ogni socio ha diritto di conoscere la determinazione del valore delle azioni nei quindici giorni precedenti la data fissata per l’assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese.
In caso di contestazione, da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso, il valore della liquidazione è determinato entro novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; per le modalità di svolgimento dell’incarico si applica l’art. 1349, comma 1, c.c.