Con la circolare n. 31/E del 2/10/2006, l’Agenzia delle entrate è intervenuta sulla questione delle differenze inventariali. La circolare evidenzia che tali differenze “non necessariamente sono riconducibili a fenomeni di evasione di imposta, ma si generano anche in modo fisiologico in relazione alla ordinaria dinamica gestionale di un magazzino”. Ciò detto, in sede di verifica fiscale, è necessaria un’attenta valutazione, in particolare quando ci si trovi di fronte a “differenze inventariali” rilevate dallo stesso contribuente
Sommario
Circolare N. 31/E
Direzione Centrale Normativa e Contenzioso Roma, 02 ottobre 2006 Direzione Centrale Accertamento
Oggetto
Presunzioni di cessione e acquisto a seguito della rilevazione di differenze inventariali delle aziende di grande distribuzione.
Premessa
A seguito dell’attività di accertamento posta in essere nei confronti di operatori commerciali soprattutto del settore della grande distribuzione, sono state evidenziate alcune problematiche in ordine alla corretta interpretazione delle disposizioni del d. P. R. 10 novembre 1997, n. 441, recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto.
La presente circolare è finalizzata all’individuazione delle corrette soluzioni interpretative alle menzionate questioni oltre che alla predisposizione di indirizzi operativi per gli organi verificatori.
Presunzioni di cessione e di acquisto
Ai sensi delle disposizioni del d. P. R. N. 441 del 1997, si presumono ceduti (articolo 1) i beni “acquistati, importati o prodotti” non rinvenuti presso i locali in cui il contribuente “svolge le proprie operazioni” o presso quelli dei suoi rappresentanti, mentre si presumono acquistati (articolo 3), all’opposto, i suddetti beni rinvenuti nei medesimi locali.
L’operatività delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, è limitata al periodo d’imposta in corso al momento dell’accesso (art. 4, comma 1). Ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del medesimo d. P. R. , le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le consistenze delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui all’art. 14, primo comma, lettera d), del d. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta (c. D. Differenze inventariali), costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo.
Le citate disposizioni operano come presunzioni nel senso che, in deroga al principio fissato dall’art. 2697 del codice civile secondo cui chi vuol far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, l’amministrazione in sede di accertamento deve solo provare il fatto indicato dalla norma (gli ammanchi di beni a seguito di riscontro fisico ovvero le “differenze quantitative” tra consistenza delle rimanenze registrate e scritture obbligatorie di magazzino o documentazione obbligatoria). Dal canto suo il contribuente, per superare dette presunzioni, dovrà provare, secondo le modalità stabilite dagli articoli 2 e 3 del d. P. R. N. 441 del 1997, che la giacenza o la mancata giacenza dipende dal verificarsi di fatti diversi dall’acquisto e/o dalla cessione.
Problematica inerente alle differenze inventariali rilevate presso gli operatori tenuti alla contabilità di magazzino.
L’art. 14, primo comma, lettera d), del d. P. R. N. 600 del 1973, prevede l’obbligo di tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino “dirette a seguire le variazioni intervenute tra le consistenze negli inventari annuali”. Nelle predette scritture sono “registrate le quantità entrate ed uscite delle merci (…)”. Inoltre, il citato art. 14, primo comma, lettera d) e l’art. 39, secondo comma lett. D), del medesimo d. P. R. Prevedono, rispettivamente: – la possibilità di annotare “anche alla fine del periodo d’imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico”; – la regolarità delle scritture ausiliarie di magazzino nel caso in cui “gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico ai sensi della lettera d) del primo comma dell’art. 14”.
Nella prassi operativa delle imprese vengono effettuate – con cadenza solitamente annuale, ma talvolta anche semestrale o trimestrale – operazioni di “rettifica” del magazzino, finalizzate all’adeguamento del magazzino contabile a quello effettivo.
Le stesse imprese individuano più di una causa da cui scaturiscono le differenze inventariali che portano a tali rettifiche:
– cali fisici o di lavorazione delle merci
– erroneo utilizzo dei codici identificativi nel carico/scarico delle merci;
– furti;
– distruzioni accidentali.
è di tutta evidenza che le differenze inventariali non necessariamente sono riconducibili a fenomeni di evasione di imposta, ma si generano anche in modo fisiologico in relazione alla ordinaria dinamica gestionale di un magazzino.
Alla luce di quanto appena evidenziato, quindi, in sede di verifica fiscale appare necessaria un’attenta valutazione del richiamo dell’art. 4, comma 2, del d. P. R. N. 441 del 1997, in ordine alla presunzione di acquisti non documentati (differenze positive) o vendite non fatturate (differenze negative) allorquando ci si trovi di fronte a “differenze inventariali” rilevate dallo stesso contribuente nella contabilità obbligatoria di magazzino.
In tali casi, il verificatore è sempre chiamato ad una analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata.
Conseguentemente, se nel corso del controllo dovessero riscontrarsi le rettifiche contabili sopra descritte, sarà cura del verificatore non limitarsi alla ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi ed alle informazioni eventualmente forniti dal contribuente.
A titolo di esempio, potranno assumere rilievo ai fini di cui sopra:
– le caratteristiche gestionali e le peculiarità del processo produttivo e/o commerciale; – il trend delle differenze inventariali rilevate nell’arco dell’ultimo triennio;
– il trend degli investimenti effettuati dall’azienda, finalizzati all’adozione di misure organizzative e strumenti per il contenimento e la prevenzione delle cause di formazione delle differenze inventariali;
– il rapporto costi/benefici nell’adozione di misure atte a eliminare totalmente le differenze inventariali; – la rilevazione di differenze inventariali – per lo stesso periodo d’imposta ovvero di rilevazione delle giacenze – sia di segno negativo che positivo, ipoteticamente compensabili a livello di categoria merceologica di prodotti;
– la scarsa plausibilità della vendita “al nero” delle merci costituenti le differenze inventariali riscontrate (in particolare se le differenze si riferiscono a materie prime utilizzate nel processo produttivo o a beni merce di scarso valore unitario e di elevata consistenza numerica);
– valori delle differenze inventariali percentualmente non significativi in rapporto al volume d’affari o alla consistenza media del magazzino, da valutare sempre in stretta connessione con la tipologia di attività svolta e la localizzazione territoriale dell’azienda.
Da quanto sopra esposto discende che, nel redigere il processo verbale di constatazione ed i conseguenti avvisi d’accertamento, il verificatore e il funzionario dell’Ufficio dovranno tenere conto delle valutazioni appena descritte.
Non operatività della presunzione di cessione
L’art. 2 del d. P. R. N. 441 del 1997 prevede al comma 3 che la perdita di beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del contribuente è provata da idonea documentazione fornita da un organo della Pubblica Amministrazione (ad esempio, provvedimento di sequestro amministrativo/giudiziario o anche un verbale di accertamento della distruzione dei beni redatto da parte dei Vigili del fuoco) o, in mancanza, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio – da rendersi entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza – dalle quali risulti il valore complessivo dei beni mancanti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato.
In particolare, al fine di garantire maggiore trasparenza circa le modalità di determinazione delle differenze inventariali, alla dichiarazione sostitutiva dovrà essere tempestivamente associata una relazione che specifichi il calcolo delle differenze medesime e la loro distribuzione distinta per tipologia fenomenologica (es. Furto, cali, deperimento, distruzione accidentale, mancata rettifica delle distinte base delle materie prime nel corso della fase di produzione di un bene, errore nella conta fisica delle materie prime di piccolissime dimensioni, ecc. ).
La menzionata dichiarazione sostitutiva potrà essere ulteriormente documentata quindi attraverso l’allegazione di:
1. verbali di ricognizione con i quali si procede ad un riscontro continuo e periodico delle differenze inventariali;
2. elementi in merito alle misure di sicurezza adottate per il contenimento di furti che comportino una perdita involontaria dei beni;
3. elementi che attestino la propensione e la tendenza dell’azienda a migliorare i propri processi interni al fine di ridurre e limitare il più possibile i fenomeni che portano alla formazione di differenze inventariali, le quali non hanno una rilevanza solo fiscale, ma anche e significativamente un impatto importante sulla gestione economica e finanziaria della stessa azienda.
Infine per essere valida ai fini della norma in esame, la dichiarazione sostitutiva dovrà essere redatta in conformità alla disciplina del d. P. R. 28 dicembre 2000, n 445, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). Al riguardo si richiama il contenuto della circolare n. 6 del 25 gennaio 2002, paragrafo 18, laddove è specificato che “La norma dispone che l’autocertificazione sia resa entro trenta giorni dal momento in cui si è verificato l’evento, ovvero da quello in cui il contribuente ne ha avuto conoscenza. Ciò non significa che entro tale termine la dichiarazione in questione debba essere prodotta all’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, essendo a tal fine sufficiente che la stessa sia resa, ossia sottoscritta, – con le modalità previste dall’art. 38 del citato d. P. R. N. 445 del 2000 – entro il termine prescritto e, se richiesta, esibita agli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria”.
Il contribuente è comunque tenuto a predisporre il documento entro il termine prescritto (30 giorni), in modo da renderlo immediatamente disponibile ai verificatori al momento del controllo.
Problematica inerente alle differenze inventariali rilevate presso gli operatori della grande distribuzione
L’art. 14, primo comma, lettera d), del d. P. R. N. 600 del 1973, prevede che per le attività elencate ai numeri 1 e 2 dell’art. 22, primo comma, del d. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633 – tra cui le attività di cessione di beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico – la tenuta della contabilità di magazzino è obbligatoria solo per i movimenti di carico e scarico dei magazzini interni centralizzati che forniscono due o più negozi o altre unità periferiche, escludendo, quindi, da tale obbligo tutti gli altri depositi. Le aziende della grande distribuzione, quindi, non sono obbligate alla tenuta della contabilità di magazzino per i depositi dei singoli punti vendita che non fungono anche da “magazzini interni centralizzati”.
Per quanto attiene la rilevazione delle “differenze inventariali” relative all’attività di commercio al dettaglio, le aziende della grande distribuzione utilizzano per finalità gestionali, con riguardo alle movimentazioni di merce nei magazzini dei punti vendita, scritture interne comunemente denominate “schede conto consegnatario” che, generalmente, si basano sul cosiddetto “metodo del dettaglio”.
Tale metodo si fonda su specifiche rilevazioni dei movimenti delle merci, operate dalla sede centrale e dalle filiali: le merci vengono raggruppate in base alla categoria merceologica ed alla percentuale di ricarico sul prezzo di vendita (mark-up); i movimenti di magazzino vengono, in genere, rilevati per valore e non per quantità.
Il metodo si basa sul prezzo di acquisto e di vendita dei beni e funziona indipendentemente dall’inventario fisico delle scorte. Infatti, le differenze inventariali che vengono rilevate rappresentano, in genere, lo scostamento tra il valore dell’incasso teorico e quello dell’incasso effettivo, e non lo scostamento tra quantità entrate, da una parte, e quantità uscite, più consistenze, dall’altra.
Le c. D. “schede conto consegnatario” tenute dalle aziende della grande distribuzione in relazione ai depositi relativi ai singoli punti vendita non sono assimilabili, ai fini dell’operatività delle disposizioni del d. P. R. N. 441 del 1997, alle scritture obbligatorie di magazzino di cui al primo comma, lettera d), dell’art. 14 d. P. R. 600 del 1973, atteso che si tratta di rilevazioni effettuate per finalità gestionali – e non per obbligo di legge – e che non riguardano necessariamente le quantità entrate ed uscite delle merci.
Alla stregua di quanto specificato in precedenza, anche e soprattutto in sede di verifica fiscale nei confronti di soggetti non obbligati alla tenuta della contabilità di magazzino, appare necessaria un’attenta valutazione delle “differenze inventariali” rilevate dallo stesso contribuente.
A maggior ragione in tali casi, in cui – si ribadisce – non si può ritenere operante la presunzione di cessione disposta dall’art. 4, comma 2, del d. P. R. N. 441 del 1997, trattandosi di differenze non evidenziate nelle scritture obbligatorie di magazzino, il verificatore è sempre chiamato ad una analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata, come sopra specificato.
Se nel corso del controllo, quindi, dovessero riscontrarsi le rettifiche contabili sopra descritte, sarà cura del verificatore non limitarsi alla ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi ed alle informazioni forniti dal contribuente.
Ciò non significa, ovviamente, che detta contabilità (non obbligatoria) non possa essere oggetto di ispezione ai fini fiscali e che sulle sue rilevazioni possa essere basato un accertamento, sia ai fini dell’I. V. A. Che delle imposte dirette, allorquando i verificatori riescano a desumere – avvalendosi anche di ulteriori riscontri documentali (si citano, a titolo esemplificativo, le risultanze dei controlli incrociati e/o di questionari) e/o presunzioni (si pensi, ad esempio, all’eventualità in cui, all’atto dell’accesso, vengano rilevati esuberi di cassa rispetto alle risultanze delle scritture contabili obbligatorie) – l’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati.
Le conclusioni raggiunte sul piano dell’analisi normativa, in definitiva, comportano importanti conseguenze anche sul piano del modus operandi da seguire in fase di controllo nel caso in cui siano riscontrate differenze inventariali rilevate dallo stesso contribuente.
In particolare:
a. occorre escludere l’operatività delle presunzioni di cessione di cui all’art. 4, comma 2, del d. P. R. N. 441 del 1997, ed in particolare l’automatismo dell’inversione dell’onere della prova. La rilevazione delle suddette discrasie inventariali non potrà, quindi, fondare l’accertamento tutte le volte in cui, sulla base delle concrete circostanze del caso, risulti più probabile che le differenze stesse siano imputabili a fattori diversi rispetto alla vendita “in nero” della merce mancante.
A questo proposito, si deve notare che di norma le aziende della grande distribuzione, stante il sistema di certificazione dei corrispettivi realizzato attraverso l’emissione di scontrini fiscali o con la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate dell’ammontare complessivo dei corrispettivi, adottano procedure amministrative ed organizzative rigorose, nel rispetto delle quali appare poco probabile l’effettuazione di vendite “in nero”. Soprattutto in questi casi, quindi, la dimostrazione che alle differenze inventariali corrisponde effettivamente una cessione dei beni in evasione d’imposta dovrà essere suffragata da ulteriori elementi probatori;
b. la prova contraria rispetto alla vendita “in nero” da parte del contribuente non è vincolata alle procedure previste dal d. P. R. N. 441/97, ma potrà essere costituita da qualunque dato (anche di ordine presuntivo) idoneo a contrastare l’iter argomentativo dei verificatori.
La prova dovrà comunque essere significativa in relazione alla presunzione da vincere, per cui, mentre non vi sono limiti oggettivi per quella relativa ai fatti materiali (quali sono quelli che qui interessano), la prova relativa all’esistenza di contratti deve essere data nelle idonee forme documentali.
Conclusioni
Si richiama l’attenzione delle Direzioni regionali e degli Uffici locali sugli indirizzi contenuti nella presente circolare in particolare nell’ambito dell’attività di controllo.
Tali indirizzi possono così essere sintetizzati:
a. è conforme alle disposizioni del d. P. R. N. 441 del 1997 l’elevazione di rilievi fondati sulla presunzione di cessione o di acquisto di beni dei quali sia emersa, in sede di inventario fisico, rispettivamente, l’assenza o la presenza in misura difforme da quella emergente dalla contabilità dell’impresa;
b. nei casi in cui gli ammanchi o gli esuberi di merce risultino dal confronto tra contabilità di magazzino obbligatoria ai fini fiscali (art. 14, primo comma, lett. D), del d. P. R. N. 600 del 1973) e le giacenze di magazzino, le differenze inventariali costituiscono presunzione di cessione o di acquisto ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d. P. R. N. 441 del 1997.
In tal caso, le dichiarazioni sostitutive di atto notorio di cui al comma 3 dell’art. 2, prodotte dal contribuente per vincere le medesime presunzioni, dovranno essere tempestivamente associate – nel caso di richiesta da parte degli organi verificatori – da relazioni che specifichino il calcolo delle differenze inventariali e la loro distribuzione distintamente per tipologia fenomenologica (es. Furto, cali, deperimento, distruzione accidentale, mancata rettifica delle distinte base delle materie prime nel corso della fase di produzione di un bene, ecc. ).
c. nei casi in cui gli ammanchi o gli esuberi risultino da contabilità di magazzino non obbligatoria ai fini fiscali (ad esempio dalle c. D. “schede conto consegnatario”), il contribuente – trattandosi di fattispecie non riconducibile all’ambito di applicazione del d. P. R. N. 441 del 1997 – non è vincolato alle procedure ivi previste (denuncia, dichiarazione sostitutiva di atto notorio) per superare le presunzioni dei verificatori, ma può fornire qualunque altro elemento (anche di ordine presuntivo) idoneo a vincere gli esiti della ricostruzione delle cessioni e/o degli acquisti;
d. in entrambi i casi predetti – ma in particolar modo nel caso sub c) – i verificatori non dovranno limitarsi al recupero a tassazione sic et simpliciter delle differenze inventariali rilevate dal contribuente e riscontrabili dalla documentazione, obbligatoria o meno, da esso tenuta, ma dovranno valutare tali incongruenze contabili nell’ambito di una analisi generale dell’intera posizione del soggetto, della credibilità degli elementi comunque forniti da quest’ultimo a giustificazione delle differenze inventariali rilevate, delle caratteristiche gestionali e delle peculiarità del processo produttivo e/o commerciale dell’impresa controllata;
e. in un contesto operativo così strutturato, i rilievi dei verificatori, anche ove fondati sulle presunzioni disciplinate dalle norme del d. P. R. N. 441 del 1997, specificamente preordinate all’esercizio dell’attività di controllo e di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto, si rifletteranno necessariamente ai fini dell’accertamento delle imposte dirette ai sensi dell’art. 39, primo comma, lettera d), del d. P. R. N. 600 del 1973.
Al riguardo, si ricorda che la portata applicativa del d. P. R. N. 441 del 1997 è stata chiarita con la circolare n. 193/E del 23 luglio 1998.
In particolare, in tale documento di prassi è chiarito che “le presunzioni in argomento, specificamente preordinate all’esercizio dell’attività di controllo e di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto, e più precisamente quelle di cessione, non possono non riflettersi, quanto ai loro effetti, anche nel campo dell’imposizione diretta, quantomeno nella forma di presunzioni semplici”.