Con ricorso alla C. T. P. Di Catania T. S. Impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di quella città, all’esito di verifica parziale eseguita dalla G. D. F. Aveva rettificato nei suoi confronti il reddito dichiarato per l’anno 1997, accertando, sulla base di versamenti riscontrati su due conti correnti bancari a lui intestati, e ritenuti non giustificati, un maggior reddito di lavoro autonomo di L. 634. 000. 000.
Sommario
Sentenza di Cassazione Civile n. 19692 del 27-09-2011
Svolgimento del processo Con ricorso alla C. T. P. Di Catania T. S. Impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di quella città, all’esito di verifica parziale eseguita dalla G. D. F. Aveva rettificato nei suoi confronti il reddito dichiarato per l’anno 1997, accertando, sulla base di versamenti riscontrati su due conti correnti bancari a lui intestati, e ritenuti non giustificati, un maggior reddito di lavoro autonomo di L. 634. 000. 000.
A sostegno dell’impugnazione deduceva il ricorrente l’illegittimità sotto molteplici aspetti della procedura di acquisizione dei dati bancari, e comunque l’infondatezza dell’accertamento stante l’inapplicabilità nei suoi confronti della presunzione di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, operante solo per i lavoratori autonomi e gli esercenti attività d’impresa (categorie alle quali egli era estraneo), e in ogni caso trovando tutti i versamenti contestati adeguata giustificazione.
Il giudice adito rigettava il ricorso, il contribuente proponeva gravame e la CTR della Sicilia con sentenza n. 80/18/08, depositata il 22. 5. 2008 e non notificata, rigettava l’appello.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponeva quindi ricorso il T. , articolando sei motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva l’intimata con controricorso. Con successiva nota, debitamente notificata alla controparte, il ricorrente provvedeva altresì al deposito di ulteriore documentazione relativa alle pronunce favorevoli ottenute con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio relativamente ad altre annualità.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente rileva il Collegio che la documentazione depositata dal ricorrente ex art. 372 c. P. C. , e relativa a sentenze favorevoli al contribuente emesse a seguito di distinte impugnazioni di avvisi di accertamento adottati dall’Ufficio per altre annualità, sulla base del medesimo p. V. C. Della Guardia di Finanza, risulta irrilevante ai fini della definizione del presente giudizio. Ed invero detta documentazione è costituita da due sentenze della CTP di Catania relative rispettivamente agli anni 1998 e 2000, non ancora passate in giudicato, e da altre due sentenze passate in giudicato, ma relative comunque a distinti atti impositivi, riguardanti differenti annualità perchè emessi per gli anni 1995 e 1996 (sulla insussistenza del giudicato in caso di distinti procedimenti conseguenti ad autonomi avvisi di accertamento relativi a diverse annualità d’imposta, v. Cass. 16. 5. 2007, n. 11226, secondo la quale: “La sentenza del giudice tributario con la quale si accerta il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta può fare stato anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene te qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari correlati ad un interesse protetto avente H carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni d’imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi”). In proposito, invero, è appena il caso di rilevare che l’effetto preclusivo conseguente al giudicato esterno, quale limite all’esercizio della giurisdizione, va verificato sulla base di una rigorosa verifica che investa tutti indistintamente i presupposti ai quali l’ordinamento ricollega l’effetto suddetto, e così in particolare il fatto che i due giudizi tra le stesse parti, si riferiscano al medesimo rapporto giuridico (v. Cass. SS. UU. 16. 6. 2006, n. 13916; Cass. Sez. V civ. Sent. 30. 11. 2009, n. 25200). Nel caso di specie, fondandosi i diversi accertamenti su dati contabili diversi, l’esito della verifica non può che indurre ad escludere l’esistenza di un giudicato che sia di impedimento all’autonoma definizione della presente controversia. Nè in contrario senso può in alcun modo invocarsi il fatto che anche nei predetti giudizi, così come nel presente procedimento, oggetto di discussione sia stata la natura dell’attività svolta dal T. , quale ipotetica questione pregiudiziale ai fini della risoluzione della problematica relativa all’applicabilità al caso di specie della presunzione di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, perchè anzi questo profilo della controversia in esame, investendo una questione di diritto, più di ogni altro resta sottratto al rischio di violazione dell’art. 2909 c. C. , riguardando l’intangibilità del giudicato di cui alta citata norma, il solo “accertamento” di fatto contenuto nella precedente sentenza, e non certo la risoluzione di questioni giuridiche, sempre rimesse all’autonoma determinazione del giudicante.
2. Tanto premesso, il ricorso risulta infondato. Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti sulla base dei versamenti rilevati sui conti correnti bancari a lui intestati, deducendo: 1) l’illegittimità della procedura di acquisizione dei dati bancari perchè integrante duplicazione di precedente acquisizione di analoghi dati già realizzatasi nell’ambito di verifica riguardante la società XXXXX s. R. L. (della quale egli era socio), per mancanza di motivazione dell’ autorizzazione prescritta per gli accertamenti bancari, per violazione dei termini di durata prescritti dalla legge per l’attività di verifica e per la mancata instaurazione del contraddittorio; 2) l’illegittimità dell’accertamento per l’inapplicabilità nei suoi confronti delle presunzioni di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2; 3) l’infondatezza dell’atto impositivo trovando tutti i versamenti contestati puntuale giustificazione nella documentazione prodotta a conforto delle somme incassate per lo smobilizzo di titoli, la restituzione di somme oggetto di precedenti finanziamenti in favore delle società XXXXX, XXXXX e XXXXX, e la vendita di un immobile. A seguito dei rigetto dell’impugnazione, confermato dalla CTR con la sentenza di cui innanzi, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso: 2/a) Omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c. P. C. , n. 5) con riguardo alla asserita inidoneità della documentazione prodotta, a superare la presunzione di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2. A questo proposito giova subito rilevare che la documentazione in questione risulta esaminata dal giudice di merito, che ha concluso che “. La documentazione prodotta, per giustificare parte dei versamenti, appare incompleta e contraddittoria ed in ogni caso non si ritiene sufficiente ed idonea per superare l’indicata presunzione”. Ciò premesso, il motivo in esame è inammissibile in quanto rivolto a conseguire una nuova e diversa valutazione dei documenti prodotti nel giudizio di merito (ex muitis v. Cass. 2. 2. 2007, n. 2272; 11. 7. 2007, n. 15489), documenti tra l’altro solo genericamente richiamati in ricorso attraverso la riassuntiva esposizione dei loro contenuti, in violazione de principio di autosufficienza del ricorso che impone, laddove la doglianza esposta faccia riferimento a documenti che si assume non essere stati adeguatamente valutati dal giudicante, la trascrizione fedele quanto meno delle parti più rilevanti e significative degli atti richiamati (ex multis v. Cass. Ord. 30. 7. 2010, n. 17915; sent 17. 5. 2006, n. 11501). Al riguardo è appena il caso di rilevare che: la causale dei rilevanti versamenti eseguiti in favore del contribuente dalle società XXXXX srl, XXXXXXXXXXX srl, e Consorzio XXXXX srl in nessun modo emerge dalle indicazioni fornite in ricorso circa le risultanze degli estratti conto relativi ai rapporti bancari intrattenuti dalle predette società; l’accredito di somme sui due conti correnti intestati al T. E interessati dall’attività di verifica svolta dalla G. D. F. Per liquidazione di titoli non può ritenersi emergere dagli “estratti delle richiamate “interrogazioni” riportate in ricorso; la riferibilità dei versamenti in contestazione, ai proventi della vendita immobiliare conclusa dal contribuente, non risulta dalle scarne e sintetiche estrapolazioni dal contratto trascritte in ricorso. 2/b) Violazione e falsa applicazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dovendosi ritenere la presunzione legale di cui alla citata norma, inapplicabile nel caso di specie non svolgendo il contribuente attività di lavoro autonomo, nè attività d’impresa, bensì mera attività di collaborazione coordinata e continuativa come amministratore della XXXXXX s. R. L. Il motivo è infondato, dovendo trovare risposta negativa il quesito di diritto in proposito formulato dal ricorrente. Ed invero il D. P. R. N. 600 del 1973, artt. 32 e 38, hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia a natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengano, la qual cosa in particolare è da ritenersi per quanto relativo all’applicabilità della presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2. Nè in contrario senso può fondatamente invocarsi il riferimento ai “ricavi” e alle scritture contabili contenuto nella suddetta norma, giacchè esso risulta limitativo unicamente della possibilità per l’ufficio di desumere reddito dai “prelevamenti”, non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali te spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. Ciò senza peraltro che l’utilizzo dei termini suddetti possa in alcun modo impedire all’ufficio di desumere per qualsiasi contribuente che i “versamenti” operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscano reddito, dovendosi ritenere tale attività accertativa pienamente consentita dalla norma in esame e assolutamente ragionevole. 2/c) Violazione dell’art. 112 c. P. C. , sotto svariati profili, e così in particolare: – in ordine alla dedotta violazione della L. N. 212 del 2000, art. 6, comma 4, per aver i verificatori nuovamente richiesto l’acquisizione dei conti correnti del contribuente, pur trattandosi di dati già in precedenza richiesti in occasione della verifica effettuata nei confronti della XXXXX s. R. L. ; – in ordine alla denunciata illegittimità dell’avviso di accertamento per mancanza di motivazione dell’atto di autorizzazione, in violazione della L. N. 212 del 2000, art. 7; – in ordine all’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione della L. N. 212 del 2000, art. 12, comma 5, relativo alla durata della verifica; – in ordine all’illegittimità dell’accertamento per la mancata instaurazione del preventivo contraddittorio tra ufficio e contribuente. I motivi così congiuntamente riassunti sono infondati oltre che inammissibili perchè privi di rilevanza. Li giudice tributario, infatti, dopo aver nella parte narrativa in più punti fatto riferimento ai vari profili di illegittimità della procedura di acquisizione dei dati seguita dai verificatori, dedotti dal contribuente (“Il ricorrente eccepiva. L’illegittima acquisizione dei dati. Eccepisce inoltre l’acquisizione illegittima dei dati bancari stante che la verifica si era protratta oltre i termini di legge. “), ha argomentato la sua decisione esordendo con l’affermazione: “. Correttamente i primi giudici, con sufficiente motivazione, hanno rigettato il ricorso non rinvenendo segni di illegittimità nella procedura posta in esser dall’Ufficio”, successivamente ancora aggiungendo sul versante della legittimità dell’attività di verifica che: “. Per quanto riguarda l’indagine bancaria la stessa era stata avviata in forza del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7”. Alla luce di tali espressioni è da ritenersi che la C. T. R. Abbia inteso pronunciarsi, quanto meno implicitamente, in senso sfavorevole al contribuente su tutte le questioni sollevate relativamente alla legittimità dell’avviso di accertamento, così come con i singoli motivi di doglianza in questa sede ribaditi, di talchè ogni ulteriore censura al riguardo da parte del contribuente, avrebbe dovuto far eventualmente riferimento alla violazione o falsa applicazione delle distinte norme di volta in volta richiamate, ma giammai può ritenersi fondata sotto il profilo dell’omessa pronuncia. E ciò tanto più che almeno tre delle questioni alle quale il contribuente fa riferimento con i quattro motivi in esame risultano palesemente infondate, onde per questo aspetto, oltre che ulteriore argomento a sostegno del convincimento della decisione implicita del giudice di appello, anche l’irrilevanza dei relativi motivi di doglianza. Ed infatti: – L’acquisizione dei dati bancari relativi al contribuente risulta dalla sentenza essersi realizzata mediante richiesta alla Banca (“. L’indagine bancaria. Era stata avviata in forza del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32 comma 1, n. 7”), e non al contribuente direttamente, e comunque nessuna sanzione di nullità prevede l’art. 6 cit. Al riguardo; – Il termine di cui alla L. N. 212 del 2000, art. 12, comma 5, si riferisce alla “permanenza” dei verificatori nei locali del contribuente, e non alla durata della procedura di verifica; – Il preventivo contraddittorio tra l’Ufficio e il contribuente costituisce oggetto di una facoltà per il primo, e non di un diritto per il secondo (Cass. 23. 6. 2006, n. 14675), e in ogni caso nella fattispecie risulta dallo stesso ricorso (pag. 13) “rifiutato” dal T. Quanto alla ulteriore censura relativa alla mancanza di motivazione dell’autorizzazione alle indagini bancarie, la sua irrilevanza in questa sede consegue alla omessa trascrizione integrale del documento, che non consente al Collegio il preliminare vaglio di decisività del vizio dedotto (cfr. V. Cass. 31. 1. 2006, n. 2140; 17. 1. 2007, n. 978).
3. Conclusivamente il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, per il principio di soccombenza, ai rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro. 8. 000,00 oltre spese prenotate a debito. D. P. R. 29/09/1973 n. 600, art. 32