Nel dicembre del 2021, mi era stata stata affidata la parte redazionale su l’ “Arte e Fisco” di questa rivista.
Lavoravo solo il venerdì e per iniziare mi avevano detto che avrei dovuto intervistare un certo Paolo Laconi, un pittore sardo che realizzava opere quasi folcloristiche sulla sua terra.
Il primo giorno di lavoro portavo una giacca a quadri, mi facevo cullare dalla velocità del treno e nell’attesa della mia fermata mi appuntavo le domande da fare per il nostro primo incontro virtuale.
Avevo appena diciannove anni, il cuore mi batteva a mille per l’emozione e l’agitazione dell’inesperienza. Temevo di non riuscire a dare il meglio di me.
Arrivai in ufficio e dopo appena il primo “ciao” mi ritrovai catapultata con cuffie e microfono davanti a due schermi da trentadue pollici ciascuno.
La tensione era alle stelle, ma lo sfondo blu di Skype suonava e non potevo fare altro che tirare un sospiro e calmarmi. Dall’altra parte rispose un uomo sulla sessantina, abbastanza compatto, mi sembrava uno di quei classici personaggi dei cartoni che lavorano nelle vecchie botteghe di paese: era lui, era Paolo.
Quel giorno ci presentammo; avevo appuntato delle domande, ma nonostante i primi minuti di imbarazzo dettati dalla mia timidezza e al suo essere apparentemente burbero, il clima si sciolse ed iniziò a raccontarsi.
“Sono rimasto un bambino dentro, mi piace fare scherzi ed essere burlone,” mi disse all’inizio. “Con l’arte voglio trasmettere la mia terra e la mia cultura, ma anche esprimere una forte critica alla società.” Capii che dietro quell’apparente serietà si nascondeva un’anima pura, una di quelle persone che capiscono in silenzio e ti danno il cuore se tu gli dai il tuo.
I nostri incontri del venerdì continuarono e ogni volta analizzavamo due o tre opere che poi avrei pubblicato.
I quadri che mi mostrava raffiguravano scene diverse e tipiche della cultura e della vita in Sardegna, una terra che vive secondo i suoi ritmi e le sue tradizioni.
Paolo diceva di essere un “surrealista”, o meglio, di riportare in chiave simbolica e personale la realtà del mondo sardo, la realtà di tutti i giorni, delle piccole cose e delle piccole gioie quotidiane, ma anche la vita dei suoi antenati, come i nonni che raccoglievano il grano nei campi afosi dell’antica Sardegna.
I suoi dipinti ritraggono i soggetti con tratti caratteristici che richiamano le maschere dei Mamuthones, tipiche del carnevale di Mamoiada.
Questo tratto distintivo anima le sue opere vivaci e coloratissime, in cui amava celare un piccolo autoritratto tra la folla, in modo discreto e modesto: così com’era lui.
E così com’era lui ci piace ricordarlo, fermandoci sempre un po’ a sorridere ogni volta che passiamo difronte a uno dei suoi dipinti.