Il conferimento da parte di un socio di un ramo d’azienda costituito da soli beni immobili, gravati da passività, e la successiva cessione della sua quota agli altri due soci della stessa società, deve essere riqualificato quale compravendita di immobili…
Abuso del Diritto: compravendita immobiliare simulata in un conferimento
[INSERT_1]Il conferimento da parte di un socio di un ramo d’azienda costituito da soli beni immobili, gravati da passività, e la successiva cessione della sua quota agli altri due soci della stessa società, deve essere riqualificato quale compravendita di immobili, con conseguente applicazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute, ravvisata la natura sostanzialmente elusiva dell’operazione posta in essere.
E’ quanto hanno deciso i giudici della Commissione tributaria regionale del Piemonte con la sentenza n. 45/38/10 del 2010, in merito a un avviso di liquidazione emesso dal competente ufficio delle Entrate relativo alla riqualificazione, ai sensi dell’ex articolo 20 del Dpr 131/1986, di una serie di atti posti in essere dalle parti ricorrenti.
La riqualificazione operata dall’ufficio piemontese, riguardava una pianificazione di operazioni realizzate in un breve arco temporale. In sintesi la costituzione di una società a responsabilità limitata con capitale sociale di 100mila euro da parte di tre soci, le cui quote venivano sottoscritte in misura minima (1,67% ciascuno) da due di loro, mentre la restante parte (96,66%) finiva sotto il controllo del terzo socio e liberata con il conferimento, da parte di quest’ultimo, della piena proprietà di un ramo d’azienda agricola per un valore patrimoniale netto di 96. 660 euro. Il conferimento veniva tassato, ai fini del Registro, nella misura fissa di 168 euro, in applicazione dell’articolo 4, comma 1, lettera A), n. 3, della Tariffa, parte prima, del Dpr 131/1986. Misura fissa anche per le imposte ipotecaria e catastale. La cessione della propria quota da parte del socio maggioritario agli altri due al prezzo complessivo di 96. 660 euro, pari al valore nominale della stessa quota.
L’ufficio, con avviso di liquidazione, evidenziava come il conferimento non avesse, in realtà, a oggetto un “ramo d’azienda agricola”, bensì esclusivamente beni immobili, e gli atti posti in essere, considerando il loro collegamento e l’unitarietà della “causa reale”, dovevano essere riqualificati quale compravendita di immobili, con conseguente applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, dovute in misura proporzionale[1].
[1] Le parti proponevano ricorso in Ctp, che confermava la bontà dell’avviso di liquidazione. La sentenza veniva, quindi, impugnata davanti alla Ctr del Piemonte, riproponendo i motivi del ricorso originario e contestando, in particolare, la qualificazione dell’oggetto del conferimento operata dall’ufficio, nonché l’applicazione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986. I giudici piemontesi, dopo aver rilevato come il reale oggetto del conferimento fossero degli immobili e non un’azienda, in ragione della mancanza di ulteriori beni strumentali, hanno condiviso la riqualificazione operata dall’ufficio, motivando che “… è palese la dinamica contrattuale data dall’insieme dei due atti, ossia la costituzione di società con conferimento di azienda e la successiva cessione di quote fra essi consequenziali che concretizzano un’effettiva cessione della stessa, essendo l’atto di conferimento e la cessione delle quote societarie negozi strutturalmente collegati per l’identità dei soggetti, dell’oggetto e funzionalmente connessi per il contributo parziale che ciascuno dei due negozi giuridici da alla formazione progressiva di un’unica fattispecie che si identifica nell’unico effetto giuridico finale, ovvero il trasferimento di azienda”. I giudici di secondo grado si pongono dunque sul medesimo solco tracciato, ormai da tempo, dalla giurisprudenza di legittimità, ricordando in proposito come “la Suprema Corte di Cassazione, con il suo costante orientamento, insegna che l’art. 20 stabilisce che la natura intrinseca degli atti registrati ed i loro effetti giuridici debbono prevalere sulla forma e sul titolo attribuito, privilegiando la sostanza sulla forma e sugli effetti rispetto ai dati formalmente enunciati anche frazionatamente in più atti”. La sentenza fonda, quindi, la correttezza dell’operato dell’Amministrazione fiscale nei confronti dei singoli atti analizzati sul sostanziale collegamento tra gli stessi, in ragione della causa reale che li sottende, senza che il frazionamento negoziale possa essere di ostacolo all’applicazione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986. Chiaro il riferimento alla posizione della giurisprudenza di legittimità in merito alle “operazioni spezzatino” espressa nella sentenza 13580/2007 I giudici, inoltre, sottolineano come “nel caso in esame sono stati posti in essere formalmente due atti, ma che nella sostanza rappresentano un’unica operazione a carattere elusivo al fine di aggirare il pagamento della maggior imposta dovuta per il trasferimento di beni immobili”,ponendo così l’accento sulla finalità elusiva perseguita dalle parti nell’attuazione della complessa procedura. Una lettura dell’articolo 20, volta a far prevalere la sostanza sulla forma, consente di contenere le eventuali finalità elusive. In questo senso, “le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 30055 del 23. 12. 2008, hanno sancito che il contribuente non possa trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con una specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del risparmio fiscale”. Né l’applicazione di tale principio può ritenersi esclusa in virtù della riformulazione dell’articolo 176 del Tuir, il cui terzo comma, a partire dal 2008, esclude l’applicazione dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973 nell’ipotesi di conferimento di azienda e successiva cessione della partecipazione. Secondo i giudici piemontesi, tale comma “non può trovare applicazione poiché il medesimo è riferito all’imposizione diretta del reddito delle società commerciali”. La sentenza in esame consolida, anche nella giurisprudenza di merito (cfr Ctr Lombardia, sentenza n. 142/11/07 del 2007; Ctp di Milano, sentenza n. 26/7/10 del 2010; Ctp di Brescia, sentenze nn. 97/03/08 e 158/07/08, del 2008), l’applicazione del generale principio anti-abuso, sancito dalla Corte di cassazione (cfr sentenze nn. 8772 e 25374 del 2008), anche in materia di tributi non armonizzati che, nello specifico ambito delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, trova il proprio strumento attuativo nell’articolo 20 del Dpr 131/1986.