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È legittima l’attività di accertamento ai fini IVA relativamente alle annualità interessate dalle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002

La Corte Costituzionale ha per la prima volta affermato il principio secondo il quale i termini per l’accertamento “raddoppiati” operano automaticamente in presenza della speciale condizione obiettiva rappresentata dall’obbligo di denuncia per i reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, risultando “del tutto irrilevante che detto obbligo…possa insorgere anche dopo il decorso del termine “breve” o possa non essere adempiuto entro tale termine. ”.

Estratto Circolare  N. 1 Agenzia Entrate Roma, 13 gennaio 2012

Direzione Centrale Accertamento

Oggetto:  Attività di controllo ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sui periodi d’imposta oggetto delle sanatorie di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Premessa

La sentenza della Corte Costituzionale n. 247, depositata il 25 luglio 2011, è intervenuta, tra l’altro, sul tema dei termini per l’accertamento, in materia di imposte sui redditi ed IVA, raddoppiati ai sensi dell’art. 43, terzo comma, del D. P. R. N. 600 del 1973, e 57, terzo comma, del D. P. R. N. 633 del 1972, in presenza di violazioni comportanti l’obbligo di denuncia penale per i reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, con specifico riguardo agli accertamenti in materia di IVA sui periodi d’imposta oggetto della sanatoria di cui all’art. 9 della legge n. 289 del 2002 (c. D. “condono tombale”).

In particolare, la sentenza ha per la prima volta affermato il principio secondo il quale i termini per l’accertamento “raddoppiati” operano automaticamente in presenza della speciale condizione obiettiva rappresentata dall’obbligo di denuncia per i reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, risultando “del tutto irrilevante che detto obbligo…possa insorgere anche dopo il decorso del termine “breve” o possa non essere adempiuto entro  tale termine. ”.

La pronunzia medesima ha altresì statuito che dalla giurisprudenza della Corte di giustizia  europea “discende la riespansione del potere accertativo dell’amministrazione e …l’applicabilità della … normativa concernente il raddoppio dei termini di accertamento in presenza di violazioni tributarie di rilevanza penale ai sensi del d. Lgs. N. 74 del 2000”.

La citata giurisprudenza della Corte di Giustizia è in specie rappresentata dalle note sentenze del 17 luglio 2008 (in causa C-132/06) e dell’11 dicembre 2008 (in causa C-174/07), le quali hanno dichiarato che, avendo la Repubblica italiana previsto agli articoli 8 e 9 della legge n. 289 del 2002 una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 2 e  22 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE e la conseguente invalidità delle sanatorie previste dalle predette disposizioni.

Effetti della sentenza della Corte Costituzionale   sull’attività di accertamento ai fini IVA relativa alle annualità oggetto di sanatoria

I principi affermati nella menzionata sentenza della Corte Costituzionale determinano rilevanti effetti in tema di accertamenti ai fini IVA relativi ai periodi d’imposta che abbiano formato oggetto delle sanatorie di cui alla legge n. 289 del 2002 e per i quali i termini di decadenza del potere accertativo siano ancora pendenti a causa della avvenuta commissione, con riferimento ai periodi d’imposta medesimi, di  reati previsti dal  decreto legislativo n. 74  del 2000 rilevanti ai fini dell’IVA.

Si tratta in specie dei reati che si configurano non solo in funzione del superamento di determinate soglie di rilevanza penale (come, ad esempio, nei casi di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, così come di dichiarazione fraudolenta), ma anche di quelli in materia di documenti, quali, ad esempio, oltre all’emissione o all’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, anche l’occultamento o distruzione di documenti contabili.

In tali casi, infatti, l’accertamento risulta legittimo anche se l’obbligo di denunciare il  reato all’autorità giudiziaria non sia stato assolto prima che il termine ordinario fosse, a suo tempo, decaduto.

I citati, rilevanti effetti della sentenza della Corte costituzionale risultano inoltre recepiti anche dalla recentissima norma, di cui all’art. 2, comma 5-ter, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, la quale ha disposto la proroga di un anno dei termini per l’accertamento ai fini IVA nei confronti dei contribuenti “che hanno aderito al condono di cui alla legge n. 289 del 2002”.

Quest’ultima norma, infatti, considera evidentemente che i termini di decadenza dell’azione di accertamento per i periodi d’imposta “condonabili” ai sensi della richiamata legge, ancora pendenti dopo la  pronunzia della Corte Costituzionale, risultavano non adeguati a garantire il tempestivo esercizio delle attività di controllo conseguenti alla affermata “riespansione del potere accertativo  dell’amministrazione”,  con  riguardo  alle  posizioni  caratterizzate dalla sussistenza di violazioni penali.

Va da sé, quindi, che la norma in parola debba essere interpretata nel senso che  la  proroga da  essa  disposta si  riferisce esclusivamente ai  periodi d’imposta per i quali il contribuente si sia avvalso, ai fini IVA, delle sanatorie previste dalla legge n. 289 del 2002 idonee ad inibire, o  limitare, il potere accertativo, avendo la norma stessa il chiaro intento di garantire un congruo margine temporale per considerare, ai fini dell’eventuale accertamento, le annualità 2000 e 2001 (in caso di omessa dichiarazione) e 2002, per le quali l’approssimarsi della scadenza del termine per l’accertamento avrebbe potuto costituire un ostacolo alla effettuazione di adeguate attività di controllo.

Effetti della  giurisprudenza comunitaria e domestica in  relazione alle diverse forme di condono che incidono sul potere accertativo

Sebbene la sentenza della Corte Costituzionale si riferisca esclusivamente al c. D. “condono tombale” di cui all’art. 9 della legge n. 289 del 2002, i principi da essa affermati possono ritenersi applicabili anche per gli accertamenti ai fini IVA relativi a periodi di imposta con riferimento ai quali il contribuente si sia avvalso di altre sanatorie previste dalla citata legge che incidono sul potere accertativo, quali in specie quelle di cui agli articoli 7 (Definizione automatica di redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione), 8 (Integrazione degli imponibili per gli anni pregressi) e 15 (Definizione  degli  accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione).

I principi affermati dalla Corte Costituzionale valgono certamente per la sanatoria di cui all’art. 8, la quale, come già rilevato, ha formato oggetto di specifica censura da parte della Corte di Giustizia europea.

Per quanto invece attiene alle altre due tipologie di sanatoria va tenuto presente che gli effetti della giurisprudenza europea in parola sull’ordinamento interno sono stati affrontati da alcune recenti pronunzie della Corte di Cassazione le quali  hanno affermato che la  predetta  giurisprudenza “ha una  portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale, sia essa di carattere legislativo o amministrativo, con la quale lo Stato  membro  rinunci  in modo generale o indiscriminato al pagamento di quanto dovuto per Iva” (così, da ultimo, la sentenza della Sezione V, 27 settembre 2011, n. 19681).

Va tuttavia rilevato che la richiamata giurisprudenza della Suprema Corte non ha riguardato direttamente le sanatorie di cui agli articoli 7 e 15 della legge n. 289 del 2002.

Ad ogni modo, valutate le caratteristiche delle due sanatorie, e tenuto conto del composito quadro giurisprudenziale comunitario e nazionale, si ritiene di poter concludere che entrambe vadano comprese nel novero di quelle censurabili alla luce dei pronunciamenti della giurisprudenza comunitaria.

Profili operativi

Alla luce di quanto sopra enucleato può dunque considerarsi legittima l’attività di accertamento ai fini IVA relativamente alle annualità interessate dalle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, anche dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza del  potere  accertativo, qualora sussistano per le annualità medesime elementi in relazione ai quali sussiste l’obbligo di denuncia per uno dei reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, indipendentemente dalla circostanza che l’obbligo stesso sia stato assolto prima della detta scadenza.

Altresì legittima può considerarsi l’ulteriore attività di accertamento, per le medesime annualità, eventualmente interessate dalla sanatoria di cui all’art. 15 della legge citata.

Tutto  ciò  se  da  un  lato  avvalora eventuali accertamenti a  suo  tempo eseguiti sulle annualità condonate e già basati sull’ampia operatività del raddoppio, così come affermata dalla Corte Costituzionale, allo stesso tempo impone, ora, precise valutazioni sulle posizioni interessate dalle sanatorie in parola le quali, pur assai risalenti nel tempo, potrebbero essere caratterizzate dalla esistenza di violazioni penali di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000.

Con riguardo a tali posizioni, infatti, si rende improcrastinabile l’accertamento dell’IVA, o della maggiore IVA, considerato che la proroga dei termini  decadenziali  di  cui  si  è  detto,  limita,  per  alcune  delle  annualità interessate, l’esercizio dei poteri accertativi al 31 dicembre del corrente anno.

In proposito va infatti tenuto presente che, in virtù del raddoppio dei termini decadenziali, garantito dalla  eventuale presenza di  violazioni penali, risultano ancora accertabili i seguenti periodi d’imposta oggetto delle sanatorie in discorso:  2000, in caso di omessa presentazione della dichiarazione (termini per l’accertamento scadenti, in ragione della detta proroga di un anno, il 31 dicembre 2012);  2001, in caso di omessa presentazione della dichiarazione (termini per l’accertamento scadenti, in ragione della detta proroga di un anno, il 31 dicembre 2013);  2002 (termini per l’accertamento scadenti, in ragione della detta proroga di un anno, in caso di infedele dichiarazione il 31 dicembre 2012 e, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il 31 dicembre 2014).   Le posizioni ai fini IVA dei contribuenti che abbiano aderito alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002 potrebbero avere già formato oggetto di attività istruttorie agli atti degli uffici, all’esito delle quali sia emersa la configurabilità di violazioni penali di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000.   In tal caso, va effettuata, nel più breve tempo possibile, la conseguente attività di accertamento eventualmente non proseguita a seguito delle intervenute sanatorie.

Ciò vale anche per gli atti a suo tempo definiti ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002.

In proposito, indipendentemente dalla intervenuta attività istruttoria, va tenuto presente che andrà considerato ogni elemento agli atti utile per l’accertamento ai fini IVA per le annualità sopra richiamate, idoneo a configurare la sussistenza di violazioni penali di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000.

Per le  posizioni ai  fini IVA dei contribuenti che abbiano aderito alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, le quali non abbiano già formato oggetto di attività istruttorie, si è posto, peraltro, il problema di stabilire se la sussistenza delle violazioni penalmente rilevanti (che impone l’obbligo di denuncia e consente il raddoppio dei termini decadenziali) possa o meno configurarsi sulla base degli elementi dichiarati dal contribuente per fruire delle predette sanatorie.

La questione, che negli ultimi tempi ha avuto anche un particolare risalto “mediatico”,  è  connessa  alla  possibilità  che  l’adesione  alle  citate  sanatorie operata a suo tempo dai contribuenti possa essersi trasformata, a distanza di un congruo numero di anni, in una sorta di “autodenuncia” connessa all’entità della regolarizzazione a suo tempo effettuata, tale da realizzare il superamento delle soglie al di sopra delle quali si configurerebbe il reato di infedele dichiarazione IVA.

Al riguardo è da ritenere che la regolarizzazione a suo tempo effettuata, ai sensi degli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, non rappresenti, di per sé sola, un indizio di violazione penale idoneo, di per sé solo, a generare l’obbligo di denuncia.

Tale avviso, per quanto attiene la sanatoria di cui all’art. 8, è confortato dal tenore letterale del comma 12 (“l’integrazione effettuata …… non costituisce notizia di reato”).

Con riguardo alla sanatoria di cui all’art. 9 va invece considerato che la definizione automatica si perfezionava con il versamento, per ciascun periodo d’imposta (fermi restando i versamenti minimi), di un importo pari ad una percentuale dell’imposta relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate dal contribuente per le quali l’IVA era divenuta esigibile nel periodo d’imposta e dell’imposta detratta nel medesimo periodo.

A differenza dell’integrazione degli imponibili per gli anni pregressi di cui al citato art. 8, la sanatoria in questione ha, dunque, caratteristiche di definizione “onnicomprensiva” di qualsiasi violazione (nota o meno al contribuente all’atto della definizione), affidata ad un meccanismo di calcolo degli importi dovuti che prescinde da specifiche irregolarità.

In altri termini, l’importo versato, anche se superiore alle soglie di rilevanza penale, non si può ritenere indizio di infedeltà dichiarativa, mancando qualsiasi riferimento a specifiche omissioni e potendo la definizione medesima essere dipesa dalla generale esigenza di non restare in alcun modo esposti ad azioni di controllo dalle quali potevano emergere violazioni di vario genere, e comunque non necessariamente integranti, di volta in volta, fattispecie di reato di cui alla legge n. 74 del 2000.   Proprio in ragione delle considerazioni testé esposte, l’art. 9 non contiene la clausola di salvaguardia prevista dal già citato comma 12 dell’art. 8.

Considerazioni del tutto analoghe valgono anche per la sanatoria di cui all’art. 7, la quale, seppure caratterizzata da talune specificità, presenta tratti di analogia con quelle di cui agli articoli 8 e 9 della legge n. 289 del 2002.

In definitiva, in ragione della pronuncia dei giudici europei del luglio 2008 e della sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2011, si ritiene che qualora le dichiarazioni presentate ai sensi degli articoli 7, 8 e 9 contengano elementi tali da  poter desumere, anche indirettamente, l’eventuale evasione di  un’IVA di importo superiore a quello delle soglie di rilevanza penale, le stesse non possano essere considerate alla stregua di una “autodenuncia” del contribuente, e che, in aggiunta e, correlativamente, sussista l’obbligo di denuncia con riguardo a tutte le dichiarazioni come sopra caratterizzate.

Ulteriori considerazioni vanno infine riservate all’altra forma di regolarizzazione prevista dall’art. 14  della  legge  n.   289  del  2002 (regolarizzazione delle scritture contabili), la quale pure, in astratto, potrebbe costituire elemento rilevatore di eventuali reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, al pari delle altre sanatorie innanzi menzionate.

Tale  regolarizzazione, poteva  esclusivamente conseguire alle  sanatorie effettuate ai sensi degli articoli 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, in quanto finalizzata a recepire nelle scritture contabili gli effetti delle sanatorie medesime.

Se dunque, come innanzi rilevato, elementi relativi alle predette sanatorie non possono integrare indizi di violazioni penali, rilevanti ai fini dell’IVA, idonei, di per sé soli, a generare l’obbligo di denuncia, lo stesso vale a fortiori per la eventuale, conseguente regolarizzazione di cui al citato art. 14.

Alla luce di quanto sopra esposto, per le posizioni interessate dalle varie sanatorie in parola, che si presentino caratterizzate da elementi quantitativi tali da fare astrattamente ipotizzare la sussistenza di reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, la circostanza che gli stessi non possono generare l’obbligo di denuncia porta ad escludere che gli elementi medesimi possano fungere da fonte di innesco per attività di controllo sulle annualità oggetto delle sanatorie.

Dette attività di controllo potranno essere effettuate, come già evidenziato, in presenza di eventuali elementi agli atti degli Uffici, dai quali emergano circostanze a suo tempo non valorizzate a causa dell’adesione alle sanatorie in parola, ovvero sopraggiunte, in relazione alle quali possa ravvisarsi l’obbligo, per le annualità ancora accertabili, di denuncia penale e, conseguentemente, la possibilità di procedere all’accertamento ai fini dell’IVA.

Le  Direzioni  Regionali  e  Provinciali  devono  pertanto  attivarsi,  con riguardo alle posizioni oggetto di sanatoria ai sensi degli articoli 7, 8, e 9 della legge n. 289 del 2002, al fine di:  a.   effettuare ogni possibile approfondimento volto ad individuare l’eventuale esistenza agli atti di elementi idonei a configurare violazioni di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, rilevanti ai fini dell’IVA, per le annualità per le quali i termini per l’accertamento siano ancora aperti;  b.   in   presenza   dei   suddetti   elementi,   eseguire   le   attività   di   controllo propedeutiche alla constatazione delle violazioni e, effettuata quest’ultima, inoltrare immediatamente la denuncia penale;  c.   emettere l’atto di accertamento e di irrogazione delle sanzioni.

Analoga attivazione deve riguardare i processi verbali di constatazione e gli accertamenti a suo tempo definiti ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002, onde procedere, ricorrendone i presupposti, alla denuncia penale (ove non già effettuata), ed alla emissione degli atti di accertamento ed irrogazione delle sanzioni.

Nella  ipotesi  della  intervenuta definizione  di  un  atto  di  accertamento precedentemente notificato, considerato che gli effetti di quest’ultimo sono stati caducati dalla sanatoria, illegittima per le ragioni innanzi chiarite, va dunque emesso un nuovo atto di accertamento, in funzione della più volte citata “riespansione del potere accertativo dell’amministrazione” affermata dalla Corte Costituzionale, ed allo scopo di salvaguardare il diritto di difesa del contribuente.

In ogni caso, va previamente valutata l’opportunità di procedere ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo n. 218 del 1997, onde pervenire, ove possibile, alla definizione dell’accertamento con adesione del contribuente.

Con separata trattazione verranno forniti appositi elenchi di ausilio concernenti le posizioni che, dai dati presenti nel Sistema informativo, risultano interessate dalle sanatorie di cui si è in precedenza trattato.   Le Direzioni Regionali e le Direzioni Provinciali di Trento e Bolzano sono invitate a vigilare sulla corretta attuazione della presente circolare, segnalando eventuali problematiche operative ritenute di interesse generale.

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Dott. Alessio Ferretti

Tributarista Qualificato Lapet ai sensi della Legge 4/2013, referente di Networkfiscale.com, Commercialista.it, Commercialista.com, amministratore e consigliere in varie società. Dottore Commercialista ODCEC di Roma nr di iscrizione AA12304

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