Nell’era della globalizzazione, sempre più lavoratori si trovano a operare in contesti internazionali, collaborando con aziende multinazionali o prestando la propria attività lavorativa in più Stati nell’arco di uno stesso anno fiscale. Questo scenario ha portato alla nascita di situazioni sempre più complesse dal punto di vista della fiscalità del lavoro, in particolare quando si parla di bonus e compensi variabili maturati all’estero, ma erogati successivamente o in un diverso Stato rispetto a quello in cui sono stati effettivamente generati.
Sommario
Una delle questioni più dibattute riguarda proprio il trattamento fiscale dei bonus maturati in diversi Paesi: a chi spetta il diritto di tassazione? In quale Stato devono essere dichiarati i redditi? E soprattutto, come evitare la doppia imposizione? Queste domande non riguardano soltanto i lavoratori, ma coinvolgono anche i datori di lavoro, i consulenti fiscali e gli stessi Stati, in una vera e propria “battaglia fiscale” che ha portato a numerose interpretazioni, circolari e persino sentenze giurisprudenziali.
In questo articolo analizzeremo il quadro normativo italiano, ci soffermeremo su circolari dell’Agenzia delle Entrate, convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, sentenze di rilievo e criteri di territorialità del reddito, cercando di fornire una guida chiara per affrontare queste situazioni nel rispetto delle norme e con un occhio attento al risparmio fiscale.
Caso pratico
Bonus maturati nel Regno Unito e tassati anche in Italia
Il caso oggetto di analisi riguarda un dipendente che ha lavorato nel Regno Unito fino a dicembre 2023 e che, a partire dal 2024, ha avviato un nuovo rapporto di lavoro in Italia, presso la stabile organizzazione italiana della stessa società multinazionale.
Durante il periodo di impiego nel Regno Unito, il dipendente ha maturato un bonus legato a un piano di incentivazione aziendale, il cui scopo è quello di premiare e motivare le performance lavorative durante il cosiddetto vesting period, ovvero il periodo di maturazione che precede l’assegnazione effettiva del beneficio economico.
La peculiarità del piano di incentivazione, come illustrato dalla società nell’interpello rivolto all’Agenzia delle Entrate, risiede nella condizione per cui il bonus viene riconosciuto solo se il dipendente mantiene attivo il rapporto di lavoro con una delle società del gruppo fino alla fine del periodo di vesting.
In altri termini, anche se l’attività che ha generato il bonus è stata svolta prevalentemente nel Regno Unito, la sua erogazione concreta avviene successivamente, quando il dipendente si trova fiscalmente residente in Italia.
Questo ha creato una criticità rilevante: il bonus è stato assoggettato a tassazione sia nel Regno Unito (in quanto maturato lì), sia in Italia (in quanto percepito da un soggetto fiscalmente residente), dando origine a un chiaro caso di doppia imposizione internazionale.
La società ha quindi sollevato la questione presso l’Agenzia delle Entrate, chiedendo chiarimenti in merito all’applicazione delle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione e alla possibilità di recuperare le imposte pagate all’estero tramite credito d’imposta, ai sensi dell’art. 165 del TUIR.
Indicazioni dell’Agenzia delle Entrate
Con riferimento al caso sottoposto, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti decisivi nella Risposta all’interpello, richiamando i principi sanciti dalla Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni e dalla normativa fiscale italiana. Il fulcro dell’interpretazione si basa sul principio di territorialità del reddito da lavoro dipendente, secondo il quale il diritto di tassazione spetta allo Stato nel quale l’attività lavorativa è stata effettivamente svolta, a prescindere dalla residenza fiscale del lavoratore nel momento in cui il bonus viene materialmente percepito.
In linea con quanto previsto dall’art. 15 del Modello OCSE, i redditi di lavoro dipendente devono essere tassati nel Paese dove il lavoro è stato eseguito. Ne consegue che i bonus maturati durante il periodo di lavoro nel Regno Unito devono essere tassati unicamente nel Regno Unito, anche se il dipendente, al momento dell’effettiva erogazione, risulta essere fiscalmente residente in Italia.
Al contrario, i bonus maturati successivamente, nel periodo di lavoro svolto in Italia, devono essere assoggettati a imposizione in Italia, e in questo caso sarà la stabile organizzazione italiana a dover agire come sostituto d’imposta.
Un ulteriore aspetto importante chiarito dall’Agenzia riguarda la possibilità di richiedere il rimborso delle imposte italiane eventualmente trattenute in modo improprio su redditi che, in base al principio di territorialità, dovevano essere tassati all’estero.
In sostanza, il lavoratore potrà presentare istanza di rimborso per le ritenute subite in Italia su redditi che dovevano essere assoggettati esclusivamente a tassazione nel Regno Unito. Questo passaggio è fondamentale per evitare casi di doppia imposizione non giustificata.
Convenzioni internazionali e il credito d’imposta
Nel contesto della mobilità internazionale dei lavoratori, il rischio di doppia imposizione è concreto e frequente. Per questo motivo, l’Italia ha stipulato numerose convenzioni contro le doppie imposizioni, tra cui quella con il Regno Unito, basata sul Modello OCSE. Queste convenzioni hanno lo scopo di regolare i diritti di tassazione tra Stati contraenti e di evitare che uno stesso reddito venga tassato due volte, introducendo criteri chiari di ripartizione del potere impositivo.
Nel caso in esame, le disposizioni convenzionali stabiliscono che i redditi da lavoro dipendente devono essere tassati nello Stato in cui il lavoro è stato effettivamente prestato, a meno che non ricorrano particolari eccezioni (es. trasferta breve sotto i 183 giorni, datore di lavoro residente nello Stato estero, ecc.).
Tuttavia, se un reddito è stato comunque assoggettato a tassazione in entrambi i Paesi, il meccanismo di eliminazione della doppia imposizione previsto dall’art. 23 della Convenzione Italia-Regno Unito entra in gioco tramite il credito d’imposta estero.
Ai sensi dell’art. 165 del TUIR, il contribuente residente in Italia ha diritto a detrarre dall’IRPEF dovuta le imposte pagate all’estero in via definitiva, a condizione che si tratti di imposte analoghe a quelle italiane e relative a redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo in Italia.
Questo strumento consente di neutralizzare l’effetto della doppia imposizione, ma richiede una corretta documentazione delle imposte pagate all’estero, la verifica della competenza territoriale e la ripartizione del reddito in base ai periodi di attività.
Tuttavia, è importante sottolineare che il credito d’imposta non è sempre applicabile se il reddito estero non è imponibile in Italia secondo la convenzione, come nel caso di un bonus maturato interamente nel Regno Unito: in tal caso, si applica la tassazione esclusiva nello Stato estero e l’Italia non dovrebbe trattenere nulla.
Obblighi e responsabilità
Dal punto di vista operativo, la gestione dei bonus legati a periodi di lavoro svolti in più Stati presenta numerose criticità, soprattutto per quanto riguarda gli adempimenti fiscali dei datori di lavoro. Nello specifico, le stabili organizzazioni italiane di società estere, come nel caso in esame, devono prestare particolare attenzione al momento in cui il lavoratore diventa fiscalmente residente in Italia e al periodo di maturazione del bonus.
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, la sostituzione d’imposta da parte del datore di lavoro italiano si applica solo ai bonus maturati durante il periodo di lavoro effettivo in Italia. Ciò significa che la stabile organizzazione italiana è tenuta a effettuare le ritenute IRPEF e a dichiarare il reddito solo per la parte di bonus riferibile al periodo di attività svolto in Italia, a partire dalla data in cui il dipendente ha preso servizio. Al contrario, per la parte di bonus maturata nel Regno Unito, non spetta alla sede italiana trattenere imposte, essendo tale reddito di competenza esclusiva dello Stato estero.
Questa distinzione comporta la necessità, da parte del datore di lavoro, di effettuare una ripartizione analitica del bonus in base al periodo e al luogo di maturazione, sulla base di criteri oggettivi (come giorni di lavoro effettivi in ciascuno Stato). In mancanza di una corretta attribuzione territoriale, il rischio è quello di applicare ritenute fiscali in Italia anche su somme che, in base alle convenzioni internazionali, non risultano imponibili, con conseguente obbligo di successivi rimborsi da parte dell’amministrazione finanziaria.
Inoltre, il datore di lavoro deve fornire al dipendente una certificazione chiara e completa (CU), specificando le somme tassate in Italia, quelle escluse e le eventuali imposte estere trattenute, così da consentire al lavoratore di richiedere correttamente il credito d’imposta o eventuali rimborsi.
Tutela fiscale
Il lavoratore coinvolto in un piano di incentivazione multinazionale, come nel caso del bonus maturato in più Stati, deve adottare un approccio consapevole e proattivo alla propria posizione fiscale. In primo luogo, è fondamentale avere tracciabilità documentale del periodo di vesting del bonus, ovvero l’intervallo di tempo in cui è maturato il diritto all’incentivo. Questo dato è essenziale per determinare con precisione il luogo di maturazione del reddito e quindi la sua corretta tassazione.
Nel caso in cui il bonus sia stato tassato anche in Italia, ma riferibile a un’attività svolta nel Regno Unito (o in altro Stato), il lavoratore ha il diritto di richiedere il rimborso delle imposte indebitamente trattenute, come previsto dall’art. 38 del DPR 602/1973. In alternativa, se il reddito è imponibile in entrambi i Paesi, potrà avvalersi del credito d’imposta per imposte estere ai sensi dell’art. 165 del TUIR, allegando alla propria dichiarazione dei redditi (modello Redditi PF) la documentazione che dimostri l’avvenuto pagamento all’estero delle imposte.
Tra i documenti fondamentali da conservare e presentare figurano:
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la certificazione del datore di lavoro estero sulle imposte trattenute,
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la documentazione del piano di incentivazione (regolamento, date di vesting),
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il contratto di lavoro e le comunicazioni di distacco o trasferimento,
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eventuali CU e buste paga italiane.
Un’altra opportunità che il lavoratore potrebbe valutare è quella legata al regime degli impatriati (art. 16 del D.Lgs. 147/2015), se ne ricorrono i requisiti. Questo regime consente una detassazione parziale del reddito da lavoro dipendente per i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, riducendo sensibilmente l’imponibile IRPEF.
Tuttavia, l’applicabilità di tale agevolazione deve essere valutata caso per caso, in funzione del momento del trasferimento, della natura del rapporto di lavoro e delle caratteristiche del bonus.
Sentenze e chiarimenti
Negli ultimi anni, la complessità dei rapporti di lavoro internazionali ha spinto l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza a pronunciarsi in modo sempre più dettagliato sul trattamento fiscale dei bonus e degli incentivi legati a piani di stock option o performance bonus transnazionali.
Un punto fermo in tal senso è rappresentato da numerosi interpelli, tra cui la Risposta n. 484/2019, che ha chiarito che la tassazione del reddito di lavoro dipendente deve avvenire pro quota, in base ai giorni di lavoro effettivamente prestati nei singoli Stati, durante il periodo di maturazione del bonus.
Un’altra pronuncia rilevante è la Risposta n. 360/2020, in cui l’Agenzia ha sottolineato l’obbligo del datore di lavoro italiano di non trattenere ritenute su redditi che, in base alle convenzioni internazionali, risultano imponibili solo all’estero. In tale occasione, venne evidenziato che l’errata applicazione del criterio di tassazione territoriale può comportare l’illegittima doppia imposizione, in violazione del principio di capacità contributiva sancito dalla Costituzione.
Anche la Corte di Cassazione si è espressa più volte sulla materia, affermando che, ai fini della tassazione, occorre fare riferimento non al momento della percezione del bonus, ma al periodo e al luogo in cui esso è stato maturato. Ad esempio, nella sentenza n. 25698/2019, la Suprema Corte ha ribadito che un reddito di lavoro dipendente maturato all’estero non può essere soggetto a tassazione in Italia, anche se corrisposto quando il lavoratore è diventato fiscalmente residente nel territorio nazionale.
Queste interpretazioni rafforzano l’obbligo, sia per i datori di lavoro che per i dipendenti, di adottare un approccio analitico alla gestione di tali redditi, evitando automatismi e tenendo conto delle normative internazionali.
Considerazioni finali
Il trattamento fiscale dei bonus maturati in più Paesi è una questione tecnica e delicata, che richiede una gestione accurata da parte di tutte le parti coinvolte: lavoratori, datori di lavoro e consulenti fiscali. L’elemento cruciale è comprendere che il momento di erogazione del bonus non coincide necessariamente con il momento della sua tassazione, che invece dipende dal luogo in cui il reddito è stato maturato, secondo il principio di territorialità sancito dalle convenzioni internazionali e dalla normativa italiana.
Per i datori di lavoro, è fondamentale implementare sistemi di tracciamento dei periodi di vesting legati ai piani di incentivazione, in modo da distinguere con precisione la quota di bonus maturata in ciascun Paese. Una corretta ripartizione consente di evitare ritenute indebite e possibili contenziosi fiscali, oltre a favorire una gestione trasparente nei confronti dei dipendenti.
Per i lavoratori, è altrettanto importante conservare tutta la documentazione utile (contratti, regolamenti dei piani, buste paga, certificazioni estere) e, se necessario, rivolgersi a un commercialista esperto in fiscalità internazionale per valutare le opzioni disponibili: richiesta di rimborso per le imposte italiane non dovute, utilizzo del credito d’imposta estero, oppure accesso a regimi agevolati come quello degli impatriati.
Infine, entrambi i soggetti devono considerare il potenziale rischio reputazionale e sanzionatorio derivante da un errato adempimento degli obblighi fiscali. La corretta applicazione delle regole – oggi sempre più oggetto di controlli incrociati tra amministrazioni fiscali – è una garanzia di compliance, ma anche una leva di risparmio fiscale, se gestita in modo strategico.